Premessa
Introduzione (poi veniamo al tema)
L’estate si sta avvicinando a grandi passi, la temperatura ha raggiunto valori molto elevati e, almeno dalle mie parti, un’umidità molto grande ci fa soffrire ancor di più per via della scarsa traspirazione e quindi del raffrescamento naturale che la sudorazione ci regala.Scusate ma sono caduto, senza volerlo, in vecchie nozioni di fisica, che appartengono all’altra mia vita, ormai terminata da un pezzo.
Quello che interessa qui è che da questo momento in poi, avremo la corsa ai condizionatori accesi sia nelle automobili che nelle case.
É una cosa abbastanza strana quello che passa nella testa di molti cittadini. D’inverno si lamentano del freddo e tengono il riscaldamento elevato così da avere una temperatura di 25 gradi nelle loro stanze. Poi, d’estate, accendono a palla il condizionamento per avere in casa 18 gradi. E avere un po’ di equilibrio?
La domanda adesso è: a chi frega di tutto questo? Perché un sito che si occupa di ambiente dovrebbe fare le pulci a chi vuole il fresco d’estate e il caldo d’inverno?
Purtroppo il problema è strettamente legato al periodo che stiamo attraversando, che non è il massimo da un sacco di punti di vista.
Cominciamo col dire che sia il riscaldamento che il raffrescamento domestico sono, nella stragrande maggioranza dei casi, forniti da impianti che utilizzano fonti fossili. Certo, anche l’elettricità che fa funzionare il condizionatore è prodotta in larga misura da centrali a gas, a petrolio, a carbone. Si tratta di circa il 60%, secondo i dati forniti da Terna nel 2020. É vero che la produzione da fonti rinnovabili sta crescendo di anno in anno, anche perché il nostro paese è dotato di una nutrita schiera di centrali idroelettriche. Queste producono quasi la metà dell’energia elettrica da rinnovabili, quasi quanto il solare, l’eolico e le bioenergie sommate assieme. Ci sono poi, nel nostro paese, alcuni vezzi davvero particolari. Abbiamo delle strutture che il marketing, soprattutto governativo, insiste a chiamare termovalorizzatori, che bruciano rifiuti per ottenere alcune gocce di energia elettrica. Ci sono centrali che usano i rifiuti per lo stesso scopo. Per farlo è stata fatta una legge apposta che ha semplicemente cambiato il nome da rifiuto a CSS, Combustibile solido secondario, classificando addirittura i rifiuti tra le fonti assimilabili a quelle rinnovabili. Peccato che in questo termine finisca anche la plastica non riciclata (che è molta di più di quella che si può pensare) che, come tutti sanno, ha bisogno di petrolio per venire al mondo.
Questi trucchetti, insomma, rendono più sereni i cittadini, i quali sanno poco o niente di quanto succede e, purtroppo, si accontentano di avere fresco d’estate e caldo d’inverno.
Poi, improvvisamente, scoppia una guerra vicino a casa nostra (all’Europa intendo) e improvvisamente ci accorgiamo che l’elettricità che usiamo in casa costa un occhio della testa. Viene da chiedersi come diavolo abbiano fatto i produttori di materie prime a sapere, il giorno dopo, che i prezzi andavano aumentati, ma questa è un’altra storia.
Insomma, di elettricità c’è fame e, questa volta è il caso di dirlo, noi la usiamo, costi quello che costi.
Ecco di nuovo la domanda di prima: cosa c’entra tutto questo con Noncicredo?
Un po’ di pazienza e ci arriviamo. Anzi, abbiatene un po’ di più di pazienza, perché adesso dovremo fare un lungo giro da un’altra parte prima di tornare a questo punto.
Credo ci sia bisogno di fare un po’ il riassunto della situazione.
La questione che pongo è: perché siamo vivi?
Toglietevi quel sorrisetto dalle labbra. Non mi interessano discorsi filosofici e tantomeno religiosi, mi interessa la vita biologica. Per questo posso trattare la mia e quella di un criceto alla stessa maniera.
Avviso subito che non credo a nessun tipo di creazione, non rientra tra le questioni che, per me, abbiano una logica e nemmeno uno straccio di prova provata. Cosa volete farci? Gli studi, l’ambiente in cui sono cresciuto, l’impegno politico e sociale mi hanno formato così. Se ai creazionisti non sta bene tutto questo, non mi offendo affatto se non intendono seguire il mio racconto, che adesso comincia.
Nasce la Terra
Molto tempo fa, circa 4 miliardi e mezzo di anni, una grande sfera infuocata (mi piace usare questa espressione anche se non è quella più corretta) … una grande sfera infuocata si stacca da un ammasso più grande e se ne va a zonzo nello spazio, prima di essere catturata dalla forza di gravità del Sole (sì proprio quell’ammasso più grande). I movimenti e le forze in gioco riescono a far girare quella palla infuocata attorno alla stella, a circa 150 milioni di chilometri, anche se il percorso non è circolare e a volte ci avviciniamo o allontaniamo di qualche milione di chilometri. Piano piano la gelida temperatura del cosmo, raffredda quella palla di fuoco e si cominciano a formare zone solide e zone liquide: le terre emerse e mari e oceani e poi tutto il resto, come oggi noi lo vediamo.Alla fine ecco la Terra, un pianeta delizioso, nel quale compare anche la vita. Come è successo? Perché? La risposta non è semplice e va dal mito della creazione da parte di un essere superiore all’evoluzione seguita a moltissimi tentativi falliti di combinare tra loro elementi già presenti nella palla di fuoco e creando altri elementi sempre più complessi. Le teorie creazioniste delle varie culture ancestrali sono davvero fantastiche e, personalmente, trovo quella cristiana la più povera di fantasia.
Vorrei spiegarvi come sono andate le cose, ma senza la boria e la serietà di un barboso professore. Vi racconto una storia, semplicemente una storia.
Comunque sia andata con quella palla di fuoco, la vita si sviluppa in primo luogo in mare. C’è anche una bellissima canzone di Lucio Dalla, “Com’è profondo il mare”, che parla anche dei “pesci dai quali discendiamo tutti”. In realtà, anche i pesci vengono dopo.
