Introduzione

craxiOggi vorrei parlarvi di un personaggio storico, morto nel gennaio del 2000 e responsabile delle sorti del nostro paese prima della fragorosa caduta della prima repubblica all’inizio degli anni ’90.
Vorrei parlare, lo avrete certo capito, di Bettino Craxi.
Prima di cominciare tuttavia sono necessarie alcune premesse fondamentali per togliere di torno eventuali antipatici fraintendimenti.
Personalmente detesto quando si trasforma un delinquente, lo dico in generale non necessariamente nel caso di cui sto per parlarvi, in un santo, semplicemente perché è morto. Capisco perfettamente l’affetto dei suoi cari e dei suoi amici, che cercano sempre di valorizzare gli aspetti positivi del caro estinto. É comprensibile e pienamente giustificabile, ci mancherebbe altro.
Quando però il caro estinto è un personaggio pubblico, magari di quelli importanti, il giochino non può più funzionare, perché esiste una realtà storica alla quale non si può sfuggire.
Nel caso di un politico, le cose diventano più complicate, perché il giudizio sull’operato dei politici non è mai obiettivo, è sempre di parte … per questo l’aggregazione di uomini e donne che seguono un progetto politico si chiama “partito”.
Provate a pensarci e a farvi venire in mente un quesito qualsiasi che riguardi la vita del nostro paese: che so … le riforme scolastiche, le leggi finanziarie, l’atteggiamento verso gli immigrati, le scelte in tema di politica estera, … uno qualsiasi va benissimo. In questa situazione ci sono i seguaci del partito A che pensano bianco, quelli del partito B pensano nero e magari ci sono anche altre posizioni con varie sfumature di grigio. La domanda che uno si deve fare è questa: “siccome il quesito è unico, non possono avere tutti ragione, qualcuno deve per forza avere torto.” Sì, è vero: c’è anche la possibilità che tutti abbiano torto, ma di certo è impossibile che abbiano tutti ragione.
Questo vale, ovviamente, anche quando si dà un giudizio sulle imprese, buone o cattive, di un personaggio importante, uno che ha rappresentato il nostro paese, come primo ministro, per molti anni. Tra l’altro, anni importanti, quegli anni ’80, durante i quali sono successe molte brutte cose, come ho avuto modo di raccontare negli ultimi 15 mesi qui a Noncicredo. Non lo ricordate? Potete ritrovare tutte le puntate realizzate per Radio Cooperativa qui, sul mio sito, come file audio e, per moti argomenti, anche come file di testo.
Pensiamo, tanto per fare un accenno, allo sport preferito in quegli anni da parte dei servizi segreti nostrani. Quello cioè di insabbiare o depistare le indagini che cercavano di scoprire perché a Bologna muoiono 85 persone mentre aspettano il treno alla stazione. O come mai si rende possibile che sopra i cieli siciliani si scateni una guerra tra aerei nostri alleati (gli Stati Uniti per ragioni politiche e la Libia per ragioni economiche). Una guerra che pone fine alla vita di 81 persone con l’unica colpa di aver preso un aereo, evidentemente molto sfortunato. E così via.
Dunque Bettino Craxi. Prima di raccontare la sua storia, soffermiamoci un momento su quanto è accaduto dopo la sua morte, avvenuta in Tunisia, ad Hammamet, dove Bettino è scappato, inseguito inutilmente dalla magistratura di Mani Pulite. É il gennaio del 2000 e, mentre il secolo comincia il suo ultimo anno, ecco salire al cielo voci benedicenti lo statista appena scomparso.
Lo fanno i socialisti come De Michelis e Rino Formica, lo fanno diversi seguaci di Silvio Berlusconi e perfino alcuni esponenti comunisti del PD, come Fassino e D’Alema tanto per non fare dei nomi, non si capisce bene se per convinzione o per accondiscendere l’amico Silvio.
Lo fa, nel modesto clamore delle deboli proteste popolari, il sindaco di Milano, Letizia Moratti, che vuole intitolare al leader socialista scomparso una strada. Il che, visto la levatura del personaggio può anche starci, ma la giustificazione è di quelle che si fa fatica a capire. La Letizia infatti dice: “Che male c’è? Abbiamo strade intitolate a Giordano Bruno e a Garibaldi, perché non a Bettino?”.
In fondo anche i due personaggi, vissuti uno nel ‘500 e l’altro 3 secoli dopo, sono stati condannati, eppure hanno strade e piazze a loro intestate e pagine e pagine dei libri di storia ne parlano.
Se è per questo ci sono pagine e pagine di storia dedicate a Hitler, ma non mi risulta che qualcuno abbia mai avuto il coraggio di intestargli una qualsiasi cosa.
Mi sembra anche chiaro che si sono condanne e condanne e che un conto è essere bruciati vivi dalla Inquisizione per aver espresso opinioni libere sulla scienza e sulla religione e un conto è aver ammesso pubblicamente di aver incassato soldi non leciti per finanziare se stesso e il proprio partito. Un conto è essere stato tacciato di terrorismo per aver combattuto nell’800 una guerra per liberare un popolo dalla tirannia e un altro è aver corrotto, esportato capitali illeciti all’estero o fatto licenziare giornalisti scomodi (come Giorgio Bocca da Canale 5).
Ecco, pur con tutta la benevolenza possibile nei confronti della Moratti, sulla cui buona fede o sulla cui preparazione storica nutro dei dubbi molto seri, a questi paragoni proprio non ci sto, specie quello con Giordano Bruno, che considero, da fisico, l’iniziatore dell’era moderna della scienza con quel rogo a Roma nel febbraio del 1600.
Va anche sottolineato che, un anno fa (2017) anche il sindaco Giuseppe Sala, indipendente sì, ma del centrosinistra, ha avanzato la stessa possibilità. Le prese di posizione a favore di Bettino non si contano negli ambienti della destra italiana. Berlusconi ha dichiarato recentemente che considera un onore ogni volta che il suo nome viene accostato a quello di Craxi. Contento lui …
E però è davvero complicato venire fuori da questa faccenda. Già perché molti di questi attori sono ancora vivi e vegeti e qualcuno sta ancora sulla scena politica e sociale italiana.
