Scorie radioattiveLe opinioni attorno al nucleare sono molto diverse. Se parliamo di soldi, di costo del KWh e di impatto ambientale troviamo posizioni varie. Dove tutti sono d’accordo è sulla pericolosità delle scorie radioattive e sulla difficoltà a “stoccarle”. Cerchiamo di capire di cosa si tratta, riassumendo quello che abbiamo scoperto fin qui.La fissione nucleare è un processo nel quale un nucleo di Uranio 235 viene colpito da una particella molto piccola: un neutrone. Questo è in grado di spaccare il bersaglio, che si scinde in due altri elementi più leggeri (ad es. Rubidio e Cesio), emette qualche neutrone e un po’ di radiazione elettromagnetica. Il Cesio è radioattivo. Ciò significa che è instabile e tende ad alleggerirsi, emettendo particelle come elettroni o nuclei di elio, oppure energia sotto forma di radiazione gamma.
Nel caso del Cesio questo processo è molto lento. Mille nuclei prodotti (in una goccia d’acqua ne sono presenti circa un miliardo di miliardi) diventano 500 dopo 30 anni, 250 dopo altri 30 anni e così via, riducendo così, mano a mano, la quantità complessiva di radiazione emessa. Questa durata (30 anni per il Cesio) si chiama tempo di dimezzamento (o emivita) ed è diversa per ogni elemento radioattivo. Possiamo pensare di essere ragionevolmente al sicuro dopo 10 emivite, cioè dopo 300 anni. Ecco quindi che questo materiale deve essere chiuso in contenitori assolutamente impenetrabili per tutto questo periodo di tempo. L’espressione “ragionevolmente al sicuro” significa che il livello di radioattività torna ad essere quello normalmente presente nell’ambiente, cioè quello al quale l’evoluzione della nostra specie ci ha abituato a resistere. Ma purtroppo, c’è ben di peggio del Cesio. L’Uranio che viene usato nella fissione nucleare non è tutto U235; ce n’è soltanto una piccola parte del totale, diciamo dal 5 al 7% (nelle bombe nucleari invece la sua concentrazione è dell’80% circa); il resto è Uranio 238, che costituisce quindi la massima parte del materiale fissile. Anche lui viene colpito dai neutroni e può diventare U239, trattenendone uno, diventare instabile e decadere in tempi brevissimi prima in Np239 (Nettunio) e poi in Pu239 (Plutonio). E qui nascono i guai. Già, perché questo isotopo del Plutonio ha un tempo di dimezzamento terribilmente lungo: circa 25 mila anni. Ne devono perciò passare almeno 250 mila per stare ragionevolmente tranquilli. Queste sono le scorie radioattive di cui tanto si parla.
Esistono pertanto, scorie a bassa o media radioattività, con tempi di stoccaggio dell’ordine di alcuni secoli e scorie ad alta attività, con tempi di molte migliaia di anni.
Perché il combustibile non “brucia” completamente? La fissione avviene quando un neutrone colpisce il nucleo e riesce a spezzarlo; che questo avvenga o no è un fatto puramente statistico, non sempre le cose funzionano come si vorrebbe. A volte il nucleo si spezza e allora si ottengono come sottoprodotti elementi più leggeri dell’Uranio (Cesio, Rubidio, Stronzio, ecc.) con emivite relativamente corte. Ma nella maggior parte dei casi il neutrone non ce la fa a spaccare il nucleo, vi resta intrappolato e il nucleo diventa un elemento più pesante, ad esempio Plutonio 239, come abbiamo visto. Gli elementi pesanti che si formano in questi casi fanno parte del gruppo chimico degli attinidi, tutti estremamente radioattivi. Mano a mano che questo materiale di scarto si accumula, il rendimento della reazione è sempre minore e quindi periodicamente occorre ripulire le barre con quello che viene chiamato il “riprocessamento”. In questa fase è possibile recuperare, anche se con alti costi e molti rischi, parte del combustibile esausto (soprattutto il Plutonio). Il resto sono scorie da stoccare. Che questa fase sia quella più pericolosa (assieme all’arricchimento dell’Uranio) lo dimostrano proprio gli incidenti francesi del 2008 (ad esempio nell’impianto di Tricastin gestito da Areva), tutti avvenuti durante questo tipo di lavorazione.

Quali pericoli comportano queste scorie?
Chi scrive non ha l’autorità per descrivere gli effetti biologici e medici delle radiazioni sull’uomo. Tuttavia una ricerca anche molto veloce in rete, fornisce una quantità davvero impressionante di materiale, da quello divulgativo (consiglio di cominciare da Wikipedia) fino a quello più professionale (cercare “Effetti biologici delle radiazioni”).
