Parlare di Marco Pannella è complicatissimo, non perché il personaggio sia sfuggente o altro, ma per la semplice ragione che non c’è azione politica del dopoguerra in cui non abbia messo piede. Se poi ci riferiamo ai diritti civili questa considerazione va elevata alla ennesima potenza.
Tanto per chiarire: dopo la sua morte, è stato chiesto a molti suoi contemporanei importanti, politici, giornalisti, intellettuali, di definirlo. Non ci sono due definizioni uguali, ciascuno ha privilegiato un suo aspetto, positivo o negativo che fosse, perché Pannella è così: il bene e il male, la luce e l’ombra. Ma resta una figura centrale, anzi centralissima, della politica italiana. Diverso da tutti gli altri, una figura leggendaria per la sua unicità rispetto a quanti lo hanno circondato con affetto o lo hanno respinto con sdegno. Un alieno per metodi non convenzionali, spesso inventati perché ancora non esistenti. Per una vita privata fatta praticamente di nulla: né vestiti, né ristoranti, cinema o teatri, nessun lavoro vero, spesso sopravvissuto grazie ai prestiti degli amici. Già … gli amici. Pannella si può ben dire che abbia avuto molti nemici, nemici di ogni schieramento politico e sociale, ma una quantità sterminata di amici.
Pannella è quello dei digiuni, della raccolta firme, dei banchetti in piazza. Quanti ne ha fatti? Forse nemmeno lui lo sapeva. Sono serviti? Non si può rispondere a questa domanda, è come chiedersi a cosa serva lo spirito libertario, al di là di nuove leggi, di vittorie referendarie o elettorali. Quello spirito che Pannella ha creato nel nostro paese. Di questo dobbiamo essergli grati, perché, che la si pensi come lui oppure no, è servito a renderci meno prevedibili e più critici. Tutti. La sua storia si mescola ad altre, più o meno importanti. Sicuramente quella di Emma Bonino, quella di Radio Radicale, degli arresti per la diffusione in pubblico di spinelli, delle mille provocazioni. E ci ha sempre messo la faccia, sempre in prima persona, non si è mai nascosto dietro altri, come avviene troppo spesso nella politica di questo paese.
Il suo vero nome è Giacinto, quello di uno zio prete, che aveva aiutato molto la sua famiglia in momenti difficili. Media borghesia, mamma svizzera di lingua francese, giovinezza abbastanza agiata, senza problemi economici. Le convinzioni, che saranno i cavalli di battaglia futuri, gli cadono addosso quasi per caso: l’amica del cuore, ragazzina, che scompare alla vista delle leggi razziali; i coniugi litigiosi dove passa le ferie in Savoia che sente parlare di divorzio; un lontano cugino che fugge dalla guerra perché obiettore … lui è ancora un ragazzino, ma è sveglio, di lingua lunga, capisce molte più cose di quante si potrebbe supporre alla sua età.
Alla sua morte, perdonerete questa traslazione temporale momentanea, il paese si ferma, il palinsesto della televisione cambia, la camera ardente è come un mercato: arrivano tutti, ma proprio tutti, da ogni partito. Sembra che il “suo” Partito Radicale abbia il 90% dei consensi. Ma non è così, non è mai stato così, i turni elettorali per i radicali sono sempre stati un problema, di soldi, di visibilità, di apparentamenti con forze spesso molto diverse tra loro. Cosa induce allora tutta quella gente ad omaggiare il corpo di quell’86-enne leader radicale? Molti hanno dato una risposta, ma quella che ci sembra più corretta è di un vecchio comunista come Emanuele Macaluso, che riconosce in quella di Pannella “una vita politica clamorosa, che risalta di fronte alla miseria politica del presente”.
Il ragazzo Pannella è liberale, lo è diventato dalle letture fatte, dai fasti antecedenti al fascismo, dai nomi di Cavour e Giolitti. Si schiera nella corrente di sinistra del partito. Durante il liceo sottrae qualche spicciolo dalle tasche del padre per comprare due copie di “Risorgimento liberale”, organo del PLI. Una è per sé, l’altra la regala in classe per fare proselitismo. Ma il giornale che cambia la sua vita è un altro: “Il Mondo”, fucina di intellettuali di primissimo piano, probabilmente il giornale più sofisticato d’Italia in quel momento. La redazione è un ritrovo per discutere di politica. Vi partecipano, tra i molti altri, il direttore Mario Pannunzio ed Ernesto Rossi, che saranno i suoi punti di riferimento più importanti e c’è anche Eugenio Scalfari, oltre a Pannella. Ci saranno tutti, nel 1955, a fondare il Partito Radicale.
A 20 anni, Marco diventa segretario degli universitari liberali, in contrapposizione con fascisti e comunisti. Si capisce subito che la sua grande forza è l’eloquio, i suoi discorsi sembrano più pezzi di teatro che interventi. É un giovane strano, legge molto, soprattutto giornali, perché è convinto che da là nasca una strategia politica, non dai libri. E ascolta la radio, in particolare il programma “Il convegno dei cinque”, dove il giornalista socialista Umberto Calosso, parla di libero amore, di preti e religione, di pacifismo, di obiezione di coscienza. Sono tutte tracce del suo futuro, orientato dai principi fondamentali dei suoi maestri, Pannunzio e Rossi: la moralità e l’indifferenza al potere. Principi certamente nobili, ma che non fanno molti proseliti. Il PR è un piccolo-grande concentrato di intellettuali. Ma quello che conta in politica è altra cosa: i voti. Che non arrivano. Alle elezioni amministrative e politiche (assieme al PRI) del ’58 rimediano solo brutte figure … e nessun eletto. Sembra sia nato più che altro un movimento di opinione, che organizza, grazie a Ernesto Rossi e a Il Mondo convegni su temi borderline, come Lotta contro i monopoli elettrici, Processo alla scuola, Stato e chiesa. Non c’è quella politica, che Rino Formica definisce “sangue e merda”, non c’è la voglia di andare al fronte, di sporcarsi le mani a cercare iscritti. Marco Pannella con tutto questo c’entra poco: lui è all’Università, ma ha capito tutto. É sui problemi, sulle questioni, che bisogna schierarsi, non importa con chi. Occorre un partito transnazionale. Nel 1956 è a Vienna ad accogliere l’enormità di profughi ungheresi dopo l’invasione sovietica di Budapest. Diventa segretario dell’UNURI, l’unione degli universitari, assieme ad Achille Occhetto a cui lascia il compito di “governare” e se ne va a Parigi. Qui rimane tre anni, scrivendo per Il Giorno, articoli spesso non richiesti, pesanti e imbarazzanti per il giornale. Si immerge nella lotta per l’indipendenza algerina. Viene licenziato nel 1963 dopo un articolo sull’ENI di Enrico Mattei.
Questo è un esempio di come la vita di Pannella sia, per usare un eufemismo molto leggero, movimentata, spesso incoerente per chi la guarda da fuori, sempre senza regole precise e comunque mai preordinate. Seguire le vicende che attraversa è come salire lungo i tornati del Pordoi, una infinita serie di spostamenti da una parte e dall’altra.
Ecco, dunque, la domanda fondamentale: come possiamo ricordare Marco Pannella? Forse il modo migliore è farlo attraverso le sue battaglie, tante battaglie, tantissime, importanti, fondamentali. Non ha alcuna importanza se uno è d’accordo o meno: l’impegno profuso e soprattutto il fatto di non averci mai guadagnato nulla, impone un rispetto assoluto per quest’uomo straordinario.
Possiamo ben dire che gli dobbiamo molto, se non altro per la spinta che ha dato, quasi sempre partendo da solo col suo partito, ai diritti civili. Con che armi? Pannella ha usato il suo corpo e strategie innovative, inaspettate, spesso provocatorie, come vedremo.
Per capire Marco Pannella è necessario calarsi nella realtà degli anni ’50 e ’60. Tutta la storia della prima repubblica è fatta di anni difficili: il dopoguerra, le distorsioni del boom economico, gli anni di piombo, mani pulite, tanto per citare qualche brandello. E quale coraggio pensate ci voglia, alla fine degli anni ’50, a proporre al proprio congresso temi come l’abolizione del concordato, l’eliminazione degli eserciti, il riconoscimento dell’obiezione di coscienza? Ma quel Partito Radicale è molto fumo e nessun arrosto. Troppi intellettuali, filosofi, che si perdono in un mare di discussioni e non arrivano mai al concreto. Non è dunque strano che i risultati elettorali siano un flop clamoroso. Meglio fare da soli, pensa Pannella, legandosi ai movimenti presenti in Italia, come quello non violento di Aldo Capitini; meglio organizzare eventi che coinvolgano il popolo, come le marce della pace, che si sposteranno nel tempo, ma arriveranno sempre in luoghi simbolo della guerra. Prima la caserma NATO Ederle a Vicenza, poi quella di Aviano, fino ad arrivare a Verdun in Francia e al muro di Berlino, fermati dalle guardie della DDR. Le marce per la pace sono solo una delle tante organizzate dal PR o alle quali ha partecipato. I motivi certo non mancano e sono quelli alla base delle rivendicazioni politiche e sociali di Pannella: la trasparenza della RAI, il Vietnam, le invasioni sovietiche negli stati satellite, il servizio civile, il divorzio, l’aborto, il fine vita, le carceri, la giustizia, … e di sicuro ne abbiamo dimenticate altre. E poi, l’accoglienza, l’apertura incredibile. Chiunque voglia entrare nel partito può farlo, nessuna discriminazione, chiunque non trovi spazio altrove. Alla fine degli anni ’60, i ragazzi ascoltano Bob Dylan, hanno i capelli lunghi, sono anticonvenzionali, giudicati straccioni e fuori dal tempo praticamente da tutti i partiti. Pannella sembra tradurre un passo del vangelo: “Lasciate che i capelloni vengano a me”. Le loro rivendicazioni per una società diversa sono le sue e va bene così. L’amore libero, le droghe, il Vietnam, la scuola, i divieti, lo scontro tra generazioni…
E poi c’è il divorzio.
