Ricapitoliamo

Eccoci alla terza ed ultima puntata sul Vaticano.
VaticanoNelle prime due abbiamo seguito le vicissitudini dello IOR di Marcinkus, legato a molti dei tragici avvenimenti italiani da metà anni 70 alla fine degli anni ’80.
Ciò che emerge da questo racconto sono, soprattutto, gli intrecci che parte del Vaticano ha avuto con personaggi e organizzazioni, come dire?, poco raccomandabili della nostra Repubblica. Si comincia con Michele Sindona, chiamato al capezzale delle finanze vaticane da Paolo VI e, di fatto, inserito nei maneggi che la banca del papa, l’Istituto Opere Religiose, per tutti semplicemente IOR, nei maneggi di una finanza “spensierata” e decisamente malavitosa. Dai documenti, di cui parlerò tra poco, emerge una visione orripilante di un istituto che dovrebbe dedicarsi al bene degli altri, alle opere pie, al sostegno delle persone in difficoltà.
Questo avviene? Decisamente no, perché i conti cifrati dello IOR appartengono a ricchi e potenti, a delinquenti comuni, a organizzazioni criminali potentissime. Si parla qui non del ladro di bicilette, ma dei capi della Banda della Magliana, che arrivano da Marcinkus con borsoni pieni di soldi, frutto della vendita e dello spaccio di cocaina ed eroina, sporchi di sangue di ragazze e ragazzi. Si parla dei denari che porta in Vaticano il mafioso Pippo Calò. Lui non è un uomo qualunque, un picciotto qualsiasi. È il tesoriere della mafia, di “Cosa Nostra” a Roma. È l’incaricato di ripulire i soldi che provengono da attività criminali efferate e terribili e, anche qui, dal commercio all’ingrosso di droghe di ogni genere. Lo IOR di Marcinkus lavora in combutta con Il Banco Ambrosiano, diretto da Roberto Calvi. A quanto pare, l’eminenza grigia dietro questi due personaggi è ancora lui, Michele Sindona, che conquista un impero economico certo non lavorando il sabato e la domenica in un supermercato. Dunque Marcinkus e Calvi offrono ai loro clienti, non la gestione dei mutui, ma due operazioni altamente remunerative:
  • l’esportazione di capitali all’estero, in un momento in cui questo è considerato un reato penale
  • il riciclaggio del denaro sporco.
VaticanoPer questo vengono aperte filiali e succursali in vari paradisi fiscali, dal Lussembrugo alle isole caraibiche. C’è un’altra attività importante, questa voluta e diretta da papa Carol Wojtyla, il finanziamento di Solidarnosc, il sindacato polacco di Lech Wałęsa, con l’obiettivo di fermare il comunismo d’oltrecortina e riaffermare la religione cattolica in quei paesi, ma soprattutto in Polonia, patria del papa. A quest’opera Wojtila aveva lavorato anche prima di diventare pontefice, quando era vescovo a Cracovia e, per questo, era sotto osservazione da parte dei servizi segreti russi, della DDR e della stessa Polonia.
Questi finanziamenti sono ritenuti da molti osservatori, dalla stessa CIA, pericolosi per la destabilizzazione dei rapporti tra Occidente e Paesi dell’Est. A fianco di questi, ce ne sono altri, decisamente meno condivisibili, come quelli che forniscono soldi alle dittature militari del Sud America, i cui comportamenti con gli insegnamenti cristiani non si capisce bene cosa abbiano a che fare.
Questa è la storia pregressa. Nell’ultima puntata ho cercato di far notare come la storia del Vaticano e dello IOR si leghino a brutti fatti di cronaca nera, come la sparizione di Emanuela Orlandi, cittadina vaticana, probabilmente fatta fuori dagli uomini di Enrico De Pedis, capo della banda della Magliana, su incarico di Marcinkus, per ammonire che non si guardasse troppo sotto il tappeto, dove erano raccolte tutte le sue schifosissime manovre finanziarie e non solo. Tutelato dal Vaticano e dallo stesso Papa, Marcinkus non viene mai condannato, sia per l’impossibilità di ottenere qualsiasi tipo di collaborazione da parte della Santa Sede, sia perché l’unico processo al quale è sottoposto termina con la sua assoluzione “per insufficienza di prove”.
Nel 1989 Marcinkus lascia lo IOR e l’anno successivo torna a Chicago. Dal 1997, compiuti 75 anni, si dimette da qualsiasi incarico. Muore 9 anni più tardi in Arizona.
Ora, la domanda diventa un’altra. Perché si dimette proprio nel 1989? E poi, si dimette lui o lo dimette il Papa? Cos’ha di particolare quell’anno, il 1989?
Cominciamo da qui la storia di questa nuova puntata, con nuovi personaggi e nuove vicende, che però assomigliano in un modo o nell’altro a quelle già raccontate nelle ultime settimane.

E' l’anno 1989, comincia il dopo Marcinkus

Dunque il 1989. Non c’è alcun dubbio che l’evento più clamoroso di quell’anno sia stato il crollo del muro di Berlino, simbolo della fine del sogno socialista nei paesi dell’Est. E anche fine della guerra fredda e della necessità di sostenere gli attivisti anticomunisti nei vari paesi, tra i quali anche Solidarnosc di Lech Wałęsa, di lì a poco presidente della repubblica polacca per cinque anni.
A dirla tutta, i finanziamenti del Vaticano con destinazione Varsavia o Danzica, non servono più e quindi anche Marcinkus può essere rottamato. Per questo il papa polacco, Carol Wojtyla, lo rimuove da direttore dello IOR e lo destina ad altro incarico, dal quale il prelato americano si dimetterà presto per tornare a casa sua, a Chicago negli Stati Uniti.
Finisce così l’era Marcinkus allo IOR. Forse possiamo pensare che è tempo di tirare un sospiro di sollievo e attendersi anni di illuminata e trasparente gestione del patrimonio della Santa Sede.
Sarà così?
Vediamo come sono andate le cose.
I racconti che ho fatto nelle scorse puntata e in questa, sono testimoniate in libri che sono diventati imprescindibili per chi si occupa dei fatti terreni della Santa Sede. Uno di questi è quello di Gianluigi Nuzzi, “Vaticano SpA”, che contiene un sacco di informazioni, ritenute inaccessibili, sulla vita, anche segreta, anche economica e finanziaria del piccolo stato.
Com’è stato possibile?
L’origine di quelle informazioni ha un nome e un cognome: monsignor Renato Dardozzi, parmense, nato nel 1922 e deceduto nel 2003. Tra le sue Vaticanovolontà finali, spicca quella che tutta la documentazione, che aveva raccolto negli anni, fosse resa pubblica, cosa che avviene nel 2009.
La storia di Dardozzi è piuttosto curiosa, intanto perché viene ordinato sacerdote ad una età strana rispetto al solito, ad oltre 40 anni. Prima si dimostra uno studente eccezionale, in quanto si laurea in matematica e fisica, poi in ingegneria elettronica, diventando esperto di telecomunicazioni. Diventa subito dirigente alla SIP (l’attuale Telecom) fino a diventarne direttore generale. Poi passa a STET, grande holding delle telecomunicazioni, con incarichi molto prestigiosi. Insomma uno che di strada ne ha fatta un bel po’. Non contento si laurea presso la Pontificia Università Gregoriana e viene ordinato sacerdote. Anche qui la sua carriera è luminosa, accedendo ad importantissimi incarichi. Tra i molti quello di controllare la situazione del Banco Ambrosiano di Calvi e l’approfondimento dello studio della “Questione galileiana”, conclusasi con le scuse della Chiesa per la bestialità commessa diversi secoli prima. Dal 1986 in poi è un personaggio davvero di primissimo piano nelle gerarchie vaticane, essendo uno dei pochissimi consiglieri dei cardinali che si sono succeduti alla Segreteria di Stato, come dire i numero 2 dopo il Papa, da Agostino Casaroli ad Angelo Sodano.
È così che il giornalista Nuzzi viene in possesso di informazioni di prima mano sulle questioni che coinvolgono la Santa Sede e che sono a dir poco scottanti. Il monsignore è scrupoloso e per ogni vicenda annota quello che sa.
Crea un archivio pazzesco, fatto di tante cartelline gialle, dove c’è un po’ di tutto.
Ci sono i conti aperti dai superboss mafiosi Bernardo Provenzano e Totò Riina presso lo IOR; ci sono le vicende dell’Ambrosiano e della tangente Enimont, che scoperchia il bubbone che conosciamo come Tangentopoli e molto altro ancora.
In particolare questo archivio, questa memoria storica, svela come ci fosse all’interno del Vaticano una specie di “Ufficio affari riservati”, che aveva il compito di raddrizzare o mettere a tacere le vicende finanziarie più imbarazzanti e tormentate negli anni del papato di Carol Wojtyla, appena terminata l’era tragica di Marcinkus e Calvi.

