Gli anni ‘60
Oggi parliamo di segreti, di servizi segreti e di politici, di interferenze americane e di tentati colpi di stato. In particolare oggi parliamo del SIFAR, il servizio segreto militare del dopoguerra.Prima di cominciare una precisazione. Occorre non fare confusione tra quello che accadeva allora negli anni del dopoguerra e quello che avviene oggi, quando un presidente del senato fa affermazioni che non stanno né in cielo né in terra sull’anima antifascista della nostra costituzione. Insomma essere di destra oggi è probabilmente differente da 60 anni fa, anche se qualcuno sembra non essersene accorto. Almeno io spero che sia così.
La nostra storia, questa sera, comincia negli anni ’60. É difficile fare discorsi obiettivi per chi, come il sottoscritto, quegli anni ha vissuto da ragazzo ed ha quindi una visione romantica, nella quale gli aspetti positivi diventano giganteschi e quelli negativi quasi spariscono come la polvere sotto il tappeto. Troppa indulgenza? Allora cerchiamo di richiamare i fatti, allontanandoli se possibile dalle opinioni.
Se c’è una cosa che non può essere smentita è il fatto che si è trattato di anni ricchi, anzi ricchissimi di cambiamenti. Del resto, l’Italia come altri paesi, arriva da una guerra disastrosa, c’è bisogno di una ricostruzione sia fisica che morale, dopo vent’anni di dittatura. Gli anni ’60 sono ricordati come quelli del “boom economico”, che per le famiglie degli operai e degli impiegati significa soprattutto firmare cambiali per adeguare la propria vita al nuovo che avanza, per comprare la vespa o la prima cinquecento o alcuni elettrodomestici che prima nessuno si permetteva.
Ma non è solo questo. É anche il periodo che vede molti giovani scendere in piazza per rivendicare un ruolo da protagonisti, con una visione differente della vita rispetto a quella dei propri genitori, dei matusa (come si diceva all’ora), responsabili degli orrori della guerra, della fame e della povertà. Sono anni in cui tutto sembra possibile: “un mondo migliore” non è una frase retorica e poetica. La stragrande maggioranza dei ragazzi ci crede davvero e fa progetti sul proprio futuro. Che poi siano naufragati miseramente non toglie a quelle iniziative una grande importanza.
C’è, di là dell’oceano, la generazione che parte per il Vietnam, una guerra assurda, combattuta dall’altra parte del mondo, che si rivelerà un clamoroso flop sia da un punto di vista geopolitico che per l’enorme numero di vittime statunitensi.
In Italia a dominare la scena politica è il partito della Democrazia Cristiana. É presente ovunque ed è ammanicato, si dice, con tutti i poteri forti presenti nella nazione. Dal Vaticano perché scudo contro i senzadio comunisti ed infatti il simbolo è uno scudo con una croce. Dall’economia che sostiene con aiuti di vario genere, usando i soldi dei cittadini, i quali, ovviamente, niente sanno di tutto questo. La FIAT, l’ENI di Mattei, sono simboli da tenere vivi a tutti i costi, anche se è necessario compiere azioni poco chiare, fatte di bustarelle, mazzette, corruzione a tutti i livelli. Ma questo allora noi non lo sappiamo, nessuno ce lo dice. Lo scopriremo solo molti anni più tardi.
Si innestano anche legami meno ufficiali e decisamente più vergognosi della Democrazia Cristiana, come quelli con la mafia, ad esempio.
Tuttavia, le manifestazioni di piazza sono con ogni probabilità un segnale anche per il potere che, alla fine si convince che qualche modifica va fatta e così si comincia a pensare di coinvolgere il Partito socialista italiano, guidato da un eroe della resistenza come Pietro Nenni, che sarà per diversi anni il vice del capo del governo Aldo Moro. Insomma nasce il cosiddetto centro-sinistra. Si badi bene che, nonostante l’assonanza, quel centro-sinistra non ha nulla a che fare con quello di oggi, quando il concetto stesso di sinistra è cambiato di molto.
Del resto cambiamenti in quegli anni erano stati tentati anche a livello internazionale. Negli Stati Uniti la presidenza Kennedy e quella sovietica di Chruscĕv danno, soprattutto dopo i fattacci della Baia dei Porci e dei conseguenti missili nucleari a Cuba, qualche speranza di rendere meno fredda la guerra tra le due superpotenze. Speranza che si potrà realizzare solo molto più tardi e in una situazione geopolitica completamente diversa. Ma i tentativi ci sono.
Tornando all’Italia, l’avvicinamento dei socialisti al potere centrale, un potere fortissimo, che si avvale di ogni organizzazione possibile dalla chiesa all’esercito, all’economia, non può essere visto di buon occhio dagli americani. Questi, subito dopo la guerra avevano addirittura preso accordi con la mafia siciliana per impedire un successo di qualunque tipo da parte dei comunisti. Ne ho parlato qui [link] a proposito dell’anticomunismo del bandito Salvatore Giuliano. Ma ancora più significativa, in questo senso, è la storia di Lucky Luciano, redento dagli States, pur di riuscire a coinvolgere i mafiosi nella liberazione della Sicilia.
Per loro, vedere un uomo di sinistra come Pietro Nenni in posizioni di prestigio all’interno dell’esecutivo, fa scattare l’idea di un colpo di stato come quello del generale dei carabinieri Giovanni De Lorenzo nel 1964.
Del colpo di stato non se ne fa niente, ma la stessa idea di provarci rende più prudente la DC sui cambiamenti di rotta verso la sinistra. Meglio rafforzare il proprio potere ed emarginare la sinistra, magari facendo leva sui partiti che dal centro si orientano verso destra: liberali, repubblicani, monarchici (fin quando sono esistiti) e i neofascisti del MSI di Almirante.
Il tentativo di farla finita con queste manie sinistrorse è racchiuso in quello che l’Espresso definisce il caso SIFAR.
E proprio questo è l’argomento principale di questo articolo.
La situazione
A livello internazionale, come accennato, la guerra lascia un mondo diviso in due: da una parte le terre conquistate dall’Armata Rossa, fuse in un blocco ad indirizzo socialista, dove al potere del proletariato, si va rapidamente sostituendo il potere del partito. Dall’altra parte la potenza militare, economica e politica degli Stati Uniti domina l’Occidente capitalista. Nonostante gli sforzi già richiamati prima, la cosiddetta distensione è solo un piccolo sogno, perché due fatti gravi intervengono a modificare in peggio le relazioni tra i due paesi: la decennale guerra nel Vietnam, avendo come nemico un popolo comunista, e la guerra del Kippur tra Israele, sostenuto dagli USA, e i paesi arabi confinanti (Egitto e Siria), appoggiati anche militarmente dall’Unione Sovietica.A metà degli anni ’70 tutti i passi avanti fatti dieci anni prima sono cancellati e si dovrà arrivare, come detto, al 1989, per una diversa soluzione internazionale con la caduta emblematica del muro di Berlino e di molti governi del blocco socialista.