Tutto comincia nel 1965, quando Loris Fortuna, socialista, presenta un disegno di legge per il divorzio. A Pannella non sembra vero e ci si butta a capofitto, organizzando ogni genere di manifestazione a sostegno. L’Italia non è pronta, il Vaticano è un macigno sul collo dei cittadini cattolici. Nemmeno un quarto della popolazione è favorevole a questo salto nel buio. I partiti che potrebbero sostenere l’iniziativa sono molto titubanti: i comunisti temono di perdere quella fetta di cattolici che votano per loro, i partiti di centro sinistra sono ammanicati con la DC ed è difficile andarle contro. La posizione di missini e democristiani è ovvia.
Pannella e Fortuna inventano la LID, la Lega Italiana per il Divorzio. É una mossa che cambia di molto le carte in tavola. Assenti i partiti, la LID si rivolge direttamente ai cittadini con una quantità impressionante di iniziative. Si uniscono nomi importanti, provenienti da altre posizioni di partito. Nel 1968, Pannella invita a votare per il parlamento chiunque sia favorevole al divorzio, senza badare allo schieramento cui appartiene. É una grande novità, votare sulla base di una esigenza, di un obiettivo concreto, non di una ideologia. La legge però va ripresentata. Questa volta è firmata anche da 60 parlamentari dei gruppi di sinistra. L’anno successivo viene riunita con la proposta Baslini e finalmente va in discussione, con lungaggini e ostruzioni democristiane. Viene approvata il 30 novembre 1970. É una grande vittoria per Pannella e i radicali, ma si capisce subito che il partito non è in grado di tradurre in pratica i propri successi. Al congresso del 1970 sono appena in 80, non riescono a gestire le elezioni. Invitano a votare PSI. La storia del divorzio non finisce qui, come sappiamo. Ci sarà un referendum sanguinoso, con la chiesa schierata con tutta la sua potenza e propaganda assieme a Fanfani; gli altri partiti sono titubanti, non sapendo prevedere l’esito dello scontro. I grandi protagonisti sono ancora una volta i radicali di Pannella. Nel giugno 1974 il popolo italiano si esprime, per la prima volta su un referendum abrogativo. La legge viene mantenuta: lo vuole una larga maggioranza di elettori. Pannella si augura che questa grande vittoria porti anche ad un successo elettorale, ma le cose non vanno così. A guadagnare dalla situazione sono soprattutto i grandi partiti di sinistra, PCI su tutti, che potrà entrare nell’area di governo, rappresentando all’incirca un terzo degli italiani.
Già, i referendum! Pur previsti dalla costituzione, è Pannella a farli diventare arma politica, strategia di lotta. Per chi ha vissuto solo gli anni di questo secolo il banchetto per la raccolta firme è qualcosa di abbastanza comune. Lo ha rispolverato alla grande Beppe Grillo, lo hanno usato movimenti e organizzazioni che avevano qualche legge da togliere di torno o che non volevano si facessero scelte a loro dire sbagliate (ad esempio la privatizzazione della gestione dell’acqua o l’arrivo di un nuovo nucleare e così via). Ma, se ci passate l’espressione, l’inventore di tutto questo è Marco Pannella. Tutte le firme raccolte, qualcuno le ha contate, sono un numero impressionante che non è molto lontano dalla popolazione italiana. Dal 1974 al 2005 sono 110 i referendum proposti, 47 quelli sui cui quesiti si è votato. Alcuni hanno cambiato la vita delle persone.
A Marco Pannella quello che importa è che si affrontino i problemi, che lo si faccia nelle sedi adatte, che non si sfugga al dibattito, che si sentano sempre tutte le campane. É una fucina di iniziative non sta mai fermo su una proposta. Ma come è la sua vita? Vive in una soffitta vicino a Fontana di Trevi, non ha un lavoro, spesso deve essere aiutato dagli amici, si dichiara bisessuale, ma passa 40 anni assieme alla sua compagna, la ginecologa Mirella Parachini. Vivono assieme fino alla morte di lui. É un giornalista professionista ma detesta il giornalismo, lotta per abolire l’albo professionale, perché, sostiene, chiunque abbia qualcosa da condividere è un giornalista. Questo suo pensiero lo mette nei guai, quando accetta di fare da direttore per la rivista Lotta Continua. Un direttore sui generis, che non controlla i pezzi, ognuno può scrivere quello che vuole. Riceve, per questo, molte denunce, una grave perché Adriano Sofri, in un articolo, inneggia alla militarizzazione della lotta, quando un partito armato ancora non c’è. É anche in questo che si esprime lo spirito libertario radicale: fate quello che volete, noi non abbiamo paura delle conseguenze.
Qualcuno ha scritto che Pannella ha un fascino irresistibile per le donne. Ad esse si rivolge quando nasce, all’interno del partito radicale, il Movimento per la liberazione delle donne (MLD). Le richieste sono precise: informazione sui contraccettivi, asili nido e legalizzazione dell’aborto. É nel partito radicale che si esercita la parità di genere: nelle liste elettorali il posto di capolista spetta ad una donna, il 50% dei posti è riservato a loro.
La battaglia sull’aborto è molto più complicata di quella sul divorzio. C’è di mezzo la vita del feto, i dogmi religiosi, il cattolicesimo del popolo italiano. Pannella trova un’alleata formidabile, che lo seguirà tra alti e bassi fino alla fine della sua vita: Emma Bonino. É lei la prima donna ad abortire e a dichiararlo in pubblico. Per questo si fa arrestare, assieme ad una decina di altri radicali del CISA (Centro Informazioni Sterilizzazione e Aborto) che si denunciano, come Adele Faccio, per procurato aborto. Il clima è tesissimo: Fanfani parte lancia in resta per una nuova missione per conto di dio, la polizia carica i manifestanti, ma il PR organizza quasi 500 banchetti per la raccolta delle firme che spingono per la legalizzazione dell’aborto. Alla fine saranno 750 mila. Cosa vuole questo referendum? Abolire una serie di articoli del codice penale, che considera reato l’interruzione di gravidanza, con pene previste fino a 5 anni. Nel 1976 si è pronti per votare, ma Leone scioglie le camere e l’iter si blocca. Nel frattempo tuttavia, la corte costituzionale consente il ricorso all’aborto per motivi gravi, sostenendo inaccettabile porre sullo stesso piano la salute della donna e la salute dell’embrione o del feto. Questa decisione affretta l’iter per la presentazione e l’approvazione della legge 194. Un’altra vittoria di Pannella e dei suoi sui diritti civili. Nel 1980 vanno in scena due referendum: uno promosso dal Movimento per la vita, che chiede l’abrogazione della 194, e l’altro, indetto dai radicali, che vuole estenderla ancora di più. Entrambi vengono bocciati dagli elettori.
Uno dei problemi di Marco è quello di farsi notare, non nel senso personale, ma di essere in grado di comunicare coi cittadini. Spesso i banchetti non sono sufficienti, serve l’appoggio di altri elementi. Lui usa il suo corpo, la sua salute, con scioperi della fame e della sete a volte terribili. Si potrebbe pensare che non importi molto a nessuno la fine che farà, ma … in occasione della raccolta firme per un referendum sull’introduzione dell’obiezione di coscienza, inizia un digiuno, siamo nel 1972, che durerà 5 settimane. All’inizio nessuno se ne preoccupa, ma quando annuncia che andrà fino alla fine (la sua fine), le cose cambiano e si muovono in tanti, perfino vescovi, intellettuali cattolici, scrittori. Sono due articoli dall’estero, uno di Nichols sul Times e uno di Nobécourt su Le Monde a favore dell’obiezione a dare la spallata decisiva. Le porte improvvisamente si aprono; lo ricevono Fanfani e il presidente della camera Pertini. Perché? Possiamo pensare che i partiti, specie quelli di sinistra, così indaffarati a recuperare voti, si rendano conto che una sua eventuale scomparsa, farebbe sparire anche l’unico movimento serio che si muove per i diritti civili.