Cambiare uomo per non cambiare niente: Donato De Bonis

Da Vaticano SpA leggiamo:
«Nel 1989 Marcinkus è ormai indifendibile. Per allontanarlo è necessaria la riforma dello IOR, che istituisce una commissione cardinalizia di vigilanza sulla banca vaticana e crea la figura del prelato dello IOR. Per la nuova carica non viene scelto un ecclesiastico esterno alla Curia, bensì monsignor De Bonis, che per un quarto di secolo aveva lavorato allo IOR ed era l’ombra di Marcinkus. Al tempo stesso viene nominato presidente Angelo Caloia, laico e persona perbene. È lo stesso Dardozzi ad andare a Milano per offrire a Caloia la presidenza.»
Ora può suonare strano che a dirigere il nuovo IOR, che deve far ricredere tutti sulla sua trasparenza e sull’onestà delle proprie attività, venga scelto un uomo di Marcinkus.
VaticanoBeh, è proprio il caso di chiarire bene chi è monsignor Donato De Bonis, perché, presentato così, sembra quasi una persona perbene.
Qualcuno lo ha definito la scatola nera dello IOR di Marcinkus. Del resto è con lui a Ginevra a firmare assegni per 230 milioni di dollari per liquidare i creditori del crack Ambrosiano. Ricordo che Il Banco Ambrosiano non era di Calvi. Chi comandava davvero era sempre e comunque il Vaticano attraverso lo IOR.
Il cambiamento, se così si può chiamare, insomma è fatto per non cambiare niente, per tenere in piedi quei meccanismi che tanto potere avevano dato e possono ancora dare.
Tra il 1989 e il 1993, De Bonis opera sui conti segreti dello IOR movimentando complessivamente circa 310 miliardi di lire, come risulta da un rapporto che Angelo Caloia nell'agosto del 1992 invia a papa Wojtyla. Ma prima di arrivare a questo dobbiamo conoscere meglio gli sviluppi del nuovo IOR.
Angelo Caloia appare a tutti gli effetti in quegli anni come un cavaliere senza macchia e senza paura che si avventa sul marciume interno allo IOR per sistemare i conti, far crescere i profitti e sconfiggere i seguaci del metodo Marcinkus.
De Bonis è tra questi ultimi, l’anima nera dello IOR, quello che, per Caloia, è il cattivo consigliere di Marcinkus, il quale, è ritenuto dallo stesso Caloia facilone, pressapochista, e, per l’appunto, mal consigliato.
Alla caduta del muro nel 1989, l’enorme mobilitazione di mezzi ed energie durante la Guerra Fredda, lascia il papato pieno di debiti. E così il sistema Marcinkus non viene smantellato, perché rappresenta uno straordinario canale verso ambienti politici e imprenditoriali.
E allora cosa succede?
Dall’archivio Dardozzi emerge che un fiume di denaro, fra contanti e titoli di Stato, viene veicolato in una specie di IOR parallelo, una ragnatela off-shore di depositi paravento intestati a fondazioni benefiche inesistenti, una ragnatela costruita in segreto per anni da monsignor Donato De Bonis. Il sistema viene avviato nel 1987 per assicurare un discreto passaggio del testimone da un Marcinkus ormai sulla via del tramonto a De Bonis, che doveva mettere d’accordo le esperienze passate con le esigenze più riservate della clientela degli anni Novanta.
E così lo IOR occulto continua a prosperare per anni sfuggendo anche al presidente Angelo Caloia, espressione della finanza bianca del Nord (chiarirò più avanti questo punto).
Sono 17 i conti principali sui quali De Bonis “opera sia per formale delega”, si legge nel rapporto inviato da Caloia a Wojtyla nell’agosto 1992, quando la banca parallela inizia a emergere, “sia per prassi inveterata”. Tra il 1989 e il 1993 vengono condotte operazioni su questi depositi per oltre 310 miliardi di lire. Ma sono i movimenti in contanti a sorprendere: secondo una stima prudenziale, superano i 110 miliardi. Bisogna aggiungere l’intensissima compravendita di titoli di Stato: in appena un biennio su questi conti riservati transitano tra 135 e 200 miliardi di cct (Certificati di Crediti del Tesoro). E si tratta solo di stime compiute dalla dirigenza della banca. Ancora oggi non si ha certezza alcuna su quanto De Bonis sia riuscito a movimentare realmente, visto che spesso ricorre alla gestione extracontabile che non lascia tracce. Lo  IOR parallelo così gestisce non solo risparmi, ma anche tangenti per conto terzi negli anni Novanta, assegni per i palazzi del Vaticano finiti al cardinale José Rosalio Castillo Lara, plenipotenziario economico di Wojtyla, soldi sottratti dalle somme che i fedeli lasciano per le messe per i defunti, depositi per 30-40 miliardi delle suore che lavorano nei manicomi, sino ai conti correnti criptati di imprenditori come i Ferruzzi, segretari dei papi come monsignor Pasquale Macchi e, soprattutto, di politici, a cominciare dall’allora presidente del Consiglio Giulio Andreotti e dal primo politico condannato in Italia per associazione mafiosa, Vito Ciancimino.
È il 15 luglio 1987 quando De Bonis firma regolare richiesta e apre il primo conto corrente del neonato sistema off-shore, numero 001-3-14774-C, con un deposito in contanti di 494.400.000 lire e un elevato tasso d’interesse garantito, il 9 per cento annuo. Per tenere lontana anche l’ombra dei sospetti il monsignore intesta il deposito alla Fondazione cardinale Francis Spellman.