Dunque la Terra si raffredda. Un miliardo di anni dopo la sua origine (più o meno si intende), nel mare ci sono esseri microscopici, come piccolissime alghe, quelle che i biologi della Rutgers University del New Jersey chiamano Cyanophora paradoxa. Questa, un bel giorno, ingloba un cianobatterio, insomma un batterio particolare, trasformandolo nel primo caso di sfruttamento di energia solare: dunque tutto nasce nel regno delle rinnovabili. In effetti i giacimenti di carbone e petrolio si formeranno molto più tardi.
Sopra la superficie del mare un’atmosfera decisamente differente da quella attuale. Vi abbondano Idrogeno e Elio con notevoli quantità di Azoto, Ammoniaca, Metano, quest’ultimo composto da Idrogeno e Carbonio, che avrà in seguito un ruolo importante. Manca completamente l’Ossigeno che oggi è elemento indispensabile per la vita. Come ci è arrivato? Chi l’ha prodotto? E che fine ha fatto la nostra alga Cyano-qualcosa?
Le alghe inventano il futuro
Abbiamo lasciato la nostra alga alle prese con il batterio, che permette la cattura dell’energia solare. Ora, non lasciatevi ingannare dalla piccolezza di quel vegetale. Anche lui ha bisogno di nutrirsi per svilupparsi. Così, grazie ad un pigmento verde in grado di catturare la luce, la clorofilla, mette in piedi una specie di azienda per produrre zucchero, precisamente glucosio. Lo fa con una reazione chimica: prende dall’anidride carbonica presente nel mare, ci aggiunge dell’acqua, dell’energia solare e ottiene, appunto, glucosio, quindi cibo per crescere e svilupparsi. Ma questo non è tutto, anzi, forse è la parte meno interessante della vicenda. Quella reazione chimica infatti produce anche dei rifiuti. Succede in tutti i processi che alla fine ci sia del materiale di scarto. Ma quei rifiuti sono un bene così prezioso, da diventare presto insostituibile. Si tratta, infatti, di 6 molecole di Ossigeno gassoso per ogni reazione che produce glucosio.Nasce così la fotosintesi clorofilliana.
Nel frattempo, sulla terraferma fa un caldo bestiale, molto più caldo di quanto possiamo avere noi nelle giornate più torride d’estate. L’alta temperatura incide sulla composizione dell’atmosfera: i gas più leggeri (idrogeno ed elio in particolare) ricevono energia sufficiente per allontanarsi dal pianeta, vincendo la forza di gravità che li tiene ancorati ad esso. Non c’è, al momento, alcuna protezione contro le radiazioni solari, in particolare contro i raggi ultravioletti che trasportano più energia della luce o dell’infrarosso.
Questa è una buona spiegazione del motivo per cui la vita nasce nei mari. Ambiente più fresco, protetto dalle radiazioni, con una spinta idrostatica che fa sentire meno il peso della forza di gravità (scusate il gioco di parole ma non ho saputo resistere).
Le piante alla conquista della terraferma
Intanto, grazie alla fotosintesi, si produce Ossigeno, che, piano piano, esce dall’acqua e si va a mescolare agli altri elementi, presenti nell’atmosfera.
Ad un certo punto di questa storia, accade che il mare si popola di esseri viventi mentre sulla terraferma compaiono le prime forme di vita vegetale. Entrambi questi fatti sono dovuti a diversi fattori.
Recentemente gli studiosi dell’Università dell’Oregon hanno pubblicato uno studio molto interessante sull’argomento. Secondo questo documento, le piante “terrestri” arrivano circa mezzo miliardo di anni fa e hanno il merito di aver ridotto la quantità di anidride carbonica presente in atmosfera, abbassando notevolmente la temperatura terrestre. Va tenuto presente che in quel periodo non esistono consumatori di ossigeno e quindi tutto quello prodotto dalla fotosintesi, finisce in atmosfera. Le nuove migliorate condizioni hanno come effetto una esplosione di vita nei mari e probabilmente anche la prima era glaciale. I tempi in gioco sono molto lunghi. Le prime piante infatti sono quelle delle gimnosperme, cioè quelle che non hanno bisogno di fiori per riprodursi (come il pino o l’abete). Per avere piante con i fiori, cioè le angiosperme dovranno passare, sempre secondo lo studio citato, quasi 300 milioni di anni.
Sembra ormai chiaro: quello che nasce è una catena che trasforma anidride carbonica in Ossigeno, permette lo sviluppo di piante che a loro volta trasformano anidride carbonica in ossigeno e così via. E questo accade per un tempo lunghissimo e provoca conseguenze fantastiche.
C’è sempre da risolvere la questione delle radiazioni dannose che arrivano dal sole, soprattutto i raggi ultravioletti, in grado di provocare anche mutazioni genetiche e per questo andrebbero fermati o, almeno, limitati.
La cosa più curiosa è che la protezione dai raggi ultravioletti è generata dagli stessi raggi ultravioletti. Vediamo come.
I raggi UV fanno e disfano … e meno male
L’Ossigeno gassoso si presenta in molecole composte da due atomi (O2). Quando raggiungono l’alta atmosfera, diciamo oltre i 20 km dal suolo, i raggi ultravioletti spezzano il legame che li tiene assieme dando origine ad atomi singoli di Ossigeno. Questi si uniscono alle molecole non spaccate e formano una molecola con tre atomi di Ossigeno, in formula O3: è l’Ozono. Si assiste così ad una specie di battaglia senza vincitori né vinti, perché la radiazione solare riesce a spaccare le molecole di Ozono nei suoi componenti originali ma, nello stesso tempo, è alla base della produzione di Ozono. Finché questo equilibrio rimane non ci sono problemi: la quantità di Ozono rimane sempre la stessa. Uno dei nemici di questo equilibrio è il Cloro, che può impossessarsi degli atomi di Ossigeno, riducendo quindi la quantità di possibili molecole di Ozono. É quello che è avvenuto (e ancora avviene) con l’immissione in atmosfera di composti contenenti cloro, come il freon per i circuiti frigoriferi, o le sostanze usate anni fa nelle bombolette spray.
