peppino2É sempre così. Quando un evento è talmente dominante da diventare un caso mondiale, tutti gli altri spariscono, anche se sono, a loro volta, importanti. Succede il 9 maggio 1978. Quella mattina, due cadaveri vengono rinvenuti. Uno a Roma, rannicchiato dentro il bagagliaio di una Renault 4, l’altro lungo la ferrovia che costeggia Cinisi, un paesino della Sicilia in provincia di Palermo, saltato in aria con del tritolo. Il primo corpo, come tutti sanno, è di Aldo Moro. Il secondo è di un ragazzo di trent’anni: si chiama Giuseppe Impastato, per tutti semplicemente Peppino.
Torniamo indietro al settembre del 1977. A Cinisi c’è un funerale. Un importante luogotenente dei capi mafiosi del paese è stato ammazzato, travolto da un’automobile. Non si sa, e non si saprà mai, se si sia trattato di un incidente o di una esecuzione, ma non è questo il punto.
Luigi, questo il nome del defunto, è mafioso perché lo è la famiglia in cui nasce. É la tradizione, che rende impossibile rompere legami (anche di sangue) che risalgono lungo la scala del tempo senza che si riesca a vederne l’inizio. É una cosa normale nella Sicilia di quegli anni.
Luigi ha due figli grandi: Giovanni, 24 anni, e Giuseppe, 29. Il primo non capisce bene cosa succede quel giorno, ma quello che fa Giuseppe, detto Peppino, crea un caso di proporzioni enormi a Cinisi. Si rifiuta di stringere le mani dei molti mafiosi che sono venuti a rendere omaggio al “caro estinto”.
Luigi di cognome fa Impastato: è il padre di Peppino.
Dunque anche lui, Peppino, discende da una famiglia mafiosa, in cui ci sono stati, come vedremo tra poco, personaggi di primo piano, capi di mandamento, all’interno della cosca di Cinisi. Mandamento, cosca, famiglia, picciotto, mammasantissima sono tutti termini con i quali i siciliani di quel periodo hanno una confidenza assoluta. Immaginate cosa devono pensare gli abitanti di quel paese, quando il figlio di un mafioso, nipote di mafiosi, parente di mafiosi, uno immerso in quella melma, dà questi segnali di ribellione.
É un pazzo”, mormora la gente. In effetti, a pensarci bene, solo un pazzo o un visionario o un uomo dotato di un coraggio al di fuori del normale, può fare quello che Peppino fa: si iscrive a Democrazia Proletaria. Il piccolo partito, fondato nel 1975, raccoglie alcuni movimenti extraparlamentari (allora si chiamavano proprio così) come il PDUP (Partito di Unità Proletaria per il Comunismo), Avanguardia Operaia, fino a Lotta Continua.
La scelta di Peppino è, insomma, estrema: perché? Il fatto è che il suo punto di osservazione è quello che accade a Cinisi. E, “nella terra dei vespri e degli aranci”, non vede nessun partito, nemmeno quelli di sinistra, nemmeno il Partito Comunista Italiano di Enrico Berlinguer, nessuno, che si sottragga ad affiliazioni mafiose o, quanto meno, a sopportare la commistione vergognosa tra emanazioni dello Stato e di Cosa Nostra. Il suo obiettivo è chiaro, dichiarato a tutti, più limpido che mai: vuole, in poche parole, combattere la mafia, perché è schifato di tutto quel marciume che è talmente palese, che anche i ciechi potrebbero notarlo, ma nessuno dice niente, tutti zitti, ricattabili, spaventati, omertosi. Da qui si capisce l’enormità della scelta di Peppino: sconfessare la tradizione della sua famiglia e inserirsi in un gruppo politico, che più distante dalla mafia non potrebbe essere. É una scelta difficile anche solo da pensare, molto, molto difficile.
Nella primavera del 1978 ci sono le elezioni comunali a Cinisi. Peppino si candida per diventare consigliere. Tutto qui? No, c’è dell’altro e l’altro è, probabilmente, l’aspetto più importante e decisivo della sua vita e, purtroppo, … anche della sua morte.
Ora, cerchiamo di ragionare con calma. Noi sappiamo che la mafia si è evoluta, diventando grande impresa, c’è chi dice la prima per fatturato nel nostro paese; si è trasferita nelle grandi città, dove ha aperto aziende, dove controlla capitali in borsa, si è infilata nei gangli dell’economia e della politica. Ha addirittura varcato i confini dello Stato: nei paesi del Nord Europa ha messo le proprie mani un po’ dappertutto.