La scelta del nome non è casuale: si tratta del potente e temuto cardinale, ordinario militare per gli Stati Uniti, che nel dopoguerra dagli Usa finanzia la Dc anche con soldi che potrebbero essere stati trafugati agli ebrei dai nazisti. É Spellman ad accreditare Marcinkus presso l’allora Papa Paolo VI. Se un funzionario dello IOR avesse voluto curiosare nel fascicolo del conto Spellman, avrebbe scoperto che agli atti non c’è traccia documentale della fondazione, né un atto costitutivo, né una lettera su carta intestata. Avrebbe dedotto che la scelta della fondazione era un semplice ma efficace artificio. Ma nello IOR nessun funzionario nutre simili curiosità. Il prelato della banca vaticana è troppo potente e protetto dai cardinali perché qualcuno dia un’occhiata ai suoi affari. E allora perché tanto riserbo? Se si gira il classico cartellino di deposito delle firme indicate per l’operatività del conto, oltre a De Bonis è segnato il nome di Andreotti. “Non mi ricordo di questo conto” fa sapere Andreotti, interpellato da Gianluigi Nuzzi. Alle persone (quasi tutti prelati e porporati) che aprono un conto allo IOR viene chiesto di lasciare in busta chiusa le volontà testamentarie. Nel fascicolo del conto Fondazione Spellman, fotocopiato da monsignor Renato Dardozzi e custodito nel suo archivio, sono indicate quelle del “gestore”, appunto De Bonis. Che con il pennarello nero a punta media che prediligeva aveva scritto su carta a righe le illuminanti disposizioni: “Quanto risulterà alla mia morte, a credito del conto 001-3-14774-C, sia messo a disposizione di S.E. Giulio Andreotti per opere di carità e di assistenza secondo la sua discrezione. Ringrazio nel nome di Dio benedetto. Donato De Bonis, Vaticano 15.7.87”.
Che si tratti di un conto segreto di Andreotti gestito da De Bonis non lo dicono solo i documenti. Ne è convinto anche l’ex presidente dello IOR Angelo Caloia. In una serie di lettere riservate sugli affari del prelato inviate periodicamente al segretario di Stato cardinale Angelo Sodano, e riprodotte nel libro Vaticano spa, Caloia si dice certo di questo. In quella del 21 giugno 1994, a 7 anni dall’apertura del deposito Fondazione Spellman, Caloia dà ormai per scontato che “il conto della Fondazione cardinal Spellman che l’ex prelato ha gestito per conto di Omissis contiene cifre…”.
“Omissis”, come emerge chiaramente dalla convergente documentazione conservata nell’archivio di monsignor Dardozzi, è la parola convenzionale utilizzata da Caloia e altri manager dello IOR per criptare il nome di Andreotti. Per De Bonis, invece, è stato scelto il nome in codice “Roma”.
Per altri correntisti, rimasti ancor oggi nell’ombra, vengono concordati altri nomi di città, come “Ancona” o “Siena”, da usare nelle comunicazioni scritte. In pochi devono capire. Sul conto gestito dal prelato dello IOR per conto di Andreotti affluisce un fiume di denaro.
Il conto Spellman gode di accrediti in cct e in contanti. Dal 1987 al 1992 De Bonis introduce fisicamente in Vaticano oltre 26 miliardi e li deposita tutti sul conto Fondazione Spellman. Questo importo va sommato all’enorme quantità di titoli di Stato depositati e ritirati. In tutto, sul conto, in una manciata di anni, entrano 46 miliardi di lire.
Ma da dove arrivano tutti questi soldi e a chi sono destinati?
I beneficiari si dividono in due categorie: religiosi e laici. I primi sono una moltitudine. Vengono periodicamente distribuite centinaia tra elemosine e donazioni a suore, monache, badesse, frati e abati, enti, ordini e missioni.
Beneficenza quindi, ma non solo. L’apparente gestione caritatevole del patrimonio rimane marginale. Per il cassiere della Dc Severino Citaristi, pluricondannato in Tangentopoli, compare un assegno da 60 milioni. Tra il 1990 e il 1991 dal conto Spellman dello IOR escono 400 milioni per l’avvocato Odoardo Ascari, difensore di Andreotti nei procedimenti aperti a Palermo per concorso in associazione mafiosa. Tanti beneficiari. Un milione di dollari al cardinale brasiliano Lucas Moreira Neves, mentre altri bonifici sono destinati ad alti prelati, vescovi e cardinali. E poi diplomatici e - possono mai mancare? - politici. Come i 590 milioni depositati sul conto del senatore Lavezzari, guarda caso amico personale di Andreotti, con l’ufficio fianco a fianco. Forse un caso, ma non è stato forse proprio Andreotti a dire che a pensar male si fa peccato ma spesso ci si prende?
Difficile, invece, individuare le identità dei beneficiari delle somme ritirate in contanti con una frenetica attività quasi quotidiana. Le valigette zeppe di denaro portate da De Bonis sono una consuetudine per gli impiegati dello IOR. Il monsignore ogni settimana consegna migliaia di fascette delle banconote da 100 mila lire con depositi che arrivano anche a mezzo miliardo in contanti per volta.
E si potrebbe continuare a raccontare le attività di De Bonis in quegli anni. Si arriva così al 1992 e qui c’è il colpo di scena. Per capire di cosa parliamo occorre tornare ad Angelo Caloia.

