2 agosto 1980, ore 10,25
Come ho avuto modo di scrivere più e più volte, quello che leggete in questa sezione è quanto emerge dalle dichiarazioni, dagli interrogatori, dalla varia documentazione disponibile sui vari casi. Pretendere che sia per forza anche la verità non è possibile, dal momento che, con tutti i lati oscuri di ogni vicenda, spesso la verità riposa con protagonisti ormai defunti. Resta tuttavia l’interesse per un mondo che è stato quello del nostro paese e, per molti di noi, il mondo in cui siamo vissuti e cresciuti.Oggi vorrei raccontarvi la storia di una strage, un odioso attentato che ha provocato molte decine di morti e moltissimi feriti, lasciando, a quasi 40 anni di distanza, una ferita nel nostro paese e nella città dove tutto questo è accaduto, Bologna.
Prima di cominciare, i Pink Floyd e l’annuncio al telegiornale di quel tragico 2 agosto del 1980.
“Addio mondo crudele, addio a voi tutti, non c’è niente che possiate dirmi per farmi cambiare idea” cantano i Pink Floyd in uno dei brani di The Wall. Oggi parlerò di questo, della strage alla stazione di Bologna. É estate e fa molto caldo. La gente parte per le vacanze. Chi dal Nord scende sulla riviera adriatica passa per Bologna. Chi dal Centro Sud sale per recarsi ai laghi o in montagna passa per Bologna. Bologna è il centro del mondo. La sala d’aspetto di seconda classe è piena. Ci sono anche molti bambini assieme alle famiglie. Ci sono ritardi come capita spesso in quel periodo dell’anno e in quegli anni.
Vicino alla porta di ingresso c’è un tavolino, alto mezzo metro. Sopra una valigia. Dentro una bomba. La bomba scoppia.
L’intera ala della stazione che contiene la sala d’aspetto, con gli uffici al secondo piano, il bar e il ristorante viene sollevata per aria e ricade giù, tirandosi dietro tutto, dalle fondamenta al tetto. Si crea un’onda d’urto che si infila nel sottopassaggio, arriva fino ai treni in attesa sui binari e dall’altra parte esce sulla piazza e si porta via come fossero giocattoli i taxi in attesa di clienti. Tutta la città di Bologna sente il boato. Si conteranno 85 morti e 200 feriti. Sono le 10,25 del 2 agosto del 1980.
La prima voce che gira è che si tratti di un incidente. Forse è scoppiata una vecchia caldaia, proprio sotto la sala d’aspetto, una sfortunata disgrazia. Ma non ci vuole molto a capire che questa è una balla. La caldaia è da tutt’altra parte e poi funziona benissimo.
I lavoratori della stazione hanno subito capito tutto: è stata una bomba. L’odore di polvere da sparo dopo il botto è molto forte, loro non hanno dubbi.
Arriva il presidente del consiglio, Francesco Cossiga che usa termini inequivocabili: “deflagrazione dolosa”. E così parte l’inchiesta.
Viene affidata al procuratore Ugo Sisti, il quale apre un fascicolo per strage. La prima parte dell’inchiesta si occupa del come. Poi servirà occuparsi del chi e infine del perché.
Nella borsa – dice la perizia – c’erano 23 kg di esplosivo: 18 di nitroglicerina e 5 di un composto che si chiama “Compound B”, formato da tritolo e T4, un esplosivo che si ricava dalle ogive dei proiettili usati dai militari. É importante ricordare questo fatto per quello che racconteremo dopo.
La posizione della bomba proprio sotto il muro portante di quell’ala non lascia spazio a molti dubbi. Chi ce l’ha messa voleva proprio fare una strage, voleva fare il massimo numero di morti.
É un periodo per niente tranquillo quello degli anni ’70 in Italia. Sono attivi vari gruppi neofascisti, sotto la guida ideologica di Franco Freda, editore padovano e implicato in numerose vicende piene di morti.
Si parte dalla strage di Piazza Fontana a Milano, per la quale i tribunali di assise hanno concluso che Freda veniva assolto per mancanza di prove. É anche vero che nel 2005 la Cassazione ha affermato che la strage di Piazza Fontana fu realizzata da «un gruppo eversivo costituito a Padova nell'alveo di Ordine Nuovo» e «capitanato da Franco Freda e Giovanni Ventura», dichiarandoli però non più processabili in quanto «irrevocabilmente assolti dalla Corte d'assise d'appello di Bari». Freda ha sempre negato tutto questo, definendo la strage milanese come “immorale”.
Ai 16 morti e 88 feriti vanno aggiunti quelli di altre stragi successive: quella di Peteano con 3 morti, quella alla questura di Milano con 4 morti, quella del treno Italicus con 12 morti e quella di piazza della Loggia a Brescia con 8 morti.
Tutto questo sangue rientra in quella che viene definita “strategia della tensione”. Il mezzo è quello di creare allarme e panico tra i cittadini e lo scopo quello di favorire un goveo forte, autoritario, non democratico. Chi può mai avere interesse a questo?
Nel 1978 nelle questure italiane erano nate delle squadre specializzate nell’indagine su reati particolari, compresi quelli legati al terrorismo. Queste organizzazioni si chiamano DIGOS: esistono e sono operative ancora oggi.
Bene, tocca proprio alla DIGOS indicare agli inquirenti la strada da prendere. Loro hanno pochi dubbi: cercare i colpevoli tra gli estremisti di destra.
Vengono emessi 28 ordini di cattura, che poi diventeranno 50 e riguardano elementi dell’eversione fascista di quegli anni.
E, proprio come in tutte le storie che ho raccontato qui a Noncicredo, avvengono fatti curiosi e strani durante le indagini. Ci sono molti tentativi di depistare le indagini, di far seguire filoni diversi e alteativi a quella dell’eversione di destra nostrana.
