Marie e Pierre CurieDunque, il nucleo è la parte più piccola dell’atomo.
In esso sono compressi tutti i protoni, che con le loro cariche elettriche positive, si respingono l’un l’altro, quindi, al suo interno devono essere presenti anche i neutroni; particelle "grandi" quasi come i protoni, ma privi di carica elettrica. Tuttavia i neutroni esercitano un altro tipo di interazione (nucleare forte) sui protoni - attrattiva - il che consente al nucleo di restare compatto e non rompersi.
Ogni elemento è contraddistinto dal numero delle particelle che lo compongono. Così l’elemento più leggero è l’Idrogeno, perché il suo atomo è costituito da un solo elettrone e da un protone, poi viene l’Elio con 2 elettroni, 2 protoni e 2 neutroni e così via, fino ad elementi decisamente più pesanti come l’Uranio che può contare 238 tra protoni e neutroni.
Capita che alcuni elementi abbiano nuclei con così tanti protoni da non essere stabili; per raggiungere la stabilità sono costretti a cambiare, buttando via qualcosa, particelle o energia. La scoperta di questo strano fenomeno, chiamato decadimento radioattivo, risale agli ultimi anni del secolo XIX, grazie agli studi e alle ricerche di alcuni fisici e chimici, tra i quali spiccano i nomi di Becquerel e dei coniugi Pierre e Marie Curie.
Ci sono vari tipi di radioattività; alcuni di questi trasformano il nucleo in qualcos’altro, poiché cambia il numero delle particelle che lo costituiscono, in altri casi, invece, viene emessa solo energia e il nucleo rimane sempre lo stesso.
Di questa seconda categoria fa parte il decadimento gamma durante il quale vengono emesse radiazioni ad altissimo contenuto energetico e fortemente ionizzanti (il che significa che sono in grado di sottrarre elettroni agli atomi e quindi di cambiarli).
Della prima categoria invece fanno parte i decadimenti alfa e beta, durante i quali vengono emesse particelle che sono rispettivamente nuclei di Elio (chiamate appunto particelle alfa) ed elettroni. Anche se ci sono vari modi in cui il decadimento beta ha luogo, quello più classico è il seguente: un neutrone si trasforma in un protone e un elettrone; quest’ultimo viene espulso mentre il protone resta nel nucleo. Assieme all’elettrone esce dal nucleo una particella molto strana, di massa quasi nulla e carica elettrica zero, un anti-neutrino. Ecco quindi che il nucleo originale ha complessivamente perduto un neutrone e guadagnato un protone: si è trasformato. Nell’esempio del cobalto che diventa Nichel:
60 è il numero dei nucleoni, 27/28 quello dei protoni.
Questo è quello che avviene in natura.
E’ possibile però riprodurre questi fenomeni anche in laboratorio. Nel 1934 Frederic Joliot e Irene Curie (figlia dei Curie di cui sopra) scoprirono la radioattività artificiale. Bombardando con particelle opportune (spesso neutroni) determinati nuclei si può far sì che essi decadano in altri elementi, anche se spontaneamente non lo farebbero mai. Gli elementi radioattivi artificiali in natura non esistono. Se un nucleo assorbe un neutrone può semplicemente diventare un po’ più pesante e più stabile (in quanto aumenta la forza di coesione). Più frequentemente tuttavia accade che il nuovo nucleo sia instabile e tenda a spezzarsi, diventi cioè radioattivo.
La conoscenza della radioattività artificiale portò in breve tempo alla scoperta della fissione nucleare e di tutte le conseguenze che questa ha comportato dalle bombe di Hiroshima e Nagasaki in avanti.