Angelo Caloia

VaticanoLa storia che sta per cominciare è solo la prima parte di un lungo susseguirsi di colpi di scena, che finiscono ai giorni nostri, ai primi mesi del 2021. Dunque va seguita tutta intera per non incorrere nell’errore di giudicare male quello che verrà detto all’inizio.
Angelo Caloia è un banchiere che arriva dalla cosiddetta Finanza bianca del Nord, nella quale confluiscono banche di ispirazione cattolica, enti come il Gruppo Etica e Finanza, di cui Caloia è il presidente. Arriva allo IOR come presidente quando Marcinkus viene defenestrato, mentre il prelato De Bonis continua a farsi i fatti suoi. Quando Caloia ha in mano prove e materiale sufficiente, chiama il suo amico Giancarlo Galli, giornalista de L’Avvenire e racconta in una intervista tutto quello che sa. Nasce così il libro: “Finanza bianca; la Chiesa, i soldi e il potere” edito da Mondadori nel 2004.
All’epoca la Finanza bianca è padrona del mercato, ha accumulato un potere senza precedenti: con Antonio Fazio governatore della Banca d’Italia, Cesare Geronzi padrone di Capitalia, Giovanni Bazoli presidente di Banca Intesa e la sconfitta dei loro avversari laici, capeggiati da Mediobanca.
Caloia viene, come detto, proprio da quell’ambiente, ma non lo esalta, anzi lo accusa di aver perduto quella “identità cristiana” iniziale. E le prove sono evidenti, perché quelle banche sono coinvolte nei colossali disastri di Parmalat, di Cirio e di altri ancora. Resta fuori dal coro – dice Caloia – solo lo IOR, dopo che lui stesso ha provveduto a fare pulizia e a riportare la banca del papa al suo ruolo iniziale.
Che questo sia vero o meno lo scopriremo andando avanti.
Quello che è certo è che quando Caloia inizia la sua carriera, lo IOR è nel dissesto più totale per i motivi che conosciamo. Gli affari di questa banca con banchieri cattolici come Sindona e Calvi lasciano il Vaticano in un mare di debiti. È il cardinale Casaroli, segretario di stato, a metterci una pezza, versando 242 milioni di dollari a favore dei creditori, sfidando non solo Marcinkus e De Bonis (quindi lo IOR) ma anche la maggior parte dei dirigenti vaticani.
Nello stesso periodo nasce il già citato Gruppo Cultura Etica Finanza, con il preciso scopo di prendersi una rivincita, anche morale, sulla finanza laica. E Caloia coordina il tutto, avendo come segretario il giornalista Galli.
Fallita la scalata alla CARIPLO, a Caloia si presenta l’opportunità, prima nell’87 e poi l’anno successivo di trasferirsi a Roma. È il cardinale Casaroli ad invitarlo a prendere in pugno lo IOR per fare piazza pulita. Un lavoro gravoso, perché occorre riscrivere gli statuti della banca vaticana. Il Papa (Wojtyla) li promulga nel 1990, Marcinkus torna negli Stati Uniti e Caloia diventa presidente del nuovo consiglio di sovrintendenza dello IOR. Ma questo cambiamento così repertino non piace a chi nel sistema Marcinkus è vissuto per tanti anni. Non piace a De Bonis, al direttore generale Luigi Mennini (quello che sottrasse alla moglie di Roberto Calvi il biglietto su cui il marito aveva scritto minacce al Vaticano) e non piace al ragioniere capo Pellegrino De Strobel. Questi ultimi due sono i primi ad essere estromessi, ma per liberarsi di De Bonis la cosa non è altrettanto semplice.
Si tenga sempre presente che Caloia non è un prete, è un civile, un banchiere che lavora in Vaticano.
De Bonis dunque non cede ed è molto lontano il suo comportamento da quello previsto nel nuovo statuto, secondo cui lui può fare solo assistenza spirituale, mentre continua imperterrito a fare gli affari di prima.
De Bonis cerca alleanze. Le trova nel cardinale Castillo Lara, presidente dell’APSA, il potente ente incaricato di amministrare il patrimonio della Sede Apostolica e le trova nel segretario dello stesso organismo monsignor Gianni Danzi. I tre cominciano a manovrare perché Caloia venga dimesso al termine del suo quinquennio e sostituito da un loro uomo, Virgil Dechant, vicepresidente dello IOR dal 1998 al 2009. Le lettere che arrivano a Caiola dal cardinale sono definite “al veleno”. Alla fine comunque Caiola la spunta, viene rieletto per un secondo mandato. De Bonis è spedito a fare da cappellano ai Cavalieri di Malta e Castillo Lara lascia l’ASPA nel 1995.
Ci saranno altri attacchi in occasione delle successive rielezioni, nel 1999, ma anche in questo caso, Caloia ne esce vincitore. Lo stesso avviene nel 2005 finché nel 2009 esce di scena dallo IOR, ma non dalle cronache come vedremo tra poco.
Prima di arrivare ai giorni nostri, vediamo brevemente cos’ha fatto di tanto importante Caloia allo IOR da far dire a Carol Wojtyla di volerlo ancora allo IOR a tutti i costi. Probabilmente a convincere il papa sono i proventi dello IOR a lui devoluti ogni anno per opere di bene. Erano 15 miliardi di lire nel 1990, all'inizio della gestione Caloia. Dieci anni più tardi sono, parole del papa, "molti, molti di più".Vaticano
Per sapere quel che è successo torniamo all’archivio Dardozzi. Non ci mette moltissimo tempo Caloia a scoprire lo IOR segreto di De Bonis e così, nella primavera 1992, istituisce una commissione d’inchiesta segreta. I risultati allarmanti vengono mandati all’attenzione del segretario particolare di papa Wojtyla, don Stanislaw Dziwisz con la richiesta che si intervenga.
Ma non succede niente.
Ci vuole una vera e propria bomba che investe lo IOR e i partiti di una repubblica, quella italiana, ormai morente da un punto di vista morale. La maxi-tangente Enimont, pagata ai leader della Prima repubblica per rompere il matrimonio della chimica italiana fra Eni e Montedison, innesca il processo che tutti noi conosciamo come “Mani pulite”. Il pool di magistrati guidato da Antonio Di Pietro, si rivolge anche al Vaticano per capire come entri in gioco la banca del Santo Padre. Le risposte che arrivano sono tutte parziali e fuorvianti. Lo scrive proprio Dardozzi all’avvocato Franzo Grande Stevens, legale di fiducia dello IOR. Il concetto è molto semplice. Guai ad indurre in tentazione i giudici che vogliono far luce sui molti soldi passati dal Vaticano per i politici italiani. È così che metà dei Certificati di credito del tesoro dello IOR parallelo di Marcinkus e De Bonis rimangono fuori dalle indagini degli investigatori.
Del resto se c’è una frase di monsignor Paul Marcinkus che rimane è quella che suona così: “La Chiesa non si amministra con le Ave Maria”.
Fino a qui Caloia, come detto più sopra, sembra un cavaliere senza macchia e senza paura. Uno di quelli che viene per ripulire un ambiente decisamente poco salubre.
Ma è proprio così? O ci sono altre storie che possono modificare questa impressione?