La pista internazionale
Cominciamo con una telefonata che arriva ai magistrati e indica nei NAR (Nuclei Armati Rivoluzionari) gli esecutori della strage. I Nar sono in quegli anni la nuova frontiera dell’estremismo nero. Molto lontani dai loro “padri politici” Ordine nuovo, Avanguardia Nazionale, ecc. e ancora più distanti dalle logiche neofasciste del Movimento Sociale Italiano di Giorgio Almirante; impugnano apertamente le armi contro lo stato, trovando addirittura dei punti di contatto con elementi della sinistra armata. Li accomunano, in particolare, la lotta contro la borghesia capitalista e l’imperialismo sia sovietico che statunitense.I NAR sono attivi per 4 anni, fino al 1981, ma hanno sulla coscienza una serie enorme di omicidi.
Dicevo della telefonata. Viene controllata e si scopre essere la stessa che aveva attribuito a Marco Affatigato, un noto esponente dell’estrema destra, l’esplosione del DC10, precipitato a Ustica nel giugno dello stesso anno. A dire il vero Affatigato era considerato dagli estremisti neri un “infame”, una specie di spia, uno che avrebbe tradito e confessato ogni cosa. Ma la cosa più incredibile è che quelle due telefonate si rivelano entrambe false. Non solo ma provengono dall’ufficio di Firenze del SISMI, vale adire dai servizi segreti militari dell’epoca.
É questa la prima forma di depistaggio delle indagini, ma non sarà certo l’ultima, come possiamo ascoltare dalla voce del giudice istruttore di Bologna Libero Mancuso, che racconta: Notiamo che qui si parla di SISDE: si tratta dei servizi segreti civili, vale a dire dipendenti dal ministero dell’Inteo. Negi anni ’80 i Servizi segreti sia civili che militari sono coinvolti in numerosi scandali, primo tra tutti quello della loggia massonica P2, di cui parleremo più avanti. Nel 2007 queste sigle spariscono e l’intelligence nazionale viene completamente ristrutturata.
I protagonisti “noti”
Prima di entrare nel racconto, dobbiamo presentare alcuni personaggi chiave dell’intera storia. Anche se in alcuni casi non ce ne sarebbe bisogno, lo faccio per completezza.Licio Gelli, capo supremo della loggia massonica P2
Francesco Pazienza, faccendiere (termine coniato per lui), consulente del SISMI, responsabile della creazione del SuperSISMI, la costola deviata dei servizi segreti militari, affiliato alla loggia P2
Giuseppe Santovito, generale e capo del SISMI e affiliato alla loggia P2
Pietro Musumeci, generale, segretario del SISMI e affiliato alla loggia P2
Giovanni Belmonte, colonnello del SISMI, affiliato alla loggia P2.
Di Licio Gelli si è scritto e detto moltissimo. Quello che sembra non opinabile è che abbia esercitato una notevole influenza su molti ambienti, per così dire, non limpidissimi della nostra Repubblica. Politici o futuri politici, militari, servizi segreti, organizzazioni varie.
Così, un mese dopo la strage, Licio Gelli incontra Elio Cioppa, un funzionario del SISDE e gli suggerisce che non sono in Italia i veri responsabili, ma in Germania, dove in quel periodo sono attive alcune cellule eversive del terrorismo nero e neonazista.
Andrea Barbieri è un gioalista di Panorama, all’epoca settimanale di notevole impatto e di denuncia, fino a che nel 1994 viene acquistato da Silvio Berlusconi che ne fa uno zerbino delle proprie attività commerciali e politiche.
Dunque nel 1980, Panorama è un gioale molto serio. Il faccendiere Francesco Pazienza porta ad Andrea Barbieri una corposa documentazione, dalla quale risulta che ad organizzare la strage della stazione di Bologna sarebbe stato nientemento che il KGB, il servizio segreto dell’Unione Sovietica.
É piuttosto scioccante, specie se si considera che siamo ancora in clima di guerra fredda e i rapporti tra Occidente e Oriente non sono da baci e abbracci.
Secondo Pazienza, in Italia il referente dell’organizzazione criminosa sarebbe Stefano Delle Chiaie, altro estremista nero, di cui avremo modo di parlare in seguito.
E dunque si mescolano sottobosco comunista ed eversione nera, in un romanzo che definire complicato è davvero un eufemismo.
Barbieri fa di mestiere il gioalista e quindi pubblica tutto. Si scopre presto da dove saltano fuori queste notizie. La talpa è il generale Santovito del SISMI, che viene indagato per fuga di notizie riservate e segrete. Curiosamente a capo della commissione di indagine viene messo il generale Musumeci, anch’egli del SISMI, e per di più compagno di loggia P2 dell’indagato. Com’è finita? Provate ad indovinare.
Ma certo: con un niente di fatto.
Questo è anche il periodo del terrorismo palestinese, quando lungo l’Italia viaggiano armi ed esplosivi destinati ad attentati in varie parti del mondo. Questa è un’altra storia, alla quale accennerò più avanti.
E anche i servizi segreti palestinesi si mettono in mezzo, suggerendo a Rita Porena, che lavora per un gioale svizzero di pubblicare pure le loro informazioni. Queste raccontano che i terroristi, che hanno causato la morte di 85 persone, sono neri, sono italiani e tedeschi e si sono addestrati nei campi militari del terrorismo inteazionale in Libano.
É evidente che siamo di fronte ad una costante e pericolosa manipolazione delle notizie e dei gioalisti.
Solo negli anni seguenti si capisce lo scopo di tutta questa informazione. Occorre condizionare le scelte dei magistrati, sommergendoli sotto un mare di notizie difficili da approfondire, ma che comunque vanno vagliate e seguite. I magistrati si trovano così a perdere un sacco di tempo dovendo eseguire lunghe, faticose ed inutili ricerche. La situazione è anche esasperata dal fatto che le notizie arrivano un po’ alla volta, a distanza di tempo. E si usa la stampa e non la magistratura per mettere gli investigatori anche di fronte ai sentimenti dei cittadini, che in un momento così drammatico non possono che essere quelli della ricerca della verità seguendo tutte le piste, anche le più strane.
C’è, infine, da considerare che tra tutte le notizie false ce ne sono anche di vere. Magari non c’entrano con la strage, ma i magistrati sono costretti a seguire tutte le piste fino in fondo.