In Italia le cose vanno diversamente, almeno all’inizio. Cresce il benessere e con esso i consumi, soprattutto quelli legati all’acquisto di veicoli. La Vespa e la cinquecento, diventano uno status symbol irrinunciabile di un’Italia che cambia. L’aumento dei mezzi a motore modifica anche l’urbanistica, legata anche ad una marcata urbanizzazione della popolazione. Cambia anche la società, che, una volta acquisiti i beni primari, può cominciare a pensare a cose meno prosaiche, come i propri diritti civili. A questo non è estranea la scolarizzazione che cresce vertiginosamente in quegli anni. A cittadini più attenti servono mezzi di informazione migliori. Nascono L’Espresso, nel 1955, e Il Giorno l’anno seguente. Le notizie vengono raccontate con linguaggio moderno e con un piglio che prima semplicemente non esisteva.
Diverso il destino della Televisione, come era stato prima per la radio, colonizzata dai potenti boss della Democrazia Cristiana.
Il panorama politico vede, come secondo partito per voti, il Partito Comunista Italiano, che viene emarginato e considerato da quasi tutti il pericolo pubblico numero uno.
Nel 1960 nasce il governo Tambroni, con il sostegno dei voti dei neofascisti del MSI. Lo stesso governo consente ai missini di tenere il proprio congresso a Genova, città medaglia d’oro della Resistenza. Cerchiamo di non fare confusione con quello che si può pensare oggi. Siamo nel 1960 e i ricordi di una dittatura durata oltre vent’anni sono ben presenti negli italiani, molti dei quali hanno vissuto il ventennio in maniera tragica. La conseguenza è un’ondata di proteste, di manifestazioni di piazza, alle quali partecipano un po’tutti: i comunisti, i socialisti, i sindacati, ma anche parte del mondo cattolico e quindi democristiano. La polizia reagisce e a Reggio Emilia vengono uccisi cinque manifestanti. Tambroni è costretto a dimettersi. Al suo posto ecco Fanfani che l’anno dopo, siamo nel 1962, succederà a se stesso guidando un governo con l’appoggio esterno del partito socialista. É il primo vagito del centrosinistra italiano. Ancora un anno e Aldo Moro guiderà il primo governo con ministri socialisti, socialdemocratici e repubblicani, tutti avversi al PCI e quindi degni di entrare nella compagine. Oltre al già citato Pietro Nenni, ci sono ministri importanti come Saragat, Reale, Giolitti, Tremelloni, Mancini ed altri. C’è anche l’immancabile Giulio Andreotti e Bernardo Mattarella, il padre dell’attuale presidente della repubblica.
La cosa davvero nuova però più che la formazione della compagine è il programma che viene presentato alle camere. Un programma di grande rinnovamento: riforma della scuola, con l’obbligo scolastico innalzato a quattordici anni, riforma urbanistica, riforma della pubblica amministrazione, attuazione delle regioni, secondo quanto stabilito dalla Carta Costituzionale, nazionalizzazione delle imprese elettriche e programmazione economica.
Belle prospettive, ma di queste solo due verranno portate a compimento (la scuola e la nazionalizzazione). Poi succede qualcosa. Pietro Nenni verifica che il PSI sta perdendo voti a favore del PCI, il quale nel 1964 supera il 25%. Le masse, insomma, stanno col partito comunista. Nenni è costretto ad una riflessione sul suo desiderio di creare un grande centro socialdemocratico italiano.
Dall’altra parte ci sono le destre interne alla DC, che non digeriscono bene, questo centrosinistra. Queste correnti dimostrano la loro forza quando impongono nel 1962 l’elezione a presidente della repubblica di Antonio Segni, con i voti determinanti dei neofascisti del Movimento Sociale.
Anche l’industria è preoccupata, soprattutto quella media-piccola borghesia, che vede l’ingresso al governo del PSI come una specie di cavallo di Troia che avrebbe poi aperto la stanza dei bottoni ai comunisti del PCI.
Tutte queste reazioni, accompagnate dal benestare della CIA e del governo americano, portano nel 1964, non tanto a realizzare un colpo di stato (quello del generale De Lorenzo), quanto a cercare di persuadere Aldo Moro a liquidare i socialisti, attraverso un piano, il famoso “Piano Solo”, che avrebbe riportato l’ordine e messo fuori combattimento le opposizioni. Né il colpo di stato, né il piano solo trovano realizzazione per il rifiuto di molti vertici democristiani a parteciparvi. Tuttavia gli stessi capi della DC si affrettano a mettere sotto silenzio la trama golpista di De Lorenzo. I fatti emergono solo qualche anno più tardi, nel 1967, grazie a due giornalisti de L’Espresso, Eugenio Scalfari e Lino Iannuzzi, che pubblicano i retroscena dell’intera vicenda. I fatti vengono racchiusi in una nuova dicitura: il caso SIFAR.
Tutto questo porta ad un deciso rallentamento nel progetto di centrosinistra in Italia, fermando riforme impellenti ed assumendo un atteggiamento che è tra le cause delle manifestazioni di piazza che, a partire dal 1967 e soprattutto nel ’68 e ’69 infiammano la scena politica e sociale del nostro paese.
Le premesse: guerra fredda e CIA
Per comprendere le situazioni di cui parleremo occorre aver ben presente il periodo di cui stiamo parlando. Dopo la guerra, nel 1949, l’Unione Sovietica dispone di armi nucleari, mentre nasce la NATO, una organizzazione tesa alla difesa degli stati occidentali da una eventuale mossa dei comunisti russi. Una delle possibilità del nemico è di usare azioni insurrezionali e di guerriglia, il che porta dritti alla necessità di creare strutture segrete per una guerra non convenzionale. Insomma un’organizzazione che stia dietro le linee nemiche in particolare in paesi come l’Italia, perché terra di confine col blocco sovietico e perché sede di un Partito Comunista particolarmente forte e attivo. Nasce così Stay Behind, di cui ho parlato in una delle scorse puntate, che in Italia prende il nome in codice di Gladio.
Cos’è Gladio e che ruolo ha nelle vicende politiche italiane? Vediamo di cosa si tratta in breve. In futuro farò una intera puntata su questo argomento.
A partire dall’esplosione di una bomba nella banca dell’agricoltura in piazza Fontana a Milano nel 1969 si susseguono una serie di attentati che spesso non hanno alcuna ragione, come quello in Belgio dove un commando perfettamente addestrato fa una strage di clienti sparando senza alcuna remora anche sui bambini. Non esiste ancora una matrice di terrorismo pseudo-religioso come ai giorni nostri e non si era mai visto prima un bandito uccidere senza pensarci su dei bambini. Gli occhi degli inquirenti, di quelli che riescono a capirci qualcosa, puntano su un’organizzazione militare segreta, che ha sedi in tutta Europa e negli Stati Uniti e ci chiama “Stay behind”, che significa sostanzialmente di rimanere dietro, ma dietro a che cosa?