Papa Bergoglio

Il papa polacco muore nel 2005. Sappiamo come si sono succedute le cose. Gli succede il tedesco Joseph Ratzinger, che otto anni più tardi si ritira e rinuncia all’incarico per motivi molto chiacchierati ma per nulla chiari. Ed infine ecco il papa attuale, Francesco, nome scelto dall’argentino Jorge Bergoglio.
Le cose cambiano all’interno del Vaticano anche da un punto di vista dell’organizzazione economica. Nel 2005 esce di scena Caloia e gli subentra Ettore Gotti Tedeschi. Banchiere ed economista, avvia importanti riforme per la trasparenza, ma nel settembre 2010 rimane coinvolto in un’indagine della Procura di Roma per una presunta violazione delle norme antiriciclaggio. Il Consiglio di sovrintendenza dello IOR lo rimuove dalla carica di presidente. Nel 2014 però il Gip del Tribunale di Roma archivia l’inchiesta, escludendo ogni responsabilità di Gotti Tedeschi.
Ma andiamo con ordine. Papa Ratzinger, quando arriva in Vaticano capisce subito che occorre fare piazza pulita dentro lo IOR, per vederci chiaro e non lasciare dubbi su trasparenza ed onestà della banca del papa. Così è proprio lui a sostituire Caloia con Gotti Tedeschi. Vent’anni passati come presidente sono, secondo lui, abbastanza: ci vuole un po’ di rinnovamento.
Poi arriva Francesco, il quale prosegue, se possibile, con maggiore energia, l’opera del suo predecessore. E così viene verificato tutto quanto accaduto nel recente passato. In particolare saltano fuori le irregolarità nel periodo 2001-2009, gli ultimi otto anni di Caloia alla presidenza dello IOR.
poco prima di ritirarsi, Benedetto XVI, nomina a capo della banca del papa il tedesco Ernst Von Freyberg. Durante i suoi primi mesi di presidenza la banca viene passata al setaccio dalla società di consulenza finanziaria informatica Promontory Group. Un evento clamoroso e senza precedenti, rompendo la secolare tradizione di riservatezza e segretezza della banca vaticana. Ma da quell’indagine saltano fuori diverse irregolarità, fra e quali quelle che riguardano proprio l’ex presidente Angelo Caloia, e l’ex direttore Lelio Scaletti, deceduto nel 2015 e quindi mai andato sotto processo.
Cosa scopre di preciso la commissione d’inchiesta vaticana? Praticamente un furto nei confronti dello IOR. A farlo oltre a Caloia e Scaletti ci sono anche gli avvocati Liuzzo (padre e figli). Il trucco scoperto è questo. Vengono venduti immobili di prestigio a Milano, Roma Genova a prezzi decisamente inferiori a quelli di mercato. Questi immobili vengono acquistati da società a loro riconducibili e poi rivenduti a cifre molto più alte, ricavandone profitti importanti. Profitti che finiscono riciclati su conti off-shore nei paradisi fiscali. Già l’indagine della Promotory aveva individuato tutti i passaggi e la rete di società schermate, di traffici illeciti che stavano alla base dell’operazione.
Caloia nel frattempo fa dell’altro. É il presidente della Veneranda Fabbrica del Duomo, organizzazione che cerca, anche attraverso richieste dirette ai politici dell’epoca, su tutti Silvio Berlusconi, di trovare i soldi per mettere a posto il Duomo di Milano. Ed è anche presidente della Facoltà teologica dell’Italia settentrionale e di quella del Collegio Borromeo di Pavia.
Quando nel 2014 finisce sotto inchiesta si dimette da tutto, dichiarandosi innocente e, anzi, rivendicando il suo ruolo di ripulitore dello IOR nei vent’anni di presidenza.
É il tribunale del Vaticano, diretto da Giuseppe Pignatone, ad emettere nel gennaio del 2021 la sentenza: 8 anni e 11 mesi, oltre a 12'500 euro di multa per riciclaggio e appropriazione indebita aggravata.
E poi, il Tribunale dispone a loro carico «la confisca di somme complessivamente pari a circa 38 milioni di euro»; inoltre, sono condannati a risarcire oltre 20 milioni di danni allo IOR e alla società immobiliare controllata Sgir.
É un caso clamoroso, non tanto per il reato, che sembra una marachella al confronto di quelli di Marcinkus, ma perché per la prima volta si interviene dall’interno su una storia lunghissima piena di fatti scabrosi.
E la storia non finisce qui …
Se è per questo ce ne sarebbero ben altre da raccontare, che non ho voluto includere in queste puntate, a cominciare da quella sulla pedofilia.
Ma qui ci occupiamo solo di questioni finanziarie ed economiche e lasciamo il bubbone della pedofilia ad altri momenti, se ci saranno. 
Per concludere questa parte Caloia è considerato, prima dell’incriminazione, un risanatore e un traghettatore dello IOR fuori dal pantano delle truffe e degli scandali in cui era finito. Ma, durante il suo lungo interregno, gli obiettivi di trasparenza e di adeguamento agli standard internazionali sono rimasti ben lontani dall’essere raggiunti.
Di storie che riguardano le deviazioni dallo spirito cristiano ce ne sono un sacco. Pensiamo alla vicenda di Don Verzé, anche se non c’entra molto con il Vaticano, ma con la gestione di tanto denaro e di truffe belle e buone coperte da presunte opere di bene. Insomma la Santa Sede e la religione cattolica, nelle sue manifestazioni terrene, non ha sempre seguito la dottrina cristiana, anzi spesso è stata molto più lontana da essa di un qualsiasi peccatore incallito.

Gli scandali Vatileaks

Prima di passare all’ultimo punto, vorrei fare una breve cronistoria di quanto è successo nel dopo-Marcinkus, esclusi i fatti già raccontati finora. Ci tengo a precisare che è solo pura cronaca, non un attacco pruriginoso nei confronti della Chiesa, alla quale, pur non condividendone la maggior parte dei principi anche filosofici, assegno molta buona volontà da parte di una larga fetta dei suoi associati di fare del bene per davvero. Nessun astio premeditato dunque.
Cominciamo dal 2012, quando una gigantesca fuga di documenti riservati fa scoppiare il primo cosiddetto “Vatileaks”. Il papa (Ratzinger) istituisce una commissione per scoprire chi sia la talpa. Alla fine viene condannato a 3 anni di carcere, poi ridotti a 18 mesi, Paolo Gabriele, ex aiutante di camera di Joseph Ratzinger. Cosa contengono quei documenti?
  • Riferimenti alle profonde divisioni e ai contrasti interni sugli indirizzi di governo del Vaticano, con Comunione e Liberazione in lite con la Diocesi di Milano.
  • Le mosse segrete di un inviato del cardinal Bertone per conquistare l’Istituto Toniolo, la cassaforte dell’Università Cattolica.
  • I tentativi di ricomporre lo scisma con i seguaci di Lefevre.
  • Il contro corrente n. 39887 aperto nel 2007 allo IOR e intestato al Santo Padre.
  • Ma soprattutto le irregolarità nella gestione finanziaria dello Stato e nell’applicazione delle normative antiriciclaggio.
Non uno scherzo, insomma. Il caso fa così tanto clamore che, nel marzo del 2012, il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti (che noi chiameremmo ministero degli esteri) inserisce per la prima volta il Vaticano nella lista dei paesi monitorati perché potenzialmente suscettibili di essere luoghi di riciclaggio del denaro.
Il secondo scandalo Vatileaks scoppia ai primi di novembre del 2015. Questa volta i documenti compromettenti vengono consegnati a due giornalisti, il già citato Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi, i quali, con quella documentazione pubblicano ciascuno un libro, rispettivamente Via Crucis e Avarizia.
Questa volta le talpe sono due: un monsignore spagnolo, Lucio Angel Vallejo Balda e Francesca Immacolata Chaouqui, origini marocchine e commissaria alle finanze della Santa Sede. Questa collabora con gli investigatori e viene lascata in pace.
Tra i casi raccontati, quello che riguarda l’attico dell’ex Segretario di Stato, cardinale Tarcisio Bertone, una dimora da 390 metri quadri in pieno centro a Roma che avrebbe beneficiato di 442mila euro di lavori finanziati dall’Ospedale Bambino Gesù. Per quel caso si apre un processo che porta alla condanna ad un anno con pena sospesa del professor Giuseppe Profiti, ex presidente del Bambin Gesù. Su questo fatto c’è una serie di inchieste televisive, che si trovano in rete.
Nel febbraio 2018 L’ex direttore generale dello IOR, Paolo Cipriani, e l’allora suo vice Massimo Tulli vengono condannati in prima istanza in sede civile dal tribunale vaticano per danni pari a circa 47 milioni di euro per «mala gestione» dell’Istituto Opere di Religione.
I fatti risalgono a cinque anni prima, quando i due vengono licenziati in tronco perché non si erano accorti o comunque non avevano fatto niente in merito ad uno scandalo per le attività di un componente dell’APSA (ricordate? è l’ente che gestisce le finanze del Vaticano). Costui è monsignor Nunzio Scarano, il quale, forse rimpiangendo i tempi d’oro dello IOR di Marcinkus, si accorda con un broker italiano e tenta di importare illegalmente dalla Svizzera 20 milioni di euro. Scarano viene processato da un tribunale italiano per usura e riciclaggio.