Operazione terrore sui treni
Nel 1981 la strategia del depistaggio arriva al suo massimo.Parte dal SISMI l’operazione “terrore sui treni”. Il generale Stantovito e Francesco Pazienza emettono una serie di informative, dirette agli organi centrali di polizia, in cui si spiega per filo e per segno chi è stato a mettere la bomba alla stazione e con quali scopi.
Come responsabili vengono indicati gli esponenti più in vista di Ordine Nuovo, Franco Freda, Giovanni Ventura e Stefano Delle Chiaie. Ma questi non hanno agito da soli, bensì in collaborazione con altri gruppi eversivi francesi e tedeschi.
Le indicazioni sono straordinariamente precise: ci sono nomi e cognomi anche degli stranieri. Seguendo i suggerimenti del SISMI, i carabinieri scoprono sul treno Taranto – Milano una borsa piena di armi, proiettili e otto barattoli di esplosivo. É Compound B, lo stesso di quello usato il 2 agosto a Bologna. Ma nella borsa, guarda caso, ci sono anche gioali francesi e tedeschi e due biglietti aerei intestati proprio ai due terroristi segnalati dal SISMI.
É tutto troppo facile, troppo preciso, troppo dilettantesco: la faccenda puzza di depistaggio.
La storia va raccontata per capire che legami ci sono in quel periodo tra le frange estremiste violente, i servizi segreti e la malavita comune.
Tra le armi trovate sul treno c’è un fucile M.A.B. della Beretta, modificato artigianalmente e identico a quello sequestrato a suo tempo alla Banda della Magliana. Era stato Paolo Carminati, feroce aderente sia alla Banda romana che ai NAR, a recuperare quell’arma in una lunga storia di conflitti intei alla Banda della Magliana, che un gioo racconterò qui a Noncicredo.
Sempre tutto semplicissimo: Paolo Carminati viene accusato di aver deposto quella borsa sul treno. C’è da dire che il personaggio è entrato e uscito con grande frequenza dalle aule dei tribunali per una serie lunghissima di reati. Ha scontato molti anni in carcere, anche se spesso se l’è cavata per riduzioni di pena o soppravvenuto indulto.
Il tribunale di Bologna, nel 2000 condanna Carminati a nove anni perché colpevole dei reati di detenzione e porto di armi da guerra e di calunnia.
Ma i successivi gradi di giudizio lo assolvono con formula piena, perché il M.A.B. trovato sul treno non corrisponde affatto a quello posseduto a suo tempo dal Carminati.
Per completezza va detto che nel 2014 Paolo Carminati finisce dentro nell’inchiesta su Mafia Capitale. Nel luglio scorso è stato condannato a 20 anni di carcere per associazione a delinquere.
Ci vogliono 4 anni per arrivare a capire come sono andate le cose. A mettere quella borsa è stato un maresciallo dei carabinieri, su mandato del SISMI e precisamente del colonnello Belmonte per incarico del generale Musumeci. Nel 1990 Belmonte e Musumeci vengono condannati dalla corte d’appello di Bologna per calunnia con l’aggravante del numero di persone coinvolte. Tuttavia viene escluso il motivo eversivo e quindi la pena risulta essere di circa otto anni per entrambi. I ricorsi presentati da tutti i condannati vengono rigettati dalla Cassazione nel 1995.
In questo guazzabuglio di false piste, si inserisce anche quella di un altro criminale, Elio Ciolini, coinvolto in mille questioni sporche, tra mafia, truffe, raggiri e altre quisquiglie simili. Negli anni che stiamo analizzando è detenuto in Svizzera e viene ascoltato dal giudice bolognese Aldo Gentile. Riferisce di sapere che la strage alla stazione è stata commissionata da una loggia massonica, la Montecarlo, emanazione della P2 di Licio Gelli. Il destinatario di questo, come dire? “incarico”, è Stefano Delle Chiaie, ma gli esecutori materiali sono, secondo Ciolini, il tedesco Fiebelko e il francese Danet. E ritoa dunque la pista inteazionale. Ma questa volta le informazioni sono ancora più dettagliate. La strage, infatti, sarebbe servita per coprire una colossale operazione finanziaria Eni-Petromin. Lo scandalo Eni-Petromin era scoppiato nel 1979 e aveva portato alle dimissioni del presidente di Eni, Mazzanti, un altro degli affiliati alla loggia P2 di Licio Gelli.
In seguito Ciolini cerca di ritrattare tutto, accusando i giudici con i quali aveva parlato, di essere loro gli inquinatori delle indagini. Nei primi anni 90, uscito dal carcere svizzero, Ciolini è stato processato e condannato per calunnia aggravata a nove anni, di cui quattro condonati.
Come si capisce, le indagini sulla strage incontrano talmente tanti ostacoli che, nel 1981, tutti i 50 indagati vengono scagionati e comincia una discussione lunghissima se sia il caso di continuare o di chiuderla lì e archiviare le indagini.
É a questo punto che si inserisce una associazione che tiene, allora e ancora oggi, viva la memoria di quel maledetto gioo di agosto: l’associazione dei parenti delle vittime. E così i processi vanno avanti.
La svolta avviene nel 1985. Ci sono nuovi mandati di cattura: per Licio Gelli, Pazienza, Musumeci e Belmonte, accusati di un tentativo di sovvertire l’ordine democratico dello Stato, usando i neofascisti come mano d’opera per le stragi.
Chi sono questi estremisti neri?
C’è Massimiliano Fachini, esperto in esplosivi, Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, sua compagna nella vita e nella lotta armata. Fioravanti è tra i fondatori dei NAR, uomo di una violenza inaudita. Ha alle spalle 8 omicidi, proprio come la Mambro. Ha ucciso avversari, passanti e uomini del suo stesso gruppo per rappresaglia o per dare una lezione o per paura che potessero parlare. É lui ad ammazzare il poliziotto Serpico a Roma, è moralmente responsabile dell’omicidio del giudice Amato. Viene arrestato a Padova mentre cerca di recuperare delle armi. Nel conflitto uccide due poliziotti di 20 anni: Enea Codotto e Luigi Maronese.