Dopo la seconda guerra mondiale il mondo si spacca in due: le due superpotenze, USA e URSS, si fronteggiano in ogni settore della vita pubblica e si armano come se stesse per cominciare una nuova guerra, la terza guerra mondiale, di cui in quel periodo si parla continuamente con grande terrore. Noi italiani viviamo nel blocco occidentale e, anzi, siamo un paese di confine e per questo da tutelare in modo particolare contro il pericolo più grande: l’invasione delle truppe comuniste che arriveranno per mangiare i nostri bambini e fare delle nostre chiese stalle per i cavalli dei cosacchi. Detta così è certamente sarcastica, ma il fatto è che l’esercito sovietico è probabilmente il più potente in quel momento e quindi arrestarne una eventuale avanzata sarà davvero molto complicato. Ecco allora l’idea. Creare dei gruppi di specialisti che operino dietro le linee nemiche (di qui il nome Stay behind = stare dietro) e servano da appoggio per azioni da parte delle forze alleate inglesi o americane che arriveranno a salvarci come nei film americani sui cowboy. L'organizzazione di questo esercito è della NATO, l’alleanza atlantica. Ci sono mezzi enormi messi a disposizione sia come addestramento (che avviene a Sud di Londra) che come mezzi in ogni senso: trasporto, armi, e qualsiasi altra cosa. Le formazioni assumono nomi diversi a seconda della nazione. In Italia Stay Behind si chiama, per l’appunto, Gladio. A cosa deve serivre Gladio?
Le informative degli Stati Uniti e in particolare dei dirigenti della CIA sono chiarissime nel merito. Il Partito Comunista va fermato con ogni mezzo, legittimo e illegittimo poco importa. A gestire questo particolare settore è l’NSC (National Security Council) massima organizzazione statunitense in tema di sicurezza nazionale.
Teniamo anche presente che l’Italia è ancora occupata dalle forze armate americane. Nel 1949 viene costituito il SIFAR (Servizio Informazioni Forze Armate) con una semplice circolare del ministro della difesa Randolfo Pacciardi. Il protocollo che lo regola è segreto e comporta la totale rinuncia alla sovranità italiana. Anche il personale deve essere approvato dalla CIA. Il SIFAR, in base alla dottrina statunitense, è costituito da militari di provata fede anticomunista, in gran parte provenienti dalle file degli apparati militari ed informativi dell’ex regime fascista.
Ci vuole una guerra più psicologica che fisica. Così si forma una Commissione, chiamata la Commissione C del Psychological Strategy Board, organismo che riunisce rappresentanti del Dipartimento di Stato cioè degli Esteri, della Difesa e, immancabilmente, della CIA. É il 13 novembre 1951 quando questi signori elaborano la loro strategia di propaganda e, appunto, guerra psicologica. Il piano viene recapitato al presidente del consiglio italiano, Alcide De Gasperi, che da buon cattolico non fa certo fatica ad accettare l’indicazione di discriminare i comunisti. Ci si rivolge alle aziende con manodopera comunista: all’epoca la stragrande maggioranza degli operai è di sinistra, iscritta al PCI o al PSI, e anche ai sindacati che hanno riferimento a questi partiti: la comunista CGIL nata nel 1944 e la socialista UIL che è appena stata costituita. Bisogna, dicono gli americani a De Gasperi, mettere in atto azioni per far fallire o almeno ridurre le cooperative controllate dai comunisti. Occorre stimolare il deviazionismo nel PCI, screditare lo stesso partito e distruggere la rispettabilità delle figure importanti che ne fanno parte. Compromettere i comunisti che ricoprono cariche pubbliche, creare scandali ad hoc, ridurre il potere della stampa. Al suggerimento di queste azioni si accompagna la frase “con qualunque mezzo”. Tra gli altri mezzi ecco quello di avviare una riforma della legge elettorale “per tagliare la rappresentanza comunista in parlamento”.
Ora, tutto questo non fa parte di un film di spionaggio, è la semplice cronaca storica di quegli anni. Non solo, ma si viene a scoprire, grazie a successive indagini, che i servizi segreti italiani sono tenuti a passare le informazioni e ricevere le istruzioni da una apposita centrale della CIA in Italia che dipende direttamente dalla presidenza degli Stati Uniti. Insomma i servizi sono segreti solo per noi, non per i padroni del vapore di Washington.
Poi, nel 1952, viene sviluppato il piano Demagnetize: di cosa si tratta?
Demagnetize e Gladio
Eravamo rimasti al piano Demagnetize, siglato nel 1952 da un accordo tra la CIA e il SIFAR. Il suo scopo è quello di depotenziare e tentare di mettere fuori legge il partico comunista in Italia.Forse non occorre ricordare le ansie di quel periodo ma anche di quello successivo degli statunitensi, convinti dal regime che i comunisti stavano per sbarcare in California e non per prendere il Sole, ma per distruggere l’intera nazione. Il periodo è contrassegnato da maccartismo, ideato dal senatore McCarthy, che ha visto finire in galera o perdere il lavoro una marea di persone sulla base di indizi a dir poco fantasiosi. La mania del senatore termina nel dicembre 1954, quando è costretto a dimettersi dalla Commissione per le attività antiamericane, per aver messo sotto inchiesta lo stesso esercito americano.
Ma torniamo in Italia. Il piano Demagnetize viene sottoscritto dal direttore del SIFAR che all’epoca è il generale Umberto Broccoli. Nessuno deve saperne niente, nemmeno il governo: è in poche parole la creazione di uno stato dentro lo stato. A renderlo operativo ci deve pensare il generale Giovanni De Lorenzo, diventato capo del SIFAR il 27 dicembre 1955. Ex partigiano, De Lorenzo godeva proprio per questo delle simpatie della sinistra. Durante la guerra aveva operato prima in montagna e poi a Roma, entrando in contatto con molte personalità dei comitati di liberazione, poi diventati nomi importanti della politica italiana del dopoguerra.
Intanto, nel 1956, nasce Gladio, come detto, la costola italiana di Stay Behind.
La preoccupazione degli Stati Uniti che ho descritto fin qui sulla situazione italiana, fa sì che, dopo la guerra, arrivino nel nostro paese gli uomini migliori per supervisionare le nuove organizzazioni di difesa in ambito NATO, compreso Gladio e il piano Demagnetize.
Per quasi tutto il decennio ’50 è a Roma, William Colby, futuro dirigente della CIA, in quegli anni semplicemente agente segreto con incarichi speciali. É lui a fondare le operazioni Stay Behind in Scandinavia. Nello stesso periodo l’ambasciatrice USA a Roma è Claire Boothe Luce, una fanatica anticomunista, proveniente dall’ambiente del cinema e della moda, che avrà alcuni fastidi per certe sue uscite esageratamente maccarthiste e quanto mai inopportune. Il punto di riferimento italiano di questi personaggi è il ministro Fernando Tambroni, di cui ho già detto prima. Sicuramente non tenero con gli uomini di sinistra.