Non è un tema nuovo quello dell’obiezione. Nel 1965 esce un testo fondamentale, “L’obbedienza non è più una virtù” di don Lorenzo Milani (ripreso da Luca Pavolini su Rinascita, rivista del PCI), un inno a favore degli obiettori, che scuote le sensibilità popolari e arriva fino ad un processo che condanna i due (Milani muore prima della sentenza, Pavolini usufruisce di un’amnistia). Nel 1970 i radicali e altri politici tra cui Anderlini del PCI, fondano la LOC (Lega Obiezione di Coscienza) che, federata al PR, sarà decisiva per gli sviluppi successivi. Due anni dopo ecco la proposta di legge: Anderlini, Marcora e Fracanzani ne sono i firmatari. Intanto nelle carceri militari ci sono decine di obiettori, oltre a qualche centinaio di testimoni di Geova. Lo sciopero dei 39 giorni è per la loro scarcerazione e anche per quella degli anarchici che vedevano recluso l’innocente Pietro Valpreda. É lo stesso Pannella a raccontare i fatti. I reclusi a Peschiera iniziano anche loro il digiuno e così fanno altri 23 radicali a Roma. Quando la situazione si fa drammatica e i chili persi diventano tanti, finalmente la politica si muove e, se non altro, promette. Promette la discussione della legge e la liberazione di Valpreda. Pannella ha vinto di nuovo e dice: “Me ne vado a casa. È tardi. Dopo 37 giorni mi cucino un bel brodo di dadi con burro e parmigiano.”
La legge sull’obiezione di coscienza ha avuto un andamento tortuoso. Scartata la proposta Fracanzani, più libertaria, passa quella di Marcora, restrittiva e punitiva, che pone tutta una serie di distinguo, di ma e di però. Ha comunque il merito di scarcerare gli obiettori. Verrà rivista e modificata solo più avanti nel 1998. L’obiezione, va ricordato, non riguarda solo l’esercito, ma anche altre materie, come l’aborto per i medici, norma contenuta nella legge del 1974.
…
C’è un altro aspetto della vita politica di Pannella che è ricorrente: l’invisibilità sui mezzi di comunicazione, a cominciare dalla RAI, all’epoca in mano alla DC di Fanfani. Nel 1974, Marco inizia un nuovo, terribile sciopero della fame: durerà più di tre mesi. É il periodo della campagna sull’aborto, ma Pannella in TV proprio non lo vogliono. Passano 50 giorni con notizie scarsissime. Finalmente ecco un’intervista su “La Stampa” di Lietta Tornabuoni; Pannella chiede: “Ma cosa pensano che voglia dire in TV?” A ben vedere quello che succederà, averne un po’ di paura non è poi così irragionevole. É come se si togliesse un tappo. Il Corriere pubblica 8 articoli. Le firme sono prestigiose: quella di Arrigo Benedetti e di Pier Paolo Pasolini valgono per tutte. E non si parla solo di aborto, ma anche della discriminazione per Pannella. Così il 19 luglio viene invitato ad una trasmissione sul diritto di famiglia. La trasmissione è registrata, Marco è un vulcano, che nessuno riesce a contenere, parla di omosessuali, di aborti clandestini, di cose che nessuno ha mai sentito alla RAI. Il conduttore non sa cosa fare e lo lascia parlare. Sono tutti scandalizzati, il direttore De Luca, il presidente Bernabei, che manda tutto a Rumor e al presidente Leone. Ma la dirigenza RAI è una cosa, la politica un’altra. Questa non si può permettere alcun tipo di censura: la trasmissione va mandata in onda. Parte quella che potremmo definire una censura bianca: nessuna pubblicità sul giorno e l’ora della messa in onda, spostamento sul secondo canale alle 10 di sera, in concomitanza con un programma di grande attrazione sulla prima rete. Non se ne accorgerà nessuno? Per niente. La RAI viene inondata di messaggi e telefonate: pro e contro Pannella, e Marco diventa visibile. Va tutto bene, ma le decisioni passano per il parlamento. É necessario entrarci per contare qualcosa. Tanto più che i partiti non presenti vengono esclusi dalle tradizionali tribune elettorali. L’arresto di Pannella per uno spinello, fumato davanti alla polizia, e il processo per istigazione al non voto nel 1972 fanno effetto. Anche l’introduzione di una legge che prevede il concetto di “modica quantità” fa pubblicità a Marco, che risulta tra i primi sette personaggi più conosciuti in Italia. I sondaggi sono strabilianti: il 70% degli italiani è interessata ai diritti civili, il 16% dice che voterà radicale. Ma, alla resa dei conti, in parlamento ci vanno solo in 4 e il PR supera di poco l’1% dei voti.
Siamo negli ultimi anni ’70, un periodo terribile in Italia. Le brigate rosse, le manifestazioni bloccate da Cossiga, i servizi segreti con le P38 che si spacciano per terroristi. I radicali scendono in piazza lo stesso. Così muore Giorgiana Masi. Ma non si fermano, non si fermano mai, raccolgono ancora 700 mila firme per otto referendum e, finalmente, approdano in televisione. C’è attesa per Marco, il suo eloquio formidabile, ma succede tutt’altro. Si presentano in quattro: Marco, Bonino, Spadaccia e Mellini. Gli spettatori italiani sono allibiti: i radicali in TV sono imbavagliati e restano così, fermi per i 23 minuti loro concessi. É una protesta non violenta, mirata, geniale. Pannella sorprende ancora.
Stupire per farsi ascoltare, per porre il problema, per avviare una discussione. Così lo troviamo a piazza Navona vestito da Babbo Natale (per di più in giallo), o vestito da clown, o mentre legge un brano della Bibbia al teatro Flaiano di Roma, mentre un gruppo di suoi compagni di partito si esibiscono nudi.
Le provocazioni di Marco Pannella non sono mai fini a se stesse. Sappiamo delle sigarette di hashish fumate in pubblico, chiamando prima la polizia ad assistere, per farsi arrestare e porre il problema della legalizzazione delle droghe leggere.
A proposito di visibilità, i partiti hanno tutti un organo di stampa (l’Unità per il PCI, l’Avanti per i socialisti, Il Popolo per la DC e così via). I radicali no. Ci sono state riviste che hanno fiancheggiato il partito, ad esempio “Liberazione” o “Argomenti radicali”, ma di breve durata, rispetto alla storia del partito. La voce del partito radicale è arrivata, e arriva, attraverso la radio, una radio strana e straordinaria, Radio Radicale.
Il 26 febbraio 1976, una voce annuncia: “Siete sintonizzati sugli 88,5 megahertz, quella che state ascoltando è Radio Radicale”. Non è la prima radio libera, anzi sono già due anni che a Parma, a Milano, a Roma e in altre città decine di radio libere (o private) trasmettono. Poi, nel giugno del 1976, la Corte Costituzionale mette tutto a posto con una sentenza che liberalizza le trasmissioni via etere.
Non la prima dunque, ma sicuramente una radio unica. Il padre, neanche a dirlo, è Marco Pannella, che vede in questo strumento molto più di quello che uno può vedere in una radio. Come spesso gli è successo, anticipa i tempi, inventa un nuovo modo di gestire l’informazione. Non c’è pubblicità, gli intervalli sono musica classica abbastanza pesante, per ricordare i morti per fame, in guerra, sul lavoro. Marco passa ore e ore a spiegare perché si deve votare radicale, ma lo fa direttamente con gli ascoltatori che telefonano in continuazione, accende dibattiti, spiega, si arrabbia, sorride, convince: ha inventato “la diretta”. É la prima emittente che offre una rassegna stampa, che commenta gli articoli di altri giornali. “Stampa e regime”, così si chiama il programma, è un must per politici e direttori di giornali. É fatto benissimo ed essere citati, come dirà Furio Colombo, “è una piccola greca di cui fregiarsi con orgoglio”.
E poi ci sono le dirette dal Parlamento, senza interruzioni, perché la gente possa ascoltare tutto quello che si dice nelle aule del parlamento. Si aggiungono poi le dirette dalle aule di giustizia, tutto in diretta, senza commenti e interruzioni, Ancora oggi è così, l’unica differenza è che si possono vedere i video e non solo ascoltare gli audio. C’è un accordo con lo Stato. Non ci sono altre emittenti private in Europa che fanno altrettanto.