Peppino non ha a che fare con tutto questo. La mafia è ancora in quella fase - come dire? – romantica, della lupara e del sasso in bocca, degli agguati e delle auto-bomba. Lui però è un signor nessuno. Non è un magistrato come Falcone o Borsellino, non è un famoso speaker radiofonico come Mauro Rostagno, non è un capo militare come il generale Dalla Chiesa, non è un giornalista scomodo come Mauro De Mauro o Beppe Alfano … insomma è, per Cosa Nostra, un insignificante rompiballe, che dà fastidio solo in un territorio di poco conto. Un territorio, però, dove vive, a cento passi dall’abitazione degli Impastato, un mafioso di quelli importanti, al quale bisogna portare rispetto, Gaetano Badalamenti, detto Zu Tano.
La domanda manzoniana qui ci sta a pennello: Zu Tano, chi era costui? Un uomo potente, tanto da diventare il più potente di tutti, quando nel 1974 viene chiamato a dirigere la Commissione, o la Cupola per usare il modo giornalistico di chiamare il governo delle cosche. A Cinisi succede a Cesare Manzella, ucciso dall’esplosione della sua auto nel 1963, nell’ambito della prima guerra di mafia tra i clan Greco e La Barbera. Cesare Manzella era lo zio di Peppino Impastato. Quell’atto così violento sconvolge il giovane Peppino, che, a 15 anni, capisce cos’è la mafia e in lui nasce il desiderio di combatterla, come racconta un suo compagno di scuola, Salvo Vitale, nel suo bel libro “Una vita contro la mafia”. In quegli anni le guerre di mafia sono terribili e cruente. Avversario di Totò Riina, Badalamenti è costretto a cedere il suo posto nella cupola, mantenendo però, per un certo periodo, il comando della cosca di Cinisi. Poi si trasferisce in Brasile, da dove gestisce il traffico di eroina, raffinata e preparata in Sicilia, e poi spedita negli Stati Uniti. Tano programma a Madrid un incontro con il proprietario di una pizzeria in Oregon, considerato il punto di contatto per l’intero traffico di droga. Grazie ad intercettazioni telefoniche, FBI, polizia italiana e spagnola arrestano Badalamenti, che viene estradato negli Stati Uniti. Il processo per il traffico di droga dura due anni, con testimoni dai nomi eccellenti, come Tommaso Buscetta. L’inchiesta, denominata “Pizza Connection”, porta Tano in carcere con una condanna a 45 anni.
É il 22 giugno 1987. Sulla vicenda di Peppino Impastato, morto da oltre 9 anni, fin qui, nessuna novità.
E allora torniamo in Sicilia nel 1977 e vediamo cosa sta succedendo a Cinisi. La domanda che sta di fronte a Peppino è: “come diavolo si combatte la mafia?”. É una domanda piuttosto impegnativa se pensiamo a chi ci ha provato, negli anni, e ha regolarmente fallito. Ci hanno provato le forze dell’ordine. Ci hanno provato magistrati e giornalisti eccellenti. I risultati sono tutti uguali: una lunga scia di cadaveri, morti ammazzati, senza badare se assieme ad essi finiscono in frantumi le vite di vittime innocenti, che stanno semplicemente cercando di portare a casa un piatto di minestra ai loro figli. Oggi piangiamo i caduti più conosciuti, i Falcone, i Borsellino, i Mattarella, ma la lista degli assassinati dalla mafia è un elenco interminabile con centinaia di nomi, senza contare le altre centinaia di morti per lotte interne tra “famigghie” in competizione per dominare su un terreno, su un paese, su una città. Certo, qualcuno in carcere c’è finito, sono state fatte leggi apposite per isolare i boss, ma è servito davvero?
Alla base di tutto ci sono i soldi, i soldi facili intendo, quelli che si ottengono attraverso estorsioni, il classico “pizzo”, la gestione del gioco d’azzardo, la prostituzione e poi grazie all’immenso bacino d’utenza del consumo di droghe più o meno pesanti. Certo, chi volete che si metta, da solo, a battersi per questi obiettivi: eliminare il traffico di eroina o garantire ai commercianti i loro incassi?