Libero Milone e Giovanni Angelo Becciu

VaticanoE poi c’è la questione Milone. Nel settembre del 2017 il Vaticano emette la seguente nota:
«Risulta purtroppo che l’Ufficio diretto dal Dott. Milone, esulando dalle sue competenze, ha incaricato illegalmente una Società esterna per svolgere attività investigative sulla vita privata di esponenti della Santa Sede. Questo, oltre a costituire un reato, ha irrimediabilmente incrinato la fiducia riposta nel Dott. Milone, il quale, messo davanti alle sue responsabilità, ha accettato liberamente di rassegnare le dimissioni».
Libero Milone è il Revisore Generale dei conti della Santa Sede; le sue dimissioni, libere o forzate che siano, sono sorprendenti per tutti.
Ma c’è dell’altro dietro questa decisione della Santa Sede. Sembra che ci sia anche una sottrazione di fondi, dunque un peculato, essendo Milone pubblico ufficiale.
La cifra sembra ridicola rispetto a quelle fatte fin qui: 28 mila euro. Perché tanto rumore, allora? Il fatto è che quella somma è servita a ripulire gli uffici da eventuali microspie. Milone consegna la propria replica al Corriere della Sera: «Parlo solo ora – dice – perché volevo vedere cosa sarebbe successo dopo le mie dimissioni del 19 giugno. In questi tre mesi dal Vaticano sono filtrate notizie offensive per la mia reputazione e la mia professionalità. Non potevo più permettere che un piccolo gruppo di potere esponesse la mia persona per i suoi loschi giochi. Mi spiace molto per il Papa. Con lui ho avuto un rapporto splendido, indescrivibile, ma nell’ultimo anno e mezzo mi hanno impedito di vederlo. Evidentemente non volevano che gli riferissi alcune cose che avevo visto. Volevo fare del bene alla Chiesa, riformarla come mi era stato chiesto. Non me l’hanno consentito…».
Suona strano, vero? Dobbiamo saperne di più su questo argomento.
VaticanoIl personaggio che interviene in questa vicenda, oltre a Libero Milone, è un cardinale sardo, Giovanni Angelo Becciu. Il 24 settembre 2020 papa Francesco ha accolto la sua rinuncia all'incarico di prefetto della Congregazione delle cause dei santi e ai diritti e alle prerogative del cardinalato: conserva il titolo cardinalizio, ma cessa da ogni incarico nella Curia romana e perde il diritto di entrare in un futuro conclave.
Cosa avrà mai fatto il nostro Becciu di così grave da meritare una punizione così enorme come quella di essere, praticamente, destituito da cardinale?
La fonte della prima parte di questa storia è un articolo di ottobre 2020 di Ferruccio Pinotti, importante giornalista padovano, molto attento a tutti gli affari vaticani da lunghissimo tempo.
Chi è dunque il cardinale Becciu?
Nel 2011 viene nominato da papa Ratzinger, e confermato nel 2013 da Bergoglio, “Sostituto per gli affari generali della Segreteria di Stato”. Al di là della definizione incomprensibile, diventa il numero 3 in Vaticano, dopo il Papa e il Segretario di Stato. Diventa amico del papa, al quale sembra la persona adatta per gestire i fondi della segreteria di stato, compreso quell’Obolo di San Pietro, di cui ho parlato nella prima puntata sul Vaticano, che contiene il denaro che i fedeli raccolgono per le opere di carità e inviano direttamente al Pontefice.
Il rapporto con Bergoglio diventa sempre più stretto. Il papa si fida ciecamente di lui, tanto da ritenerlo un preziosissimo consigliere oltre che amico. Il 28 maggio del 2018 lo nomina Prefetto della Congregazione delle cause dei Santi, quella in sostanza che decide l’iter da seguire per la beatificazione e la santificazione. Anche su queste procedure sono state scoperte irregolarità, mazzette per accelerare i procedimenti, come quello che vede in attesa di beatificazione nientemeno che Aldo Moro, ma il discorso su questo tema ci porterebbe lontano. Se ne avete voglia potete trovare una interessante puntata di Report sull’argomento.
Dunque Becciu mantiene i poteri sui fondi della Segreteria di Stato fino al 29 giugno del 2018.

Il palazzo di Londra

L’amicizia tra il papa e il cardinale comincia a mostrare le prime crepe, quando la magistratura vaticana inizia ad indagare sull’acquisto, avvenuto nel 2014 di un palazzo a Londra, un vecchio edificio dei magazzini Harrods, vecchio di più di cent’anni. È stato pagato circa 300 milioni di euro, ma, secondo le stime, il suo valore di mercato è nettamente inferiore. Magari può non essere grave, ma i magistrati della Santa Sede, per capire meglio quanto avvenuto, scoprono dell’altro nei conti della Segreteria di Stato. Movimenti che monsignor Becciu aveva destinato, tra l’altro, a parenti, come i centomila euro finiti alla Cooperativa Spes, braccio operativo della Caritas di Orzieri (provincia di Sassari), guidata da suo fratello Tonino, che già aveva avuto altri importanti aiuti per ammodernare un forno e ampliare la sua attività. C’è anche la faccenda dello stemma Caritas Roma da mettere sulle bottigliette di birra artigianale Pollicino, prodotte dalla società Angel’s di cui è amministratore l’altro fratello Mario, in cambio di donazioni alla Caritas del 5% del fatturato. E ci sono altre quisquiglie del genere che coinvolgono il terzo fratello Francesco.
Certo sono solo accuse da provare, ma questo basta a Francesco per rompere una consolidata amicizia.
Ci si mette anche la stampa che, spesso, arriva dove la magistratura non può o non riesce a farlo. Il Correre della Sera pubblica un’inchiesta nella quale si spiega come il Becciu abbia organizzato una struttura parallela appoggiata ai più stretti collaboratori del cardinale, che vede entrare in Vaticano eminenze grigie della finanza, come Enrico Crasso, finanziere ex Credit Suisse, Alessandro Noceti e Raffaele Mincione. Sembra di ripercorrere le storie di Marcinkus e De Bonis.
Londra viene scelta come ripiego, perché un affare da gestire in Angola va storto e si rischia di finire nelle maglie della magistratura portoghese.
Nel sistema Becciu, consulenze e benefit sono tutti fuori mercato: i fondi, pagati come consulenze dalla Segreteria di Stato, passano per società intermediarie e vengono poi divisi con i finanzieri amici, che si preoccupano di farli arrivare in fondi di investimento.
Lo stesso accade per l’affare del palazzo londinese, ma qui qualcosa va storto. Il fondo che deve portare a termine l’operazione comincia a perdere valore, diventando in breve un buco nero che risucchia soldi, producendo una voragine nei conti. Ma le consulenze milionarie vanno pagate lo stesso. Dunque la vicenda del palazzo di Londra è solo l’ultimo investimento, finito male, che fa saltare il meccanismo che sembrava funzionare perfettamente.
E qui ecco entrare in scena un nuovo personaggio.