Tutto bene dunque? Ovviamente no. qualsiasi iniziativa dei radicali ha sostenitori e avversari, spesso feroci, a volte prevenuti. Le critiche a Radio Radicale riguardano, soprattutto, il suo finanziamento. Se, all’inizio, il bilancio si basa su “offerte” volontarie di privati, quando il PR entra in parlamento, ha diritto, come gli altri, al finanziamento pubblico. L’abolizione del finanziamento pubblico è una battaglia condotta da Pannella, ma i soldi non si possono rifiutare e così, Marco decide di restituirli come informazione, attraverso Radio radicale. Non tutti approvano questo escamotage. Ad esempio il Manifesto sottolinea come i cinque miliardi che arrivano dallo stato vanno a finire nel bilancio di Radio Radicale, quindi ancora “dentro” il partito. Nonostante questo ci sono sempre problemi, anche se tutti i dipendenti della radio non sono pagati come giornalisti, ma come semplici impiegati, dal momento che i radicali vorrebbero abolire l’albo sindacale dei giornalisti. Nel 1986 la situazione è drammatica. Così Pannella ha un’altra delle sue pensate geniali. Interrompe tutte le trasmissioni e, senza nessun filtro, apre i telefoni e i microfoni alla gente. Per tre giorni, quelli conosciuti come “Radio parolaccia”, si sente di tutto. É lo sfogo della gente in cui compaiono le frustrazioni, le ansie, l’odio per il governo, per i meridionali e i settentrionali, gli extracomunitari, i poliziotti, i vicini di casa. Messaggi razzisti e sessisti, con un linguaggio aggressivo basato sul turpiloquio, che quelli di oggi sembrano complimenti. É forse l’azione più libertaria mai compiuta. Criticata, denunciata, non condivisa da molti, ma sicuramente libertaria, forse troppo. Tanto che interviene la magistratura e sequestra la segreteria dove i messaggi vengono registrati. Va in onda musica classica fino a sera, poi Pannella spiega quanto avvenuto quel giorno. L’esperienza di Radio Parolaccia verrà replicata in altre due occasioni, nel 91 e nel 96 per gli stessi motivi di finanziamento della Radio. Questa storia finisce due mesi dopo, quando il parlamento estende alle radio il finanziamento pubblico, costringendo Radio Radicale a diventare un “organo di partito”.
Nel 1994 una nuova ondata di referendum, 10 del PR e 3 della Lega Nord, hanno bisogno di firme. Passa al banchetto anche Silvio Berlusconi, che sta preparando la sua discesa in campo. I tempi sono stretti, Pannella riesce addirittura a far slittare di una settimana la data del turno elettorale grazie ad uno sciopero della fame e della sete. Il governo Ciampi reagisce finanziando con 10 miliardi la Radio per le trasmissioni in diretta dal Parlamento.
La cosa curiosa è che quel governo cade su una mozione di sfiducia presentata da Pannella.
Nel 1997 l’accordo con lo stato scade. Radio Radicale riceve 7 miliardi di lire come organo di partito e 10 per le trasmissioni dal parlamento. Visti gli ascolti, la RAI offre 25 miliardi per l’acquisto dell’emittente, Pannella ne chiede il doppio. Nel frattempo un referendum ha abolito il finanziamento pubblico, sostituendolo con una quota IRPEF volontaria. La risposta dei cittadini è tiepida e il PR si vede recapitare 2,7 miliardi “soltanto”. Con una mossa, di quelle spettacolari e teatrali, i radicali scendono in piazza a Roma e Treviso e restituiscono i soldi ai cittadini: giovani, disoccupati, pensionati, immigrati.
Nel 1998 la battaglia per Radio Radicale entra nel vivo. La RAI vorrebbe avere il monopolio delle trasmissioni dal parlamento. Qualcuno storce il naso per tutti i miliardi che Radio Radicale riceve. E poi, le trasmissioni sono un tantino birichine, in fondo sempre organo del partito “Liste Pannella” si tratta. Ma c’è un ampio schieramento trasversale, che vuole che si continui come prima. Poi, all’improvviso, la RAI comincia a trasmettere dal parlamento: è il 9 febbraio 1998. La reazione radicale è, come sempre, impossibile da non vedere. Emma Bonino trascina una sedia di vimini davanti a palazzo Chigi e non si muove di un palmo, giorno e notte. Esponenti radicali e diversi cittadini cominciano uno sciopero della fame; alla fine sono circa dieci mila, una cosa mai vista. E si cade in un nuovo assurdo. Radio Radicale continuerà il suo lavoro, ma deve fare un contratto da giornalisti ai suoi 17 dipendenti, pagati finora la metà come impiegati. Resta in piedi anche la trasmissione RAI dal parlamento. Così il cittadino paga due volte per lo stesso servizio.
Oggi Radio Radicale esiste e non ha cambiato la propria natura. Certo, si è evoluta, ha creato un sistema telematico e poi un sistema di mailing, che prelude ai siti dei media di oggi. Ci sono stati liti e rotture, come con uno dei creatori e vera materia grigia della radio stessa, Paolo Vigevano. Nel 2000 ci sono le regionali. Il PR non riesce ad allearsi con nessuno e va da solo. Spende l’ira di dio, fa debiti a non finire ed è così costretto a vendere un quarto dell’emittente ad un privato, incassando 25 miliardi, quattro volte quanto aveva offerto la RAI. In soli 18 mesi i radicali hanno speso ben 60 miliardi, rimanendo con un pugno di mosche in mano. E i dirigenti non si dimettono, non convocano un congresso né fanno autocritica. Non ci sono congressi né elezioni per cinque anni. Pannella si trova sovrastato dall’enorme appeal di Emma Bonino, che avrà riconoscimenti altissimi in Italia e soprattutto in Europa, dove verrà mandata a rappresentare in nostro paese. Ma questa è un’altra storia.
Radio Radicale è un tesoro inestimabile. Raccoglie milioni di ore di trasmissioni, proprie, dal parlamento, dalle aule giudiziarie, facendo ascoltare ai cittadini i dibattiti in corso. Il primo è quello contro Toni Negri, a seguito degli arresti del 7 aprile 1979 del cosiddetto “teorema Calogero” contro molti esponenti dell’autonomia operaia. Ma, quello che più colpisce gli italiani è il processo a Enzo Tortora, accusato di spaccio di droga e di associazione di stampo camorristico. In quel momento è uno dei più conosciuti e stimati conduttori televisivi.
…
Per raccontare tutte le vicende che coinvolgono Marco ci vorrebbe un sacco di tempo. Qualcuna la possiamo brevemente ricordare.
A cominciare dalle candidature particolari, quelle di Toni Negri e Ilona Staller, deludenti per il disinteresse dei due verso le regole del partito, quella di Leonardo Sciascia, di Domenico Modugno, di Enzo Tortora, dopo la vergognosa messinscena del suo arresto per droga e camorra.
Ci sono i rapporti con gli altri partiti, quelli di sinistra soprattutto nella prima repubblica, e quelli nuovi, la Lega e Forza Italia, dopo Mani Pulite. C’è sempre un risvolto di “do ut des” in questi rapporti. L’alleanza va bene, ma va pagata, ad esempio, con la raccolta firme per un referendum o la garanzia di lottare per un certo obiettivo. Pannella non ne fa mai una questione di potere, ma di opportunità per rafforzare le battaglie per i diritti civili.
C’è la battaglia per un tribunale ONU sui delitti commessi nella ex Jugoslavia, che arriva nel 1994, anno in cui Berlusconi manda Emma Bonino in Europa come Commissario.
Ci sono iniziative importanti, come quella di Luca Coscioni, presidente del partito dal 2001 fino alla sua morte. L’associazione che porta il suo nome si batte per la libertà di ricerca scientifica, per la fecondazione assistita, per la legalizzazione dell’eutanasia.
“Nessuno tocchi Caino” è un’altra iniziativa radicale che si batte contro la tortura e per una moratoria sulla pena di morte, che sarà ratificata dall’ONU nel 2007.
C’è una battaglia infinita per la situazione delle carceri italiane e per la giustizia che a volte tiene in cella per tempi lunghissimi detenuti in attesa di essere giudicati. Per questo Marco fa uno sciopero di tre mesi nel 2011 ingerendo solo liquidi, a 81 anni.
Pannella è in ognuna di queste azioni. A volte è ingombrante, qualcuno lo ha accusato di essere il padre padrone del Partito Radicale. Come detto, di lui si può dire di tutto, nel bene e nel male. Molti lo hanno odiato, moltissimi lo hanno amato. La sua posizione politica non è individuabile. Qualcuno ha scritto che i radicali sono sempre stati in bilico fra destra e sinistra. Liberisti in economia, ma libertari sui diritti civili. Portafogli a destra, cuore a sinistra.
Valutare il suo credo politico in poche parole non è semplice. Potremmo, forse, ricorrere ad una sua rara prefazione del 1973. É scritta per il libro “Underground a pugno chiuso!” di Andrea Valcarenghi. Comincia così:
“Io amo gli obiettori, i fuori-legge del matrimonio, i capelloni sottoproletari anfetaminizzati, i cecoslovacchi della primavera, i nonviolenti, i libertari, i veri credenti, le femministe, gli omosessuali, i borghesi come me, la gente con il suo intelligente qualunquismo e la sua triste disperazione. Amo speranze antiche, come la donna e l’uomo; ideali politici vecchi quanto il secolo dei lumi, la rivoluzione borghese, i canti anarchici e il pensiero della destra storica. Sono contro ogni bomba, ogni esercito, ogni fucile, ogni ragione di rafforzamento, anche solo contingente, dello stato di qualsiasi tipo, contro ogni sacrificio, morte o assassinio, soprattutto se ‘rivoluzionario’.”