La sua faccia di ragazzino era conosciuta da tutti in Italia, grazie alla sua partecipazione in numerose serie televisive (la più famosa è La famiglia Benvenuti) e in alcuni spaghetti weste. Nel 1970 diventa militante del MSI, il partito neofascista guidato da Giorgio Almirante, poi passa alcuni anni negli Stati Uniti. Tra il 75 e il 77 entra nell’Esercito, dove subirà una serie di punizioni e condanne, anche per la sottrazione di una cassa di bombe a mano che finiranno un po’ ovunque, in particolare ai NAR e alla Banda della Magliana.
I NAR nascono verso la fine del 1977 attoo alla sede del MSI di Monteverde, un quartiere di Roma. Il gruppo che lo fonda comprende Valerio e Cristiano Fioravanti, Franco Anselmi, che verrà ucciso l’anno dopo dal proprietario di un’armeria che i NAR stanno rapinando, Alessandro Alibrandi, un altro bel personaggino, ucciso in un conflitto a fuoco con la polizia nel dicembre 1981. Poco dopo si aggiunge anche Francesca Mambro, militante neofascista del FUAN (il fronte giovanile del MSI) che diventerà la fidanzata e poi la moglie di Valerio Fioravanti.
Ma toiamo ai fatti della strage. Dunque qualcuno ha fatto i nomi dei due terroristi neri. Chi è stato?
Chi ha dunque accusato Fioravanti e Mambro della strage? C’è un nuovo personaggio, che entra nella nostra storia. Si tratta di Massimiliano Sparti. Lui è un elemento di minore importanza della Banda della Magliana. É quello che procura documenti falsi. Ed è lui a raccontare che Fioravanti lo raggiunge a Roma per avere documenti falsi per sé e per la Mambro. La frase incriminata detta da Giusva sarebbe stata “Hai visto che botto?”.
É quello che basta a far decollare di nuovo il processo. Ma sulla deposizione di Sparti i dubbi sono moltissimi, come vedremo tra poco.
Il problema per i due terroristi neri è che manca loro un alibi per quel 2 agosto. Dicono infatti di essere stati a Padova, assieme al camerata Gilberto Cavallini, per incontrare un misterioso “zio Otto”. Si contraddicono e nessuno crede loro.
Il fatto di usare dei soprannomi, come “zio Otto”, e di non sapere mai di chi si tratta è tipico del periodo in cui è meglio stare defilati con la testa bassa non far sapere chi si è davvero.
É solo nel 1998 che il giudice istruttore di Milano, Guido Salvini, si trova tra le mani proprio quel nome, “zio Otto”. Salvini sta indagando sui legami tra terrorismo nero e apparati militari più o meno segreti, quando conosce un neofascista, Carlo Digilio, così legato ai servizi americani da far pensare che sia in realtà un agente della CIA. Lui confermerà di conoscere un neofascista dei NAR, Gilberto Cavallini e di averlo incontrato il 2 agosto 1980 a Padova.
Questo non significa che Fioravanti e Mambro fossero anch’essi a Padova. Ma nemmeno il contrario.
E così, anche se la massa enorme di informazioni che arrivano da ogni parte sono evidentemente tutte tentativi di depistare le indagini, la strada che si segue porta proprio là dove qualcuno vuole che arrivi. Già, ma chi? E perché?
C’è una domanda che tutti si fanno durante il processo ai NAR. Fioravanti e Mambro hanno la faccia degli stragisti? Sembrerebbe di no. Hanno condanne per quasi 10 ergastoli, hanno confessato tutto entrando spesso nei particolari di omicidi, esecuzioni, rapine e quant’altro. Ma la strage no, non è nel loro stile. Sono abituati a uccidere faccia a faccia, a sangue freddo. Non sono dei vigliacchi. Questo emerge dall’analisi della personalità dei due capi dei NAR. Ascoltiamoli in una delle deposizioni durante il processo. I magistrati però non danno loro credito. Una strage del genere, dicono, non la confessa nessuno.
Accanto a Fioravanti e Mambro altre due persone sono coinvolte nel processo. Sono Sergio Picciafuoco e Luigi Ciavardini, solo 17enne all’epoca della bomba. Il primo era presente alla stazione di Bologna: sarà infatti medicato al pronto soccorso per una ferita alla testa riportata in seguito all’esplosione.
Ciavardini invece telefona alla fidanzata a Roma dicendole di non prendere il treno il 2 agosto, ma il gioo dopo perché ci sarebbero stati problemi. Il suo processo si farà più tardi, una volta diventato maggiorenne.
Le varie fasi dei processi
E veniamo adesso ai processi, molti e abbastanza incasinati nel loro procedere.Quello di primo grado comincia nel marzo 1987 e si conclude con molte condanne:
Fioravanti, Mambro, Picciafuoco e Fachini prendono l’ergastolo.
Licio Gelli, Pazienza, Musumeci e Belmonte sono condannati a 10 anni per calunnia aggravata.
In appello le condanne per strage spariscono e quelle per i depistaggi vengono sensibilmente ridotte. Licio Gelli è dichiarato innocente.
Si arriva così in cassazione nel 1992 e qui ecco la sorpresa: quel tribunale infatti dichiara l’ultima sentenza “illogica e priva di fondamento”, come a dire che i giudici del tribunale di appello avevano avuto delle visioni o si erano bevuti troppi fiaschi di Sangiovese.
E così bisogna toare indietro e cominciare di nuovo.
Si riparte dall’appello: Fioravanti, Mambro, Picciafuoco sono condannati all’ergastolo per strage. Fachini viene assolto.
Nel 1996 Picciafuoco viene assolto dalla corte d’assise di Firenze, con conferma l’anno successivo da parte della cassazione. Quindi restano in carcere per aver commesso quell’orrendo delitto solo Giusva Fioravanti e Francesca Mambro.
Licio Gelli, Pazienza, Musumeci e Belmonte sono condannati a 9 anni per calunnia aggravata da finalità di terrorismo.
Nel 1996 la cassazione conferma queste sentenze.
Nel 2002 Luigi Ciavardini è condannato a 30 anni per la strage di Bologna. La sua posizione, come ricordavo prima, era stata stralciata nei primi processi perché era ancora minorenne.