Tutto questo va bene.
Ma a cosa serve l’ozono? Perché è così importante per la vita sulla terra?
É piuttosto semplice: con tutto il lavoro che fa fare alle radiazioni, impedisce ai raggi Ultra Violetti di arrivare a terra. Si tratta, insomma, di un grande ombrello, sotto il quale i pericoli di starsene sulla terraferma sono di gran lunga ridotti.
E questo aiuta, eccome, a conquistare la terraferma da parte degli animali.
Chi sono stati i primi e perché se ne sono andati da un ambiente così confortabile?
La vita sulla terraferma: gli animali
Motivi per cambiare residenza ce ne sono tanti, ma quello della sopravvivenza è sicuramente al primo posto. Lo vediamo anche oggi con le migrazioni causate dalle guerre o da situazioni che dalle guerre non sono molto distanti, oppure da perdurante carestia o siccità, non raramente legate ai cambiamenti climatici in corso.
Così è assai probabile che gli artropodi … e dagliela con queste parole difficili. Gli artropodi sono crostacei, ragni, insetti, che. forse temendo per la propria sopravvivenza, ad un certo punto, decidono di sloggiare dal mare. Ma c’è un grosso problema. Abituati come sono ad un ambiente in cui sono praticamente privi di peso, come faranno a resistere alla forza di gravità che li schiaccerà al suolo appena usciti dall’acqua. Così, questi piccoli esseri sviluppano con i tempi lunghi di cui ho detto prima, un esoscheletro, una specie di corazza, una struttura esterna impermeabile e rigida. Un po’ come essere sotto un tendone quando piove per non bagnarsi. E così affrontano un passaggio che cambierà per sempre le sorti del pianeta: primi animali sulla terraferma. Questo avviene circa 400 milioni di anni fa, milione più milione meno. Dopo altri 50 milioni di anni, ecco un nuovo gradino nell’evoluzione. C’è un gruppo di pesci, anche qui dal nome difficilissimo, i crossopterigi, che hanno caratteristiche uniche tra gli abitanti dei mari. Hanno pinne molto robuste e un canale che può essere usato come polmone, vale a dire una struttura in grado di usare l’ossigeno per produrre l’energia che serve loro. Molte specie di questi crossopterigi sono estinte, poche altre vivono a 300-400 metri di profondità nell’Oceano Indiano. Ma la cosa davvero importante è che da loro prendono origine gli anfibi. Questi sviluppano veri e propri arti per camminare e polmoni per respirare ed escono dall’acqua, alla quale tuttavia rimangono legati soprattutto per la riproduzione.
Da un gruppo di anfibi hanno origine i rettili: superficie cheratinosa e impermeabile, esattamente come le uova che depongono. Sono i primi animali totalmente terrestri, che dominano la fauna per circa 250 milioni di anni. Durante questo periodo si sviluppano animali di grandi dimensioni, come i dinosauri, rettili acquatici, rettili volanti, grazie a particolari espansioni della pelle, un po’ come gli scoiattoli volanti che si lanciano da una palma all’altra.
Ma le disgrazie accadono anche allora. 65 milioni di anni fa un cataclisma climatico, probabilmente dovuto all’impatto di un meteorite, si porta via una grossa fetta di animali, tra cui molti rettili: i dinosauri spariscono tutti.
La vita in quel periodo non è facile, soprattutto per le vittime dei predatori. Così alcuni rettili sviluppano peli e penne per trattenere il calore e poter andare a caccia di cibo di notte, quando la maggior parte dei predatori ha troppo freddo per essere svegli e pimpanti. E proprio da questi rettili dotati di penne, ecco nascere gli uccelli. Piano piano, adattano anche la muscolatura e la struttura scheletrica per poter volare.
Lo dico così, un po’ tra parentesi e con una punta di ironia, tra gli uccelli c’è anche la gallina, la quale quindi è una discendente dei rettili. Per questo la domanda “è nato prima l’uovo o la gallina” è privo di senso. Come abbiamo visto, l’uovo nasce molto, ma davvero molto prima della gallina. Avrebbe senso la domanda “è nata prima la gallina o l’uovo di gallina” ma questa cosa è troppo sofisticata per la cosiddetta cultura popolare.
I mammiferi e poi … l’uomo
Dai rettili coperti di peli si sviluppano i mammiferi, prima quelli piccoli e notturni, poi, quando la maggior parte dei rettili si estingue, i mammiferi si diversificano e occupano tutti gli ambienti. I mammiferi diventano, praticamente, i padroni del pianeta.
Tra questi ce n’è uno che ci interessa moltissimo: la scimmia. Già, ma quale scimmia? E dove viveva? E quando è comparsa e come si è evoluta?
Vediamo un po’ di mettere alcuni punti fermi.
Circa 7 milioni di anni ci sono due tipi particolari di primati. Quelli, per così dire originari, che vivono in ambiente umido e boscoso e quindi mantengono la caratteristica di vivere sugli alberi e quelli delle savane, costretti a scendere a terra per procurarsi il cibo. Da questo secondo gruppo prendono origine gli ominidi, che si abituano ad una camminata bipede e comincia una evoluzione che li porta ad essere noi, con molta lentezza. Si passa attraverso gli australopitecus di 4 milioni di anni fa, l’homo abilis, 2,3 milioni di anni fa con il quale comincia la costruzione di manufatti in pietra e, probabilmente, anche il linguaggio, l’homo erectus, un milione di anni fa, che conosce il fuoco. É questo il nostro più vicino antenato, perché dall’homo erectus nasce, circa 200 mila anni fa l’homo sapiens, una definizione decisamente pomposa e presuntuosa, visto quello che ha combinato in seguito.
Noi, dunque, siamo homo sapiens.
La nostra specie esiste sulla Terra da appena 200 mila anni. Se l’intera vita della terra fino ad oggi la paragoniamo ad un anno, noi siamo comparsi su di essa nell’ultimo secondo di quell’anno.