Alla fine degli anni 30 quello che i fisici sapevano sulle reazioni nucleari era che in esse veniva “perduta” da parte del nucleo una modesta quantità di massa (circa l’1%). Alcuni esperimenti vennero condotti in quegli anni bombardando Uranio con neutroni. I fisici che conducevano questi esperimenti erano Enrico Fermi ed alcuni scienziati tedeschi (Hahn e Strassmann). La sorpresa consisteva nel fatto che, tra i prodotti di reazione, figuravano sempre notevoli quantità di Bario. Questo elemento ha 138 nucleoni, e quindi la “perdita” di massa risultava essere di circa il 40%, decisamente troppa perché il fenomeno potesse essere ricondotto a quelli già conosciuti. Fu Lise Meitner, nel 1938, a spiegare cosa stava accadendo. Il nucleo di Uranio si spezzava in due parti di massa quasi uguale, si trasformava quindi in due altri elementi: uno di questi era Bario. Nella reazione si producevano anche altre cosucce: dei neutroni e una grande quantità di energia.
La presenza dei neutroni (2-3 per ciascun urto) era particolarmente inquietante, poiché faceva capire chiaramente che la reazione poteva autoalimentarsi, dal momento che gli urti neutrone-nucleo sarebbero aumentati in maniera formidabile in pochissimo tempo. La quantità di energia prodotta non solo sarebbe stata enorme, ma anche esplosiva: una bomba.
Al fenomeno di “rottura” degli atomi di Uranio si diede il nome di fissione nucleare (dal latino fissio = suddivisione).
Poi si scoprì che non solo l’Uranio aveva questa proprietà ma anche altri elementi pesanti. Ecco un esempio di come l’Uranio 235 si trasformi in un nucleo di Rubidio93 e di Cesio 141:
235U + n → 93Rb + 141Cs + 2n.
Queste considerazioni hanno anche un altro aspetto da chiarire. Se i nuclei possono cambiare il proprio contenuto di nucleoni, cosa cambia quando un elemento (ad esempio l’Uranio) possiede un diverso numero di neutroni?
In effetti moltissimi elementi hanno una varietà di “formazione neutronica”; lo stesso Ossigeno si può presentare con 8 , 9 o 10 neutroni nel suo nucleo. Gli atomi cui questi differenti nuclei appartengono hanno le stesse caratteristiche chimiche (o quasi) poiché elettricamente identici, ma avranno comportamenti fisici spesso molto, molto diversi. Quando il chimico russo Mendeleev costruì la famosissima tabella periodica(*), essi andavano quindi collocati nella stessa casella; per questo si chiamano isotopi (dal greco isos = uguale e topos = luogo).
Anche l’Uranio possiede molti isotopi (di una certa stabilità) con numeri atomici che vanno da 230 a 240. Solo tre di questi tuttavia esistono in natura, il 234, il 235, il 238. La distribuzione della loro presenza nel nostro pianeta è davvero poco uniforme, dal momento che il 99,3% è Uranio 238, lo 0,72% Uranio 235, lo 0,002% Uranio 234.
Tutti e tre sono fissili, cioè possono essere spezzati in due dai neutroni, ma solo l’Uranio 235 ha un rendimento elevato, nel senso che emette abbastanza neutroni come prodotti di reazione. Estrarre quindi un kg di Uranio da una miniera non produce un kg di combustibile per la fissione nucleare. Come vedremo meglio più avanti occorre preparare una “miscela” di Uranio arricchito di 235 ben oltre i valori “naturali”.
C’è un’altra domanda fondamentale alla quale dare risposta. L’energia che si produce nella trasformazione dei nuclei radioattivi e da quelli che subiscono la fissione nucleare da dove arriva? Anche questa è una delle stranezze della natura. Chi studia le trasformazioni di energia è abituato a pensare ad energie meccaniche (ad esempio di movimento) che si trasformano in energia elettrica (con la dinamo della bicicletta) o calore (quando ci sfreghiamo le mani perché abbiamo freddo). o viceversa come accade per la lucidatrice o per la nostra automobile. A nessuno viene in mente di pensare da dove un fiammifero che accendiamo prende l’energia che si traduce poi in luce e calore. Ci ha pensato un grande uomo, Albert Einstein, il quale ha scoperto, tra le tante cose strane che circondano la nostra esistenza, che anche la materia (precisamente la massa che ne misura la quantità in kg) è un “contenitore di energia”. Detta così sempre pura follia. Cerchiamo di analizzare le cose con calma.
