E adesso parliamo di mangiare. No, non voglio darvi le ricette dello stufato o della torta di carote, ma di dieta e di come una dieta possa incidere sulla quantità di emissioni inviate in atmosfera. Dunque, attenzione, perché siamo tutti coinvolti, attenzione a quello che abbiamo sulla nostra tavola ogni volta che ci sediamo per un pasto.
Voglio subito dire che qui non ho alcuna intenzione di entrare nel mondo dei vegetariani e tanto meno dei vegani, i quali professano una specie di religione fatta di regole molto rigide. Niente di tutto questo. Seguitemi e capirete.
Come sempre, mi affido ad uno studio recente, condotto da un team di studiosi dell’Università Statale dell’Oregon negli Stati Uniti. Vi hanno collaborato anche scienziati e ricercatori della New York University e di Harvard, uno dei centri universitari più conosciuti e famosi degli Stati Uniti, che si trova in Massacchussets. Insomma una ricerca seria. É stata pubblicata il 7 settembre 2020 dalla rivista Nature, un altro totem dell’ambientalismo moderno.
Le credenziali per dare un’occhiata interessata a questo documento ci sono tutte. Cercherò di riassumere le tre fitte pagine, in inglese, presenti nel dossier.
Cominciamo dal titolo, che traduco direttamente: “Il costo in termini di carbonio della produzione di cibo di origine animale sulla terra”. In parole più semplici si tratta di capire quali conseguenze ha sull’ambiente, e di conseguenza sulla nostra salute, l’uso di cibi derivati dagli animali e quindi carne, pesce, ma anche latte, formaggio e così via. Questi cibi, in poche parole che ai vegani fanno venire la pelle d’oca e non vogliono neppure sentirli nominare.
Personalmente non sono un talebano. Consumo carne con molta parsimonia, e certo non metto in tavola una bistecca ogni pranzo e un piatto di affettato ogni sera. Non so se questo è un delitto, ma sono numerose le famiglie (dei paesi ricchi si intende) che hanno questa abitudine e probabilmente non sanno cosa tutto questo comporti.
Ho spesso polemizzato con la scuola, soprattutto quella elementare, per le informazioni insufficienti, che vengono date ai bambini. Una delle lezioni di ambientalismo è il terrore che si incute loro nel lavaggio dei denti. Chiudere l’acqua mentre si strofina fa risparmiare il prezioso liquido. É tutto vero e tutto giusto, ma, come sempre, una informazione senza dati concreti non serve assolutamente a nulla. Il bambino risparmioso e ben educato che chiude l’acqua durante l’operazione di lavaggio dei denti può risparmiare grossomodo 20-30 litri di acqua. Sarebbe bene aggiungere che ogni volta che la sua mamma mette in tavola un pezzo di carne di 2 etti, sono stati usati circa 5 mila litri di acqua. Sarebbe allora da decidere cosa sia meglio fare: limitarsi ad un uso responsabile dell’acqua in bagno o aggiungere anche quello in cucina?
Detto questo veniamo al dossier.
Non c’è alcun dubbio, come sostengono gli estensori del documento, che mangiare meno cibo proveniente dagli animali a favore di proteine derivate da coltivazioni agricole (cereali, legumi, noci ecc.) potrebbe fare una enorme differenza nella presenza di gas serra in atmosfera. Il fatto è che gli animali hanno bisogno di cibo e questo non è più quello delle caprette di Heidi che ti fanno ciao nei pascoli lassù sulle montagne. Oggi gli allevamenti sono di natura diversa, specie nei paesi che non dispongono di territori amplissimi per metterci le vacche. Così sorgono i cosiddetti allevamenti intensivi, dei quali tuttavia parleremo successivamente.
Ma, anche se le vacche sono in stalla, il cibo deve essere dato loro e dal momento che la quantità di animali da macello e da latte è davvero esorbitante, non si può pensare di foraggiarle col fieno del praticello là fuori. Così vengono prodotti mangimi, spesso integrati con prodotti chimici o modificati geneticamente. Ed enormi distese di terreno devono essere destinate alle materie prime per farli. Si tratta prevalentemente di cereali, come mais, soia, avena, orzo, e via discorrendo.