Ci vogliono due tumori per abbattere la voglia di vivere di quest’uomo. Accade il 19 maggio 2016.
Tanto per chiarire: dopo la sua morte, è stato chiesto a molti suoi contemporanei importanti, politici, giornalisti, intellettuali, di definirlo. Non ci sono due definizioni uguali, ciascuno ha privilegiato un suo aspetto, positivo o negativo che fosse, perché Pannella è così: il bene e il male, la luce e l’ombra. Ma resta una figura centrale, anzi centralissima, della politica italiana. Diverso da tutti gli altri, una figura leggendaria per la sua unicità rispetto a quanti lo hanno circondato con affetto o lo hanno respinto con sdegno. Un alieno per metodi non convenzionali, spesso inventati perché ancora non esistenti. Per una vita privata fatta praticamente di nulla: né vestiti, né ristoranti, cinema o teatri, nessun lavoro vero, spesso sopravvissuto grazie ai prestiti degli amici. Già … gli amici. Pannella si può ben dire che abbia avuto molti nemici, nemici di ogni schieramento politico e sociale, ma una quantità sterminata di amici.
Pannella è quello dei digiuni, della raccolta firme, dei banchetti in piazza. Quanti ne ha fatti? Forse nemmeno lui lo sapeva. Sono serviti? Non si può rispondere a questa domanda, è come chiedersi a cosa serva lo spirito libertario, al di là di nuove leggi, di vittorie referendarie o elettorali. Quello spirito che Pannella ha creato nel nostro paese. Di questo dobbiamo essergli grati, perché, che la si pensi come lui oppure no, è servito a renderci meno prevedibili e più critici. Tutti. La sua storia si mescola ad altre, più o meno importanti. Sicuramente quella di Emma Bonino, quella di Radio Radicale, degli arresti per la diffusione in pubblico di spinelli, delle mille provocazioni. E ci ha sempre messo la faccia, sempre in prima persona, non si è mai nascosto dietro altri, come avviene troppo spesso nella politica di questo paese.
Il suo vero nome è Giacinto, quello di uno zio prete, che aveva aiutato molto la sua famiglia in momenti difficili. Media borghesia, mamma svizzera di lingua francese, giovinezza abbastanza agiata, senza problemi economici. Le convinzioni, che saranno i cavalli di battaglia futuri, gli cadono addosso quasi per caso: l’amica del cuore, ragazzina, che scompare alla vista delle leggi razziali; i coniugi litigiosi dove passa le ferie in Savoia che sente parlare di divorzio; un lontano cugino che fugge dalla guerra perché obiettore … lui è ancora un ragazzino, ma è sveglio, di lingua lunga, capisce molte più cose di quante si potrebbe supporre alla sua età.
Alla sua morte, perdonerete questa traslazione temporale momentanea, il paese si ferma, il palinsesto della televisione cambia, la camera ardente è come un mercato: arrivano tutti, ma proprio tutti, da ogni partito. Sembra che il “suo” Partito Radicale abbia il 90% dei consensi. Ma non è così, non è mai stato così, i turni elettorali per i radicali sono sempre stati un problema, di soldi, di visibilità, di apparentamenti con forze spesso molto diverse tra loro. Cosa induce allora tutta quella gente ad omaggiare il corpo di quell’86-enne leader radicale? Molti hanno dato una risposta, ma quella che ci sembra più corretta è di un vecchio comunista come Emanuele Macaluso, che riconosce in quella di Pannella “una vita politica clamorosa, che risalta di fronte alla miseria politica del presente”.
Il ragazzo Pannella è liberale, lo è diventato dalle letture fatte, dai fasti antecedenti al fascismo, dai nomi di Cavour e Giolitti. Si schiera nella corrente di sinistra del partito. Durante il liceo sottrae qualche spicciolo dalle tasche del padre per comprare due copie di “Risorgimento liberale”, organo del PLI. Una è per sé, l’altra la regala in classe per fare proselitismo. Ma il giornale che cambia la sua vita è un altro: “Il Mondo”, fucina di intellettuali di primissimo piano, probabilmente il giornale più sofisticato d’Italia in quel momento. La redazione è un ritrovo per discutere di politica. Vi partecipano, tra i molti altri, il direttore Mario Pannunzio ed Ernesto Rossi, che saranno i suoi punti di riferimento più importanti e c’è anche Eugenio Scalfari, oltre a Pannella. Ci saranno tutti, nel 1955, a fondare il Partito Radicale.
A 20 anni, Marco diventa segretario degli universitari liberali, in contrapposizione con fascisti e comunisti. Si capisce subito che la sua grande forza è l’eloquio, i suoi discorsi sembrano più pezzi di teatro che interventi. É un giovane strano, legge molto, soprattutto giornali, perché è convinto che da là nasca una strategia politica, non dai libri. E ascolta la radio, in particolare il programma “Il convegno dei cinque”, dove il giornalista socialista Umberto Calosso, parla di libero amore, di preti e religione, di pacifismo, di obiezione di coscienza. Sono tutte tracce del suo futuro, orientato dai principi fondamentali dei suoi maestri, Pannunzio e Rossi: la moralità e l’indifferenza al potere. Principi certamente nobili, ma che non fanno molti proseliti. Il PR è un piccolo-grande concentrato di intellettuali. Ma quello che conta in politica è altra cosa: i voti. Che non arrivano. Alle elezioni amministrative e politiche (assieme al PRI) del ’58 rimediano solo brutte figure … e nessun eletto. Sembra sia nato più che altro un movimento di opinione, che organizza, grazie a Ernesto Rossi e a Il Mondo convegni su temi borderline, come Lotta contro i monopoli elettrici, Processo alla scuola, Stato e chiesa. Non c’è quella politica, che Rino Formica definisce “sangue e merda”, non c’è la voglia di andare al fronte, di sporcarsi le mani a cercare iscritti. Marco Pannella con tutto questo c’entra poco: lui è all’Università, ma ha capito tutto. É sui problemi, sulle questioni, che bisogna schierarsi, non importa con chi. Occorre un partito transnazionale. Nel 1956 è a Vienna ad accogliere l’enormità di profughi ungheresi dopo l’invasione sovietica di Budapest. Diventa segretario dell’UNURI, l’unione degli universitari, assieme ad Achille Occhetto a cui lascia il compito di “governare” e se ne va a Parigi. Qui rimane tre anni, scrivendo per Il Giorno, articoli spesso non richiesti, pesanti e imbarazzanti per il giornale. Si immerge nella lotta per l’indipendenza algerina. Viene licenziato nel 1963 dopo un articolo sull’ENI di Enrico Mattei.
Questo è un esempio di come la vita di Pannella sia, per usare un eufemismo molto leggero, movimentata, spesso incoerente per chi la guarda da fuori, sempre senza regole precise e comunque mai preordinate. Seguire le vicende che attraversa è come salire lungo i tornati del Pordoi, una infinita serie di spostamenti da una parte e dall’altra.
Ecco, dunque, la domanda fondamentale: come possiamo ricordare Marco Pannella? Forse il modo migliore è farlo attraverso le sue battaglie, tante battaglie, tantissime, importanti, fondamentali. Non ha alcuna importanza se uno è d’accordo o meno: l’impegno profuso e soprattutto il fatto di non averci mai guadagnato nulla, impone un rispetto assoluto per quest’uomo straordinario.
Possiamo ben dire che gli dobbiamo molto, se non altro per la spinta che ha dato, quasi sempre partendo da solo col suo partito, ai diritti civili. Con che armi? Pannella ha usato il suo corpo e strategie innovative, inaspettate, spesso provocatorie, come vedremo.
Per capire Marco Pannella è necessario calarsi nella realtà degli anni ’50 e ’60. Tutta la storia della prima repubblica è fatta di anni difficili: il dopoguerra, le distorsioni del boom economico, gli anni di piombo, mani pulite, tanto per citare qualche brandello. E quale coraggio pensate ci voglia, alla fine degli anni ’50, a proporre al proprio congresso temi come l’abolizione del concordato, l’eliminazione degli eserciti, il riconoscimento dell’obiezione di coscienza? Ma quel Partito Radicale è molto fumo e nessun arrosto. Troppi intellettuali, filosofi, che si perdono in un mare di discussioni e non arrivano mai al concreto. Non è dunque strano che i risultati elettorali siano un flop clamoroso. Meglio fare da soli, pensa Pannella, legandosi ai movimenti presenti in Italia, come quello non violento di Aldo Capitini; meglio organizzare eventi che coinvolgano il popolo, come le marce della pace, che si sposteranno nel tempo, ma arriveranno sempre in luoghi simbolo della guerra. Prima la caserma NATO Ederle a Vicenza, poi quella di Aviano, fino ad arrivare a Verdun in Francia e al muro di Berlino, fermati dalle guardie della DDR. Le marce per la pace sono solo una delle tante organizzate dal PR o alle quali ha partecipato. I motivi certo non mancano e sono quelli alla base delle rivendicazioni politiche e sociali di Pannella: la trasparenza della RAI, il Vietnam, le invasioni sovietiche negli stati satellite, il servizio civile, il divorzio, l’aborto, il fine vita, le carceri, la giustizia, … e di sicuro ne abbiamo dimenticate altre. E poi, l’accoglienza, l’apertura incredibile. Chiunque voglia entrare nel partito può farlo, nessuna discriminazione, chiunque non trovi spazio altrove. Alla fine degli anni ’60, i ragazzi ascoltano Bob Dylan, hanno i capelli lunghi, sono anticonvenzionali, giudicati straccioni e fuori dal tempo praticamente da tutti i partiti. Pannella sembra tradurre un passo del vangelo: “Lasciate che i capelloni vengano a me”. Le loro rivendicazioni per una società diversa sono le sue e va bene così. L’amore libero, le droghe, il Vietnam, la scuola, i divieti, lo scontro tra generazioni…
E poi c’è il divorzio.