É il caso, ad esempio, di Silvio Berlusconi, che dall’amministrazione Craxi ha avuto innegabili gratificazioni, quando era ancora un rampante imprenditore. Molti sostengono che la sua entrata in politica sia stata la prosecuzione della storia di Bettino.
É anche il caso di Antonio Di Pietro, il fustigatore dei politici corrotti, il PM di Mani Pulite, l’ultima grande rivoluzione nella politica italiana. All’inizio degli anni 90 la vicenda di Tangentopoli ha indici d’ascolto che il Grande Fratello può andarsi a nascondere. Le udienze del processo vengono seguite con un interesse spasmodico. Si capisce, in quegli anni, che sta avvenendo una svolta epocale nel nostro paese. Partiti di enormi dimensioni (come la DC) semplicemente spariscono e i suoi rappresentanti finiscono riciclati un po’ ovunque: nel PD, passando attraverso la Margherita, e nel PDL, passando attraverso Forza Italia.
Tanti personaggi riescono a rientrare nel giro della politica come i già citati Gianni De Michelis e Rino Formica, oggi 91-enne, che nel 2003 diventa presidente di un partito (Socialismo è Libertà).
É ancora vivo Arnaldo Forlani, ex capo della DC e primo ministro, socio di Craxi e Andreotti nel CAF di cui parleremo, che ha oggi 93 anni e ha scritto un libro sulla storia della DC uscito nel 2009, dal titolo che mi sembra piuttosto anche se involontariamente ironico: “Potere Discreto”.
Andreotti, invece, non c’è più.
Tra tutti questi protagonisti, Di Pietro e Berlusconi costituiscono, negli anni successivi alla morte di Craxi, i due estremi opposti della politica italiana per posizioni su tutte le questioni: dalla giustizia al lavoro, dall’ambiente al welfare. Accade quando Tonino entra in politica, fonda un suo partito, l’Italia dei Valori, che ha un buon successo, fino alla sua caduta per vicende non del tutto chiarite sulla integrità del leader molisano.
A me sembra che in queste condizioni diventi complicato fare dei discorsi senza cadere in posizioni di parte, senza cioè rischiare di essere fraintesi, per non essere presi in mezzo, come dicevo all’inizio, in discorsi da ultras, come accade nelle partite di calcio, quando 60 mila persone lontane dal campo di gioco pretendono di vedere meglio quel che succede di un arbitro, un professionista, che si trova a un metro dal presunto fattaccio. Perché credono di essere più bravi dell’arbitro. Quei sessantamila non lo fanno mai con l’oculista o il dentista che li sta curando, chissà perché?
Con questo rischio c’è una sola strada da seguire, che è quella di analizzare solo i fatti storici, quelli raccontati dagli stessi protagonisti durante le interviste o i procedimenti giudiziari o le dichiarazioni in Parlamento.
Prima però c’è un’altra questione da risolvere, perché le vicende che racconto questa sera sono finite spesso davanti a giudici nei tribunali.
Dobbiamo decidere se ci fidiamo o no della giustizia di questo paese, della magistratura che compie le indagini e delle forze dell’ordine che ne rappresentano l’azione, l’applicazione, l’esecuzione.
Abbiamo visto, nelle precedenti “storie” di Noncicredo, che avere dei dubbi non solo è legittimo, ma spesso ci si prende meglio che a non averne. Tuttavia una scelta va fatta, perché non è possibile che i processi siano corretti se condannano i nostri avversari e diventino faziosi se si tratta di nostri amici o peggio di noi stessi. Non si può elogiare la magistratura che mette dentro dieci mafiosi e dichiarare che sono dei comunisti sporchi e cattivi quando bocciano una legge che ci va bene o arrestano qualche assessore della regione che il nostro partito governa. Il riferimento a Berlusconi non è per niente casuale.
In questo nostro paese così strano, ognuno vuole saper fare il lavoro degli altri e saperlo fare molto meglio. Tutti sanno come fare la formazione delle squadre di calcio, tutti sanno come ridurre le tasse, tutti sanno come funziona l’economia, la finanza, l’approvvigionamento energetico, tutti sanno tutto di tutto. O almeno lo credono.
E poi ci sono quelli, e non solo tra i cittadini, che la sparano grossa, perché in un mondo pieno zeppo di ignoranza, veicolata in maniera tossica e acritica dai cosiddetti social, è diventata abitudine dare ragione a chi grida più forte o la spara più grossa. Ci sono mille esempi di questo, basta leggere i messaggi che compaiono su facebook. Ricordo che, durante la campagna referendaria sul nucleare (era il 2010), un tizio scrive, su Repubblica.it, sito prestigioso e serio, che con le centrali nucleari che Berlusconi voleva appiopparci, si sarebbe risparmiato il 37,5% sulla produzione di energia. Qui non si tratta di stabilire se quel signore abbia ragione o torto, ma non si possono usare le cifre così buttate là senza uno straccio di spiegazione (meglio sarebbe di prova) tanto per impressionare gli altri frequentatori del sito. É come una partita a poker in cui chi bluffa di più vince. Diffidate sempre da chi vi dà dei valori precisi quando non serve, da chi vi dice, per far capire che si tratta di un grande valore “questa cosa vale 45'397 euro”, perché una persona normale vi dirà che vale circa 45 mila euro, gli spiccioli non spostano di un millimetro la questione. Nessuno che non sia un bugiardo vi dirà “Ho aspettato un’ora e sette minuti”, perché i sette minuti non cambiano niente del discorso. Diffidate perché probabilmente avete davanti un bugiardo.
Lo stesso vale per i processi e per le sentenze. Ci sono dei professionisti che fanno quel lavoro. Non si capisce perché dovrebbero farlo male apposta.
Bene, io partirò dal presupposto che le sentenze emesse e passate in giudicato, siano suffragate da prove inconfutabili e quindi rappresentino la verità. Qualcuno può sostenere che ci sono gli errori giudiziari. Questo è vero, ma credo siano enormemente di più i casi di delinquenti non puniti che quelli di innocenti puniti. Solo che questi ultimi fanno notizia, gli altri molto meno.
Ad ogni modo il mio metro di analisi sarà questo; giochiamo con queste regole e vediamo dove andiamo a finire.