Uno degli uomini di punta nella lotta al comunismo italiano in quegli anni è Carmel Offie, membro dell’OPC, un Ufficio creato dal ministero degli esteri statunitense per la guerra psicologica, per la propaganda e il finanziamento di iniziative che possano destabilizzare l’Unione Sovietica e tutti quelli che le vanno dietro, quindi anche il PCI. É lui, Offie, a patrocinare l’intervento autonomo della CIA nel nostro paese e a suggerire che a guidare il SIFAR sia il generale Giovanni De Lorenzo.
Il primo passo dell’offensiva ricorda i metodi di McCarthy: schedare i personaggi in vista della nazione. Ma, si badi bene, non solo dei comunisti e neppure solo dei politici.
Alla fine i nomi di politici, sindacalisti, imprenditori, uomini d’affari, intellettuali, religiosi, militari riempiono 157 mila fascicoli. Ci sono indicazioni quasi maniacali. Per fare un esempio, ci sono registrate le marche e le quantità degli alcolici utilizzati dal futuro presidente della repubblica Giuseppe Saragat.
Le notizie su questa operazione saltano fuori solo nel 1967, quando il giornalista de L’Europeo, Renzo Trionfera, comincerà a renderle pubbliche con una serie di articoli. Viene formata una commissione parlamentare d’inchiesta, guidata dal generale Aldo Beolchini, uomo dello stato insignito di numerosi riconoscimenti.
Si trova di fronte una quantità impressionante di materiale. Lo stesso generale dirà in una intervista che, per l'onorevole Fanfani, ad esempio, c'erano quattro volumi, ciascuno gonfio come un doppio dizionario.
Torneremo su questi fascicoli più avanti.
Dunque migliaia di italiani vivono in una specie di casa del grande fratello, spiati di continuo e osservati anche nelle loro abitudini quotidiane. Chi ci fosse dietro questa manovra non è mai stato chiarito. Se la responsabilità di De Lorenzo è chiara, pare che l’input di questa schedatura sia venuto dai vertici della CIA e precisamente dal capo stazione italiano Thomas Karamessines, per la già spiegata paura dell’ingresso socialista e in futuro comunista alla guida del paese.
Anche sul ruolo dei nostri politici ci sono molti dubbi. Uno dei collaboratori di De Lorenzo, il colonnello Rocca, che sarà quello che organizzerà la struttura clandestina Gladio, riferisce alla commissione Beolchini che i servizi schedavano quelle persone per rispondere alle continue richieste nientemeno che del presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi. Ma, ancora oggi, non è per niente chiaro il ruolo che la politica italiana abbia giocato in questa triste vicenda. E, a dirla tutta, sarebbe strano il contrario, visto come i politici si sono sempre difesi tra loro come gli aderenti ad una setta.
Nel 1962 il Quirinale vede il cambio della guardia. Nuovo inquilino è Antonio Segni democristiano decisamente di destra, grande sostenitore di De Lorenzo, che diventa, anche per questo, comandante dell’arma dei carabinieri. La presidenza di Segni dura solo due anni, a causa di una grave malattia gli impedisce di portare a termine il mandato, ma sono due anni in cui succedono cose importanti per il paese.
C’è un balletto continuo tra chi spinge per un governo di centro sinistra (Aldo Moro su tutti) e chi fa di tutto perché le innovazioni volute da Pietro Nenni vengano chiuse in un cassetto. Tra questi anche il nuovo presidente della repubblica.
Sempre nel 1962 termina anche il mandato di De Lorenzo a capo del SIFAR, il mandato più lungo di tutti. Tuttavia egli riesce a controllare le azioni dei servizi, avendo messo suoi uomini fidatissimi nei posti chiave dell’organizzazione.
Il generale rivoluziona, letteralmente, il corpo dei carabinieri, facendolo diventare uno dei punti di forza dell’esercito italiano. Nuovi armamenti, nuovo spirito di corpo, nuovi obiettivi, una istituzione efficiente e all’avanguardia, agguerrita e pronta a tutto.
In un periodo ricco di dubbi, il generale suggerisce al presidente Segni di varare un governo con a capo il presidente del senato Cesare Merzagora, che escluda completamente le sinistre. Poi De Lorenzo propone a Segni un piano, di cui adesso parleremo, che coinvolge solo i carabinieri e nessun’altra forza. Per questo quel piano prende il nome di Piano Solo.
Il classico colpo di scena
Dunque De Lorenzo propone a Segni il piano Solo, che il presidente accetta. Vediamo di cosa si tratta. Non è un piano soft, si tratta di un vero e proprio colpo di stato. Le intenzioni sono chiarissime e il percorso del piano altrettanto: eccolo.Il primo obiettivo da raggiungere è inquietante. Bisogna prelevare i personaggi politici ritenuti pericolosi, quelli per così dire di sinistra, e raggrupparli a Capo Marragiu, in Sardegna, dove c’è la sede del Centro di Addestramento Guastatori. Per trasportarli si usano aerei coi finestrini oscurati o elicotteri o, addirittura, sommergibili, che però vanno chiesti in prestito alla marina statunitense, l’unica ad averne sul territorio. Nessun massacro, per carità, una volta finita l’emergenza sarebbero tornati liberi. Gli autori di questa fase sono i Carabinieri, affiancati da gruppi di civili, tutti ex parà e repubblichini di Salò. I soldi arrivano invece dalla Confindustria e da alcuni circoli paramilitari. Non c’è dubbio dunque che si tratti di un golpe di chiaro stampo fascista, ma nel vero senso del termine, con la fattiva collaborazione della CIA.
E qui si capisce l’utilità di quelle liste che De Lorenzo, quando era a capo del SIFAR, aveva fatto così scrupolosamente redigere su migliaia di personaggi italiani.
Il progetto continua con i Carabinieri che assumono il controllo delle istituzioni (Camera, Senato, presidenza della repubblica, palazzo Chigi) e dei centri più importanti dei servizi pubblici: le redazioni de L’Unità (all’epoca organo ufficiale del Partito comunista italiano), le sedi della RAI e tutte le prefetture.
Come detto, la CIA sa, evidentemente, tutto. Nei dispacci di quel periodo si fa spesso riferimento ad un possibile colpo di stato in Italia. Non solo, si indica con precisione gli incontri che De Lorenzo ha con il capo dello stato Segni e con il papabile capo del nuovo governo Cesare Merzagora. Dunque è tutto programmato.
Il 2 giugno, giorno della festa nazionale, le truppe sfilano per Roma. Sono stranamente più del solito, ma pochi giorni dopo, in occasione del 150° anniversario della fondazione dell’Arma, De Lorenzo mostra alla nazione la sua nuovissima brigata meccanizzata, dotata di imponente armamento anche pesante. Non solo: De Lorenzo impone alle truppe arrivate a Roma, di trattenersi per alcuni mesi, per non meglio specificati motivi logistici. Molti importanti esponenti dei partiti di sinistra mangiano la foglia e si dileguano. Qualche giorno dopo il governo di centrosinistra Moro, per le richieste troppo innovatrici avanzate da Nenni, è costretto a dimettersi.