Siamo gli ultimi discendenti di una evoluzione lunga miliardi di anni.
Un equilibrio miracoloso (con piccola parentesi)
Ecco la situazione a questo punto della nostra storia, cioè 200 mila anni fa. Da una parte ci sono le piante che, grazie alla fotosintesi, si sviluppano nutrendosi di CO2 e scartando Ossigeno. Dall’altra parte ci sono gli animali, compreso l’uomo, che vivono grazie ad un processo inverso: consumano ossigeno e scartano anidride carbonica.
Un equilibrio perfetto, così perfetto che riusciamo a capire perché c’è voluto così tanto tempo per realizzarlo.
C’è però ancora un aspetto molto importante di cui parlare. É evidente che se tutto fosse così facile, dovrebbero esserci cani, pesci e scimmie un po’ dovunque nell’universo. Perché allora è così difficile trovare la vita in giro per lo spazio?
La domanda è un po’ pretestuosa, in quanto noi non siamo in grado di esplorare lo spazio come vorremmo. L’Universo è così grande che il segnale più veloce che abbiamo a disposizione (secondo Einstein il più veloce possibile in assoluto) impiega 4 anni e tre mesi a raggiungere Proxima Centauri, la stella più vicina a noi, a parte il sole. La distanza che ci separa da questo astro è solo una parte infinitesima delle dimensioni della galassia nella quale abitiamo, la Via Lattea, che è 12500 volte maggiore della distanza Terra – Proxima Centauri. E la nostra galassia è solo una delle tante (centinaia di miliardi) sparse nell’Universo. Questo c’entra poco con il discorso che sto facendo, ma già che ci siamo, questi numeri ci dicono quanto poco probabile sia che noi siamo gli unici abitanti dell’universo e quanto poco probabile sia anche che si possa raggiungerne altri, per le enormi distanze da percorrere anche con i mezzi più veloci come la radiazione elettromagnetica, ad esempio la luce.
Abbiamo, in compenso, molta fantasia e possiamo creare storie fantastiche (nel senso letterale del termine) sulla visita di extraterrestri o sul fatto che noi siamo gli eletti, mentre siamo solo l’ultima cartuccia di una evoluzione durata miliardi di anni e arrivata per puro caso.
In effetti, quello che non abbiamo ancora detto è che tutta questa storia ha potuto avere luogo solo perché le condizioni del pianeta su cui è nata la nostra vita sono ... adatte … non trovo un termine più semplice e migliore.
La forza di gravità è sufficiente a trattenere l’atmosfera, ma non troppo grande per schiacciarci al suolo. La quantità di acqua è sufficiente ma non troppo, la temperatura oscilla entro valori ai quali abbiamo potuto adattarci senza troppi problemi e questo dipende dalla distanza tra noi e il Sole, quindi dal modo nel quale quella palla infuocata è stata presa e fatta girare nello spazio attorno alla nostra stella.
A questo proposito, sappiamo che la nostra Luna (so che il termine “nostro” è fuori luogo, ma lo uso per capirci) la nostra Luna – dicevo – passa da temperature elevatissime nelle zone colpite dal Sole a valori terribilmente bassi nei punti all’ombra, con escursioni di circa 300 gradi. Tra l’altro proprio l’elevata temperatura è una causa, oltre alla debole attrazione gravitazionale, dell’assenza di atmosfera lunare.
La domanda è dunque questa: cosa ci permette di avere condizioni così favorevoli qui sulla Terra?
L’effetto serra: un bene o un male?
Continuando a scoprire che le cose che incontriamo possono essere buone e cattive nello stesso tempo, questa volta il merito è dell’anidride carbonica, cioè del rifiuto che il nostro respirare emette. A dire il vero non solo della CO2. Ci sono altri gas in atmosfera (il metano ad esempio) che si danno da fare allo stesso modo. Questi si chiamano anche gas serra. Vediamo perché.
La serra è una grande invenzione per chi coltiva piante e fiori, e non vuole farli morire d’inverno per il troppo freddo. Una struttura, solitamente in materiale plastico o in vetro, ha lo scopo di intrappolare i raggi del sole, permettendo ad essi di entrare, ma impedendo loro di uscire.
In realtà, esiste una grande varietà di serre, ma per lo scopo di questo racconto non fa differenza, basta il principio generale. Chi fosse interessato, trova in rete articoli su tutti i tipi di serra, sul loro utilizzo e sul loro scopo.
Bene, la nostra atmosfera si comporta proprio come una serra. I gas di cui ho detto prima, trasformano l’aria in una serra: trattengono il calore del sole e mantengono la temperatura a valori accettabili. Altrimenti cosa succederebbe? Che la maggior parte dell’energia che arriva sulla superficie verrebbe riflessa e tornerebbe nello spazio esterno, lasciando tutti noi a combattere con temperature gelide. Secondo i dati forniti dalla scienza, la temperatura media del pianeta scenderebbe, in quel caso, a -15°C, ben al di sotto del punto di congelamento dell’acqua e credo si capisca facilmente che moltissime specie animali e vegetali non avrebbero la possibilità di sopravvivere. Tutto questo lo riassumiamo parlando di “effetto serra”.
Apro una piccola parentesi: tenete conto che la nostra vita sul pianeta dipende in modo strettissimo da quella di tutti gli altri esseri viventi. Si parla di biodiversità non a caso: “bio” è un prefisso che deriva dal greco βίος, che significa vita. Quindi preoccuparsi della sorte degli altri (anche delle zanzare) non è stucchevole e inutile: è semplicemente essenziale. Chiusa la parentesi.
Le azioni che noi compiamo nella nostra vita hanno sempre bisogno di equilibrio. Ad esempio mangiare è bello, specie se i cibi sono prelibati, ma ci vuole misura: troppo poco non soddisfa il nostro bisogno di energia, troppo ci fa male.
Allo stesso modo funziona l’effetto serra. Troppo poco ci uccide perché la temperatura sarebbe troppo bassa, troppo … troppo è proprio il tema centrale di questa nostra storia e da qui ripartiremo adesso.