Ma vediamo, semplificando al massimo, cosa avviene da un punto di vista fisico. Gli atomi sono strutture eleganti e perfettamente equilibrate. Contengono un nucleo con protoni e neutroni e un numero di elettroni uguale a quello dei protoni. Gli elettroni sono piccolissimi e se ne stanno a distanza dal nucleo. Gli atomi si uniscono tra loro per formare delle molecole. Le molecole si uniscono tra loro per costruire catene di molecole; alcune di queste sono le cellule del nostro corpo. Le cellule hanno, durante la loro vita, funzioni precise alle quali devono assolvere. Queste funzioni garantiscono la nostra sopravvivenza e la buona salute. E’ chiaro che se modifichiamo la struttura delle cellule, queste fanno altre cose rispetto a quelle che dovrebbero. Per modificare le cellule basta modificare le molecole e quindi gli atomi che ne sono alla base. Le sostanze radioattive emettono particelle o radiazioni che trasportano energia. Questa viene portata nell’atomo bersaglio e, se è sufficiente, può prendere un elettrone e portarselo via. E’ un po’ come se su una scalinata fossero disposte tante palline, una per gradino e arrivasse uno con una mazza a dare un gran colpo ad una di queste, che volerebbe via dalla scala, lasciando un “buco” nella struttura. Questa proprietà della radiazione si chiama potere ionizzante, cioè il potere di trasformare un atomo in uno ione (un atomo con un numero di elettroni differente dal numero dei protoni), con tutta la catena di trasformazioni che ne conseguono. L’effetto finale è una malattia che può essere letale, come le varie forme tumorali, che si sono riscontrate negli anni (ad esempio la sindrome dei Balcani e quella del Golfo causate dall’Uranio impoverito usato per la costruzione dei proiettili). Nel conto vanno messe anche mutazioni genetiche, come mostrano le malformazioni alle persone, agli animali e alla vegetazione, seguite all’incidente di Chernobyl. Probabilmente si potrebbe pensare che la gravità delle conseguenze dipenda dalla quantità di scorie prodotte. Purtroppo non è così, perché le proprietà chimiche (e quindi il decadimento radioattivo) dei nuclei non dipendono dalla loro concentrazione. Se becchi una foglia di insalata radioattiva, sono problemi seri anche se quella era l’unica particella di Plutonio nel raggio di 100 km.

Quante scorie ci sono da stoccare?
Non c’è una risposta secca a questa domanda. L’International Nuclear Safety Center (INSC) valuta in 200 mila m3 le scorie americane di media attività prodotte in un anno e in 10 mila m3 quelle ad alta attività. Anche l’Italia, che non ha mai prodotto molta energia nucleare, ha le sue scorie. Le quattro centrali costruite nel nostro paese hanno avuto vicissitudini differenti: una venne chiusa prima del referendum del 1987 (Sessa Aurunca), un’altra non fu mai terminata (Montalto di Castro). L’esempio che ci può essere più utile è quello dell’impianto di Caorso (PC), chiuso circa 20 anni fa. Ci arriveremo con calma perché è sempre utile imparare dagli altri, dai paesi che hanno fatto dell’energia nucleare una parte importante della propria produzione energetica.
Come tutti sanno, in Europa il leader è la Francia che produce in questo modo circa il 25% della propria energia. Non lasciamoci ingannare dalle quote riferite all’energia elettrica. Il nucleare produce solo energia elettrica e non può far andare un motore a scoppio. Ma il maggior numero di centrali nucleari al mondo è negli USA. Del resto il “nucleare” è nato proprio lì, attorno ad un progetto di guerra (il Manhattan) che serviva per costruire una bomba. Prima di cominciare però sento di dover dare un avvertimento. La scelta di parlare degli Stati Uniti non ha niente di politico. La Russia (e prima l’Unione Sovietica) sono un esempio chiarissimo di come lo Stato abbia disprezzato l’ambiente e la vita degli uomini in questo settore. I siti dove si produceva Plutonio per le bombe sovietiche (ad es. a Mayak) sono ritenuti ancora oggi i più inquinati del mondo e rispetto ad essi Chernobyl è un giardino dove portare i bambini a fare merenda. Ma gli USA rappresentano lo stato più avanzato tecnologicamente nel mondo e quindi, capendo cosa sta succedendo da loro, si può ipotizzare quale sarà il futuro anche di altre nazioni tecnologicamente avanzate anche se un po’ meno degli USA. E si potrà capire cosa accadrà ai paesi che si vogliono affacciare ora alla produzione di energia nucleare come l’Italia.