Ma la mafia si esprime, sempre con lo stesso obiettivo finale, anche a livelli più bassi: il controllo delle emanazioni dei consigli comunali. Pensiamo ad esempio alle nomine decise dalla giunta comunale dei posti nei ricchi consigli di amministrazione che gestiscono le fiere, i rifiuti, l’acqua e tutte le altre attività di questo tipo. Ci sono le gare d’appalto per la viabilità, l’edilizia, le forniture, i servizi. Insomma riuscire a manovrare a proprio vantaggio un consiglio comunale ha i suoi innegabili benefici, anche economici.
Questo è quello che succede a Cinisi. Già … ma come si combatte la mafia? Peppino Impastato inventa un metodo nuovo, originale, e altrettanto pericoloso. Nel 1977 apre una piccola radio, a Terrassini, 3 km più in là di Cinisi. Si chiama radio AUT, che in latino significa “oppure” e indica il desiderio di dare informazioni diverse da quelle solite, da quelle ufficiali; indica la voglia di raccontare quello che altri mezzi di informazione non raccontano e proporre idee alternative. Tecnicamente, non è un granché: si ascolta solo nelle zone limitrofe, ma gli abitanti dei due paesi possono sentire benissimo quelle trasmissioni. La frequenza è 98,800 MHz ed è classificata come “giornale di controinformazione radiodiffuso”. La gestisce Peppino, assieme a tre compagni. Il venerdì sera tutti aspettano “Onda Pazza”, definita “trasmissione satiro-schizo-politica sui problemi locali”. Si apre con una sigla significativa: “Facciamo finta che tutto va ben” con la voce di Ombretta Colli. “Onda pazza” racconta le decisioni prese dalla giunta, il lavoro fatto dal consiglio comunale, ciò che accade ogni giorno a Cinisi. I personaggi reali vengono trasfigurati in macchiette davvero poco edificanti; la narrazione è farcita di dosi massicce di satira, scandita da un linguaggio che lascia poco spazio all’immaginazione. L’obiettivo è sempre lo stesso: raccontare ai cittadini che vogliono ascoltare, quello che i mafiosi combinano nel territorio. Perché, come detto, la mafia è anche questo, non solo il traffico di eroina.
E allora entriamo nel mondo radiofonico di Peppino ….
Alla base di tutto c’è lo sfottò, il sarcasmo. Già, perché si può benissimo colpire la mafia di Cinisi facendo sapere ai cittadini tutte le trame losche, le decisioni molto lontane dal bene comune e molto vicine al bene personale dei componenti la giunta comunale. Tutti messi lì da Zu Tano, tutti estremamente riconoscenti a Zu Tano, tutti legati a doppio filo a Zu Tano. Così, Peppino costruisce un paese virtuale, chiamato Mafiopoli, all’interno del quale si muovono personaggi immaginari molto particolari, ma dai nomi che non lasciano dubbi sul fatto che qualche assonanza con quelli reali ce l’hanno … eccome se ce l’hanno. A Mafiopoli si snodano storie assurde, paradossali, che vedono i protagonisti fare inevitabilmente figure decisamente … barbine per usare un termine raffinato. Le espressioni che Peppino usa non sono mai per educande, del resto a quel marciume di persone potevi mai dedicare un linguaggio dantesco? Basta ascoltare l’inno ufficiale di Mafiopoli, che è lo scarico di un cesso. La gente è curiosa di sapere cosa accade nella “Cretina Commedia” o durante la “sagra della ricotta”, o ancora quando i capi delle tribù indiane siedono attorno al grande capo Tano Seduto.
Ma le storie che Peppino racconta non sono mai fini a se stesse. Dietro uno stile canzonatorio, emergono i problemi veri dell’amministrazione di Cinisi. Tra questi l’approvazione di due progetti edilizi abusivi, il cosiddetto “Zeta 11” e la costruzione di un palazzo di cinque piani. Di tutto questo si sarebbe dovuto sapere solo dopo le elezioni, ma Peppino ne viene a conoscenza, non si sa come, e ne parla nel suo solito modo colorito, immaginando che Tano Seduto raccolga attorno a sé gli altri capi-tribù per decidere il da farsi. Con lui ci sono il Sindaco Calogero Stefanini e il vicesindaco Franco Maneschi.
Se ci sono due cose che la mafia non sopporta sono rendere pubblici i suoi traffici segreti e l’essere colpita nella propria onorabilità. Il pezzo western fa esattamente questo. Lo fa il 7 aprile, dopo altre e prima di altre poco lodevoli storie sulla vita amministrativa e politica del comune. Le accuse sono precise, circostanziate, con nomi e cognomi.