L’uomo diventa produttivo e combina un casino
La domanda che ci viene da fare adesso è questa: perché mai la temperatura media del pianeta dovrebbe aumentare?
Abbiamo visto che la situazione resta inalterata, se esiste un equilibrio tra produzione di ossigeno attraverso la fotosintesi e consumo di Ossigeno attraverso la respirazione. Questo è sempre vero, a meno che non ci siano eventi che cambino questo stato di cose. Per moltissimo tempo non succede nulla. Gli uomini sono pochi, cacciano animali che sono in grande abbondanza rispetto alle loro esigenze, usano il legno degli alberi per il fuoco, alberi in numero esiguo, lasciando le foreste praticamente immutate per migliaia di anni. Poi si entra in una fase che potremmo chiamare tecnologica. La costruzione di oggetti metallici, il commercio, la produzione artigianale sempre più estesa, impongono la ricerca di materie prime. La popolazione cresce di numero: le bocche da sfamare sono sempre di più e i polmoni da cui esce anidride carbonica sempre più numerosi.
Non bisogna necessariamente fare un salto agli ultimi secoli, quelli più vicini a noi. Ho raccontato molte volte la storia dell’isola Rapa Nui (l’isola di Pasqua in italiano). Qui una popolazione proveniente, non si sa bene come, dalla Polinesia, ha trovato una enorme foresta di palme, che, nel giro di un paio di secoli ha utilizzato per ogni attività: riscaldarsi, costruire imbarcazioni per la pesca dei delfini, fabbricare corde, trasportare verso riva le famose statue Moai. Alla fine, quella popolazione si è estinta (significa che sono morti tutti) per mancanza di palme, cioè di materia prima.
Quando parliamo, oggi, di sostenibilità, intendiamo proprio questo: usare le risorse disponibili in modo da non costringere i figli e i nipoti a non averne più. Ed è quello che la nostra società sta facendo da un sacco di tempo.
Ma torniamo al punto.
Dunque, nella società che si sta evolvendo e cresce di numero, servono materie prime per produrre energia: inizialmente per accendere un fuoco o fare luce. Si utilizza il legno, ma ad un certo punto ci si rende conto che questo materiale comincia a scarseggiare: ci sono paesi che si accorgono che le loro foreste diminuiscono a vista d’occhio. D’altra parte quello è ciò di cui si dispone e le esigenze, per così dire, commerciali richiedono sempre più legname. Si costruiscono più case, più navi, più ponti, si lavora il ferro ad un ritmo sempre maggiore; in questo caso il legno viene trasformato in carbonella per avere un fuoco più caldo.
In questa situazione occorre intervenire, inventare qualcosa che sostituisca il legno. Comincia l’era del carbone.
Il carbone è conosciuto fin dal 1'200, ma ci vogliono altri 400 anni e più per farne un combustibile.
Per i due che non lo sanno, il carbone si è formato circa 350 milioni di anni fa, quando un clima umido e caldo, con la presenza di molta CO2 favorisce la crescita di alberi giganti. Quando questi cadono (per alluvioni, tempeste o altro), non essendo presenti funghi o batteri specifici, vengono inglobati nel terreno, sepolti da altri strati di detriti e finiscono sotto terra, con addosso una grande pressione e senza ossigeno. Così si sono formati i giacimenti di carbon fossile.
Verso la metà del 1600, per i motivi detti, ecco che il carbone diventa il combustibile per eccellenza. Questo comporta un indotto sostanzioso, dalle estrazioni minerarie al trasporto, molto più agevole di quello del legname.
Passa meno di un secolo ed ecco il genio di un fabbro, Thomas Newcomen e di Thomas Savery realizzare, nel 1712, il primo motore a vapore. É l’inizio di quella che viene definita, dalla storia, la rivoluzione industriale. Guarda caso, la prima macchina con il motore dei due Thomas viene utilizzata proprio in una miniera di carbone. Poi arrivano altri inventori, tra i quali spicca l’ingegnere James Watt, che migliorano i motori, rendendo le macchine a vapore sempre più performanti. Questo cambia il volto della società da molti punti di vista. Quello del lavoro sicuramente, sostituendo uomini e donne in molte funzioni e creando altre figure professionali; quello del commercio che si avvia verso una produzione maggiore, un maggior consumo delle merci prodotte; quello sociale con la nascita di una classe privilegiata e di un proletariato invischiato in un modello di sviluppo, che piano piano porterà verso il consumismo.
La storia del carbone è significativa per molti aspetti. Poi arriveranno il gas e il petrolio, per i quali si possono fare discorsi molto simili a quello del carbone. Oggi sappiamo che i produttori di gas e di petrolio si sono arricchiti in maniera enorme proprio grazie al modello di sviluppo che la società ha imboccato e di cui qui a Noncicredo abbiamo parlato un migliaio di volte almeno.
Ovviamente, con il passare degli anni, il modo di fare affari diventa sempre più astuto e mette il profitto sempre più in alto nelle priorità dei produttori. I consumatori (che poi siamo noi tutti) vengono indotti a diventare parte di questo processo da vere e proprie armi di distrazione di massa (distrazione non distruzione) che i ricchi e potenti hanno saputo inventare e creare a loro uso e consumo.
Bene, l’origine di tutto questo è stata, non c’è dubbio, la rivoluzione industriale, iniziata in Inghilterra nel 1712, grazie (o per colpa) di Thomas Newcomen.
Ci siamo allontanati dall’origine di questa discussione: cosa c’entra la rivoluzione industriale con l’effetto serra? Un po’ di pazienza e ci arriviamo.
La società dei consumi: modello lineare di produzione
Le attività imprenditoriali che crescono nel 19° e 20° secolo, sono tutte basate sulla combustione di fonti fossili: il carbone prima, poi il petrolio e il gas naturale. Anche questi ultimi derivano da processi naturali iniziati milioni di anni fa e legati alla decomposizione di organismi di vario genere.