Tutto a posto dunque, almeno dal punto di vista della giustizia. La faccenda è chiusa. I colpevoli sono stati condannati e sono rinchiusi in carcere. Ma c’è qualcosa che non quadra, di cui non si riesce a dare conto. Mancano risposte ad alcune domande fondamentali: chi sono i mandanti? qual è il movente di questa strage? Perché i due condannati, che hanno ammesso una montagna di omicidi continuano a sostenere che di quella brutta vicenda non sono per niente responsabili? E che fine hanno fatto i Servizi segreti che hanno cercato in ogni modo di depistare le indagini? Perché lo hanno fatto? Per coprire chi o che cosa?
Ascoltiamo ancora la voce Libero Mancuso E le domande continuano. Perché mai questa dovrebbe essere una strage “speciale”, ben diversa da tutte le altre che hanno insanguinato il paese durante la strategia della tensione da Piazza Fontana in poi?
Ce ne parla Giovanni Pellegrino, ex presidente della Commissioni Stragi:
I dubbi sull’inchiesta: i testimoni sono credibili?
Ci sono, inutile girarci attoo, dubbi molto forti sulla reale colpevolezza dei condannati. Sono dubbi trasversali; qui non c’entra la destra o la sinistra, ma un procedimento quanto meno allegro da parte dei magistrati. Vediamo alcuni esempi.L’impianto accusatorio è basato su due testimoni chiave: Massimiliano Sparti e Angelo Izzo.
Sparti lo abbiamo già incontrato di sfuggita. É quello che procura i documenti falsi ai due terroristi due gioi dopo la strage. In un primo momento dichiara di aver richiesto quei documenti ad un certo Ginesi, detto “Ossigeno”, poi però si ricorda che la foto della Mambro l’aveva data ad un altro falsario, Fausto De Vecchi.
De Vecchi viene allora interrogato, ma nega ogni cosa, specie di aver ricevuto fotografie femminili per quei documenti. Solo dieci anni dopo confermerà che della faccenda dei documenti di Fioravanti e Mambro aveva saputo perché glielo aveva raccontato Sparti, ma non era aveva avuto alcun ruolo nella vicenda.
Sparti non conosce la Mambro, ma afferma che la donna si era tinta i capelli per non essere riconosciuta e tuttavia quando viene fatta l’analisi dei capelli, dopo l’arresto della terrorista, non si trova alcuna traccia di tintura, che solitamente rimane in residuo per molto tempo.
Probabilmente grazie alla sua testimonianza, che incastra i due terroristi, viene lascito uscire dal carcere di Pisa dov’era rinchiuso, perché i sanitari diagnosticano un tumore terminale al pancreas. Ricoverato al San Camillo di Roma, ecco il miracolo. Di quel tumore non c’è alcuna traccia. Nel 1997, durante il processo di Bologna, i carabinieri vanno all’ospedale per prelevare la cartella clinica. Ma quella cartella non si trova più: è andata distrutta in un incendio scoppiano nel 1991, proprio nell’archivio del San Camillo. Guarda caso.
Anche in famiglia, Sparti non gode di molta credibilità. La moglie, Argene Zucchetti, la domestica e due conoscenti di famiglia, Luciana Torchia e Vincenzo Tallarico (zio della domestica) lo smentiscono ripetutamente, affermando, tra l’altro che Massimiliano nemmeno si trovava a Roma il 4 agosto 1980, ma a Vetralla, vicino a Viterbo.
Anche il figlio racconta che in punto di morte il padre gli confessa di aver inventato tutta quella storia, ma che a fare questo era stato costretto, senza però aggiungere da chi.
Nonostante tutto questo e nonostante lo Sparti cada in diverse contraddizioni durante la sua testimonianza, viene sempre ritenuto affidabile dai giudici, che tirano dritti per la loro strada. E anche questo è davvero strano.
Il secondo testimone è un delinquente pericoloso: si tratta di Angelo Izzo, uno dei due responsabili del cosiddetto massacro del Circeo. In quell’occasione due ragazze, di 17 e 19 anni, vengono rapite, drogate, stuprate ripetutamente per un gioo e mezzo e poi uccise. Una di loro, tuttavia, sopravvive e questo porta Izzo e il suo compare Andrea Ghira ad essere condannati. Entrambi fanno parte di una formazione giovanile del Movimento Sociale, dalla quale tuttavia vengono espulsi perché scoperti a rubare motorini, che nascondono nel cortile inteo della sezione. Insomma due delinquenti comuni.
Durante la detenzione, Angelo Izzo manifesta più volte il desiderio di diventare un collaboratore di giustizia, sostenendo di aver ricevuto in carcere molte informazioni importanti dai detenuti di estrema destra. Per quanto riguarda la strage di Bologna, fa i nomi degli esecutori: Fioravanti e Mambro e poi Luigi Ciavardini, Massimiliano Taddeini e Nanni De Angelis. Questi ultimi due sono di Terza Posizione, altro movimento eversivo nero.
Anche il giudice Falcone aveva interrogato Izzo durante una deposizione sulla mafia; il risultato? Falcone lo aveva accusato di calunnia.
La magistratura di Bologna invece gli crede. Poco importa che De Angelis e Taddeini abbiano un alibi di ferro ed escano quindi subito di scena.
Se questi sono i testimoni chiave, credo sia più che legittimo avere dei dubbi su quanto avvenuto nel processo contro Fioravanti e Mambro. Rimane aperta la domanda: “Chi si doveva coprire?”.
Ma i depistaggi non finiscono qui.
La pista palestinese
C’è infatti un’altra strada che si è fatta largo negli anni: la pista palestinese.Nel 1979 ad Ortona vengono arrestate tre persone dell’autonomia operaia romana. Stanno trasportando due missili destinati in Libano. Nell’operazione finisce dentro anche Anzeh Saleh, responsabile in Italia del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina di George Abbash, una delle costole più violente dell’OLP di Yasser Arafat. Compito di Saleh è quello di organizzare il transito di armi attraverso l’Italia e sostenere così la lotta palestinese contro Israele.
