Ci sono rifiuti e rifiuti …

puntata1 02E dunque cominciamo. Cominciamo parlando di rifiuti, un tema che abbiamo affrontato ormai molte decine di volte da ogni punto di vista. Qui però non si tratta di discutere di come gestire la filiera o di come arrivare al riciclo della quasi totalità dei rifiuti che produciamo. Qui il discorso è diverso: l’unico punto di contatto è che, come sempre, il motore di tutto quanto è il denaro. Lo vedremo bene nel corso delle puntate.
Il ragionamento che stiamo per cominciare riguarda, in particolare, i rifiuti tossici, le scorie radioattive e le armi; è molto lungo e a riassumerlo in poco spazio si rischierebbe di perdere in chiarezza e in dettagli, che qui non sono solo importanti, sono davvero essenziali per seguire tutti i rivoli delle vicende piuttosto complicate e intricate di cui vi parlerò.
In effetti, come ho avuto modo di dire tante volte da questi microfoni, è impensabile dividere i problemi e le questioni in piccole scatole separate. Non esiste il problema dei rifiuti, quello dell’energia, quello della povertà, quello dell’acqua e così via, esiste un solo problema che è la qualità della vita delle persone, che coinvolge anche la loro dignità di esseri umani. Esiste il problema della sopraffazione del ricco sul povero, del potente sul debole. Queste connessioni sono importanti e vanno capite.
La questione dei rifiuti tossici è talmente vasta che saranno necessarie diverse puntate della trasmissione per venirne a capo. All’inizio di ogni successiva trasmissione a questa farò un breve riassunto delle puntate precedenti.
Per chi non ne avesse mai sentito parlare, avviso che l’argomento è piuttosto crudo. A volte sembra di essere precipitati dentro un film dell’orrore.

Un antefatto clamoroso: l’Italia scopre la Cunski

La nostra storia comincia nel settembre 2009, quando la stampa e le edizioni dei telegiornali diffondono una clamorosa notizia: “In fondo al mare, di fronte alle coste calabresi, a 500 metri di profondità è stata vista una nave di quelle sospettate di essere state affondate con il loro carico di rifiuti tossici!”.
Una bomba! Per la prima volta questo tema, già dibattuto, ma ricco solo di sospetti e di ombre, trova un appiglio reale, forse una prova.
puntata1 03In quei giorni la nazione viene a sapere che c’è almeno una nave piena di rifiuti tossici (probabilmente radioattivi) sotto le onde del mare. Si tratta della Cunski. La notizia desta una grande impressione. Come spesso accade nel nostro paese le reazioni sono poco razionali e finiscono per essere sempre le stesse; il popolo, colpevolmente ignorante e incolpevolmente disinformato, si meraviglia e discute al bar e dal parrucchiere su responsabilità e pene di morte. Ma è anche il periodo in cui va per la maggiore un’altra questione di fondamentale importanza: le escort di Berlusconi e tutti i suoi vizi privati. E poi è appena cominciato il campionato di calcio, quello che porterà al triplete dell’Inter di Mourinho, volete mettere con la Cunski?
Anche se la stragrande maggioranza degli italiani non lo sanno, la denuncia delle “navi fantasma” è, già nel 2009, vecchia di almeno vent’anni. Infatti Legambiente aveva depositato nel 1990 in Procura a Reggio Calabria un esposto su navi misteriosamente scomparse nella zona. Le indagini, come sempre, sono state lente, anche se sarebbe meglio dire che sono state rallentate, segno che qualcuno dietro tutto questo c’era. Le vicende collegate all’affare sono anche sporche di sangue: qualcuno ci ha rimesso la pelle in modo misterioso come il capitano Natale De Grazia, nel dicembre 1995 mentre indaga sulla scomparsa di una nave dei rifiuti al largo delle coste calabresi. Racconteremo anche questa storia. Se ne sono occupate commissioni monocamerali nel 1994, se ne è occupata la procura antimafia nel 1996. Se ne è occupata Greenpeace con un lungo dossier, pubblicato sul proprio sito, se ne è occupato il settimanale L’Espresso, con lunghe e minuziosi indagini e Famiglia Cristiana, con una intervista di cui parleremo e che, nell’ambito delle indagini e dell’informazione, ha fatto storia!
I fatti a cui si fa riferimento in queste inchieste e nelle indagini risalgono al periodo tra la metà degli anni 70 e gli anni 90.
Carlo Lucarelli ha scritto un libro, breve, che consiglio a tutti; si intitola “Navi a perdere” per Edizioni Ambiente nel Novembre 2008. Lucarelli ha anche realizzato una puntata della sua trasmissione “Blu notte” sull’argomento, dal titolo “Il naufragio fantasma”.
Dossier, trasmissioni televisive, articoli e inchieste giornalistiche, libri … come si fa a dire che fino ad allora, fino al 2009, nessuno ne sapeva niente?
La storia che sto per raccontarvi avrà un’appendice alla fine, quando vedremo cosa è successo nei tempi più recenti, dopo il 2010, quando molte carte tenute segrete sono state riportate alla luce. Preferisco però andare con calma e con ordine, perché questo è anche intrattenimento e un po’ di sana suspense ci vuole.
Dunque partiamo dal 16 settembre del 2009, quando al Tg3 della notte si ascolta questo servizio.