Dal momento che la domanda è spaventosamente elevata, servono sempre nuovi terreni. Tenete presente che viviamo un’epoca in cui i cambiamenti climatici stanno modificando la natura stessa delle terre: siccità, alluvioni, smottamenti e quant’altro non lasciano certo immutate le zone che colpiscono.
E allora? Allora basta tagliare un pezzo di foresta, arare per bene e piantare i cereali che servono. Così avremo più nutrimento per gli animali e molta protezione in meno per le nostre vite, dal momento che così vengono eliminate delle sentinelle contro la crescita dell’effetto serra e quindi dei cambiamenti climatici.
Ora, uno può dire. Va bene, ma se non produciamo cibo animale, cioè carne, dovremo produrre più cibo vegetale (ad esempio fagioli) e avremo comunque bisogno di terreno abbondante. Giusto. Ma una differenza c’è. Ecco cosa dice, in quel dossier, William J. Ripple, del Dipartimento degli ecosistemi forestali dell’Università dell’Oregon: “Gli alimenti a base di proteine ??vegetali forniscono importanti nutrienti mentre richiedono una piccola percentuale di territorio rispetto a una fattoria e un ranch necessari per produrre prodotti animali come carne di manzo o di maiale e latte.”
I numeri sono davvero spaventosi. Matthew Hayek dell’Università di New York ha concluso che “La terra necessaria per soddisfare l’attuale domanda globale di carne e prodotti lattiero-caseari costituisce oltre l’80% della superficie agricola della Terra.”
Questo sito si affida sempre a ricerche pubblicate e quindi controllabili e contestabili. Sono certo che sarete d'accordo che è meglio affidarsi ai dati e alle conclusioni di scienziati, piuttosto che affidarci ai vaneggiamenti di sedicenti e del tutto sconosciuti "esperti" su Facebook.
Il documento americano ha stabilito che l’area in cui la produzione estensiva di alimenti di origine animale sta eliminando le foreste è enorme, pari a circa 7 milioni di km², un’estensione grande quasi come l'Europa.
Naturalmente la loro speranza e l’invito che fanno ai paesi più ricchi, Italia compresa, è racchiusa in questa frase:
“I tagli alla produzione di carne e latticini porterebbero impatti relativamente lievi sulla sicurezza alimentare, contribuendo in modo sostanziale a limitare il cambiamento climatico a 1,5 gradi Celsius sopra i livelli di età preindustriale come richiesto dall’Accordo di Parigi del 2015”.
Come sempre sostenuto in questa trasmissione, le buone intenzioni che favoriscano, attraverso un minor consumo di carne e latte, la riforestazione e quindi un freno all’effetto serra, … queste buone intenzioni si scontrano inevitabilmente con gli interessi economici non solo delle grandi aziende del cibo, ma anche di interi stati. Uno degli autori dello studio, Nathaniel Mueller della Colorado State University, riconosce al riguardo che «Mentre il potenziale per il ripristino degli ecosistemi è notevole, l’allevamento animale estensivo è culturalmente ed economicamente importante in molte regioni del mondo. In definitiva, i nostri risultati possono aiutare a individuare i luoghi in cui il ripristino degli ecosistemi e l’arresto della deforestazione in corso avrebbero i maggiori benefici per il carbonio».
Lascio la conclusione di questo intervento alle parole del già citato William Ripple: «Ridurre la produzione di carne aiuterebbe anche la qualità e la quantità dell’acqua, l’habitat della fauna selvatica e la biodiversità, inclusa la promozione della salute degli ecosistemi che aiuta a contrastare le malattie pandemiche originate dagli animali, come si ritiene che sia il Covid-19. Ecosistemi intatti e funzionanti e habitat della fauna selvatica preservati contribuiscono a ridurre il rischio di pandemie. La nostra ricerca dimostra che con il cambiamento della dieta, abbiamo l’opportunità di restituire ampie aree alla natura e alla fauna selvatica con un impatto relativamente minimo sulla sicurezza alimentare. Il ripristino dell’ecosistema e la riduzione delle popolazioni di bestiame potrebbero ridurre la trasmissione delle malattie zoonotiche, che passano dalla fauna selvatica ai polli o ai maiali e, in ultima analisi, alle persone».