Il contesto

Bettino Craxi nasce a Milano nel febbraio del 1934. Cresce in una famiglia socialista. Il padre, prefetto di Como, gli indica la strada e, a soli 17 anni, Bettino ha in tasca la sua prima tessera del PSI. A noi, tuttavia interessa qui non tanto la sua storia personale, quando quella politica, che diventa importante negli anni 70, quando Bettino comincia a contare abbastanza all’interno del partito. Sostenitore di un grande personaggio come Pietro Nenni, rappresenta l’ala più a sinistra, quella per capirci che confina con le posizioni del PCI, in quegli anni retto da Enrico Berlinguer. Come responsabile degli esteri, stringe amicizie importanti per l’epoca. Tra queste quella che si rivelerà decisiva con Francoise Mitterand, presidente della Francia per 14 anni dal 1981 al 1995, figura non limpidissima per i suoi supposti trascorsi filo-nazisti. Sempre in questa veste, Craxi finanzia (per conto del PSI) partiti socialisti che in quel periodo vivono anni difficili, come quello spagnolo, quello cileno di Salvador Allende e quello greco.
É il 1976 e in Italia il PSI sostiene il Governo Moro, ma uno scritto di De Martino, l’allora segretario PSI, lo fa cadere. Si sciolgono le camere e si va ad elezioni anticipate. Già nel 1974 le elezioni amministrative vedono un crollo del partito di maggioranza, la DC di Andreotti, Moro, Fanfani, ecc. e un guadagno pazzesco del PCI di Berlinguer, che si porta al 30% dei consensi. La faccenda si ripete nelle elezioni politiche; la DC rimane primo partito per pochi voti e il PSI ha una dura sconfitta, scendendo al di sotto del 10% dei consensi, che rappresenta la soglia da superare per stare tra i “grandi” e quindi per contare davvero. Il segretario De Martino, che cerca un’intesa con i comunisti, si dimette e al suo posto l’assemblea socialista nomina Bettino Craxi.
L’idea è che il politico milanese sia un segretario di transizione, in attesa che le varie correnti del partito riescano a concordare un candidato comune. Tra queste correnti c’è quella di Claudio Signorile, del quale avremo modo di parlare più avanti.
Craxi però non ha alcuna intenzione di essere una meteora di passaggio e fa subito capire le sue intenzioni. Butta fuori dalla segreteria tutti i vecchi compagni, sostituendoli con più giovani elementi in quella che viene chiamata la “rivoluzione dei quarantenni”. Ma il passo decisivo è lo strappo con il PCI e con tutta la storia del socialismo. Abbandonato Marx e Lenin, nasce una visione diversa, assai più vicina alle idee delle socialdemocrazie europee (come quella tedesca della SPD, guidata all’epoca dal cancelliere Willy Brandt). Dunque niente compromesso storico, che è invece la linea portata avanti da Enrico Berlinguer e da Aldo Moro.
Queste posizioni impressionano gli italiani. Ma Craxi è probabilmente il primo a capire quanto sia importante l’immagine nella politica. Un’immagine che cura nei dettagli, attraverso stampa e televisione, in una prima edizione di quella politica-spettacolo che sarà consacrata definitivamente da Silvio Berlusconi.
E, mentre si stacca sempre più dalla sinistra, fa però l’occhiolino ai movimenti civili, come quelli dei radicali che in quegli anni si battono, tra l’altro, per divorzio e aborto. É anche il solo parlamentare ad esprimere pubblicamente il desiderio di trattare con le BR per evitare l’uccisione di Aldo Moro.
Nel successivo congresso viene rieletto nonostante le correnti storiche di Signorile e Manca lo ostacolino.
Uno dei suoi cavalli di battaglia è il concetto di “governabilità” che non abbiamo più abbandonato da allora.
Nel 1983 le elezioni politiche gli danno ragione ed ottiene un notevole successo, tornando sopra l’11% e meritando quindi di essere nominato Presidente del Consiglio. Nella DC intanto prevale la linea di Donat Cattin, che tutto vuole tranne che il PCI entri nel governo o nell’area governativa. In questa situazione non c’è scelta. Per avere i numeri per governare il paese occorre far entrare nel governo cani e porci. Nasce così il pentapartito che va dai liberali fino ai socialisti, lasciando fuori gli estremi rappresentati da MSI a destra e dal PCI a sinistra.
Il primo governo Craxi, tuttavia ha una vita complicata per via dei cosiddetti “franchi tiratori” democristiani che fanno prevalere le faide interne al loro partito sugli interessi comuni del governo. Numerose sono le volte in cui Craxi viene battuto in aula per questo motivo. Tanto che ad un certo punto di dimette. Ma Cossiga, diventato Presidente della Repubblica, lo rinomina per un secondo tentativo, che dura fino al 1987. Poi il PSI sostiene il monocolore Fanfani che porta alle elezioni del 1987, dove il partito di Craxi ha un grande successo, sfiorando il 15% dei consensi.
Ma è il tempo dei grandi mutamenti internazionali. Nel 1989 si sfaldano le ideologie e i partiti comunisti (come quello italiani) si sgretolano, come il muro di Berlino. Craxi, da vecchio marpione, apre una casa che chiama “Unità Socialista” dove ricondurre i socialisti, i socialdemocratici e tutti gli orfani del PCI che non confluiranno nel nuovo soggetto di sinistra, il PDS. É l’apice della figura di Bettino; alle elezioni del 1990 i consensi arrivano al 18% e ormai il PSI è sempre più la rappresentazione del suo leader, tanto che si parla non tanto di socialismo, quanto di craxismo.
É il 1992. Cossiga si affida ancora al PSI per formare il governo. Craxi manda avanti Giuliano Amato, un economista, il cui governo tuttavia durerà solo un anno. Poi verrà schiacciato dalle indagini su oscuri e illeciti finanziamenti dei partiti e su fatti di corruzione. Nel 1993 i radicali propongono otto referendum che segnano la sconfitta netta del governo. Il 90% dei partecipanti al voto (affluenza del 77%) boccia il meccanismo del finanziamento pubblico dei partiti, l’82% abolisce il metodo proporzionale nella legge elettorale, oltre ad altre questioni su droghe leggere, ministeri vari (abolizione di quello dell’agricoltura) e tutela dell’ambiente.
A maggio arrivano i primi avvisi di garanzia. Sono per gli ex sindaci di Milano, Gian Paolo Pillitteri e Carlo Tonioli. A Novembre il colpo più pesante. Giuseppe Balzamo, tesoriere del PSI (quello che gestiva dunque i fondi anche pubblici), viene avvisato per i reati di ricettazione, corruzione e violazione della legge sul finanziamento ai partiti.
A dicembre viene indagato anche Bettino Craxi, poco prima delle elezioni amministrative dalle quali il PSI uscirà con le ossa rotte. I suoi voti vanno a finire nel MSI e nella Lega Nord, partito appena formato. Sono i soli che, al momento, non risultano pesantemente coinvolti nell’inchiesta di Mani Pulite.
Intanto arriva l’avviso di garanzia per bancarotta fraudolenta, relativa al crack del Banco Ambrosiano e legata al famoso conto protezione svizzero (di cui parleremo più avanti); per questo saranno condannati Craxi, Claudio Martelli (il suo delfino), Licio Gelli e Silvano Larini, un faccendiere del partito socialista e uomo di fiducia di Bettino Craxi. L’11 febbraio di quell’anno Craxi si dimette da segretario del PSI. Ha ormai raccolto una ventina di avvisi di garanzia.
Il 29 aprile 1993 si presenta alla Camera e in un discorso rimasto famoso accusa l’intero parlamento di usare fondi non leciti per finanziare le attività di partito. "Basta con l'ipocrisia!"; tutti i partiti – dice Craxi – si servono delle tangenti per autofinanziarsi, anche quelli "che qui dentro fanno i moralisti". L’ultima frase è diretta al PDS, lasciato fuori dalle inchieste come la Lega e l’MSI (anche se poi qualche scheggia delle indagini finirà contro la Lega e anche contro l’ex PCI).
Insomma la tesi di Craxi è che lui, si dichiara sì colpevole, ma lo è come tutti gli altri. Il discorso rientra nella sua difesa contro la richiesta di “autorizzazione a procedere” che arriva alla Camera dei Deputati dalla pretura di Milano. L’autorizzazione viene negata dal Parlamento con il voto di tutti i partiti della maggioranza. I leghisti e i missini insorgono urlando ai propri colleghi “ladri ladri”. Ci sono manifestazioni di piazza organizzate dai tre partiti. Una folla attende Bettino all’uscita dall’albergo dove alloggia e lo riempie di insulti e cori irriverenti, sommergendolo di monetine.
Alle elezioni successive del 1994, Craxi non viene ricandidato e quindi può essere arrestato. Si decide di confiscargli il passaporto, ma ormai è troppo tardi. Bettino si trova già in Tunisia, ad Hammamet, dove passa gli ultimi anni della sua vita, fino alla morte avvenuta nel gennaio del 2000.
Ci sono tante domande che vengono alla mente. Craxi è per 20 anni al centro della scena politica italiana. Quali risultati ottiene? Cosa si nasconde dietro le attività ritenute illecite? Quali condanne subisce? Perché oggi si cerca di rivalutarlo?
Cercherò di rispondere a queste domande, tranne all’ultima, perché chiedersi perché si voglia rivalutare la figura di una persona condannata per reati gravi va al di là di ogni mia comprensione e quindi non ho risposte da dare.