Quando prendiamo dieci cubi da un etto e li mettiamo assieme formiamo una struttura di 1 kg. Potremmo giurarlo anche sotto tortura. Allora allo stesso modo, quando prendiamo 10 neutroni e 10 protoni e li costringiamo a vivere assieme in un nucleo, siamo convinti che la massa complessiva sia data dalla somma dei singoli contributi. Ebbene le cose non stanno così.
Un nucleo per stare assieme ha bisogno, oltre che delle particelle, anche di una energia di legame, associata all’interazione nucleare forte tra protoni e neutroni.
Quando il nucleo si scinde durante una fissione la somma delle masse dei prodotti non è uguale a quella iniziale: ne manca un po’. Questo “difetto di massa” è associato all’energia liberata secondo la relazione di Einstein: ΔE = Δm c2.
Significa che quando la massa si riduce della quantità Δm, al suo posto compare l’energia ΔE. Il tasso di scambio è elevatissimo, perché il valore c2 nelle unità di misura abituali vale circa 100 milioni di miliardi. Se riuscissimo a far “sparire” 1 grammo di materia, al suo posto otterremmo circa 100 mila GJ di energia, una quantità davvero enorme.
Tutto questo avviene sempre, anche quando, appunto, strofiniamo un fiammifero per ottenere calore. In questo caso, tuttavia, la quantità di energia prodotta è piccolissima e la massa si riduce di una quantità che nessuno strumento al mondo è neanche lontanamente in grado di misurare.
Viceversa il fenomeno è percepibile (eccome!) nelle reazioni nucleari di fissione, quando pur essendo le masse in gioco davvero minime (parliamo di nuclei!) le quantità di energia sviluppate sono all’incirca 50 milioni di volte superiori a quelle che si ottengono in un comune processo di combustione.
Ancora meglio vanno le cose nell’altra famosa reazione nucleare, la fusione. Qui nuclei leggeri (come quelli dell’idrogeno) si uniscono, si fondono assieme; una parte della massa si trasforma in energia con un rapporto ancora più favorevole della fissione. Tuttavia perché i nuclei fondano devono essere messi molto vicini tra loro e per fare questo è necessario portare il gas che li contiene a temperature decisamente più alte di quelle raggiungibili sulla Terra. Questo problema non si pone nelle stelle, dove la fusione nucleare avviene da sempre.
Questa enorme produzione di energia ha attratto gli scienziati ed i governi, i quali hanno cominciato dagli anni 40 a intravedere tra neutroni e protoni la possibilità di ottenere una fonte di energia apparentemente infinita. Questa può esprimersi in modo esplosivo (le bombe) e pacifico (centrali nucleari). Cosa si può chiedere di meglio?
Nessun impianto a fusione nucleare è mai stato realizzato, mentre molti sono quelli a fissione. Di questi cominceremo a parlare la prossima volta.
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(*) Gli elementi sono stati classificati in base al loro numero atomico (il numero dei protoni). Questo valore Z (da Zahl = cifra, numero) determina le proprietà chimiche degli elementi. Come abbiamo visto la scorsa volta il numero di protoni coincide con quello degli elettroni, i quali si dispongono attorno al nucleo in orbite permesse con regole precise. L’avere un numero o l’altro di elettroni esterni cambia il modo di questi atomi di “approcciarsi” agli altri e quindi di reagire chimicamente con essi. Dopo vari tentativi fu il russo Mendele’ev a realizzare una tabella, nella quale tutti gli elementi esistenti (e molti di quelli che ancora non erano stati scoperti) trovavano una collocazione. La tabella è organizzata per 18 gruppi (le colonne) e per 7 periodi (le righe). Così, ad esempio, l’Idrogeno fa parte del periodo 1 (assieme all’elio) e del gruppo 1, assieme a Litio, Sodio, Potassio, ecc. Dal momento che quello che conta per essere inseriti in una casella è solo il numero di protoni, tutti gli isotopi di un certo elemento appartengono alla stessa casella.