Il problema è che questi processi produttivi hanno tutti un denominatore comune: producono anidride carbonica, a volte metano e altri gas che fanno aumentare l’effetto serra.
Il che non sarebbe un dramma se, nello stesso periodo, non succedesse dell’altro, e che altro!
Abbiamo discusso una infinità di volte della società dei consumi, quella che, grazie soprattutto all’avvento di un capitalismo molto presente, ha messo al primo posto delle priorità il profitto. Anche questo non sarebbe così grave se le conseguenze a cui porta non avessero danneggiato tutti noi; a noi non arriva un euro dei dividendi che si spartiscono gli azionisti delle società che gestiscono il mercato. A noi arriva solo il danno.
Il trucco (prendete con ironia questo termine) … il trucco – dicevo – è davvero ben congegnato ed è costruito apposta con l’intento di fare soldi. Noi oggi lo chiamiamo modello lineare di produzione, per contrapporlo al modello circolare che piano piano si cerca di instaurare. Funziona grossomodo così.
Si parte dalle materie prime, che vanno reperite per essere utilizzate. Si tratta, ad esempio, dei metalli che servono per costruire gli oggetti. Ho raccontato di recente la situazione di Cerro de Pasco, in Perù, dove un’enorme miniera si sta mangiando letteralmente la città e sta contaminando in modo terribile gli abitanti, specialmente i bambini. E poi c’è la necessità, per costruire quegli oggetti di avere a disposizione energia, che, come detto, fino a poco tempo fa e ancora oggi in larghissima misura, ha bisogno di fonti fossili. Il reperimento di queste provoca sempre un danno al pianeta e ai suoi abitanti, si tratti di scavare buche enormi o trivellare pozzi. Questo vale per tutte le forme di energia fossili, compreso il nucleare. L’Uranio si ricava da miniere spesso a cielo aperto, che hanno la pessima abitudine di spargere nelle zone vicine sostanze tossiche e radioattive.
Una volta avute le materie prime, segue la fase di produzione. Questa è la parte più dolorosa per il problema che stiamo affrontando, perché è in questa fase che dalle fabbriche esce l’anidride carbonica e gli altri gas che contribuiscono a far crescere l’effetto serra.
La terza fase è quella della vendita e quindi del consumo delle merci prodotte: in questo caso occorre convincere i possibili clienti del fatto che senza quel prodotto tu non puoi vivere bene. La macchina della pubblicità nelle sua molte varie forme si mette in moto.
Quello che resta di tutto il processo sono rifiuti: rifiuti legati alla stessa produzione e rifiuti nel senso di oggetti obsoleti da sostituire. É chiaro che più velocemente questo ciclo si compie (tradotto: più merce si vende/compra) più alto è il profitto. La gestione dei rifiuti è un altro argomento del quale si potrebbe parlare per ore. Fino a qualche tempo fa (non moltissimi anni) le destinazioni erano solo due: la discarica o l’inceneritore. In entrambi i casi le materie prime vengono distrutte ed è necessario ricominciare il ciclo produttivo da capo, dal reperimento delle materie prime.
Al di là di tutto quello che possiamo dire di questo processo in termini morali, sociali, sanitari, quello che rimane è che ogni volta l’atmosfera si riempie di gas serra, senza la possibilità di compensarla, perché i processi che hanno creato il petrolio, il gas o il carbone non sono certamente riproducibili nei brevissimi tempi in cui quelle merci vengono prodotte.
Ci hanno perfino convinto che tutto questo è fatto per far crescere il nostro benessere e hanno misurato l’avanzamento del nostro “stare bene” con il PIL. É curioso che noi staremo meglio se in una città si costruiscono centinaia di centri commerciali, ipermercati, supermercati. É curioso che il nostro benessere cresca quando aumenta il PIL perché si è dovuto intervenire a ricostruire un paese distrutto da un terremoto. Non vi sembra che ci sia qualcosa che non torna?
Cosa si può fare contro questo sistema?
Si potrebbe fare molto, se a comandare i giochi e a decidere come agire non fossero gli stessi autori del disastro ambientale provocato nell’ultimo secolo: multinazionali ingorde, politici corrotti o incompetenti, che governano su popolazioni ignoranti e genuflesse.
La strada maestra da seguire è semplicissima. Se noi aboliamo i rifiuti, il gioco è fatto. E come si aboliscono i rifiuti? Anche qui la questione è semplice: utilizzandoli come materie prime per un nuovo ciclo produttivo. Ci sono due strade, indicate da molti anni ormai, per arrivare alla soluzione proposta: aderire all’economia circolare oppure a quella blue economy, illustrata da Gunter Pauli, dove la tecnologia necessaria “impara” dai cicli della natura, li copia e li rende la base per una produzione senza danni. Di questo, Noncicredo ha fornito un mare di esempi in una sezione di questo sito.
L’osservazione che viene fatta è: “ma è difficilissimo, come si fa?”. Si fa come per ogni altra cosa, come si è fatto per costruire una lavatrice o lo shuttle da mandare nello spazio: si studia e si trova una soluzione.
A cos’altro può servire l’intelligenza umana?
La nostra società è fatta così. Non si è mai preoccupata del “poi”, ha agito come se le risorse disponibili fossero illimitate, senza una data di scadenza o, se proprio volete, senza un limite oltre il quale il costo di estrazione delle varie materie sarebbe diventato tale da mettere il processo stesso fuori mercato.
Questo è proprio quanto accaduto in questi ultimi decenni. La crisi ambientale, conosciuta come emergenza climatica, è anche (sottolineo “anche”) il risultato di questo modo di vedere le cose, il che ha impedito di seguire percorsi alternativi, più saggi, meno dispendiosi, meno dipendenti dalla continua "mungitura" della natura.
La stragrande maggioranza di quei processi implica l’emissione di gas serra in atmosfera; così avete un quadro impietoso, ma completo, della situazione. Negare queste cose è stupido, perché fanno parte della storia dell’umanità.