Ecco il modo che Peppino Impastato ha scelto per combattere la mafia. Far capire ai suoi concittadini con chi hanno a che fare, chi sono i loro vicini di casa, chi sono tutte quelle “brave persone” alle quali portano rispetto e salutano con un “vossia” o “bacio le mani”. Non servono, sostiene Peppino, eserciti contro la mafia, serve conoscenza e cultura, serve sapere che la mafia c’è, individuare dov’è e capire come si comporta e perché.
La storia di Peppino finisce a fianco di una rotaia della linea che collega Palermo a Trapani, il corpo dilaniato da una carica di tritolo. A pochi metri un grosso sasso con il suo sangue: presumibilmente l’arma del delitto.
Ma per gli inquirenti si è trattato di un suicidio o di un fallito attentato di un bombarolo pazzo.
Sono la mamma Felicia e il fratello Giovanni a non credere nemmeno per un attimo a queste tesi. Sono loro a portare avanti una battaglia per conoscere la verità che tutti, ma proprio tutti, sanno qual è per davvero. A Palermo si muovono nomi illustri della magistratura. Il giudice Rocco Chinnici, assassinato dalla mafia nel 1983, e il suo successore Antonino Caponnetto firmano una sentenza che dichiara la morte di Peppino dovuta ad ignoti mafiosi. Altro che suicidio: è un omicidio.
E poi:
1988: il tribunale di Palermo, in assenza di evidenze probanti, sentenza che Peppino è stato sì ucciso dalla mafia, ma non si sa da chi, né per conto di chi.
1994: l’inchiesta riprende grazie alla deposizione del pentito Salvatore Palazzolo, già affiliato alla mafia di Cinisi, il quale dichiara che quell’omicidio fu stabilito e organizzato da Tano Badalamenti e dal suo vice, Vito Palazzolo.
1998: la commissione antimafia riconosce che le indagini sono state fatte con dolo per depistare l’inchiesta, ma di questo parleremo tra poco.
2001: Vito Palazzolo è condannato all’ergastolo.
2002: Zu Tano è condannato all’ergastolo: sono passati 24 anni dalla morte di Peppino. Gaetano Badalamenti muore in carcere due anni dopo la sentenza.
Ma la nostra storia non finisce qui, c’è dell’altro e questa volta i protagonisti non sono mafiosi, sono le forze che dovrebbero scoprire cos’è successo.
Non lo fanno! Perché?
Lo scopriamo molti anni più tardi, nel 2018, leggendo il documento con il quale il giudice Walter Turturici archivia, per sopravvenuta prescrizione, l’inchiesta sulle indagini per quel delitto. Prescritto il generale Antonio Subranni, che dirigeva le operazioni ed era accusato di favoreggiamento. Prescritti tre suoi collaboratori: Carmelo Canale, Francesco Abramo e Francesco Di Bono, tutti accusati di falso, per “un contesto di gravi omissioni ed evidenti anomalie investigative”. Vale la pena di sottolineare che, in generale, la prescrizione non ha proprio niente a che vedere con l’assoluzione. I fatti restano … e talvolta restano impuniti.
Cosa c’è dunque che non va nelle indagini condotte all’indomani del ritrovamento del corpo di Peppino? Vediamo qualche passaggio strano.
Nonostante fosse più che evidente l’odio pubblicamente espresso nei confronti della mafia, la pista mafiosa non viene presa in considerazione dai carabinieri, che tentano, piuttosto, di definire Peppino come persona instabile. Perché?
Nella perquisizione della sua casa (peraltro illegittima) vengono requisiti fogli e volantini. Secondo i carabinieri si trova anche la giustificazione del suicidio, un biglietto con scritto: "Voglio abbandonare la politica e la vita". Ma quella frase era stata scritta oltre un anno prima in un momento di sconforto.
C'è anche, come si legge nel rapporto ufficiale, un plico intitolato "Giuseppe Vesco", perché Peppino si sta interessando, in quei giorni, alla vicenda dei due carabinieri ammazzati nella casermetta di Alcamo Marina, che abbiamo raccontato qui. Perché ammazzarsi nel bel mezzo di una ricerca cui teneva tanto? Di quel plico sparisce ogni traccia. Che ci siano di mezzo anche altre forze, oltre alla mafia?
E poi ci sono le omissioni nelle indagini!