La storia dei rapporti italiani con Israele da un lato e la Palestina dall’altro negli anni ’70 meriterebbe una intera puntata, e magari lo faremo qui a Noncicredo. Adesso cerchiamo solo di raccogliere le informazioni che ci servono per capire da cosa derivi questa pista palestinese nel caso della strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980.
Settembre Nero, in quegli anni, è l’organizzazione più violenta del panorama palestinese. Basta ricordare i fatti avvenuti durante le olimpiadi di Monaco di Baviera con 17 morti tra ostaggi e terroristi.
In Italia non abbiamo mai avuto problemi di questo genere. Perché? Eppure siamo sempre legati strettamente agli USA e di conseguenza a Israele.
A dire il vero qualcosa succede. Nell’agosto del 1972 saltano in aria quattro cistee dell’oleodotto Trieste Monaco. Sempre in agosto due turiste inglesi conoscono a Roma due giovanotti arabi, con cui passano un po’ di tempo. Questi regalano loro un mangianastri. Le due turiste prendono un aereo israeliano per recarsi in Israele. Nel mangianastri c’è una carica di tritolo. Per fortuna esplode troppo presto, quando l’aereo è ancora in fase di decollo e non muore nessuno. Entrambi gli attentati vengono rivendicati da Settembre Nero.
Niente di grave, niente di irreparabile, ma sono segnali che spaventano il goveo italiano, che decide che bisogna fare qualcosa. Così un colonnello dei carabinieri, uno di quelli duri, che dirige i Servizi Segreti in Medio Oriente, viene incaricato di risolvere la questione. Si tratta di Stefano Giovannone, che entrerà nella tragica storia di Italo Toni e Graziella De Palo, spariti nel nulla in Libano. Ma questa è un’altra storia che vi racconterò un’altra volta.
In quel periodo, ministro degli Esteri è Aldo Moro, il quale si accorda segretamente con i palestinesi (con Arafat e gli altri). In sostanza di può riassumere così: “Noi chiudiamo un occhio sui terroristi che sono o transitano nel nostro paese e voi lasciate in pace l’Italia e non fate attentati”.
Come si sanno queste cose?
Quando Moro viene rapito dalle Brigate Rosse, scrive alcune lettere rimaste famose. In una di queste invita esplicitamente lo Stato a trattare coi terroristi, a scambiare i prigionieri, come del resto era stato fatto a suo tempo con i palestinesi!
Ecco come lo storico Aldo Giannuli racconta questi fatti Questa scelta non può certo far felici gli americani e i rapporti si deteriorano, anche perché succedono alcune cose strane.
I due ragazzi che avevano consegnato la bomba alle turiste inglesi vengono arrestati, ma dopo qualche mese sono scarcerati e svaniscono nel nulla.
Nel 1973 due iraniani sono fermati a Fiumicino; hanno addosso pistole e bombe a mano; vengono scarcerati e svaniscono nel nulla.
Poco dopo vengono arrestati 5 membri dell’OLP che hanno in casa due lanciamissili terra-aria. Si ipotizza che vogliano abbattere un aereo israeliano. Mandati sotto processo, ai due viene concessa la libertà provvisoria. Questi due sono accompagnati dallo stesso colonnello Giovannone in Libia. Gli altri sono condannati a 5 anni dopo un processo a porte chiuse e scarcerati dietro il pagamento di una cauzione di 20 milioni di lire. Qualcuno la paga e anche di loro non si saprà più nulla.
L’accordo Moro funziona e per alcuni anni l’Italia rimane fuori dagli attentati palestinesi.
Ma gli israeliani non ci stanno.
L’aereo che porta in Libia i due terroristi liberati cade a Marghera. I membri dell’equipaggio muoiono. Il sospetto che dietro questo “incidente” ci sia il Mossad è molto forte.
C’è anche un processo, durante il quale il capo del Mossad stesso viene accusato di strage, mentre sei ufficiali del SISDE lo sono per aver depistato le indagini. Come è ovvio, vengono tutti assolti perché il fatto non sussiste. Insomma la parola d’ordine è non entrarci per niente o il meno possibile. Gli interessi di stato vengono prima di ogni altra cosa.
In Israele è al goveo Golda Meir. Lei stila una lista di nomi: ci sono tutti i terroristi che hanno partecipato all’attentato di Monaco. L’ordine è inequivocabile: vanno eliminati tutti. Per farlo crea un gruppo speciale nel Mossad, il Comitato X.
Dal 72 al 79 c’è la cosiddetta “guerra degli spettri”. Il primo nome della lista viene rintracciato in Italia. E’ un poeta e traduttore, ma anche un cugino di Arafat e rappresenta l’OLP in Italia. Viene ucciso nell’androne di casa sua con 11 colpi di pistola.
Fatta questa doverosa premessa, toiamo alla strage di Bologna. Possibile che non ci sia stata nessuna avvisaglia di quello che stava per accadere?
In effetti, quando Anzeh Salesh finisce in carcere per la questione dei missili di Ortona, il capo del Fronte per la liberazione della palestina, George Abbash non la prende per niente bene. Per questo nel gennaio del 1980 l’UCIGOS (l’ufficio della polizia che si occupa della prevenzione di fatti criminosi come quello della strage) dirama questa segnalazione:
“George Habbash, leader del FPLP, contrariato per l’arresto del Saleh e la conseguente dannosa pubblicità per il suo Fronte, starebbe manovrando contatti informali con ambiti diplomatici arabi per far pressioni sul goveo italiano al fine di ottenee il rilascio. Il leader del FPLP non escluderebbe il ricatto terroristico nei confronti dell’Italia pur di liberare il Saleh, anche perché quest’ultimo conoscerebbe le strutture clandestine del Fronte ed i suoi collegamenti politici occulti”.
É il timore di una minaccia e da parte di organizzazioni che non si fanno certo scrupolo di far seguire i fatti alle parole.
L’8 marzo 1980, cinque mesi prima della strage alla stazione, è la questura di Bologna a segnalare al Viminale un certo nervosismo negli ambienti della resistenza palestinese per la detenzione di Saleh. E, infine, l’11 luglio 1980, è il prefetto Gaspare De Francisci, capo dell’UCIGOS, a rinnovare l’allarme, inviando un’informativa al SISDE, il servizio segreto civile e al questore di Bari (Saleh in quel periodo era detenuto nel carcere speciale di Trani). “Fonte qualificata - scrive De Francisci - ha riferito che la condanna dell’arabo Abu Anzeh Saleh ha determinato negative reazioni negli ambienti del FPLP e non viene escluso che, da parte della stessa organizzazione, possa essere tentata una ritorsione nei confronti del nostro Paese”.