Chi consuma e quanto
Dunque siamo arrivati all’oggi, attraverso un lungo cammino che ci ha visti protagonisti in una microscopica frazione di tempo, rispetto all’intera storia del pianeta che abitiamo. Dei pessimi protagonisti, dal momento che siamo riusciti, in tempi piccolissimi, a distruggere buona parte di quello che la natura ha pazientemente costruito in miliardi di anni.
Ma il racconto delle umane vicende non è ancora terminato, perché abbiamo altre domande alle quali rispondere.
Ad esempio: i processi di cui abbiamo parlato, hanno avuto effetti collaterali?
Viene da sorridere, perché sono proprio questi ad aver causato più guai. Alcuni li abbiamo già citati, come la contaminazione a seguito del reperimento delle materie prime; cito le case radioattive del Niger e il disastro della piattaforma della BP nel golfo del Messico, per fare mente locale.
Cominciamo da noi, che siamo troppi, decisamente troppi rispetto alla disponibilità terrestre. Negli ultimi 60 anni la popolazione è triplicata: oggi ci sono 8 miliardi di esseri umani sulla Terra. Ora, attenzione: non sono tutti uguali, anzi sono molto differenti tra loro. E non mi sto riferendo a stupide distinzioni di razza o di etnia, ma alla possibilità che ciascuno ha di consumare le merci che vengono prodotte, siano esse i computer made in China o le mele dell’Alto Adige. Ci sono i ricchi e i poveri, con varie sfumature all’interno delle due categorie.
Così il consumo non è uniforme: c’è chi lo fa con una bocca enorme (australiani, statunitensi, canadesi, cinesi) e chi lo fa poco, a volte niente, come molti dei popoli del cosiddetto terzo mondo. Anche questo viene misurato, grazie ad associazioni internazionali che ci raccontano ogni anno chi è stato più vorace e chi meno. Ne ho parlato molte volte: l’overshoot day (il giorno del sorpasso) racconta di quanto tempo un popolo, una nazione o un singolo individuo, ha impiegato a consumare le risorse riproducibili dalla terra in un anno. Se ci mette 365 giorni possiamo parlare di sostenibilità, ma il dramma è che ci mette molto meno. La popolazione mondiale impiega assai meno della metà del tempo che dovrebbe e va tenuto conto che qui dentro ci sono anche i popoli che consumano davvero poco. Per avere un dato che ci riguarda, l’overshoot day dell’Italia nel 2022 è caduto il 15 maggio; in quattro mesi e mezzo ci siamo mangiati quello che avremmo dovuto fare in 12 mesi. Ci comportiamo come se avessimo a disposizione tre pianeti invece di uno solo. Lo dico per chi vuole fare le pulci a questo calcolo. É ovvio che all’interno del popolo italiano c’è chi ha consumato più e chi meno e che quindi il dato va considerato, dal punto di vista personale, come un valore medio.
Dunque, sempre più persone, sempre maggiore produzione, sempre maggiore presenza di rifiuti, sempre maggiore effetto serra.
Uno dice: “Ma non abbiamo detto che gli alberi sono nati apposta per assorbire la CO2 che noi produciamo?”
Certamente sì, ma occorre che la partita si giochi in modo leale. Occorre che il numero degli alberi sia sufficiente ad assorbire quello che la nostra società produce. Questo significa che, mano a mano che la gente cresce di numero, che la produzione sforna più prodotti, che aumenta il numero di miniere di carbone, di pozzi di petrolio e così via, … mano a mano che tutto questo avviene, si provveda a piantare nuovi alberi, a mantenere puliti gli oceani e i mari, altri elementi importanti di confinamento dell’anidride carbonica.
Questo è successo?
La risposta, credo sia quasi superfluo dirlo, è no. Anzi, nell’era industriale le foreste sono state dimezzate e lo scempio continua anche adesso che sappiamo bene di stare segando il ramo sul quale siamo seduti. Evidentemente la storia di Rapa Nui non ha insegnato proprio niente.
“Però – dice un altro – a volte le foreste abbattute sono state sostituite da altri alberi.”
Vero anche questo, ma, come tutte le cose, gli alberi non sono tutti uguali. Se abbatto un albero di una foresta pluviale millenaria e al suo posto pianto una rachitica palma, non ottengo una sostituzione alla pari, dal punto di vista dell’assorbimento della CO2. Senza contare la distruzione dell’habitat di animali che in quelle foreste vivono da sempre.
Peraltro è noto a chi segue Noncicredo che la deforestazione così massiccia degli ultimi decenni ha le sue cause nella produzione di cibo e nel sostegno alla locomozione. É infatti cresciuta la necessità di pascoli sempre più grandi e di terreni per coltivare cereali da destinare sia alla produzione di mangimi per la produzione della carne, che a quella di carburante per motori a scoppio.
Tutto questo incide non solo sull’economia, ma anche sulla vita di ciascuno di noi.
In che modo?
L’aumento dell’effetto serra, dovuto alle scelte fin qui descritte, ha modificato il clima terrestre. Questo non significa, come qualche improvvisato scienziato senza cultura vorrebbe farvi credere, che dovremo solo usare l’ombrello quando piove e la crema protettiva col sole. Il clima è cosa assai diversa dalla meteorologia. Si occupa di questioni molto più grandi sia come estensione geografica che temporale. Dunque non interessa alla climatologia sapere se la gita in Val Camonica di domenica prossima avverrà col sole, né cosa succederà nella prossima settimana così da poter decidere in quali giorni recarsi al mare. Cosa interessa allora?
Cambia il clima … e allora?
Alla base di tutto c’è sempre l’effetto serra, che ha cambiato la temperatura media del pianeta. Per questo, all’inizio almeno, si parlava semplicemente di “riscaldamento globale”. Termine che però non dà riscontro dei veri grandi problemi che quell’aumento dell’effetto serra può provocare e ha provocato.