Tutto comincia nel 1965, quando Loris Fortuna, socialista, presenta un disegno di legge per il divorzio. A Pannella non sembra vero e ci si butta a capofitto, organizzando ogni genere di manifestazione a sostegno. L’Italia non è pronta, il Vaticano è un macigno sul collo dei cittadini cattolici. Nemmeno un quarto della popolazione è favorevole a questo salto nel buio. I partiti che potrebbero sostenere l’iniziativa sono molto titubanti: i comunisti temono di perdere quella fetta di cattolici che votano per loro, i partiti di centro sinistra sono ammanicati con la DC ed è difficile andarle contro. La posizione di missini e democristiani è ovvia.
Pannella e Fortuna inventano la LID, la Lega Italiana per il Divorzio. É una mossa che cambia di molto le carte in tavola. Assenti i partiti, la LID si rivolge direttamente ai cittadini con una quantità impressionante di iniziative. Si uniscono nomi importanti, provenienti da altre posizioni di partito. Nel 1968, Pannella invita a votare per il parlamento chiunque sia favorevole al divorzio, senza badare allo schieramento cui appartiene. É una grande novità, votare sulla base di una esigenza, di un obiettivo concreto, non di una ideologia. La legge però va ripresentata. Questa volta è firmata anche da 60 parlamentari dei gruppi di sinistra. L’anno successivo viene riunita con la proposta Baslini e finalmente va in discussione, con lungaggini e ostruzioni democristiane. Viene approvata il 30 novembre 1970. É una grande vittoria per Pannella e i radicali, ma si capisce subito che il partito non è in grado di tradurre in pratica i propri successi. Al congresso del 1970 sono appena in 80, non riescono a gestire le elezioni. Invitano a votare PSI. La storia del divorzio non finisce qui, come sappiamo. Ci sarà un referendum sanguinoso, con la chiesa schierata con tutta la sua potenza e propaganda assieme a Fanfani; gli altri partiti sono titubanti, non sapendo prevedere l’esito dello scontro. I grandi protagonisti sono ancora una volta i radicali di Pannella. Nel giugno 1974 il popolo italiano si esprime, per la prima volta su un referendum abrogativo. La legge viene mantenuta: lo vuole una larga maggioranza di elettori. Pannella si augura che questa grande vittoria porti anche ad un successo elettorale, ma le cose non vanno così. A guadagnare dalla situazione sono soprattutto i grandi partiti di sinistra, PCI su tutti, che potrà entrare nell’area di governo, rappresentando all’incirca un terzo degli italiani.
Già, i referendum! Pur previsti dalla costituzione, è Pannella a farli diventare arma politica, strategia di lotta. Per chi ha vissuto solo gli anni di questo secolo il banchetto per la raccolta firme è qualcosa di abbastanza comune. Lo ha rispolverato alla grande Beppe Grillo, lo hanno usato movimenti e organizzazioni che avevano qualche legge da togliere di torno o che non volevano si facessero scelte a loro dire sbagliate (ad esempio la privatizzazione della gestione dell’acqua o l’arrivo di un nuovo nucleare e così via). Ma, se ci passate l’espressione, l’inventore di tutto questo è Marco Pannella. Tutte le firme raccolte, qualcuno le ha contate, sono un numero impressionante che non è molto lontano dalla popolazione italiana. Dal 1974 al 2005 sono 110 i referendum proposti, 47 quelli sui cui quesiti si è votato. Alcuni hanno cambiato la vita delle persone.
A Marco Pannella quello che importa è che si affrontino i problemi, che lo si faccia nelle sedi adatte, che non si sfugga al dibattito, che si sentano sempre tutte le campane. É una fucina di iniziative non sta mai fermo su una proposta. Ma come è la sua vita? Vive in una soffitta vicino a Fontana di Trevi, non ha un lavoro, spesso deve essere aiutato dagli amici, si dichiara bisessuale, ma passa 40 anni assieme alla sua compagna, la ginecologa Mirella Parachini. Vivono assieme fino alla morte di lui. É un giornalista professionista ma detesta il giornalismo, lotta per abolire l’albo professionale, perché, sostiene, chiunque abbia qualcosa da condividere è un giornalista. Questo suo pensiero lo mette nei guai, quando accetta di fare da direttore per la rivista Lotta Continua. Un direttore sui generis, che non controlla i pezzi, ognuno può scrivere quello che vuole. Riceve, per questo, molte denunce, una grave perché Adriano Sofri, in un articolo, inneggia alla militarizzazione della lotta, quando un partito armato ancora non c’è. É anche in questo che si esprime lo spirito libertario radicale: fate quello che volete, noi non abbiamo paura delle conseguenze.
Qualcuno ha scritto che Pannella ha un fascino irresistibile per le donne. Ad esse si rivolge quando nasce, all’interno del partito radicale, il Movimento per la liberazione delle donne (MLD). Le richieste sono precise: informazione sui contraccettivi, asili nido e legalizzazione dell’aborto. É nel partito radicale che si esercita la parità di genere: nelle liste elettorali il posto di capolista spetta ad una donna, il 50% dei posti è riservato a loro.
La battaglia sull’aborto è molto più complicata di quella sul divorzio. C’è di mezzo la vita del feto, i dogmi religiosi, il cattolicesimo del popolo italiano. Pannella trova un’alleata formidabile, che lo seguirà tra alti e bassi fino alla fine della sua vita: Emma Bonino. É lei la prima donna ad abortire e a dichiararlo in pubblico. Per questo si fa arrestare, assieme ad una decina di altri radicali del CISA (Centro Informazioni Sterilizzazione e Aborto) che si denunciano, come Adele Faccio, per procurato aborto. Il clima è tesissimo: Fanfani parte lancia in resta per una nuova missione per conto di dio, la polizia carica i manifestanti, ma il PR organizza quasi 500 banchetti per la raccolta delle firme che spingono per la legalizzazione dell’aborto. Alla fine saranno 750 mila. Cosa vuole questo referendum? Abolire una serie di articoli del codice penale, che considera reato l’interruzione di gravidanza, con pene previste fino a 5 anni. Nel 1976 si è pronti per votare, ma Leone scioglie le camere e l’iter si blocca. Nel frattempo tuttavia, la corte costituzionale consente il ricorso all’aborto per motivi gravi, sostenendo inaccettabile porre sullo stesso piano la salute della donna e la salute dell’embrione o del feto. Questa decisione affretta l’iter per la presentazione e l’approvazione della legge 194. Un’altra vittoria di Pannella e dei suoi sui diritti civili. Nel 1980 vanno in scena due referendum: uno promosso dal Movimento per la vita, che chiede l’abrogazione della 194, e l’altro, indetto dai radicali, che vuole estenderla ancora di più. Entrambi vengono bocciati dagli elettori.
Uno dei problemi di Marco è quello di farsi notare, non nel senso personale, ma di essere in grado di comunicare coi cittadini. Spesso i banchetti non sono sufficienti, serve l’appoggio di altri elementi. Lui usa il suo corpo, la sua salute, con scioperi della fame e della sete a volte terribili. Si potrebbe pensare che non importi molto a nessuno la fine che farà, ma … in occasione della raccolta firme per un referendum sull’introduzione dell’obiezione di coscienza, inizia un digiuno, siamo nel 1972, che durerà 5 settimane. All’inizio nessuno se ne preoccupa, ma quando annuncia che andrà fino alla fine (la sua fine), le cose cambiano e si muovono in tanti, perfino vescovi, intellettuali cattolici, scrittori. Sono due articoli dall’estero, uno di Nichols sul Times e uno di Nobécourt su Le Monde a favore dell’obiezione a dare la spallata decisiva. Le porte improvvisamente si aprono; lo ricevono Fanfani e il presidente della camera Pertini. Perché? Possiamo pensare che i partiti, specie quelli di sinistra, così indaffarati a recuperare voti, si rendano conto che una sua eventuale scomparsa, farebbe sparire anche l’unico movimento serio che si muove per i diritti civili.