Certo che non ha senso parlare di attentato dimostratico con tutti quei morti. Si avanza allora l’ipotesi che il disastro sia dovuto alla presenza non prevista di un treno sul primo binario e che l’onda d’urto uscita dalla sala d’aspetto abbia investito il treno, sia rimbalzata indietro, facendo crollare il tetto con le conseguenze che sappiamo.
Questa pista viene seguita da due gioalisti coraggiosi, che ho già citato: Italo Toni e Gabriella De Palo. Indagano in Italia e poi vanno in Libano, dove, secondo le informazioni ufficiali chiedono proprio al Fronte di Abbash di poter visitare le postazioni palestinesi nel Sud del Libano. Partono il 2 settembre da Beirut in una macchina guidata da uomini di Abbash. Da quel momento di loro non si saprà più niente: altre due vittime della strage di Bologna?
Ustica e Bologna: stessa matrice?
Come ultima ipotesi avanzata da più parti c’è quella che collega l’esplosione del DC9 sopra Ustica con la strage alla stazione. I due episodi sono distanti soltanto 36 gioi. Non importa qui cosa sappiamo oggi di quell’episodio. Conta quello che si pensa all’epoca delle analisi sulla strage di Bologna.L’ipotesi più rilevante è quella sostenuta, a più riprese, dall’on. Zamberletti: ad abbattere il DC9 dell’ITAVIA sono stati aerei da caccia libici, per una forma cruenta di ritorsione contro l’Italia, colpevole di essere intenzionata a sottoscrivere un accordo con Malta che in questo modo sarebbe uscita dalla sfera d’influenza di Gheddafi.
Dal momento che questo "avvertimento" non viene raccolto, il 2 agosto, alla stazione di Bologna, una bomba esplode proprio nello stesso momento in cui a Malta quell’accordo viene firmato.
Ma, in realtà, di ipotesi se ne può formulare anche un'altra. Ancora più grave. Nei cieli di Ustica, la sera del 27 giugno, avviene qualcosa di innominabile, un vero atto di guerra che coinvolge il nostro aereo civile. Protagonisti dell’abbattimento del DC9 sono velivoli che appartengono al Patto Atlantico. Per "coprire" questo tragico evento che avrebbe immense ripercussioni inteazionali e rischierebbe di minare i delicati equilibri esistenti all’inteo della NATO, ecco che, nell’immediatezza dell’accaduto, vengono diffuse due versioni.
La prima è quella dell’attentato, versione avvalorata dalla telefonata anonima che indica Marco Affatigato, estremista di destra - ma in realtà in stretto rapporto sia con i servizi segreti italiani, sia con quelli francesi - come presente sull’aereo con una bomba. Versione che ha poco senso di esistere, visto che Affatigato è ancora vivo ed è stato arrestato un paio di anni fa perché deve scontare diversi anni per bancarotta e truffa.
La seconda versione diventerà a lungo quella ufficiale: il cedimento strutturale. In altre parole l’aereo, vecchio, si sarebbe, praticamente, autodistrutto.
Tutte ipotesi poi smentite, ma l’affare di Ustica è un’altra storia che prima o poi racconterò quei a Noncicredo.
Per avvalorare la bomba a bordo ecco allora che, 36 gioi dopo la strage di Ustica, un’altra bomba esplode alla stazione di Bologna, ordigno quest’ultimo che viene subito indicato – e dal capo del goveo in carica, Francesco Cossiga - come di chiara matrice fascista. L’equazione che si prospetta all’opinione pubblica è elementare: i fascisti stanno attaccando il sistema dei trasporti che hanno il loro nodo a Bologna. Non va infatti dimenticato che – con due, misteriose, ore di ritardo – il DC9 è decollato proprio dall’aeroporto del capoluogo emiliano.
Resta però sempre la stessa domanda: chi ha messo la bomba alla stazione di Bologna?
La risposta sta in un altro episodio, che ho già raccontato, quello del ritrovamento dell’esplosivo T4 sul treno Taranto Milano. Non appena la valigia viene ritrovata, sono proprio gli agenti del SISMI a far sapere alla magistratura che l’esplosivo contenuto nella valigia è dello stesso tipo di quello impiegato per far saltare l’aereo di Ustica. E in effetti tracce di T4 militare verranno trovate sui reperti del DC9, ma molto tempo dopo.
Domanda: come facevano i servizi segreti a sapere – con largo anticipo sulle perizie - di questa coincidenza di esplosivo? Abbiamo già visto che l’esplosivo era stato messo sul treno dagli stessi agenti del SISMI.
Potranno sembrare ipotesi fantasiose: 85 morti per coprire la morte di altre 81 vittime innocenti. Ma questa è la storia dei fatti, delle cronache e come tali ve li ho offerti in questa puntata di Noncicredo.
Gelli, Pazienza e i Servizi
La nostra storia della strage alla stazione di Bologna potrebbe finire qui, senza una conclusione. Certo è che tra tutte le stragi avvenute negli anni di piombo nel nostro paese senza sentenze e colpevoli, questa che ha una conclusione giudiziaria e tanto di condannati, è probabilmente quella che lascia più dubbi di tutte. É un altro dei numerosi e imbarazzanti Misteri d’Italia.Rileggendo le vicende di quel 1980, altre domande saltano fuori, perché i nomi che compaiono sono quelli che determineranno negli anni seguenti, fino al terremoto di Mani Pulite, la storia nascosta del nostro paese.
In particolare è abbastanza interessante cercare di capire come Gelli e Pazienza diventano, passatemi l’espressione non esattissima, i proprietari del SISMI. Cominciamo dall’inizio.