Il cardinale George Pell

Il nuovo personaggio è il cardinale australiano George Pell, la cui storia sembra un film. Viene accusato di pedofilia, mandato nel suo paese per rispondere alla giustizia che lo incrimina. Viene condannato a 8 anni di carcere e gli viene negato l’appello. Dopo un anno, tuttavia, la Corte Suprema dell’Australia, esamina il processo, ravvisando numerosi vizi formali nelle procedure processuali. L’appello si fa e Pell viene assolto all’unanimità. La critica della Corte Suprema nei confronti del tribunale di Victoria è decisamente forte. Intanto il cardinale si è fatto un anno di galera.
Torna quindi a Roma nel 2020. Come entra in contatto con Becciu il cardinale Pell?
In effetti è proprio lui il primo ad accorgersi che qualcosa di strano sta avvenendo con i fondi della Segreteria di Stato. Per questo, secondo l’avvocato di Pell, Becciu avrebbe inviato 700 mila euro in Australia per comprare gli accusatori di Pell e toglierselo dai piedi.
È il quotidiano The Australian a consegnare un rapporto alla polizia proveniente dall’ente australiano di controllo dei reati finanziari, secondo il quale ci sarebbe la conferma dei 700 mila euro trasferiti da fonti vaticane per falsificare le accuse a Pell.
C’è anche un altro mistero circa i soldi che dal Segretariato del Vaticano sono finiti in Australia dal 2014 al 2020: 2,3 miliardi di dollari australiani, circa un miliardo e mezzo di euro: quei soldi non sono arrivati alla chiesa australiana. L’arcivescovo di Brisbane si fa portavoce dei suoi colleghi che vogliono sapere dove diavolo è finito tutto quel denaro.
È quindi comprensibile quello che il cardinale Pell dice all’Associated Press: la stagione degli scandali, la festa, come lui la chiama, non è finita.
Accanto a Pell, un ruolo di denuncia ha anche Francesco De Pasquale, con un lungo passato in banca d’Italia. Diventa direttore dell’AIF, l’Autorità di Supervisione e Informazione Finanziaria, un organismo nato nel 2010 con lo scopo di condurre una lotta al riciclaggio e al terrorismo.
E proprio in tale veste, De Pasquale ricorda l’enorme difficoltà ad interfacciarsi con la Segreteria di Stato. In particolare, l’allora sostituto Angelo Becciu e il segretario per i rapporti con gli stati, Diminique Mamberti, cercano in ogni modo di ostacolare il lavoro dell’AIF per la trasparenza. Quando però capiscono che il potere dell’AIF è sufficiente per controllarli, manovrano per sostituirli con qualcuno più morbido.
Come è facile immaginare, una volta scoperchiato, il bubbone fornisce altre storie, aneddoti, malversazioni, truffe.
La reazione di papa Francesco è quella di avviare una riforma complessa ed estesa, che vede come centro di tutto il potere della gestione delle finanze l’APSA, presieduta attualmente da Monsignor Nunzio Galatino e con la nomina di un suo fedele economista, il gesuita Juan Guerrero Alves. Certo, anche di Becciu il papa si fidava ciecamente, ma il problema è che la sua volontà di proteggere l’idea di una chiesa povera, si scontra violentemente con una parte importante delle gerarchie curiali.
Ora, qualcuno potrà dire: e Libero Milone? Che fine ha fatto? Eravamo partiti da lui e ci siamo poi persi dietro altre storie.
Bene! È ora di capire come sono andate le cose anche con Milone.

Che fine ha fatto Libero Milone?

Dunque Libero Milone viene accusato di spionaggio. Da chi? Dal cardinale Becciu, che lo minaccia di finire in manette, contestandogli non precisate attività illegali, ovvero spionaggio e appropriazione indebita di computer. Ritenuti evidentemente crimini peggiori di quelli da lui commessi.
É sempre difficile capire in questi casi chi ha torto e chi ragione, per cui, avendo in lungo e il largo discusso del caso Becciu, ci affidiamo alle parole di Milone. Nel 2019, rilascia un’intervista al Financial Times, dunque ad una delle più prestigiose riviste del mondo.
Quello che Milone sostiene è che, nell’esecuzione del suo lavoro, si era avvicinato troppo a informazioni che volevano che fossero segrete e loro hanno creato una situazione in modo che fossi buttato fuori. I “loro” possono essere facilmente individuati.
Era stato Becciu a dire, testualmente: “Ha infranto tutte le regole e stava spiando la vita privata dei suoi superiori e del personale, me compreso. Se non avesse accettato di dimettersi, l’avremmo perseguito”.
Nella stessa intervista, Milone racconta: “Non potevo più permettere che un piccolo gruppo di potere esponesse la mia persona per i suoi loschi giochi. Mi spiace molto per il Papa. Con lui ho avuto un rapporto splendido, indescrivibile, ma nell’ultimo anno e mezzo mi hanno impedito di vederlo. Evidentemente non volevano che gli riferissi alcune cose che avevo visto. Volevo fare del bene alla Chiesa, riformarla come mi era stato chiesto. Non me l’hanno consentito…”.
E aggiunge: “Il capo della Gendarmeria mi ha intimidito per costringermi a firmare una lettera che avevano già pronta”. “Voglio essere chiaro: non mi sono dimesso volontariamente. Sono stato minacciato di arresto”.
Il capo della gendarmeria è il generale Domenico Giani, poi licenziato a sua volta da Papa Francesco l’anno scorso per non aver vigilato sul fatto che i nomi degli indagati restassero riservati.
Una brutta storia, che vede dalla parte di chi licenzia in tronco senza spiegazioni lo stesso Becciu e l’ex comandante Giani, che a loro volta hanno avuto più o meno lo stesso trattamento. Nel caso del cardinale con una sostanziale differenza: i fatti che il Papa gli ha contestato riguardano la gestione di denaro offerto dai fedeli al Pontefice.