Sembra che tutto combaci: è l’ora della mossa di De Lorenzo.
Il dibattito politico verte tutto sull’opportunità di avere le sinistre al governo. Mentre Moro insiste in quella direzione, Segni sostiene (o forse minaccia) un governo autoritario, fatto di tecnici e sostenuto dai militari. Al comando ci sarebbe stato il senatore Merzagora.
Lo stesso Aldo Moro ha modo di confrontarsi con De Lorenzo per questioni di ordine pubblico e, sicuramente, viene a conoscenza di questa minaccia e delle larghe intese istituzionali che la sostengono.
Segni si appresta a dare a Merzagora l’incarico di fare il governo, quando c’è il più classico colpo di scena.
Pietro Nenni, forse sub-odorando quello che sta per accadere, rinuncia a gran parte delle sue richieste e si viene a formare un governo di centro sinistra sì, ma “edulcorato”, come lo stesso Moro lo definisce in sede di approvazione al parlamento. Nel programma di governo, delle richieste di innovazione e di riforma, non c’è più alcuna traccia. Alla fine, insomma, Segni, De Lorenzo e la stessa CIA vincono la battaglia. E senza bisogno di un colpo di stato.
Il fatto, così come l’ho presentato è ovviamente molto grave. Significa che, pochi anni dopo la fine del regime fascista, i rigurgiti di tornare ad una forma non democratica di governo sono ancora molti e ben radicati in una pare delle nostre istituzioni.
Ma, all’epoca, nel 1964, nessuno ne sa niente. Non il popolo, il quale quasi mai si rende conto di quello che avviene, non la magistratura e nemmeno la stampa, la quale spesso è l’unica sentinella vigile a meno che non si tratti di stampa di regime.
A denunciare per primo il Piano Solo è Ferruccio Parri, partigiano, primo presidente del governo di unità nazionale, una icona dell’antifascismo. Ma il ministro della difesa, Tremelloni, dichiara che i fascicoli del SIFAR sono già andati al macero da un pezzo. Una bugia, smentita, alla metà febbraio 1967 dal già citato articolo dell’Europeo, che pubblica l’intero dossier con il coinvolgimento dell’ormai ex presidente della repubblica Antonio Segni. Uno scandalo colossale che fa partire una serie di inchieste giornalistiche sui fatti di quell’estate 1964. Tra queste la più puntuale arriva da l’Espresso, dove due giornalisti, Eugenio Scalfari e Lino Jannuzzi, le trame golpiste del generale De Lorenzo, nel frattempo promosso dal ministro della Difesa Giulio Andreotti, a capo di stato maggiore. I due finiscono sotto processo, denunciati dal generale golpista, ma di questo parleremo tra poco. Tutto questo subbuglio ha come aspetto rilevante la costituzione di una serie di commissioni parlamentari d’inchiesta su quello che ormai tutti chiamano lo “scandalo SIFAR”.
La prima di queste commissioni, ne ho accennato, è diretta dal generale Beolchini. Le domande sono parecchie e hanno bisogno di risposte chiare per capirci qualcosa.
Primo: perché il generale aveva ordinato di indagare su così tante personalità?
Secondo: l’iniziativa del generale può essere considerata un vero colpo di stato?
La commissione lavora alacremente e arriva a conclusioni importanti: si prende atto dell’esistenza dei dossier e ci si chiede a cosa servissero. Ci si domanda perché il SIFAR dipendesse ancora da De Lorenzo, il cui incarico era terminato anni prima. Va tenuto presente cos’era all’epoca il parlamento italiano. La Democrazia Cristiana godeva di una larghissima maggioranza relativa di oltre il 42% dei seggi sia alla Camera che in Senato. Se si sommano i loro alleati di governo si arriva a oltre il 61%. Insomma i parlamentari del governo potevano fare e disfare quello che volevano e come volevano. Così va anche per l’inchiesta. In effetti, lo stesso generale Biolchini dirà nel 1974, che la sua relazione non era mai stata pubblicata integralmente; su 37 testimoni interrogati erano stati allegati solamente 32 documenti e nessuno di essi era arrivato in Parlamento.
Vale la pensa rileggere un brevissimo passaggio della relazione sui fascicoli del SIFAR. Beolchini scrive che a De Lorenzo andava addebita la colpa “di aver dato una decisa svolta all’indirizzo operativo del SIFAR, spingendo indagini su personalità civili e militari che nulla avevano a che fare con la sicurezza interna o con il controspionaggio e creando le premesse per la proliferazione dei fascicoli e delle pratiche.”
Insomma la difesa dello stato non c’entrava proprio per niente. De Lorenzo aveva ben altre mire. Ma la storia delle commissioni e delle indagini non finisce qui.
Commissione Males e insabbiamenti
Dopo la commissione Beolchini, arriva quella diretta dal vicecomandante dell’Arma dei Carabinieri, generale Giorgio Manes. In realtà questi non doveva indagare sul suo capo, ma scoprire chi dei carabinieri aveva passato informazioni a L’Espresso, chi era, insomma, la talpa.Ma Manes, forse tirato dentro una vicenda così torbida, scopre ben altro. Che un gruppo di potere si era stabilito all’interno dell’arma, che agiva all’ombra di qualche protettore politico. Tra questi, guarda caso, ecco spuntare il nome di Francesco Cossiga. Costui smentisce in Parlamento e, ovviamente, i suoi soci gli credono.
Ma il generale Manes ha idee ben diverse. É fermamente convinto che De Lorenzo aveva progettato un vero e proprio colpo di stato. Questa sua posizione lo isola completamente e riceve l’accusa di aver superato e non di poco il mandato che gli era stato dato. Muore poco dopo a Montecitorio per infarto, dopo aver bevuto un caffè e poco prima di deporre presso la commissione parlamentare sul golpe. Un caso? Forse sì … o forse no. Probabilmente no!
Abbiamo lasciato da parte la questione dei due giornalisti. Bene essi vengono processati e condannati a 14 e 15 mesi di reclusione con la condizionale, nonostante il Pubblico Ministero, cioè l’accusa, ne avesse chiesto il proscioglimento perché avevano solo esercitato il loro diritto di cronaca.
In questo processo saltano fuori tutte le magagne del caso. Si chiede la lettura del rapporto Manes, ma una telefonata di Aldo Moro blocca l’intero processo e requisisce il rapporto. Questo torna in aula più avanti, ma è coperto dal segreto di stato e oscurato da ben 72 omissis, cosa piuttosto strana perché, come chiarirà Jannuzzi diverso tempo dopo, i punti incriminati non erano più di tre o quattro.