Ecco come Gelli e Pazienza s'impossessarono del SISMI
Licio Gelli è il regista nascosto che tutto ha mosso. Come accennato, qui interviene tutto un sottobosco: i gruppi neofascisti romani e veneti, uomini legati alle varie mafie come Aldo Semerari, i servizi segreti militari e civili, la banda della Magliana, che porta dritto al capo mafia Pippo Calò, responsabile della strage di Natale, quella sul rapido 904 Napoli Milano. La Banda della Magliana poi è intrecciata con camorra e ‘ndrangheta. Insomma un bel purè.Ma toiamo all’accoppiata Gelli-Pazienza. Perché Gelli è stato così potente da tentare di determinare tutta la politica italiana?
Secondo le analisi fatte da molti magistrati dell’epoca, a proteggere il Venerabile (com’era chiamato) è nientemeno che Giulio Andreotti, per anni presidente del consiglio e ministro della difesa. Sarebbe stato lui a mettere in contatto Gelli con ambienti della NATO, consentendo così a Gelli di ottenere importanti commesse molto redditizie. Forte di queste protezioni può dunque iniziare con successo l’opera di proselitismo che porta nomi molto importanti della politica, dell’economia e della difesa ad iscriversi alla sua loggia massonica. Questo lavoro finisce nel marzo 1981 con la scoperta dei famosi elenchi degli adepti.
Francesco Pazienza fa la sua comparsa nel 1978. Secondo il professor Ferracuti, un consulente del SISDE, Pazienza viene presentato come candidato per entrare nei servizi segreti civili da Michael Ledeen, noto gioalista americano, che compare in numerose cronache giudiziarie e scandalistiche degli USA. I vertici del SISDE non ne vogliono sapere di Pazienza e così Ledeen si rivolge direttamente al ministro della difesa Giulio Andreotti. É così che Pazienza invece di finire al SISDE, entra nel SISMI del generale Santovito.
Secondo il giudice Libero Mancuso, giudice istruttore al tribunale di Bologna nel 1980, a dirigere il SISMI in quel fatidico anno erano Pazienza, Musumeci, Santovito e Gelli.
Appena le indagini cominciano a puntare sui vari Semerari, Signorelli, Fachini che avrebbero portato al cuore della loggia P2, i quattro mettono in atto tutta la serie di depistaggi che ho raccontato stasera. Il vincolo che lega gli ambienti della P2 agli esecutori della strage è lo stesso che emerge in altri delitti, come quello di Mino Pecorelli, il gioalista assassinato a Roma nel marzo 1979.
Gelli è morto, Pazienza è libero e vive in Liguria. È stato condannato a 13 anni, ritenuto responsabile non solo del depistaggio di cui ho parlato stasera, ma anche di essere entrato nella vicenda del crack del Banco Ambrosiano e quindi di associazione a delinquere. Resta in carcere 12 anni: esce nel 2007.
Le ultime notizie
Dunque siamo di fronte ad una strage in cui si fa fatica a capire chi è stato, chi l’ha organizzata e perché. I dubbi sulle conclusioni alle quali la giustizia è arrivata sono talmente grandi da far riaprire il caso nel 2017.Nel frattempo che ne è dei due principali condannati, Fioravanti e Mambro?
Giusva è un uomo libero dall’aprile del 2009 dopo 26 anni di carcere. Dagli anni ’90 collabora, come beneficiario di un programma di reinserimento di detenuti con “Nessuno tocchi Caino”, associazione contro la pena di morte legata al Partito Radicale.
Francesca Mambro invece è libera dal settembre 2013, avendo scontato la pena e il periodo di libertà condizionale. Anche lei lavora con il marito per l’associazione “Nessuno tocchi Caino”.
Per entrambi la documentazione della revisione parla di un sicuro ravvedimento e pentimento per i numerosi ed efferati delitti commessi. Ma, lo ribadisco, i due si sono sempre dichiarati estranei ad ogni coinvolgimento nella strage della stazione.
Dunque, nel 2017, parte un nuovo filone di inchiesta gestito dalla procura generale di Bologna, che avvia una rogatoria in Svizzera per verificare i movimenti di denaro (parliamo di diversi milioni di dollari) che prima della strage sarebbero partiti da un conto bancario, riconducibile a Licio Gelli, in favore di personaggi appartenenti ad ambienti dei Servizi Segreti, a gioalisti e a elementi della sezione veneta di Ordine Nuovo. Si parla di Carlo Maria Maggi e Maurizio Belmonte, condannati l’estate scorsa in via definitiva all’ergastolo per la strage di piazza della Loggia a Brescia del 1974.
L’ipotesi che si avanza è che Licio Gelli non sia stato solo responsabile dei depistaggi di cui ho parlato stasera, ma che sia stato anche il mandante o uno dei mandanti della strage. C’è un documento ritenuto importante dagli inquirenti, classificato come “Bologna Bologna – 525779 – X.S.”, che proviene dai fascicoli del processo per il crack del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi.
Nel frattempo mancano ormai pochi gioi per l’apertura di un nuovo processo per la strage di Bologna. Anche se sono passati quasi 40 anni, è evidente che non c’è soddisfazione su come sono finite le cose. Alla sbarra ci sarà Gilberto Cavallini, ergastolano in semilibertà, accusato di aver foito supporto logistico a Fioravanti, Mambro e Ciavardini, vale a dire ai tre condannati per l’eccidio della stazione. Avrebbe foito alloggio a Padova, documenti e l’auto per arrivare a Bologna.
«A Bologna - ha commentato il difensore di Cavallini - c’è questa verità ideologica. La strage è fascista e guai a chi si azzarda a dire il contrario: sarà sempre così, immagino, non cambierà».
Non so come finirà tutta questa storia e se finalmente i parenti delle vittime riusciranno a capire perché i loro cari, 85 persone innocenti, sono morti quella maledetta mattina d’agosto.
E che la strage sia da definire fascista o meno credo sia irrilevante, anche se in tutta questa vicenda il terrorismo nero e neofascista è sempre presente, anche all’inteo dei servizi segreti deviati.
Quello che resta, nel rileggere tutta la storia che, ancora una volta, settori importanti dello stato pertecipano ad una gestione di potere e di interessi, che passa sopra la vita dei cittadini come un carro armato.