Certo, occorrerebbe anche intervenire per limitare l’ingordigia, la cupidigia e la stupidità, ma questa sembra davvero un’opera al di fuori della portata di chiunque.
Voglio subito dire che qui non ho alcuna intenzione di entrare nel mondo dei vegetariani e tanto meno dei vegani, i quali professano una specie di religione fatta di regole molto rigide. Niente di tutto questo. Seguitemi e capirete.
Come sempre, mi affido ad uno studio recente, condotto da un team di studiosi dell’Università Statale dell’Oregon negli Stati Uniti. Vi hanno collaborato anche scienziati e ricercatori della New York University e di Harvard, uno dei centri universitari più conosciuti e famosi degli Stati Uniti, che si trova in Massacchussets. Insomma una ricerca seria. É stata pubblicata il 7 settembre 2020 dalla rivista Nature, un altro totem dell’ambientalismo moderno.
Le credenziali per dare un’occhiata interessata a questo documento ci sono tutte. Cercherò di riassumere le tre fitte pagine, in inglese, presenti nel dossier.
Cominciamo dal titolo, che traduco direttamente: “Il costo in termini di carbonio della produzione di cibo di origine animale sulla terra”. In parole più semplici si tratta di capire quali conseguenze ha sull’ambiente, e di conseguenza sulla nostra salute, l’uso di cibi derivati dagli animali e quindi carne, pesce, ma anche latte, formaggio e così via. Questi cibi, in poche parole che ai vegani fanno venire la pelle d’oca e non vogliono neppure sentirli nominare.
Personalmente non sono un talebano. Consumo carne con molta parsimonia, e certo non metto in tavola una bistecca ogni pranzo e un piatto di affettato ogni sera. Non so se questo è un delitto, ma sono numerose le famiglie (dei paesi ricchi si intende) che hanno questa abitudine e probabilmente non sanno cosa tutto questo comporti.
Ho spesso polemizzato con la scuola, soprattutto quella elementare, per le informazioni insufficienti, che vengono date ai bambini. Una delle lezioni di ambientalismo è il terrore che si incute loro nel lavaggio dei denti. Chiudere l’acqua mentre si strofina fa risparmiare il prezioso liquido. É tutto vero e tutto giusto, ma, come sempre, una informazione senza dati concreti non serve assolutamente a nulla. Il bambino risparmioso e ben educato che chiude l’acqua durante l’operazione di lavaggio dei denti può risparmiare grossomodo 20-30 litri di acqua. Sarebbe bene aggiungere che ogni volta che la sua mamma mette in tavola un pezzo di carne di 2 etti, sono stati usati circa 5 mila litri di acqua. Sarebbe allora da decidere cosa sia meglio fare: limitarsi ad un uso responsabile dell’acqua in bagno o aggiungere anche quello in cucina?
Detto questo veniamo al dossier.
Non c’è alcun dubbio, come sostengono gli estensori del documento, che mangiare meno cibo proveniente dagli animali a favore di proteine derivate da coltivazioni agricole (cereali, legumi, noci ecc.) potrebbe fare una enorme differenza nella presenza di gas serra in atmosfera. Il fatto è che gli animali hanno bisogno di cibo e questo non è più quello delle caprette di Heidi che ti fanno ciao nei pascoli lassù sulle montagne. Oggi gli allevamenti sono di natura diversa, specie nei paesi che non dispongono di territori amplissimi per metterci le vacche. Così sorgono i cosiddetti allevamenti intensivi, dei quali tuttavia parleremo successivamente.
Ma, anche se le vacche sono in stalla, il cibo deve essere dato loro e dal momento che la quantità di animali da macello e da latte è davvero esorbitante, non si può pensare di foraggiarle col fieno del praticello là fuori. Così vengono prodotti mangimi, spesso integrati con prodotti chimici o modificati geneticamente. Ed enormi distese di terreno devono essere destinate alle materie prime per farli. Si tratta prevalentemente di cereali, come mais, soia, avena, orzo, e via discorrendo.
Dal momento che la domanda è spaventosamente elevata, servono sempre nuovi terreni. Tenete presente che viviamo un’epoca in cui i cambiamenti climatici stanno modificando la natura stessa delle terre: siccità, alluvioni, smottamenti e quant’altro non lasciano certo immutate le zone che colpiscono.