Anche durante il processo d’appello ai due giornalisti, salta fuori qualche sorpresa. Ad esempio compare un nastro nel quale è presente una conversazione tra De Lorenzo e il capo di gabinetto del ministero della difesa, in cui si afferma la volontà del governo di insabbiare l’inchiesta sul SIFAR. Interviene il SID (il neonato nuovo Servizio Segreto) che lo requisisce prima che si possa ascoltare in aula. Verrà consegnato alla commissione parlamentare d’inchiesta sul piano Solo.
I due giornalisti vengono nuovamente condannati ed evitano il carcere perché sono eletti in Parlamento uno nelle file del partito Radicale e l’altro nel Partito Socialista.
Curiosamente la loro elezione consente di ottenere una nuova commissione di inchiesta, questa volta presieduta dal senatore democristiano Giuseppe Alessi. Riuscirà questa nuova commissione a capire come sono andate le cose?
Per evitare questa nuova indagine, il governo forma una commissione di tre generali che, in pochi mesi di riunioni stabilisce che “non ci fu tentativo di colpo di stato”, ma ammette che De Lorenzo in quel 1964 aveva messo in atto misure illegali tese ad assumere il controllo delle grandi città, confermando il reclutamento di squadre fiancheggiatrici formate da civili.
La commissione Alessi non ha maggior fortuna della precedente. Appena richiesto il nastro uscito nel processo contro i giornalisti, il ministero della difesa sequestra tutto e restituisce il materiale quasi un anno dopo con il divieto assoluto di audizione perché coperto dal segreto di stato. É il 14 dicembre 1969. Il giorno dopo la commissione chiude i battenti e Alessi prepara la sua relazione. Altre di minoranza vengono predisposte da PCI, PSIUP e dalla Sinistra Indipendente.
Conclusione: nessun colpo di stato, ma un eccessivo zelo del generale, pericoloso perché si rischiava di far tornare l’Italia nella situazione del 1960, quella del governo Tambroni e dei morti di Reggio Emilia.
Una delle decisioni importanti della relazione Alessi è la decisione della Camera dei deputati, di distruggere i fascicoli SIFAR, quelli con tutte le schedature stilate dai Servizi Segreti.
Su questo punto occorre una precisazione. La domanda “Quei fascicoli sono poi stati distrutti?” ha come risposta “Non si sa”.
Anche se non sappiamo con esattezza cos’è successo, si sono create nel tempo alcune versioni, che vi racconto per dovere di cronaca.
Siamo nel 1971. Incaricato della distruzione del materiale è il ministro della difesa, Giulio Andreotti. Dopo tre anni, nel 1974, niente è ancora stato fatto. E allora l’incarico passa al tenente colonnello Antonio Viezzer, direttore dell'archivio del SID, il quale, essendo uno stretto collaboratore di Licio Gelli, dirotta i fascicoli verso gli archivi di quest'ultimo.
Questa è una versione. Ce ne sono altre, che tuttavia portano sempre al Venerabile maestro della P2. I fascicoli per così dire più pericolosi riguardano l'ambasciatore Francesco Malfatti, l'ex Ministro della difesa Roberto Tremelloni, il più volte Presidente del Consiglio Amintore Fanfani, il politico fiorentino Giorgio La Pira e l'ex Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat.
Nel 1988 vengono distrutti 497 fascicoli illegittimi (sono parole dell’allora ministro della difesa il liberale Valerio Zanone), un numero insignificante rispetto ai 157 mila di cui si parlava all’inizio. Per quanto riguarda le copie presunte effettuate prima della distruzione e, secondo qualcuno, portate da Gelli in Uruguay, le cose stanno come sempre nella nebbia più fitta. Quella della fine dei fascicoli del SIFAR è un altro mistero della nostra repubblica che non ha per ora alcuna spiegazione.
Finito qui? Nemmeno per sogno.
Altre commissioni
Si arriva al 1988 quando una commissione parlamentare, chiamata commissione stragi, si occupa di tutto il marcio che il sottobosco politico, militare, economico, ha regalato a piene mani al nostro paese. Tra i vari temi, anche la questione SIFAR e il piano Solo.La novità è che, dal 1990 non ci sono più documenti secretati e quindi è possibile accede ad atti che le precedenti indagini non avevano avuto a disposizione. Purtroppo tra tutti gli incartamenti ne manca uno fondamentale: l’elenco delle persone che avrebbero dovuto essere rapite e rinchiuse nella base militare in Sardegna.
Le conclusioni della commissione tengono conto di alcuni passaggi agghiaccianti dei documenti esaminati. Ad esempio:
L’occupazione dei giornali avrebbe dovuto protrarsi “per il tempo strettamente necessario a rendere inefficienti tutte le macchine tipografiche, onde rendere impossibile la stampa dei giornali”.
É chiaro lo scopo antidemocratico del progetto, è altrettanto chiaro che le regole democratiche, in caso di successo, verrebbero annullate per concentrare il potere nelle mani degli insorti e dei loro mandanti.
Perché coinvolgere solo l’Arma dei carabinieri? Perché prevedere l’occupazione di ogni centro di potere, di informazione, di attività politica? La risposta, almeno per noi è semplicissima: perché si tratta di un colpo di stato. Ma anche questa commissione non arriva a tanto e conclude:
“appare improduttivo indugiare sulla “realtà” di un progetto golpista da parte del generale De Lorenzo ovvero se non vi sia stato nulla di tutto ciò ma soltanto un improvvido attivismo del generale, un maldestro eccesso di zelo la cui importanza sarebbe stata a torto enfatizzata negli anni successivi”.
Proviamo a tradurre il testo in un italiano più comprensibile: è inutile domandarsi se si sia trattato di una minaccia reale o soltanto di un eccesso di zelo del generale. E male ha fatto chi ha, negli anni seguenti, enfatizzato la cosa. Insomma alla fine la colpa è di Scalfari e Jannuzzi e di quelli che quel tentato golpe lo hanno preso maledettamente sul serio.
Chiudo questo argomento con le parole di Aldo Moro. Le scrive mentre è prigioniero delle Brigate Rosse. Questo almeno è quanto emerge dai suoi scritti arrivati a noi, perché anche sulle carte di Moro ci sarebbe da discutere a lungo e magari lo faremo in una puntata futura di NSSI. Ecco il testo:
“Nel 1964 si era determinato uno stato di notevole tensione per la recente costituzione del centrosinistra […], per la crisi economica che per ragioni cicliche e per i concorrenti fatti politici si andava manifestando. Il Presidente Segni […] era fortemente preoccupato. Era contrario alla politica di centrosinistra. Non aveva particolare fiducia nella mia persona che avrebbe volentieri cambiato alla direzione del governo. […] Fu allora che avvenne l’incontro con il generale De Lorenzo […]. Per quanto io so il generale De Lorenzo evocò uno dei piani di contingenza, come poi fu appurato nell’apposita Commissione parlamentare di inchiesta, con l’intento soprattutto di rassicurare il Capo dello Stato e di pervenire alla soluzione della crisi”. “Il tentativo di colpo di Stato nel ’64 ebbe certo le caratteristiche esterne di un intervento militare […] ma finì per utilizzare questa strumentazione militare essenzialmente per portare a termine una pesante interferenza politica rivolta a bloccare o almeno fortemente dimensionare la politica di centrosinistra, ai primi momenti del suo svolgimento.”