Non è un tema nuovo quello dell’obiezione. Nel 1965 esce un testo fondamentale, “L’obbedienza non è più una virtù” di don Lorenzo Milani (ripreso da Luca Pavolini su Rinascita, rivista del PCI), un inno a favore degli obiettori, che scuote le sensibilità popolari e arriva fino ad un processo che condanna i due (Milani muore prima della sentenza, Pavolini usufruisce di un’amnistia). Nel 1970 i radicali e altri politici tra cui Anderlini del PCI, fondano la LOC (Lega Obiezione di Coscienza) che, federata al PR, sarà decisiva per gli sviluppi successivi. Due anni dopo ecco la proposta di legge: Anderlini, Marcora e Fracanzani ne sono i firmatari. Intanto nelle carceri militari ci sono decine di obiettori, oltre a qualche centinaio di testimoni di Geova. Lo sciopero dei 39 giorni è per la loro scarcerazione e anche per quella degli anarchici che vedevano recluso l’innocente Pietro Valpreda. É lo stesso Pannella a raccontare i fatti. I reclusi a Peschiera iniziano anche loro il digiuno e così fanno altri 23 radicali a Roma. Quando la situazione si fa drammatica e i chili persi diventano tanti, finalmente la politica si muove e, se non altro, promette. Promette la discussione della legge e la liberazione di Valpreda. Pannella ha vinto di nuovo e dice: “Me ne vado a casa. È tardi. Dopo 37 giorni mi cucino un bel brodo di dadi con burro e parmigiano.”
La legge sull’obiezione di coscienza ha avuto un andamento tortuoso. Scartata la proposta Fracanzani, più libertaria, passa quella di Marcora, restrittiva e punitiva, che pone tutta una serie di distinguo, di ma e di però. Ha comunque il merito di scarcerare gli obiettori. Verrà rivista e modificata solo più avanti nel 1998. L’obiezione, va ricordato, non riguarda solo l’esercito, ma anche altre materie, come l’aborto per i medici, norma contenuta nella legge del 1974.
…
C’è un altro aspetto della vita politica di Pannella che è ricorrente: l’invisibilità sui mezzi di comunicazione, a cominciare dalla RAI, all’epoca in mano alla DC di Fanfani. Nel 1974, Marco inizia un nuovo, terribile sciopero della fame: durerà più di tre mesi. É il periodo della campagna sull’aborto, ma Pannella in TV proprio non lo vogliono. Passano 50 giorni con notizie scarsissime. Finalmente ecco un’intervista su “La Stampa” di Lietta Tornabuoni; Pannella chiede: “Ma cosa pensano che voglia dire in TV?” A ben vedere quello che succederà, averne un po’ di paura non è poi così irragionevole. É come se si togliesse un tappo. Il Corriere pubblica 8 articoli. Le firme sono prestigiose: quella di Arrigo Benedetti e di Pier Paolo Pasolini valgono per tutte. E non si parla solo di aborto, ma anche della discriminazione per Pannella. Così il 19 luglio viene invitato ad una trasmissione sul diritto di famiglia. La trasmissione è registrata, Marco è un vulcano, che nessuno riesce a contenere, parla di omosessuali, di aborti clandestini, di cose che nessuno ha mai sentito alla RAI. Il conduttore non sa cosa fare e lo lascia parlare. Sono tutti scandalizzati, il direttore De Luca, il presidente Bernabei, che manda tutto a Rumor e al presidente Leone. Ma la dirigenza RAI è una cosa, la politica un’altra. Questa non si può permettere alcun tipo di censura: la trasmissione va mandata in onda. Parte quella che potremmo definire una censura bianca: nessuna pubblicità sul giorno e l’ora della messa in onda, spostamento sul secondo canale alle 10 di sera, in concomitanza con un programma di grande attrazione sulla prima rete. Non se ne accorgerà nessuno? Per niente. La RAI viene inondata di messaggi e telefonate: pro e contro Pannella, e Marco diventa visibile. Va tutto bene, ma le decisioni passano per il parlamento. É necessario entrarci per contare qualcosa. Tanto più che i partiti non presenti vengono esclusi dalle tradizionali tribune elettorali. L’arresto di Pannella per uno spinello, fumato davanti alla polizia, e il processo per istigazione al non voto nel 1972 fanno effetto. Anche l’introduzione di una legge che prevede il concetto di “modica quantità” fa pubblicità a Marco, che risulta tra i primi sette personaggi più conosciuti in Italia. I sondaggi sono strabilianti: il 70% degli italiani è interessata ai diritti civili, il 16% dice che voterà radicale. Ma, alla resa dei conti, in parlamento ci vanno solo in 4 e il PR supera di poco l’1% dei voti.
Siamo negli ultimi anni ’70, un periodo terribile in Italia. Le brigate rosse, le manifestazioni bloccate da Cossiga, i servizi segreti con le P38 che si spacciano per terroristi. I radicali scendono in piazza lo stesso. Così muore Giorgiana Masi. Ma non si fermano, non si fermano mai, raccolgono ancora 700 mila firme per otto referendum e, finalmente, approdano in televisione. C’è attesa per Marco, il suo eloquio formidabile, ma succede tutt’altro. Si presentano in quattro: Marco, Bonino, Spadaccia e Mellini. Gli spettatori italiani sono allibiti: i radicali in TV sono imbavagliati e restano così, fermi per i 23 minuti loro concessi. É una protesta non violenta, mirata, geniale. Pannella sorprende ancora.
Stupire per farsi ascoltare, per porre il problema, per avviare una discussione. Così lo troviamo a piazza Navona vestito da Babbo Natale (per di più in giallo), o vestito da clown, o mentre legge un brano della Bibbia al teatro Flaiano di Roma, mentre un gruppo di suoi compagni di partito si esibiscono nudi.
Le provocazioni di Marco Pannella non sono mai fini a se stesse. Sappiamo delle sigarette di hashish fumate in pubblico, chiamando prima la polizia ad assistere, per farsi arrestare e porre il problema della legalizzazione delle droghe leggere.
A proposito di visibilità, i partiti hanno tutti un organo di stampa (l’Unità per il PCI, l’Avanti per i socialisti, Il Popolo per la DC e così via). I radicali no. Ci sono state riviste che hanno fiancheggiato il partito, ad esempio “Liberazione” o “Argomenti radicali”, ma di breve durata, rispetto alla storia del partito. La voce del partito radicale è arrivata, e arriva, attraverso la radio, una radio strana e straordinaria, Radio Radicale.
Il 26 febbraio 1976, una voce annuncia: “Siete sintonizzati sugli 88,5 megahertz, quella che state ascoltando è Radio Radicale”. Non è la prima radio libera, anzi sono già due anni che a Parma, a Milano, a Roma e in altre città decine di radio libere (o private) trasmettono. Poi, nel giugno del 1976, la Corte Costituzionale mette tutto a posto con una sentenza che liberalizza le trasmissioni via etere.
Non la prima dunque, ma sicuramente una radio unica. Il padre, neanche a dirlo, è Marco Pannella, che vede in questo strumento molto più di quello che uno può vedere in una radio. Come spesso gli è successo, anticipa i tempi, inventa un nuovo modo di gestire l’informazione. Non c’è pubblicità, gli intervalli sono musica classica abbastanza pesante, per ricordare i morti per fame, in guerra, sul lavoro. Marco passa ore e ore a spiegare perché si deve votare radicale, ma lo fa direttamente con gli ascoltatori che telefonano in continuazione, accende dibattiti, spiega, si arrabbia, sorride, convince: ha inventato “la diretta”. É la prima emittente che offre una rassegna stampa, che commenta gli articoli di altri giornali. “Stampa e regime”, così si chiama il programma, è un must per politici e direttori di giornali. É fatto benissimo ed essere citati, come dirà Furio Colombo, “è una piccola greca di cui fregiarsi con orgoglio”.
E poi ci sono le dirette dal Parlamento, senza interruzioni, perché la gente possa ascoltare tutto quello che si dice nelle aule del parlamento. Si aggiungono poi le dirette dalle aule di giustizia, tutto in diretta, senza commenti e interruzioni, Ancora oggi è così, l’unica differenza è che si possono vedere i video e non solo ascoltare gli audio. C’è un accordo con lo Stato. Non ci sono altre emittenti private in Europa che fanno altrettanto.