Com'è possibile non notare alcuni elementi? Come è possibile non vedere quel grosso sasso insanguinato? Cos'è? Peppino prima di suicidarsi si è divertito a sbatterci contro la testa più volte?
E l'esplosivo? Di che tipo è? É lo stesso che viene usato nelle cave della zona, cave che sono tutte di proprietà di aderenti a Cosa Nostra.
E poi, in un rapporto dei carabinieri, compare questa frase: “Anche se si volesse insistere su un’ipotesi delittuosa, bisognerebbe comunque escludere che Giuseppe Impastato sia stato ucciso dalla mafia”. Perché? Su quali basi?
Ma, se escludi la mafia, dovrai indagare per altre strade, ad esempio interrogando i possibili o probabili testimoni oculari. C'è un casello, là vicino, gestito da Provvidenza Vitale. É stata interrogata?
No, l’hanno cercata – dicono - ma non si è mai trovata, si è resa irreperibile da quel giorno. Che peccato!
A Palermo, per fortuna, c'è Francesco Del Bene, un PM di quelli tosti, uno di quelli che non hanno paura, uno che i mafiosi li mette in galera, uno che, nel 2011 si stanca e va a Cinisi a cercare Provvidenza. La trova a Terrassini, dove c'era lo studio di Radio AUT. Ha 85 anni, non ricorda molto di quella notte, ma lei non è mai stata irreperibile. A parte alcuni viaggi, se ne è sempre stata a casa sua. Che strano!
Anche la commissione antimafia si occupa del caso, senza tuttavia arrivare a conclusioni definitive, ma una serie di ipotesi le fa, sulla base della situazione a Cinisi e non solo a Cinisi. Molti capi mafia si sono alleati con i carabinieri, spesso a livelli molto alti, come nel caso di Tano Badalamenti. Il relatore della commissione, Giovanni Russo Spena, nel suo rapporto scrive:
"È anche del tutto probabile che Badalamenti abbia avuto dei rapporti confidenziali con i carabinieri in una zona alta, apicale, data la statura delinquenziale del capo mafia di Cinisi. È ancora tutto da scrivere il capitolo del rapporto tra mafiosi e forze dell’ordine. E quando lo si scriverà si potrà vedere che esso è popolato da notissimi capimafia i quali, agli occhi del popolo mafioso, vogliono apparire come i più fieri avversari della ‘sbirraglia‘ ma in realtà con la ‘sbirraglia’ trattano, si accordano, fanno dei patti.
É andata così? Le inadempienze investigative, i depistaggi, i falsi rapporti sono dovuti ad una specie di tregua armata tra lo Stato e la Mafia? Non lo sappiamo, ma la puzza che esce da questa vicenda è di quelle che tolgono il fiato.
Il 9 maggio 1978, muore un politico famoso e un povero ragazzo, colpevole solo di odiare la mafia.
Il 15 maggio si estraggono le schede elettorali dalle urne. Anche a Cinisi, dove per la prima volta Democrazia Proletaria prende un seggio. Se lo aggiudica Giuseppe Impastato, detto Peppino, con 260 voti. Il suo partito arriva ad un impensabile 6%. É la prima volta che in un consiglio comunale si elegge un defunto, perché, per gli abitanti di Cinisi, è meglio un consigliere morto che uno disonesto.
Al funerale di Peppino ci sono mille persone.
Sulla sua tomba c'è questa iscrizione: Rivoluzionario e militante comunista - Assassinato dalla mafia democristiana.
Per tutti noi, lui è un simbolo senza colore, un simbolo prezioso di chi sa lottare non per se stesso, ma per la società in cui vive, per le persone che subiscono in silenzio e senza reagire, che non sanno gridare, come lui ha fatto con tanto coraggio "La mafia è una montagna di merda" ... anche se i passi sono soltanto cento.
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FONTI
• Wikimafia: https://www.wikimafia.it/wiki/Peppino_Impastato
• Rivista online Antimafia 2000: https://www.antimafiaduemila.com/
• Salvo Vitale, “Peppino Impastato, una vita contro la mafia”, 2^ edizione 2002, Rubbettino ed.
• “Peppino Impastato: anatomia di un depistaggio. Relazione della commissione parlamentare antimafia”, 2012, Ed. Riuniti
• CSD - Centro Siciliano Documentazione Peppino Impastato
• Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato
• Articoli vari sul tema tratti dai quotidiani più diffusi (Repubblica, Il Fatto Quotidiano, ecc.)