E allora? Allora basta tagliare un pezzo di foresta, arare per bene e piantare i cereali che servono. Così avremo più nutrimento per gli animali e molta protezione in meno per le nostre vite, dal momento che così vengono eliminate delle sentinelle contro la crescita dell’effetto serra e quindi dei cambiamenti climatici.
Ora, uno può dire. Va bene, ma se non produciamo cibo animale, cioè carne, dovremo produrre più cibo vegetale (ad esempio fagioli) e avremo comunque bisogno di terreno abbondante. Giusto. Ma una differenza c’è. Ecco cosa dice, in quel dossier, William J. Ripple, del Dipartimento degli ecosistemi forestali dell’Università dell’Oregon: “Gli alimenti a base di proteine ??vegetali forniscono importanti nutrienti mentre richiedono una piccola percentuale di territorio rispetto a una fattoria e un ranch necessari per produrre prodotti animali come carne di manzo o di maiale e latte.”
I numeri sono davvero spaventosi. Matthew Hayek dell’Università di New York ha concluso che “La terra necessaria per soddisfare l’attuale domanda globale di carne e prodotti lattiero-caseari costituisce oltre l’80% della superficie agricola della Terra.”
Questo sito si affida sempre a ricerche pubblicate e quindi controllabili e contestabili. Sono certo che sarete d'accordo che è meglio affidarsi ai dati e alle conclusioni di scienziati, piuttosto che affidarci ai vaneggiamenti di sedicenti e del tutto sconosciuti "esperti" su Facebook.
Il documento americano ha stabilito che l’area in cui la produzione estensiva di alimenti di origine animale sta eliminando le foreste è enorme, pari a circa 7 milioni di km², un’estensione grande quasi come l'Europa.
Naturalmente la loro speranza e l’invito che fanno ai paesi più ricchi, Italia compresa, è racchiusa in questa frase:
“I tagli alla produzione di carne e latticini porterebbero impatti relativamente lievi sulla sicurezza alimentare, contribuendo in modo sostanziale a limitare il cambiamento climatico a 1,5 gradi Celsius sopra i livelli di età preindustriale come richiesto dall’Accordo di Parigi del 2015”.
Come sempre sostenuto in questa trasmissione, le buone intenzioni che favoriscano, attraverso un minor consumo di carne e latte, la riforestazione e quindi un freno all’effetto serra, … queste buone intenzioni si scontrano inevitabilmente con gli interessi economici non solo delle grandi aziende del cibo, ma anche di interi stati. Uno degli autori dello studio, Nathaniel Mueller della Colorado State University, riconosce al riguardo che «Mentre il potenziale per il ripristino degli ecosistemi è notevole, l’allevamento animale estensivo è culturalmente ed economicamente importante in molte regioni del mondo. In definitiva, i nostri risultati possono aiutare a individuare i luoghi in cui il ripristino degli ecosistemi e l’arresto della deforestazione in corso avrebbero i maggiori benefici per il carbonio».
Lascio la conclusione di questo intervento alle parole del già citato William Ripple: «Ridurre la produzione di carne aiuterebbe anche la qualità e la quantità dell’acqua, l’habitat della fauna selvatica e la biodiversità, inclusa la promozione della salute degli ecosistemi che aiuta a contrastare le malattie pandemiche originate dagli animali, come si ritiene che sia il Covid-19. Ecosistemi intatti e funzionanti e habitat della fauna selvatica preservati contribuiscono a ridurre il rischio di pandemie. La nostra ricerca dimostra che con il cambiamento della dieta, abbiamo l’opportunità di restituire ampie aree alla natura e alla fauna selvatica con un impatto relativamente minimo sulla sicurezza alimentare. Il ripristino dell’ecosistema e la riduzione delle popolazioni di bestiame potrebbero ridurre la trasmissione delle malattie zoonotiche, che passano dalla fauna selvatica ai polli o ai maiali e, in ultima analisi, alle persone».
Certo, occorrerebbe anche intervenire per limitare l’ingordigia, la cupidigia e la stupidità, ma questa sembra davvero un’opera al di fuori della portata di chiunque.