Le scorie nucleari sono il risultato non solo della produzione energetica, ma di quel lungo periodo di corsa agli armamenti che ha caratterizzato la cosiddetta “guerra fredda”. In quegli anni, della questione si occupavano i militari e nessuno andava a ficcare il naso nelle loro faccende. Per decenni i materiali radioattivi scartati sono stati lasciati là dove si trovavano o sepolti alla bell’è meglio. Così nel 2000 il compito di bonificare il suolo USA e di risolvere la questione delle scorie ricadde sul DOE (Department Of Energy). Il progetto era grandioso, con un respiro di cento anni e un investimento previsto di mille miliardi di dollari!
Ma come si costruisce un contenitore per le scorie radioattive? Non può certo essere un capannone da chiudere a chiave. Occorre, oltre ad essere sigillato contro ogni fuoriuscita, prevedere ogni possibile evento che lo danneggi: terremoti, alluvioni, uragani, sommosse, terrorismo, agenti atmosferici come umidità e sbalzi di temperatura o di pressione. E poi non si può pensare con i tempi della nostra vita. Per bene che vada si deve ragionare in termini di secoli, o addirittura di millenni, di molti, molti millenni.
Possiamo dividere i siti di stoccaggio in “superficiali” e geologici. I primi sono considerati provvisori, in attesa di trovare una sistemazione definitiva nelle viscere della terra. La soluzione finale dovrebbe dunque essere rappresentata da miniere di sale (che assorbe l’umidità) o da profonde caverne. E tuttavia anche qui nascono subito problemi a non finire.
Il primo è la cosiddetta sindrome NIMBY (Not In My Back Yard = non nel mio cortile) per cui tutto va bene fino a quando il deposito o la centrale o la discarica o l’inceneritore, eccetera non la fanno a casa tua. Di questa sindrome non soffrono solo gli italiani, come qualcuno vorrebbe far credere. Nella Francia nuclearista la realizzazione di nuovi siti per lo stoccaggio delle scorie nucleari sembra essere ad un punto morto e il governo rimanda all’infinito l’annuncio dei nomi dei comuni candidati ad accoglierli, mentre sale l’opposizione nei centri potenzialmente interessati.
In Italia la scelta di Scanzano Jonico per contenere le poche scorie radioattive italiane ha provocato, a suo tempo, una vera e propria rivoluzione nel paese calabrese. Ma c’è anche di peggio.
In Germania era stata scelta una vecchia miniera di potassa ad Asse, ritenendo che fosse geologicamente stabile e non consentisse infiltrazioni di acqua e umidità per la sua natura. Ma le infiltrazioni ci sono state e una parte del materiale stoccato, precisamente Cesio, venne liberato per la prima volta nel 1988 nell’ambiente circostante. E’ quello che dicevo: un sito che oggi “sembra” sicuro al 100% può non esserlo domani provocando disastri terribili. La Germania dal 1990 ha abbandonato la politica nucleare rivolgendo investimenti ed attenzione verso le fonti rinnovabili.
Qualcuno potrà dire che, in fondo, molta parte del materiale di scarto viene recuperato e riutilizzato in centrale. Questo è vero, ma è vero anche che prima di provvedere al riprocessamento di queste sostanze occorre tenerle da qualche parte (ad esempio in speciali piscine) per alcuni anni in modo che gli elementi con emivita più breve decadano e i rischi - comunque alti - legati a questo processo si riducano un po’. E poi alla fine di tutti i riprocessamenti, di scorie comunque ce ne sono e da qualche parte devono essere sistemate. Si consideri infine, che le centrali nucleari hanno un loro ciclo di vita e dopo alcune decine di anni vanno smantellate, il che significa avere a che fare con una enorme, ulteriore quantità di materiale radioattivo. Vedremo più avanti la situazione di Caorso che è un esempio classico di questo genere.
I paesi che si occupano di riprocessare le barre fissili guadagnano un sacco di soldi. Tra questi l’Inghilterra, che importa barre dall’estero - in particolare dal Giappone - per un ammontare di quasi un miliardo di euro annuo. Il ragionamento è semplice. La Gran Bretagna non sa cosa fare delle sue scorie radioattive: averne un po’ di più non cambia di molto la situazione, quindi tanto vale guadagnarci.
Questi sono quelli che governano il mondo.
La situazione è piuttosto singolare, come dimostra il caso della Francia. Il più grande paese nuclearista d’Europa non ha ancora la più pallida idea di dove mettere le proprie scorie, garantendo un minimo di sicurezza al paese. La decisione verrà presa, dal governo centrale, entro il 2010. Vedremo come andrà a finire e come reagiranno i sindaci dei comuni coinvolti.
Insomma, la questione è drammatica un po’ ovunque, perché il problema è più grande di quello che l’attuale scienza e tecnologia è in grado di affrontare. Nella maggior parte dei casi le scorie si trovano negli stessi siti dove sono state o sono tuttora prodotte e cioè nelle centrali e nei luoghi in cui avviene il riprocessamento del materiale radioattivo.
E gli Stati Uniti? Ne parleremo nella prossima puntata.