Dunque, secondo Moro e secondo i commissari parlamentari, De Lorenzo e Segni avevano solo intenzione di bloccare l’evoluzione del centrosinistra, non di compiere un vero e proprio colpo di stato.
Concludo con una mia osservazione. Il fatto che l’elenco dei personaggi da rapire non sia stato reso pubblico mai, nemmeno quando il resto della documentazione è stata desecretata non lascia spazio a molte ipotesi. La sola che, personalmente, mi viene in mente è che quell’elenco conteneva dei nomi talmente importanti nella vita politica e sociale del paese, che sarebbero essi stessi stati prova più che sufficiente che il tentativo di De Lorenzo non era certo un gioco di ruolo o un piano di difesa delle istituzioni. Con quei nomi nell’elenco non poteva che trattarsi di un tentativo di colpo di stato. Il fatto che il governo italiano per molti anni abbia nascosto la verità lo rende, una volta di più, responsabile di quanto è accaduto.
E a noi rimane ancora un altro mistero di fronte al quale, come ormai abbiamo imparato, non abbiamo risposte, solo sospetti.
Integrazioni:
1) Altri colpi di stato
Quella del 1964 non è stata l’unica volta che si assiste al tentativo di effettuare un colpo di stato nel nostro paese. Avviene nel 1970, quando Junio Valerio Borghese occupa Viminale, Rai ed altri centri nevralgici del paese. E, anche in questa occasione, i servizi segreti sanno tutto. All’epoca si tratta del SID, guidato dal generale Vito Miceli, il quale si guarda bene dall’informarne la magistratura, lasciando i fascisti tornarsene tranquilli alle loro case come se niente fosse accaduto.E poi c’è la Rosa dei Venti, quella del 1973, un colpo di stato in sei fasi, tra le quali un intervento militare e la fucilazione di ministri e parlamentari socialisti e comunisti, dirigenti della sinistra, vecchi comandanti partigiani. La “Rosa dei Venti”, secondo una confessione raccolta dai magistrati, era composta da venti organizzazioni fasciste e da gruppi clandestini di militari e al suo vertice c’erano ben 87 ufficiali superiori, rappresentanti tutti i corpi militari e i servizi di sicurezza italiani.
Un altro colpo di stato viene sventato, l’anno successivo, dal ministro della difesa, l’On. Giulio Andreotti che il 15 luglio destituisce una dozzina di ammiragli e generali per prevenire, appunto, un golpe previsto per il 10 agosto.
Nello stesso mese, il 23 agosto, la magistratura di Torino scopre un complotto, noto come “golpe bianco”, che fa capo a Edgardo Sogno, Randolfo Pacciardi, ex ministro della Difesa, ed altri. Il progetto ha il sostegno degli Stati Uniti e della loggia massonica P2 di Licio Gelli e l’obiettivo di forzare l’intervento dei militari a favore di una repubblica presidenziale. Tutte le inchieste relative ai tentativi di colpo di stato vengono definitivamente archiviate nell’autunno del 1978 dalla procura di Roma.
Questo elenco fa capire chiaramente come i servizi segreti italiani (e i loro partner d’oltreoceano) hanno un ruolo fondamentale nel determinare le linee politiche dei vari governi e quindi lo sviluppo stesso del paese.
A dire il vero i Servizi cambiano nome e capi. Si comincia dopo il golpe De Lorenzo. Sparisce il SIFAR e nasce il SID, guidato dall’ammiraglio Eugenio Henke. É in questo periodo che si innesca la strategia della tensione a partire dalla strage milanese della banca dell’agricoltura in piazza Fontana il 12 dicembre 1969. L’anno dopo ad Henke succede Vito Miceli, quello del tentato golpe Borghese. Sono gli anni forse più terribili, quelli dello stragismo da Peteano alla questura di Milano, dall’Italicus a piazza della Loggia a Brescia.
Poi nel 1977 finalmente la riforma. Due organismi separati: Il SISMI, affidato ai militari con compito di occuparsi dell’estero e il SISDE (Servizio informativo per la Sicurezza Democratica) affidato al corpo demilitarizzato della polizia. Nascono nuove figure di controllo e di collegamento tra i Servizi e il parlamento. La riforma trova l’approvazione anche del PCI, ormai ad un passo dal partecipare alle decisioni governative.
Ma, anche questa volta, ecco uno scandalo enorme, quello della loggia massonica P2 di Licio Gelli. Sono coinvolti praticamente tutti i vertici dei Servizi in una organizzazione che certo non ha molto di democratico. Per tutti gli anni ’80 uomini del SISMI sono implicati in scandali e inchieste, avendo responsabilità e coprendo con depistaggi continui inchieste su fatti gravissimi che sono costati la vita a molti cittadini italiani.
Solo negli ultimi anni sembra che questi organismi abbiano scelto la via del basso profilo e vengano guidati da figure non eclatanti, ma di sicuro spirito democratico.
2: Il ruolo dei giornali
Resta un ultimo aspetto da considerare: il ruolo dei giornali all’epoca dei fatti. Ne ho già parlato, ma è interessante notare che, mentre l’Espresso e successivamente Repubblica dedicano pagine di fuoco e titoli cubitali alle loro inchieste, il resto della stampa non prende nemmeno in considerazione un evento che, secondo molti, era davvero epocale. Ho letto da qualche parte che il Tempo, giornale di Roma schierato a destra, dedicò solo due trafiletti in tutto il tempo durante il quale le notizie venivano sbattute in prima pagina dal giornale di Scalfari.Nel 2004 il giornalista Paolo Mieli esce con dichiarazioni che adesso riporterò. É direttore del Corriere della Sera, perfettamente allineato alla ideologia berlusconiana, decisamente di destra, nonostante una gioventù passata tra movimenti e giornali decisamente di sinistra (tra i quali anche l’Espresso).
Mieli dunque sostiene in quell’occasione che:
1) I moti di piazza del ‘60 contro Tambroni furono una interferenza dei comunisti, che volevano a tutti i costi favorire la nascita del centrosinistra.
2) le proteste stradaiole - pur lecite costituzionalmente - sono sempre foriere di guai poiché sovvertono lo svolgersi ordinato della democrazia parlamentare.
3) Il famoso "golpe" del generale De Lorenzo, appoggiato ai servizi di sicurezza e al Comando generale dell'Arma dei carabinieri, non fu affatto un "golpe", non sovvertì le istituzioni, non provocò né moti di piazza né sedizione di corpi militari.