Tutto bene dunque? Ovviamente no. qualsiasi iniziativa dei radicali ha sostenitori e avversari, spesso feroci, a volte prevenuti. Le critiche a Radio Radicale riguardano, soprattutto, il suo finanziamento. Se, all’inizio, il bilancio si basa su “offerte” volontarie di privati, quando il PR entra in parlamento, ha diritto, come gli altri, al finanziamento pubblico. L’abolizione del finanziamento pubblico è una battaglia condotta da Pannella, ma i soldi non si possono rifiutare e così, Marco decide di restituirli come informazione, attraverso Radio radicale. Non tutti approvano questo escamotage. Ad esempio il Manifesto sottolinea come i cinque miliardi che arrivano dallo stato vanno a finire nel bilancio di Radio Radicale, quindi ancora “dentro” il partito. Nonostante questo ci sono sempre problemi, anche se tutti i dipendenti della radio non sono pagati come giornalisti, ma come semplici impiegati, dal momento che i radicali vorrebbero abolire l’albo sindacale dei giornalisti. Nel 1986 la situazione è drammatica. Così Pannella ha un’altra delle sue pensate geniali. Interrompe tutte le trasmissioni e, senza nessun filtro, apre i telefoni e i microfoni alla gente. Per tre giorni, quelli conosciuti come “Radio parolaccia”, si sente di tutto. É lo sfogo della gente in cui compaiono le frustrazioni, le ansie, l’odio per il governo, per i meridionali e i settentrionali, gli extracomunitari, i poliziotti, i vicini di casa. Messaggi razzisti e sessisti, con un linguaggio aggressivo basato sul turpiloquio, che quelli di oggi sembrano complimenti. É forse l’azione più libertaria mai compiuta. Criticata, denunciata, non condivisa da molti, ma sicuramente libertaria, forse troppo. Tanto che interviene la magistratura e sequestra la segreteria dove i messaggi vengono registrati. Va in onda musica classica fino a sera, poi Pannella spiega quanto avvenuto quel giorno. L’esperienza di Radio Parolaccia verrà replicata in altre due occasioni, nel 91 e nel 96 per gli stessi motivi di finanziamento della Radio. Questa storia finisce due mesi dopo, quando il parlamento estende alle radio il finanziamento pubblico, costringendo Radio Radicale a diventare un “organo di partito”.
Nel 1994 una nuova ondata di referendum, 10 del PR e 3 della Lega Nord, hanno bisogno di firme. Passa al banchetto anche Silvio Berlusconi, che sta preparando la sua discesa in campo. I tempi sono stretti, Pannella riesce addirittura a far slittare di una settimana la data del turno elettorale grazie ad uno sciopero della fame e della sete. Il governo Ciampi reagisce finanziando con 10 miliardi la Radio per le trasmissioni in diretta dal Parlamento.
La cosa curiosa è che quel governo cade su una mozione di sfiducia presentata da Pannella.
Nel 1997 l’accordo con lo stato scade. Radio Radicale riceve 7 miliardi di lire come organo di partito e 10 per le trasmissioni dal parlamento. Visti gli ascolti, la RAI offre 25 miliardi per l’acquisto dell’emittente, Pannella ne chiede il doppio. Nel frattempo un referendum ha abolito il finanziamento pubblico, sostituendolo con una quota IRPEF volontaria. La risposta dei cittadini è tiepida e il PR si vede recapitare 2,7 miliardi “soltanto”. Con una mossa, di quelle spettacolari e teatrali, i radicali scendono in piazza a Roma e Treviso e restituiscono i soldi ai cittadini: giovani, disoccupati, pensionati, immigrati.
Nel 1998 la battaglia per Radio Radicale entra nel vivo. La RAI vorrebbe avere il monopolio delle trasmissioni dal parlamento. Qualcuno storce il naso per tutti i miliardi che Radio Radicale riceve. E poi, le trasmissioni sono un tantino birichine, in fondo sempre organo del partito “Liste Pannella” si tratta. Ma c’è un ampio schieramento trasversale, che vuole che si continui come prima. Poi, all’improvviso, la RAI comincia a trasmettere dal parlamento: è il 9 febbraio 1998. La reazione radicale è, come sempre, impossibile da non vedere. Emma Bonino trascina una sedia di vimini davanti a palazzo Chigi e non si muove di un palmo, giorno e notte. Esponenti radicali e diversi cittadini cominciano uno sciopero della fame; alla fine sono circa dieci mila, una cosa mai vista. E si cade in un nuovo assurdo. Radio Radicale continuerà il suo lavoro, ma deve fare un contratto da giornalisti ai suoi 17 dipendenti, pagati finora la metà come impiegati. Resta in piedi anche la trasmissione RAI dal parlamento. Così il cittadino paga due volte per lo stesso servizio.
Oggi Radio Radicale esiste e non ha cambiato la propria natura. Certo, si è evoluta, ha creato un sistema telematico e poi un sistema di mailing, che prelude ai siti dei media di oggi. Ci sono stati liti e rotture, come con uno dei creatori e vera materia grigia della radio stessa, Paolo Vigevano. Nel 2000 ci sono le regionali. Il PR non riesce ad allearsi con nessuno e va da solo. Spende l’ira di dio, fa debiti a non finire ed è così costretto a vendere un quarto dell’emittente ad un privato, incassando 25 miliardi, quattro volte quanto aveva offerto la RAI. In soli 18 mesi i radicali hanno speso ben 60 miliardi, rimanendo con un pugno di mosche in mano. E i dirigenti non si dimettono, non convocano un congresso né fanno autocritica. Non ci sono congressi né elezioni per cinque anni. Pannella si trova sovrastato dall’enorme appeal di Emma Bonino, che avrà riconoscimenti altissimi in Italia e soprattutto in Europa, dove verrà mandata a rappresentare in nostro paese. Ma questa è un’altra storia.
Radio Radicale è un tesoro inestimabile. Raccoglie milioni di ore di trasmissioni, proprie, dal parlamento, dalle aule giudiziarie, facendo ascoltare ai cittadini i dibattiti in corso. Il primo è quello contro Toni Negri, a seguito degli arresti del 7 aprile 1979 del cosiddetto “teorema Calogero” contro molti esponenti dell’autonomia operaia. Ma, quello che più colpisce gli italiani è il processo a Enzo Tortora, accusato di spaccio di droga e di associazione di stampo camorristico. In quel momento è uno dei più conosciuti e stimati conduttori televisivi.
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Per raccontare tutte le vicende che coinvolgono Marco ci vorrebbe un sacco di tempo. Qualcuna la possiamo brevemente ricordare.
A cominciare dalle candidature particolari, quelle di Toni Negri e Ilona Staller, deludenti per il disinteresse dei due verso le regole del partito, quella di Leonardo Sciascia, di Domenico Modugno, di Enzo Tortora, dopo la vergognosa messinscena del suo arresto per droga e camorra.
Ci sono i rapporti con gli altri partiti, quelli di sinistra soprattutto nella prima repubblica, e quelli nuovi, la Lega e Forza Italia, dopo Mani Pulite. C’è sempre un risvolto di “do ut des” in questi rapporti. L’alleanza va bene, ma va pagata, ad esempio, con la raccolta firme per un referendum o la garanzia di lottare per un certo obiettivo. Pannella non ne fa mai una questione di potere, ma di opportunità per rafforzare le battaglie per i diritti civili.
C’è la battaglia per un tribunale ONU sui delitti commessi nella ex Jugoslavia, che arriva nel 1994, anno in cui Berlusconi manda Emma Bonino in Europa come Commissario.
Ci sono iniziative importanti, come quella di Luca Coscioni, presidente del partito dal 2001 fino alla sua morte. L’associazione che porta il suo nome si batte per la libertà di ricerca scientifica, per la fecondazione assistita, per la legalizzazione dell’eutanasia.
“Nessuno tocchi Caino” è un’altra iniziativa radicale che si batte contro la tortura e per una moratoria sulla pena di morte, che sarà ratificata dall’ONU nel 2007.
C’è una battaglia infinita per la situazione delle carceri italiane e per la giustizia che a volte tiene in cella per tempi lunghissimi detenuti in attesa di essere giudicati. Per questo Marco fa uno sciopero di tre mesi nel 2011 ingerendo solo liquidi, a 81 anni.
Pannella è in ognuna di queste azioni. A volte è ingombrante, qualcuno lo ha accusato di essere il padre padrone del Partito Radicale. Come detto, di lui si può dire di tutto, nel bene e nel male. Molti lo hanno odiato, moltissimi lo hanno amato. La sua posizione politica non è individuabile. Qualcuno ha scritto che i radicali sono sempre stati in bilico fra destra e sinistra. Liberisti in economia, ma libertari sui diritti civili. Portafogli a destra, cuore a sinistra.
Valutare il suo credo politico in poche parole non è semplice. Potremmo, forse, ricorrere ad una sua rara prefazione del 1973. É scritta per il libro “Underground a pugno chiuso!” di Andrea Valcarenghi. Comincia così:
“Io amo gli obiettori, i fuori-legge del matrimonio, i capelloni sottoproletari anfetaminizzati, i cecoslovacchi della primavera, i nonviolenti, i libertari, i veri credenti, le femministe, gli omosessuali, i borghesi come me, la gente con il suo intelligente qualunquismo e la sua triste disperazione. Amo speranze antiche, come la donna e l’uomo; ideali politici vecchi quanto il secolo dei lumi, la rivoluzione borghese, i canti anarchici e il pensiero della destra storica. Sono contro ogni bomba, ogni esercito, ogni fucile, ogni ragione di rafforzamento, anche solo contingente, dello stato di qualsiasi tipo, contro ogni sacrificio, morte o assassinio, soprattutto se ‘rivoluzionario’.”
Ci vogliono due tumori per abbattere la voglia di vivere di quest’uomo. Accade il 19 maggio 2016.