La politica dei governi Craxi

É sempre difficile tirare fuori dal contesto alcune azioni, perché si rischia di cadere nel massimalismo o nella superficialità. E però non abbiamo molta scelta a meno di non trasformare l’articolo in un libro grosso così.
Non mi resta quindi che elencare alcuni dei punti importanti o famosi ottenuti dai 2 governi Craxi o da quelli ai quali ha dato sostegno con il suo partito.
  • La revisione del Concordato, che era stato siglato da Mussolini, porta alla abolizione del concetto di religione di stato e della “congrua”, una specie di stipendio per i parroci (a dire il vero piuttosto misero) sostituito dall’introduzione dell’8 per mille; altra novità la facoltà di avvalersi o meno dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole. La Chiesa mantiene tuttavia molti privilegi, legati ad esenzioni di tasse di varia natura.
  • il taglio di 4 punti della scala mobile, contestatissimo dalla CGIL e dal PCI, che raccoglie le firme per un referendum che Craxi riesce, contro ogni previsione, a vincere.
  • All’inizio degli anni 80 l’inflazione nel nostro paese è mostruosa, sfiorando il 20%. Bettino la riduce al 4% in 4 anni (‘83-‘87). Contemporaneamente si ha un grande sviluppo produttivo che porta l’Italia al 5 posto tra i paesi industrializzati, superando per la prima volta la Gran Bretagna. Ma, negli stessi anni, il debito pubblico fa un salto in avanti spaventoso, diventando più che doppio (da 230 a 550 miliardi di euro – secondo la valuta attuale).
  • C’è anche un tentativo di lotta all’evasione fiscale con l’introduzione del registratore di cassa e dello scontrino fiscale obbligatorio per gli esercenti.
  • Nel 1985 Franco Nicolazzi, un maestro che è ministro per i lavori pubblici per quasi dieci anni, compresi i due governi Craxi, vara una legge urbanistica che parte da un condono e vuole dare ai comuni nuovi poteri di controllo. Ma la buone intenzioni della legge non trovano una adeguata applicazione.
  • Poi ci sono i tre decreti Berlusconi. Craxi è un amico stretto di Berlusconi, tanto che gli fa da testimone al matrimonio con Veronica Lario.  A quell’epoca la legge prevede per la trasmissione televisiva nazionale (quindi su tutte le regioni contemporaneamente) un monopolio riservato alla RAI. Berlusconi con le sue tre reti (C5, R4 e Italia1) usa un metodo basato su programmi che vengono registrati su cassette e queste vengono poi programmate nello stesso momento in tutte le regioni coperte dal segnale. Secondo i pretori di Torino, Pescara e Roma, questo metodo lede i diritti della RAI e quindi ingiungono alle televisioni di Berlusconi di sospendere la programmazione nazionale. L’azione dei pretori avviene grazie alla denuncia fatta dalla RAI. Ed è proprio in questo senso che il governo Craxi interviene, per fare in modo che l’amico Silvio possa continuare a trasmettere sul territorio nazionale. Va ricordato come questa sia, all’epoca, una fetta importante degli interessi del cavaliere per via degli introiti pubblicitari.
    All’inizio Craxi vara un decreto che il parlamento respinge perché giudicato incostituzionale, ma, pochi giorni dopo la bocciatura, il decreto viene ripresentato quasi identico solo che il governo su di esso pone la questione di fiducia e così diventa legge dello stato. C’è anche un terzo decreto Berlusconi che serve per prolungare nel tempo le concessioni fatte dallo stato a Berlusconi. Infatti la legge organica che mette a punto la legislazione sulle emittenti italiane, viene approvata solo 5 anni più tardi, la legge Mammì. In quell’occasione un giornalista di una certa fama, scrive sull’Europeo (11/8/1990):
"Per quattordici anni, diconsi quattordici anni, la Fininvest ha scippato vari privilegi, complici i partiti: la Dc, il Pri, il Psdi, il Pli e il Pci con la loro stolida inerzia; e il Psi con il suo attivismo furfantesco, cui si deve tra l'altro la perla denominata 'decreto Berlusconi', cioè la scappatoia che consente all'intestatario di fare provvisoriamente i propri comodi in attesa che possa farseli definitivamente. Decreto elaborato in fretta e furia nel 1984 ad opera di Bettino Craxi in persona, decreto in sospetta posizione di fuorigioco costituzionale, decreto che perfino in una repubblica delle banane avrebbe suscitato scandalo e sarebbe stato cancellato dalla magistratura, in un soprassalto di dignità, e che invece in Italia è ancora spudoratamente in vigore senza che i suoi genitori siano morti suicidi per la vergogna."
Il giornalista in questione si chiama Vittorio Feltri ... si fa fatica a riconoscerlo leggendo quello che scriverà negli anni seguenti con Berlusconi non più imprenditore ma importante politico e amministratore del Paese.
  • Un’altra grande passione di Craxi è quella di trasformare lo stato italiano in una repubblica presidenziale, alla francese per capirci, assegnando all’esecutivo (quindi al suo premier) poteri molto maggiori di quelli che la Costituzione gli attribuisce. Questo lo avvicina alle idee di Licio Gelli e della sua loggia massonica P2.
Poi c’è la sua politica estera, davvero complessa. Convinto alleato degli americani, tanto che permette loro di installare i cosiddetti “euro-missili” in Sicilia per puntarli sull’URSS (il governo Carter sostiene che questa è una delle mosse decisive per vincere la guerra fredda). Ma contemporaneamente Craxi mostra un grande interesse nei confronti dei paesi terzomondisti. Sostiene l’Argentina (senza peraltro intervenire in alcun modo) nella guerra delle Falkland contro la Gran Bretagna. Stringe alleanze con Tito in Jugoslavia (il paese che meno di ogni altro è legato al patto di Varsavia e alla politica sovietica), con la Turchia, con Siad Barre dittatore somalo, e continua il progetto che era stato di Aldo Moro di intrattenere relazioni amichevoli con i palestinesi dell’OLP di Yasser Arafat, del quale diventa anche amico personale. Insomma lo scopo è chiaro; quello di fare dell’Italia un paese decisivo nelle questioni mediterranee che riguardino il Nord Africa e il vicino Medio Oriente.
Ci sono tre episodi da ricordare a questo riguardo.