Prima di procedere, abbiamo bisogno di capire anche di quanto è aumentato l’effetto serra. E quindi è necessaria una misura che stabilisca la situazione. La grandezza utilizzata è la quantità di CO2 “equivalente” presente nella nostra atmosfera. Il termine “equivalente” è usato per ricordare che non c’è solo la CO2, ma anche altri gas, come gli ossidi di azoto, il metano e altri ancora, con effetti del tutto analoghi all’anidride carbonica. Per avere un esempio, di metano ce n’è molto meno, appena l’8% di tutti i gas serra, ma la sua capacità di fermare la radiazione solare è molto più alta di quella della CO2, anche 30 volte di più.
Quello che sappiamo è che nei seimila anni fino alla metà del 1700, la quantità di CO2 in atmosfera era di 280 ppm, cioè 280 parti per milione.
“Eh sì – dice sempre quello – seimila anni fa sapevano misurare questa grandezza. Ma dai!”.
Dispiace questa mancanza di fiducia, ma in effetti è possibile conoscere la quantità di gas serra in atmosfera non solo negli ultimi seimila anni, ma anche molto, davvero molto più indietro. La tecnica usata è quella del carotaggio dei ghiacci eterni (oggi questa espressione suona falsa, ma è per capirci tra di noi). Il ghiaccio si stratifica anno dopo anno, secolo dopo secolo e ingloba piccole bolle d’aria, che sono, ciascuna la rappresentazione dell’atmosfera in periodi sempre più antichi.
Dalla metà del 1700 cambia tutto. Abbiamo visto che è in quel periodo che nasce la società industriale con l’avvento delle macchine a vapore. Da allora la quantità di CO2 in atmosfera è costantemente cresciuta, con una velocità impressionante. É proprio questa rapidità che dimostra senza dubbi che è stata la presenza dell’uomo tecnologico e dello sviluppo industriale dissennato a far aumentare a quel modo l’effetto serra.
I dati sono, a dir poco, impressionanti. Nel maggio 2022, come accennato all’inizio, abbiamo superato una soglia che fino a qualche tempo fa sembrava inaccessibile: 420 ppm.
“Vuoi dirci che un simile valore non c’è mai stato in passato?” dice sempre quello seduto là in fondo.
No, non dico questo, ma bisogna anche capire quando è successo e com’era la Terra in quell’epoca. Secondo gli scienziati, per trovare un periodo con 420 ppm di anidride carbonica bisogna tornare indietro di 4 milioni di anni. All’epoca tuttavia gli oceani avevano un’altezza dai 5 ai 20 metri superiore a quella attuale e la temperatura media del pianeta era 4 gradi più alta di quella di oggi. Pensate davvero che siano condizioni in cui potremmo sopravvivere?
Come ultima distinzione, il fatto che quei cambiamenti climatici erano avvenuti in tempi enormemente più lunghi di quelli attuali. Negli ultimi 30 anni l’effetto serra è aumentato tanto quanto nei precedenti 200 anni. Che l’uomo e le sue attività non c’entrino è decisamente fuori da ogni logica.
A questo punto possiamo aggiungere tutto quello che vogliamo.
Possiamo parlare degli effetti meteorologici estremi, possiamo parlare della deforestazione che continua imperterrita, possiamo parlare delle grandi banche (anche italiane) che continuano a finanziare imprese che non solo sostengono le fonti fossili, ma che hanno in mente di aumentarne l’impatto, scavando nuove miniere, trivellando nuovi pozzi, aprendo nuove centrali. Potremmo parlare di tutto questo e di molto altro ancora.
Intanto però la gente muore di inquinamento e di cambiamento del clima. Intanto però ai migranti dovuti alle guerre, si stanno aggiungendo quelli cosiddetti climatici, 200 milioni di persone, secondo le fonti governative statunitensi, che cercheranno, nei prossimi otto anni, terre meno disastrate dove tentare di sopravvivere.
Una politica lenta, farraginosa, spesso corrotta e legata a doppio filo alle multinazionali dell’energia fossile non può lasciare tranquilla una popolazione che si lascia rintronare dai giochetti del potere su questioni marginali di nessun significato.
La temperatura media del pianeta, il cui aumento, secondo la scienza dovrebbe essere contenuto entro 1,5 gradi, è già aumentata di 1,1 grado. Lo scenario previsto per il 2100 si realizzerà nel 2030 se le cose continueranno come oggi e non c’è proprio nessuna ragione di pensare il contrario.
Chiudo con le parole di Rick Spinrad, amministratore dell’Amministrazione nazionale atmosferica e oceanica (la NOAA), che dice:
“La scienza è inconfutabile: gli esseri umani stanno alterando il nostro clima in modi ai quali la nostra economia e le nostre infrastrutture devono adattarsi. Possiamo vedere gli impatti del cambiamento climatico intorno a noi ogni giorno. L’inarrestabile aumento di anidride carbonica misurato a Mauna Loa ci ricorda che dobbiamo prendere provvedimenti urgenti e seri per diventare una nazione più pronta per il clima”.
Sapevatelo!
Conclusione
Siamo così arrivati alla fine di questo racconto. Mi scuso per la sua lunghezza, ma sono stato, come si dice, tirato dentro dalle notizie sulla quantità di CO2 in atmosfera e sugli effetti che questo porterà a tutta la popolazione mondiale. Quello che emerge è che, nonostante tutti i bei discorsi che vengono fatti, ci avviciniamo ogni giorno che passa alla fine di ogni possibilità di “tornare indietro”. Quando la comunità europea decide che tra dieci anni non si potranno più costruire e vendere motori a scoppio, non lo fa perché ce l’ha con la Volkswagen o con Agnelli. I motivi sono quelli che ho cercato di raccontare questa sera. La reazione dei paesi l’avete potuta notare: una ribellione, perché le case automobilistiche non sono pronte. Cosa vuol dire? Che non sapevano nulla di tutto questo?
Quello che va sottolineato, ancora e ancora, è che i ritardi pazzeschi con cui la società si è mossa in questo campo, non sono dovuti a ignoranza, ma solo ed esclusivamente alla voglia di trarre profitto anche a costo di morirci.
Mi viene in mente una battuta di un famoso comico italiano che diceva: "C’è un incendio e tu hai una tinozza d’acqua a disposizione. Se sei come questi politici non la butti tra le fiamme, ma ti fai un bagno."