4) La campagna di stampa che rivelò il preteso "golpe" e ne drammatizzò gli effetti politici fu una forzatura se non addirittura una montatura.
5) Da quella montatura scaturirono conseguenze nefaste e addirittura la motivazione alla nascita del terrorismo brigatista il quale, con la scusa di contrastare un golpismo della destra sempre latente, decise di prendere le armi ed entrare in clandestinità. Si deve pertanto anche alla montatura d’un golpismo inesistente la fosca stagione degli anni di piombo e le vittime che essa seminò sul suo cammino.
Dunque gli articoli di Scalfari e Iannuzzi, secondo Mieli, sarebbero responsabili della nascita delle Brigate Rosse e di tutti gli altri gruppi armati. Tesi difficile da digerire. Ecco come risponde Eugenio Scalfari. Tra virgolette: l’articolo è del 31 gennaio 2004.
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Tralascio "l'idea" di Mieli sul governo Tambroni e sulla caduta provocata da moti di piazza patrocinati dal Pci. Lo tralascio per brevità non senza però osservare che i comunisti non furono affatto contenti della nascita del centrosinistra. Temevano infatti - e dal loro punto di vista non sbagliavano - che l'arrivo del partito di Nenni al governo avrebbe ancor più approfondito il solco tra il Psi e il Pci avvicinando i socialisti ai socialdemocratici di Saragat e alla Dc e aumentando la ghettizzazione politica del Partito comunista. Cade dunque la tesi che sta alla base dei ragionamenti di Mieli e cioè che i moti anti-tambroniani fossero patrocinati dal Pci per favorire la nascita del centrosinistra, mentre è certamente vero che a Porta San Paolo, a Genova, a Bologna, a Modena, a Reggio, i giovani comunisti scesero in piazza insieme ai socialisti, ai repubblicani, ai cattolici di sinistra, ai radicali, come è sempre accaduto in Italia tutte le volte che l’antifascismo è ridiventato un valore fondante e repubblicano minacciato e da difendere.
>>> É stato un "golpe" il tentativo del generale De Lorenzo? Caro Paolo si tratta di intendersi sulla parola. Se per "golpe" si vuol definire una sedizione di corpi armati che rovesci con la forza le istituzioni legittime, allora De Lorenzo non fece nessun golpe poiché le istituzioni non furono rovesciate. De Lorenzo in realtà dette il suo nome e la sua opera ad un confronto, certamente temibile per le fragili strutture democratiche del nostro Paese. Utilizzò ai fini del complotto il Sifar guidato dal suo pupillo generale Allavena e il Comando generale dei carabinieri con la sola eccezione del vicecomandante, generale Manes, il quale fu ostracizzato e tenuto all’oscuro dei piani predisposti e, quando ne ebbe sentore, li denunciò pubblicamente. Le predisposizioni, attivate con lo stimolo costante dell’allora Capo dello Stato Antonio Segni, sfociarono nel famoso "Piano Solo" che prevedeva l’enucleazione di centinaia di comunisti, socialisti, sindacalisti, democratici, il loro trasporto in Sardegna, la requisizione di navi e aerei per la bisogna, l’occupazione dei principali palazzi pubblici a cominciare dalla televisione. Quando sull’Espresso rivelammo queste circostanze (era il maggio del 1967) ne seguì un processo clamoroso a metà del quale - e dopo avere ascoltato come testimoni tutti i componenti dello Stato maggiore dell’Arma e i comandanti delle divisioni - il pubblico ministero Occorsio chiese l’assoluzione dei giornalisti dell’Espresso e la remissione degli atti alla Procura per procedere contro il querelante. La richiesta non fu accolta, il governo Moro (il terzo o il quarto del centrosinistra) oppose il segreto di Stato, i giornalisti furono condannati. Ho viva memoria di come i grandi giornali e in particolare il Corriere della Sera seguirono quel processo e la sua conclusione, relegandolo in spazi marginali e parlandone, appunto, come una montatura giornalistica. All’epoca Repubblica non era ancora nata e la pelle dei grandi quotidiani nazionali aveva lo spessore di quella dei rinoceronti. Seguì un’inchiesta parlamentare; lo Stato maggiore dell’Arma che aveva negato tutto davanti ai giudici sotto giuramento, ammise tutto dinanzi alla Commissione d’inchiesta parlamentare, certo comunque dell’impunità e infatti gli fu data. Questa è la storia. La provano gli atti di giustizia e i documenti parlamentari.
>>> Il risultato politico di quel complotto di De Lorenzo fu molto chiaro. Era in atto tra il maggio e il giugno del ‘64 una grave crisi politica ed economica; il business italiano, già colpito dalla nazionalizzazione dell’industria elettrica, tremava al pensiero che i socialisti volessero attuare la nazionalizzazione dei suoli edificabili, che avrebbe spezzato la speculazione sulle aree ed avrebbe impresso un corso diverso allo sviluppo delle città, delle coste, insomma del Paese. Si verificò in quei mesi un esodo di capitali verso la Svizzera e altri luoghi di riparo che non ha precedenti nella nostra storia. In queste condizioni fu deciso, nel business e nei palazzi del potere a cominciare dal Quirinale, che bisognava dare una svolta netta alla politica italiana. De Lorenzo predispose e si tenne pronto. Anche Moro sapeva e con lui tutti i capi dorotei della Dc. Con la consueta abilità Moro decise di piegare i socialisti per arginare il complotto e le sue conseguenze. Nenni fu convocato e messo al corrente. Da vecchio "politicien" misurò le forze e cedette. Nel comitato centrale del suo partito spiegò la sua decisione confessando che aveva sentito il «rumore delle sciabole». A me lo confermò personalmente quando, essendo io stato eletto deputato, lo sollecitai a schierare il gruppo parlamentare socialista contro le conclusioni perdonatorie della Commissione d’inchiesta. «Se lo facessi - mi disse - il governo cadrebbe. Dovetti cedere allora, non posso impuntarmi oggi». Ora, caro Mieli, se tu non hai ricordi e documenti che diano una versione diversa di questi fatti, non mi pare che ci siano alternative. E se non ci sono alternative in punto di fatto, resta dunque assodato che la fine del centrosinistra riformatore avvenne sotto il ricatto di una minaccia militare appoggiata da consistenti forze politiche. Come vuoi chiamare un fatto di questo genere? Un fatto sicuramente eversivo, un’interferenza infinitamente più grave e fuori dalla Costituzione di fronte alle proteste stradaiole dei ragazzi con la maglietta a righe contro il governo Tambroni. Quanto al terrorismo, farlo discendere dalla nostra campagna di stampa del ‘67 mi sembra un esercizio che nessun acrobata potrebbe portare a termine. Forse ti sei dimenticato che prima degli omicidi delle Br c’erano state le stragi di Piazza Fontana e di Brescia. Una persona della mia età può avere la memoria debole, ma tu no, non ancora. (Eugenio Scalfari)