Sigonella

Sigonella è stato, per quelli che c’erano e seguivano le vicende alla radio e in televisione, l’episodio più vicino alla scintilla che fa scatenare una guerra che si possa pensare. Vediamo i fatti. Nel 1985 un commando del FPLP (Fronte Popolare Liberazione Palestina) assalta una nave da crociera, l’Achille Lauro. Anziché intervenire con la forza, Craxi e il suo ministro degli esteri, Giulio Andreotti, contrattano la restituzione della nave e la liberazione degli ostaggi, garantendo ai terroristi e ad Abu Abbas, l’uomo mandato da Yasser Arafat per condurre le trattative, l’immunità e il rilascio in territorio egiziano. Purtroppo il dramma è già stato consumato. Un disabile americano viene ucciso e gettato in mare dal commando. Così, mentre il presidente americano Reagan intima all’Italia di sospendere ogni trattativa e ordina ai suoi caccia di intervenire, Craxi se ne frega e continua il suo dialogo con Yasser Arafat. Intanto Abu Abbas fa dirigere la nave verso l’Egitto. Il comandante della nave giura (sotto minaccia) che tutti i passeggeri sono sani e salvi e così viene firmato un salvacondotto per Abbas e i 4 palestinesi che hanno sequestrato la nave. Viene preso un Boeing 737 civile e i sequestratori, accompagnati da alcuni funzionari del governo e da una squadra dei servizi di sicurezza egiziani, partono per la Tunisia, dove l’OLP ha la sua base. Reagan interviene e intima al governo tunisino di non lasciar atterrare il Boeing. Poi lo fa intercettare da aerei dell’aviazione USA e lo costringe ad atterrare nella base di Sigonella, in Sicilia.
Quando atterra, l’aereo venne circondato da 50 tra avieri e militari perché al governo italiano non va giù che un delitto commesso in territorio italiano e un accordo sottoscritto dall’esecutivo venga infranto in un modo così violento.
Da due C-141 sbarcano 50 teste di cuoio statunitensi che circondarono i nostri soldati.
A questo punto Craxi interviene e fa circondare gli americani da un nutrito numero di carabinieri. L’ordine è quello di non lasciare assolutamente perdere e si arriva davvero ad un niente dall’uso delle armi. In quel caso la ragione è da parte italiana, poiché per nessun motivo è possibile, senza nemmeno una richiesta di estradizione, sottrarre alla giustizia italiana quei terroristi.
In questo clima di tensione pazzesca, in piena notte, Reagan chiama direttamente Craxi, chiedendo ancora la consegna dei palestinesi, ma il premier è irremovibile e Abu Abbas viene trasferito a Ciampino, mentre un aereo militare americano viola lo spazio aereo italiano, cosa che Craxi denuncia in Parlamento, parlando così bene di Yasser Arafat e così male degli USA da provocare l’uscita dall’aula dei repubblicani (che avevano il ministro della difesa, Giovanni Spadolini) da sempre molto legati agli USA. Il paese invece reagisce benissimo, rafforzando la figura del leader socialista, che, come detto, ottiene un secondo incarico, con l’appoggio anche dei repubblicani e con Spadolini di nuovo ministro della difesa.

Bombardamento americano di Tripoli

L’anno successivo alla “crisi” di Sigonella, c’è un altro episodio che mette di fronte USA, Italia e paesi Arabi. Nella sua guerra contro il terrorismo della OLP, Ronald Reagan sferra nel 1986 un attacco missilistico contro la capitale della Libia, Tripoli, nel tentativo di far fuori Mohammar Gheddafi, considerato allora come il nemico numero uno degli Stati Uniti. Le bombe arrivano dalle navi della VI flotta, che si trovano nel golfo della Sirte (di fronte alla costa Est della Libia). Gheddafi scampa all’attentato e, per ritorsione, lancia due missili contro l’Italia che però finiscono in mare al largo di Lampedusa. Oltre vent’anni dopo si saprà come sono andate le cose. Avvertito dal governo americano, Craxi avvisa Gheddafi salvandogli così la vita. I missili verso Lampedusa sono solo un modo di non far ricadere sospetti sull’Italia. Ma all’epoca nessuno sa questo e il fatto che Craxi non reagisca al lancio dei missili verso l’Italia gli provoca un sacco di critiche.
Negli ultimi mesi del 2009 si è venuta a sapere un’altra verità. Tolto il segreto di stato sull’episodio da parte dell’amministrazione americana, sembra che Craxi, mentre urlava in pubblico, avesse invece stipulato accordi in privato con l’amministrazione Reagan. Il ministro degli esteri americano dell’epoca, Gorge Shultz, scrive, in una nota al presidente cow boy, che «i rapporti con Craxi erano eccellenti», l’episodio dell’Achille Lauro era ormai «cosa del passato» e che «su base confidenziale, l’Italia aveva permesso l’uso di Sigonella per operazioni di supporto in relazione all’esercitazione nel golfo della Sirte». A una sola condizione: la riservatezza.

Bourghiba e Ben Ali

In Tunisia governa da tempo immemore Habib Bourguiba, eroe della resistenza al colonialismo francese e padre della moderna Tunisia. Quello che ha fatto di una nazione islamica un gioiello di diritto moderno fin dal dopoguerra. Introduce nuovi modelli di vita e di pensiero, arrivando a sostenere la necessità di normalizzare i rapporti con Israele, molti anni prima che altri (Sadat in Egitto) ci pensino. Ma quando comincia ad invecchiare, le cose cambiano in fretta e, all’inizio degli anni 80, la Tunisia è sede della lega Araba, che lotta contro Israele. Poi arriva l’OLP a mettere le proprie basi. La corruzione aumenta e il paese sta andando a rotoli. É così che i francesi cominciano a lavorare per la sua sostituzione. Ma, quasi improvvisamente, il generale Zine El-Abidine Ben Ali, che stava conducendo una battaglia senza quartiere contro l’estremismo islamico di origine algerina, porta a termine un colpo di stato veramente particolare, un colpo di stato sui generis. Qualcuno lo definisce un colpo di stato medico, nel senso che non se ne accorge quasi nessuno e Ben Ali assume il potere. É una fortuna per la Tunisia, che torna al clima di paese moderno, con le riforme che riprendono a pieno regime.
Il primo a riconoscere e a intrattenere rapporti amichevoli con Ben Ali è proprio Bettino Craxi. Dieci anni dopo, Fulvio Martini, che all’epoca è il capo del SISMI (i servizi segreti militari italiani), racconta come sono andate le cose. L’Italia ha avuto parte attiva nella deposizione di Bourguiba e nell’ascesa di Ben Ali, “scelto” da Craxi in anticipo rispetto al rappresentante francese. Tra i due c’è una grande amicizia e questo è forse il motivo principale della scelta del luogo di latitanza. Dalla Tunisia, finché Ben Ali è al potere, non c’è verso di far muovere Craxi, nonostante la gravità delle accuse e delle condanne ricevute. E così infatti è stato.