Conclusioni

Questo articolo racconta solo una piccola parte dei maneggi che avvengono nelle segrete stanze del Vaticano. Ci sono molte pubblicazioni che raccontano di altri eventi, sempre poco limpidi.
Quello che emerge tuttavia, per restare ai giorni nostri, è la difficoltà con cui Francesco si sta muovendo per imporre regole ferree e che non ci sono personalità al di sopra di tali regole.
Secondo eminenti vaticanisti (come, per fare un esempio Marco Politi, che ha un blog ospitato sulla piattaforma del Fatto Quotidiano), questi scandali fanno felice la schiera degli anti-bergogliani, che possono mormorare che, alla fine, il papa non è in grado di sistemare le cose. Quelli che invece sono dalla sua parte, per motivi teologici o ideologici o, più raramente, perché convinti della bontà delle sue riforme, se ne stanno zitti e buoni. Sai mai che il papa muoia e si cambi registro. Ma anche quelli che desiderano le riforme di Bergoglio e dovrebbero sostenere il papa nel cacciare dalla Santa Sede i trafficanti e i truffaldini, non osano parlare, dimentichi forse di cosa fece Gesù con i mercanti nel tempio di Gerusalemme.
L’opposizione ai papi che hanno cercato di portare sangue fresco nella Chiesa non è un fatto di oggi. Per rimanere al recente passato, la stessa sorte è toccata a Giovanni 23° e a Paolo VI, responsabile di aver portato a conclusione un concilio che non aveva iniziato lui. Il problema è sempre quello, quello delle alte sfere della Santa Sede di perdere potere e prestigio, rimanendo ancorate ai vecchi schemi senza mai cambiare niente. Abbiamo visto anche stasera che questo atteggiamento non può che favorire manovre losche di prelati che sono dei veri e propri delinquenti comuni.
Il peggiore dei papi, in questo senso (e non solo in questo senso) è stato Carol Wojtyla, uno dei più conservatori di sempre. Durante la sua reggenza i falchi vivono splendidi anni, facendo un po’ quello che vogliono e lasciando al pontefice i suoi piccoli vizi: le sovvenzioni all’estero e la fabbrica di santi. Il papa polacco crea più santi e beati di quanto abbia fatto la chiesa nei precedenti trecento anni. E, a leggere le inchieste, si capisce come la Congregazione per le cause dei santi abbia un potere enorme e, sovente, i procedimenti siano, - come dire? - velocizzati da mazzette di vario genere. Ma questo è un altro discorso.
Dunque, morto Wojtyla, ecco un papa che ha idee diverse, più liberali. Curiosamente muore dopo poco più di un mese di regno. Anche Ratzinger mette lo stesso impegno per ridurre i centri di potere, poi scompare in un ritiro dal soglio di Pietro che a molti rimane del tutto inspiegabile. Francesco è l’emblema massimo di questo impegno. Alcune sue affermazioni o prese di posizioni non possono proprio andare giù a chi ha della chiesa una visione ancorata ai poteri di una volta.

Il memoriale di Carlo Viganò

Ne raccontiamo qui una, quella probabilmente più clamorosa e alla base di una ribellione di parte del clero nei confronti del papa.
Francesco è a Dublino, in Irlanda, dove la commissione governativa ha raccolto le storie di 2'500 vittime di violenza in scuole gestite dal clero. Il papa non usa mezzi termini e dice testualmente “Chiediamo perdono alle vittime”, una confessione e un pentimento a tutto campo senza alcuna ombra di dubbio.
Nel frattempo l’ex nunzio apostolico in America, Carlo Viganò, pubblica un memoriale. Un nunzio apostolico è una specie di ambasciatore, la figura che rappresenta il papa in una certa zona del mondo.
Cosa c’è di tanto scottante in questo memoriale?
Il memoriale consiste di 15 pagine ed è incentrato sulla pedofilia: chi è stato, chi ha coperto chi, chi ha insabbiato. Le accuse sono rivolte soprattutto al cardinale McCarrick di Washington, che sarebbe coperto nientemeno che dal papa in persona. Così Viganò chiede le dimissioni di Francesco. La prova è che lui stesso ha raccontato l’intera vicenda al pontefice e che questi non ha mosso un dito. Ma Viganò dimentica, nel suo rapporto, di riferire che Francesco non solo aveva già mosso accuse contro McCornick, riducendolo addirittura allo stato laicale, cioè all’impossibilità di operare come sacerdote. Mai, in tutta la storia della chiesa, un simile provvedimento era stato usato contro un cardinale. E del resto, lo stesso Viganò non si è mai distinto nella lotta alla pedofilia, tanto meno contro il cardinale da lui denunciato.
Nonostante sia poggiata sul nulla, l’accusa al papa ottiene un sacco di consensi all’interno del clero statunitense, i cui vescovi sono piccoli figli di Donald Trump, quindi molto conservatori e abbastanza ignoranti.
A loro, probabilmente, non importa tanto della pedofilia, quanto delle pretese di Francesco di lottare contro il capitalismo occidentale, contro le ingiustizie sociali, di aprire o quanto meno socchiudere le porte ai gay, ai divorziati, di difendere gli immigrati e, bestemmia delle bestemmie, accusare il consumismo di distruggere il pianeta. È questo che dà fastidio alla conferenza episcopale statunitense (che sarebbe il parlamento dei vescovi di quella nazione), la quale non si schiera a difesa del pontefice di fronte alle accuse di Viganò.
Siccome molti americani, quando si tratta di bestialità, non sono secondi a nessuno, un gruppo di laici investe un milione di dollari, utilizzando gli strumenti dell’FBI, per indagare sui possibili futuri alleati e affibbiare loro il patentino di pedofili. In questo modo nel futuro conclave (Francesco ha 85 anni e non potrà vivere in eterno) potranno avere buon gioco nello scegliersi un papa di quelli belli tosti, ancorato al passato e da governare meglio di adesso.
VaticanoCome credo sia ormai chiaro, le scelte religiose non hanno nulla a che fare con la fede, i fedeli, i miracoli e tutte le altre storielle inventate per il popolo. Si tratta sempre di scelte politiche. Un papato conservatore non può che far crescere l’appeal verso il partito conservatore statunitense. Per questo quello che serve è un papato alla Trump, l’esatto opposto della visione della chiesa che ha Francesco.
A comandare le truppe d’assalto americane ecco l’ex consigliere di Donald Trump, Steve Bannon, il principe nero del populismo di destra negli USA, con l’idea di propagandare il verbo del sovranismo in chiave di supremazia della morale giudaico-cristiana sul resto del mondo, che, in Europa ha trovato alleati e adepti come: Matteo Salvini, che si serve anche dei simboli religiosi (crocifissi, corone del rosario etc…) per attrare alla Lega gli elettori cattolici e che si è visto con lui in un incontro che voleva essere segreto a Milano, l’8 marzo dell’anno scorso. Altri alleati sono: Marine Le Pen, Nigel Farage e, infine, Giorgia Meloni. Insomma una bella accozzaglia di personaggini decisamente di destra, qualcuno anche più in là.
Ecco, questa è la situazione, che, non mi stancherò di dirlo, con le messe, il vangelo, le missioni tra i poveri del mondo, la carità cristiana, i parroci senza soldi, i sacerdoti che si occupano degli ultimi e noi ne conosciamo … è una situazione – dicevo – che con queste cose non ha niente a che fare. Si tratta di un Far West, in cui giochi di potere, sotterfugi, mazzette, inganni, tradimenti sono all’ordine del giorno, come in ogni altro stato laico del mondo, solo che qui viene fatto spesso … nel nome di Dio.