Il C.A.F. e la fine

Alla fine degli anni 80, la situazione politica è la seguente. Il partito di maggioranza, la DC, è divisa in due forti correnti. Quella del segretario Ciriaco De Mita, più orientata a sinistra e l’altra, che ha i suoi più importanti capi in Arnaldo Forlani e Giulio Andreotti. La prima prevale, tanto che De Mita subentra a Craxi come premier per portare il paese a nuove elezioni nel luglio del 1989. Bettino lavora sottotraccia ad un accordo di ferro con Forlani e Andreotti, costituendo quell’alleanza che passa alla storia come la C.A.F., appunto Craxi, Andreotti e Forlani. De Mita subisce una disfatta sia personale, perché perde la segreteria della DC, che politica, perché la sua corrente esce sconfitta dalle elezioni. A palazzo Chigi arriva, per guidare i suoi ultimi due governi, il 6° e il 7°, Giulio Andreotti, con un pentapartito che ingloba DC, socialisti e i partitini più piccoli (liberali, repubblicani e socialdemocratici).
Sono due governi molto deludenti, accusati di immobilismo dalla critica politica e molto osteggiati dalla gente, che comincia ad essere informata su vari retroscena, come l’affare Gladio, una organizzazione internazionale guidata dagli USA che avrebbero dovuto prevenire una invasione sovietica dell’Europa. L’organizzazione appare illegittima anche perché usa i servizi segreti per scopi non conformi a quelli previsti dalla costituzione. Anche questa di Gladio è una storia di cui ho parlato qui a Noncicredo.
É l’inizio della fine per Bettino Craxi, una fine che, molto probabilmente, arriva per vari motivi.
Anzitutto, la sua malattia (diabete mellito), che lo sta indebolendo e alla quale non reagisce in modo deciso (1990).
La fine delle ideologie con la caduta del muro di Berlino, induce Craxi a sperare di potersi sedere in riva al fiume per veder passare il cadavere del PCI, in modo da diventare l’unico punto di riferimento delle sinistre italiane. Ma per gestire le novità, e quella è una novità bella grossa, ci vogliono proposte e progetti, che il PSI di quel periodo proprio non ha. E dunque la tanto desiderata sostituzione al Partito Comunista resta solo un sogno.
Infine le vicende giudiziarie che cominciano ad affiorare e che segnano, come abbiamo già detto, la fine della presenza di Bettino Craxi sulla scena politica italiana.

Mani pulite

Le inchieste di Tangentopoli partono da Milano, dove Craxi ha il suo centro di potere. Sindaco di Milano viene eletto nel 1986 Paolo Pillitteri, cognato di Craxi, che sostituisce un altro socialista, Carlo Tonioli.
Il 17 febbraio 1992 viene arrestato Mario Chiesa, esponente del PSI milanese, presidente del Pio Albergo Trivulzio, mentre intasca mezza tangente da una impresa di pulizie. Il titolare di questa impresa, Luca Magni, denuncia il tutto ai carabinieri e si mette d’accordo con il PM Antonio Di Pietro, uno dei magistrati del pool che lavora agli ordini di Saverio Borrelli. In questo pool, oltre a Di Pietro, ci sono i magistrati Piercamillo Davigo, Gerardo D'Ambrosio, Ilda Boccassini, Gherardo Colombo, Francesco Greco, Tiziana Parenti e Armando Spataro.
Alla consegna della tangente, Luca Magni si presenta con microfono e telecamera nascosti.
Chiesa confessa tutto e viene così alla luce quello che gli italiani nei bar dicono da sempre, quello che hanno sempre saputo e cioè che per far strada nel paese è da sempre necessario “oliare le ruote”. Craxi ovviamente prende le distanze da Chiesa, che definisce una “scheggia impazzita” di un partito per il resto onesto e integro. Ma Chiesa rivela che il sistema delle tangenti è una regola, una specie di tassa che si paga a chi decide gli appalti. E siccome a decidere sono i partiti al governo, ecco che le accuse si indirizzano prevalentemente contro gli uomini della DC e del PSI. Di questi Chiesa fa nomi e cognomi.
Ma le elezioni sono vicine e il pool di Milano non fa trapelare molto dell’inchiesta in corso. Tuttavia quelle elezioni vedono la sconfitta dei partiti tradizionali (la DC perde oltre il 5%) e la grande affermazione di due nuove formazioni politiche: la Lega Nord nel Settentrione (al grido di “Roma ladrona”) e La Rete al Sud, guidata dall’ex sindaco di Palermo Leoluca Orlando, formazione di cattolici fuoriusciti dalla DC e fortemente impegnati contro la mafia.
Subito dopo le elezioni, cominciano gli arresti. Si trattava di industriali e di politici, quasi sempre di secondo piano. I pezzi grossi se ne discostano, sconfessandoli e lasciandoli soli. E allora quasi per ritorsione vengono fuori le confessioni più incredibili. Un socialista milanese confessa dei reati a due carabinieri che hanno suonato alla sua porta, ma sono là solo per contestargli una multa.
In questo clima, la politica italiana va nel pallone. Presidente della repubblica viene nominato Oscar Luigi Scalfaro, che prevale sui nomi forti della DC, Forlani ed Andreotti. Scalfaro si rifiuta di dare incarichi istituzionali a chi sia anche minimamente coinvolto o vicino alle vicende di Mani Pulite. Così diventa primo ministro Giuliano Amato, socialista, con grande dispiacere di Bettino Craxi che pensava di avere già in tasca la sua nomina per il terzo governo.
C’è una grande battaglia mediatica contro il pool di Mani Pulite e in particolare contro Antonio Di Pietro, sul quale si costruiscono storie inverosimili come il fatto che sia un abituale consumatore di droga. Ufficiali dei carabinieri vengono mandati in giro per il paese a caccia di notizie sulla vita privata del PM per offuscare la sua immagine. La procura di Brescia inizia un’indagine su questi ufficiali, ma la stessa viene poi archiviata.
La gente però ne ha le scatole piene degli intrallazzi dei politici e si schiera apertamente dalla parte dei magistrati, i quali riscuotono un gradimento pazzesco, dell’80%. Si coniano slogan che inneggiano al pool e alla sua punta di diamante, Tonino Di Pietro.
Ci sono anche dei casi tragici, come quello di Sergio Moroni, socialista, che si uccide, lasciando una lettera in cui confessa le sue colpe dirette tuttavia, dice, non al proprio interesse, ma a quello del partito. Ed inoltre sottolinea che il sistema è comune a tutti i partiti e non solo a quello socialista.
Gli avvisi di garanzia arrivano dappertutto e coinvolgono deputati, senatori, perfino ministri. Giuliano Amato pretende le dimissioni da chiunque sia, in qualunque modo, coinvolto. Il governo Amato ha il record di sostituzioni per cause non politiche.
Le accuse arrivano alla fine anche a colpire i pezzi più grossi: Bettino Craxi e Claudio Martelli (i due capi del PSI) e Severino Citaristi, il tesoriere della DC. Significa mettere in piedi un processo nei confronti non tanto di alcuni personaggi ma dei due partiti che hanno retto l’Italia negli ultimi dieci anni e nei confronti di un sistema di potere diffuso nel paese.
Nel febbraio del 1993, un anno dopo l’inizio di Mani Pulite, Silvano Larini del PSI si consegna alle forze dell’ordine raccontando tutto sul conto protezione, il conto n. 633369 aperto presso la sede di Lugano dell’UBS (Unione Banche Svizzere). É un conto che porta i soldi, attraverso Martelli e Craxi, al PSI. Per questo fatto lo stesso Larini, Craxi, Martelli e il venerabile maestro Licio Gelli saranno condannati. Questa scoperta permette di annodare altre questioni, come quella legata al crack del Banco Ambrosiano, con le vicende di Calvi e dello IOR di Marcinkus. La presenza di Licio Gelli nelle vicende narrate fa sì che un altro filone di indagine si rivolge ai rapporti tra PSI e la loggia massonica P2, di cui, nel frattempo, sono stati scoperti gli elenchi degli iscritti.
Nelle indagini si incontrano anche dichiarazioni di pentiti della mafia che sostengono che era stato progettato un attentato a Di Pietro per fare un favore ad un politico del Nord Italia.
Poi arriva il decreto Conso, un antesignano del lodo Alfano, un tentativo di passare un colpo di spugna sulle indagini in corso. Il ministro di Giustizia, Conso vara un decreto che elimina di fatto i reati legati al finanziamento dei partiti ed è per di più retro-attivo. La reazione è clamorosa, un vero e proprio sollevamento generale, da parte del pool, della stampa e della gente. Per la prima volta nella storia della repubblica, il presidente Scalfaro si rifiuta di firmare un decreto che ritiene contrario ai principi costituzionali. Conso non ha possibilità di scelta e si deve dimettere da ministro. Nel frattempo il referendum sulla legge elettorale (voluto da Mariotto Segni) stravince nel paese mostrando tutta la sfiducia della gente nei partiti. Amato si dimette e al suo posto viene nominato primo ministro Carlo Azeglio Ciampi, che costituisce il primo governo “tecnico” (cioè non politico) della storia. Fa una nuova legge elettorale, introducendo una quota di maggioritario, e si va a nuove elezioni.
É questo l’ultimo atto politico della prima repubblica.

Maledetto pool, suicidi, arresti e processi

Il resto dei fatti che riguardano Craxi li abbiamo raccontati.
Le accuse si fanno sempre più pesanti e la gente comincia a seguire con vivo interesse le vicende giudiziarie.
A metà marzo si sa di uno scandalo di 250 milioni di $ che coinvolge l’ENI (che di mazzette, fin dai tempi di Enrico Mattei ne ha passate un sacco ai partiti politici).
Si scoprono conti di Craxi a Hong Kong, mentre una “falange armata” minaccia a più riprese Di Pietro di ucciderlo o di uccidergli i famigliari.
A giugno viene arrestato il primo dirigente Fininvest, Aldo Brancher. Un mese dopo arriva a Il Giornale un fax che ordina di sparare a zero contro il pool. Ma il direttore Indro Montanelli si rifiuta di farlo.
In questo periodo gli attacchi al pool e in particolare a Di Pietro si sprecano. Arrivano dai settori coinvolti, come nel caso del Sabato, il giornale di Comunione e Liberazione, l’ala oltranzista della DC, quella legata allo IOR e alla Compagnia delle Opere. Le accuse si moltiplicano e dipingono il magistrato come un approfittatore e un mezzo delinquente. Nessuna delle accuse verrà provata e tutte le inchieste e i procedimenti giudiziari a carico di Di Pietro termineranno con la sua completa assoluzione.
É anche il periodo in cui ci sono suicidi eccellenti. Come quello di Gabriele Cagliari, ex presidente dell’ENI. Certo è triste ma non si può dimenticare che la moglie, dopo il suicidio, restituisce 6 miliardi di lire di fondi illegali. Si uccide anche Raul Gardini, che sta per essere coinvolto nelle indagini.
E inizia la stagione dei processi. Il primo è quello contro Sergio Cusani per il suo ruolo di collegamento tra Raul Gardini e il mondo politico nella realizzazione della joint venture tra ENI e Montedison (chiamata Enimont). Il processo va in diretta RAI ed ha ascolti record. La popolarità di Di Pietro aumenta ancora e diventa quasi un eroe, anche per quel suo modo di parlare certo non raffinato, ma popolare e vicino alla gente comune.
Cusani ha un ruolo marginale nella trama di illegalità che si stanno scoprendo, ma il suo processo è importante perché, nella vicenda Enimont, sono coinvolti politici di grande importanza in quel momento, come Arnaldo Forlani, un ex primo ministro. Lo stesso Bettino Craxi in aula confessa che il PSI ha avuto finanziamenti illeciti, ma in quell’aula non ci sono innocenti. Le mazzette sono una prassi che accomuna tutti i partiti, anche il PCI e la Lega, non coinvolti nell’inchiesta.
Così anche queste due formazioni, Lega Nord e PCI, vengono toccate dall’inchiesta, ma solo in modo marginale. Bossi e il suo tesoriere Patelli per un versamento di 200 milioni; il PCI viene coinvolto nella condanna a 3 anni di Primo Greganti. Durante il processo salta fuori una valigia di soldi, trovata a Botteghe oscure, ma il pool non riesce a stabilire in quali mani e, come dice lo stesso Di Pietro, non è possibile mettere sotto processo qualcuno di nome Partito e cognome Comunista. L’indagine quindi finisce là. Questo fatto rappresenterà, nel seguito della storia molto contestata di Di Pietro, una delle accuse più frequenti rivoltegli da parte dei suoi avversari.
Tutto il resto riguarda la seconda repubblica, che è una storia che non appartiene a Bettino Craxi e perciò ne darò solo pochissimi accenni.
Nell’indagine sulla corruzione nel nostro paese finiscono giudici (come Diego Curtò), industriali a centinaia e 80 uomini della guardia di finanza, che sarebbero stati corrotti per aver chiuso un occhio nei loro controlli. É in questo ambito che la procura di Milano tira in ballo Silvio Berlusconi, attraverso la Finivest. É l’inizio di una lunga guerra politica tra Di Pietro e Silvio, anche e soprattutto quando il primo smette la toga e si mette a capo di un nuovo partito.
Da una parte la convinzione che l’entrata in politica di Berlusconi (1994) sia solo un modo per evitare processi e inchieste e dall’altra una lotta senza quartiere facendo intervenire tutta la sua enorme macchina mediatica. Famosa è rimasta l’uscita di Vittorio Feltri, che dopo aver sostituito Indro Montanelli a Il Giornale, con una accusa di partecipazione dei giudici di Milano ad una cooperativa con Salvatore Ligresti, immobiliarista siciliano operante a Milano e coinvolto in Mani Pulite. Feltri verrà condannato per diffamazione in quanto quella cooperativa non è mai esistita.
Uno dei primi provvedimenti del primo governo Berlusconi è il decreto Bondi, che commuta il carcere per la vicenda Tangentopoli in arresti domiciliari. É così che delinquenti del calibro di De Lorenzo del PLI, condannato a 5 anni e mezzo per associazione a delinquere per finanziamento illecito del PLI, sottraendo i fondi destinati alla sanità di cui era ministro, se ne tornano a casa. L’indignazione popolare è altissima, ai giornali e alle televisioni arrivarono decine di migliaia di fax (l’uso delle mail non è ancora diffuso), la Lega e Alleanza Nazionale, alleati di Berlusconi, minacciano di uscire dal governo e così il decreto Bondi viene ritirato. C’è notevole imbarazzo; Maroni, ministro dell’interno, dice che quel decreto non ha nemmeno potuto leggerlo e sostiene che, in realtà, a scrivere il decreto è stato il ministro della difesa Cesare Previti, entrato nel partito di Berlusconi provenendo dalle fila del Movimento Sociale. Previti finisce nei processi SME e Mondadori con condanne in appello piuttosto pesanti, mentre è definitiva la condanna a sei anni per corruzione nell’ambito dell’inchiesta IMI-SIR. Previti sconta a Rebibbia sei giorni, grazie alla legge exCirielli del 2005 e viene affidato quasi subito ai servizi sociali. Rimane attivo in politica fino al 2007. Ha compiuto da poco 84 anni.
Ma queste sono cose che con Bettino Craxi non hanno molto a che fare, se non che sono situazioni figlie di un modo di interpretare la politica piuttosto allegro, in cui fondi e finanziamenti vanno e vengono senza troppi controlli, quando forse, la gente non è ancora abituata alle battaglie giudiziarie contro il potere o organi dello stato come nel caso della guardia di finanza.
L’impressione, leggendo i giornali, è che quel clima sia rimasto intatto, solo che, oggi, ci sono più occhi che guardano e più orecchie che ascoltano.

L’articolo di Ivo Maj

Chiudo questa prima puntata su Bettino Craxi leggendo un articolo di Ivo Maj, giornalista e scrittore per la televisione. É di un anno fa, ma credo possa risultare comunque attuale. Ovviamente i riferimenti temporali risentono di questa differenza di data rispetto ad oggi. Ecco il testo.

‘I conti con Craxi’: rievocato e riabilitato, Bettino torna di moda

Italia fanalino di coda in Europa per corruzione. Il malaffare permea la macchina pubblica, secondo uomini d’affari ed esperti. La corruzione è strutturalmente integrata nel settore pubblico. I dati parlano di un 60° posto per noi, su 176 paesi, terzultima in Europa, prima di Grecia e Bulgaria. Non so a voi, ma a me l’ultima denuncia di Transparency non meraviglia neanche un po’.
Diciassette anni fa moriva, latitante ad Hammamet, in Tunisia, Bettino Craxi, già segretario nazionale del Partito Socialista e condannato definitivamente a dieci anni per la corruzione dell’Eni-Sai e per i finanziamenti illeciti della Metropolitana milanese; si aggiungevano altre condanne provvisorie, in primo e in secondo grado, per circa quindici anni. Eppure, sono ormai diciassette gli anni in cui si moltiplicano i tentativi di riabilitazione del più ruggente protagonista dei ruggenti anni 80.
Ma se la vicenda personale di Craxi ed il suo mesto, solitario epilogo può oggi suscitare qualche sentimento di compassione, la sua parabola politica intinta nell’illegalità può solo fare (ancora) indignare. Un vero monumento alla riabilitazione quello in fase di costruzione, il cui primo passo fu un monumento vero nel decimo anniversario di Mani Pulite: una statua “a Craxi statista, esule e martire” in marmo bianco di Carrara, eretta nel comune di Aulla in Lunigiana, per volere del sindaco Lucio Barani, attualmente senatore della Repubblica con tanto di garofano rosso perennemente nell’occhiello.
Ma, come ricordava nel 2009, il Direttore di questo giornale, Marco Travaglio, “Nella caccia al tesoro, anzi ai tesori di Craxi sparsi per il mondo tra Svizzera, Liechtenstein, Caraibi ed Estremo Oriente, il pool Mani Pulite ha accertato introiti per almeno 150 miliardi di lire”. Altro che mazzette.
L’ultima pietra di quel monumento riabilitativo la forgia oggi Paola Sacchi, una giornalista orvietana passata con disinvoltura da L’Unità a Il Secolo d’Italia attraverso Il Dubbio, Lettera 43 e Panorama. Oggi, come ci informa la quarta di copertina, collabora con Formiche.net. Il suo libro si intitola I conti con Craxi, laddove sarebbe stato fin troppo faceto I conti di Craxi.
Sacchi esordisce con “Oggi Craxi è tornato di moda”. Evidentemente è memore dell’analisi di Transparency, la quale evidenzia come, in effetti, gli emuli di Craxi si siano talmente moltiplicati da arrivare alla medesima fattispecie di azioni criminose ma su livelli decisamente infimi: nel 2016 sono stati 8.300 gli evasori totali scoperti, 775 milioni di euro di finanziamenti illeciti, 158 milioni di truffe al sistema sanitario. Cifre enormi, ma divise una pletora di mariuoli che al Psi del tempo avrebbero raddoppiato i consensi. Per Craxi, da solo, il pool Mani Pulite aveva accertato introiti illeciti per almeno 150 miliardi di lire, quasi 78 milioni di euro.
“Ci sarà via Craxi nella sua Milano, almeno nel ventennale della sua drammatica morte?” si chiede Paola Sacchi. Alla luce dei dati di Transparency, non gli si potrebbe davvero negare. Uno che ha fatto tanto per portare così in basso il proprio paese nella considerazione morale della cosa pubblica, non può non essere ricordato.
“Ce n’è voluto per abbattere quel gigante di quasi un metro e novanta, l’anticomunista, della sinistra moderna, in jeans, con i quali si presentò in tutta fretta al Quirinale per ricevere il primo mandato da Presidente del Consiglio”, prosegue in estasi da ammirazione la giornalista.
Secondo lei, una delle cose che facevano maggiormente arrabbiare Bettino nelle interviste rilasciate ad Hammamet, che la Sacchi definisce “esilio” anziché “latitanza” (come correttamente dovrebbe) era il sospetto che lui anche per un solo momento avesse mai pensato ad arricchirsi o a condurre una vita fastosa. Come dubitarne infatti?
Nella sentenza All Iberian, confermata in Cassazione, si legge: “Craxi è incontrovertibilmente responsabile come ideatore e promotore dell’apertura dei conti destinati alla raccolta delle somme versategli a titolo di illecito, finanziamento quale deputato e segretario esponente del Psi. La gestione di tali conti […] non confluiva in quella amministrativa ordinaria del Psi, ma veniva trattata separatamente dall’imputato tramite suoi fiduciari […]. Significativamente Craxi non mise a disposizione del partito questi conti”.
Ma a sorprendere in Italia non sono certo i patetici tentativi di ribaltamento storico in atto. Quello che sorprende è che non sia stato sufficiente un ricambio di due generazioni per portare il nostro Paese in Europa. E non parlo certo della UE, ma di una mentalità moderna e antimafiosa che porta, per esempio, una ciclista tedesca a preoccuparsi di togliere i vetri di una bottiglia rotta dalla ciclabile del Tevere per chi verrà dopo di lei. Provate a spiegare a lei che Craxi deve essere riabilitato.
In un’unica cosa possiamo dare ragione a Paola Sacchi: quando scrive che all’assoluzione di Andreotti, Craxi pensò: “Qui l’unico delinquente per gli italiani sono rimasto io”. Era solo il precursore.