Ricchi e poveri producono rifiuti, ma li gestiscono diversamente

puntata1 04Forse potrà sembrarvi noioso, specie per quelli che hanno avuto l’avventura di seguire negli anni questa trasmissione, ma ad ogni nuovo inizio è meglio chiarire i paletti, i punti riferimento, che non sono tanti, ma sono importanti. Nel mondo in cui viviamo esistono paesi ricchi: non sono moltissimi e non sono per nulla composti esclusivamente da persone ricche. Anzi, le persone ricche dei paesi ricchi sono un numero limitato. Anche i paesi ricchi non sono tantissimi: potremmo elencarli e stando un pochino attenti potremmo anche farcela a non dimenticarne nessuno. Molto più numerosi sono i paesi poveri, dove il numero dei poveri, quelli poveri davvero, sono una fetta enorme rispetto alla popolazione complessiva. Insomma nei paesi ricchi ci sono i ricchi, pochi, un discreto numero di gente che se la cava e il resto di poveri che si barcamenano, sperando che la fine del mese arrivi il più presto possibile. Nei paesi poveri ci sono pochissimi ricchi e il resto è messo male, ma davvero male, anzi malissimo.
Ora noi siamo abituati a ragionare delle nazioni. Non ci frega una cippa se Ermete Rossi deve entrare di nascosto al fruttivendolo per rubare una pesca che la figlia non ce la fa più dalla fame. Il suo paese produce, esporta, consuma. Ermete fa parte di un paese ricco.
Io mi scuso in anticipo con tutti gli Ermete Rossi del mondo, perché la storia che racconterò coinvolge anche loro e li rende corresponsabili di crimini ai quali neppure pensano da lontano, ma se seguissimo l’evolversi delle vite di tutti gli Ermete, dovremmo vivere una vita da Matusalemme per arrivare alla fine.
Ne segue, con buona pace di tutti, che se lo stato di Ermete è uno sporcaccione, lui resta coinvolto da questo fatto. Sorry, come direbbe il principe Carlo in persona!
Dicevo dei paesi ricchi: questi consumano energia e merci, creando immondizie di ogni tipo: lo fanno per la produzione industriale, per far funzionare i propri reattori nucleari, per vivere ampiamente sopra il livello medio della vita su questo strano pianeta. Ah certo, lo fanno anche per consentire ad Ermete di vedere la sua squadra di calcio giocare in serie A. Per usare una frase molto cara ai nostri industriali dei bei vecchi tempi: la produzione di rifiuti è lo scotto che paghiamo al progresso: non vorrete mica rinunciare al progresso, vero?
Detto tutto questo, però, occorre fare una distinzione importante: non tutti i rifiuti sono uguali. Insomma se vedo uno buttare via una buccia di banana mi sento di apostrofarlo con un “maleducato”; se lo vedo buttare vie una bottiglia di plastica sono più disposto a dargli del criminale, per le ovvie ragioni che hanno a che fare con la biodegradabilità dei vari materiali e il conseguente inquinamento.
Ecco dunque il punto: ci sono rifiuti e rifiuti!
Ci sono quelli che possono essere recuperati attraverso procedimenti non troppo costosi e tornare a nuova vita, magari sotto altra forma. Il pile, che indosserete quest’inverno, potrebbe essere stato nella sua precedente vita una bottiglia di qualche strana bibita colorata.
Ci sono poi i rifiuti che finiscono nelle discariche, anche se questa è l’ultima delle opzioni suggerita dall’UE, che sottolinea: se potete, evitate questa scelta, perché fa schifo. E, aggiunge, io so che voi potete, quindi datevi da fare, se no vi multo!
Ci sono i rifiuti che finiscono negli inceneritori. L’utilità massima di questi aggeggi è di mettere a posto la coscienza dei cittadini e della quasi totalità dei politici, che sono convinti di far così sparire tutte le schifezze del mondo, come se usassero il mantello invisibile di Henry Potter o la bacchetta di Maga Magò. Ci sono voluti decenni per far capire che si tratta di un trucco o meglio di una colossale truffa e che i detriti, trasformati in qualcos’altro, ce li teniamo noi, ma è meglio non si sappia, perché quella trasformazione li fa diventare nocivi e tossici.
Shhh, dunque, altrimenti l’intero affare dell’incenerimento finisce a puttane.
puntata1 051E poi ci sono dei rifiuti definiti, pensate un po’, “pericolosi”. Sono tanti, classificati con sigle composte da sei numeri. E divisi in circa 20 categorie, ciascuna delle quali contiene decine di voci: dagli acidi solventi ai fanghi provenienti dai più vari trattamenti, dalle ceneri dell’incenerimento ai rifiuti degli ospedali, dalla produzione di gomme alle plastiche e fibre artificiali, senza dimenticare le scorie nucleari.
Potremmo cominciare un pistolotto sull’inutilità della maggior parte dei rifiuti prodotti, che significherebbe andare ad analizzare da dove vengono e come mai si riducono in quel brutto modo alla fine della loro vita. Sarebbe giusto e finiremmo con un’analisi sofisticata della società in cui viviamo, parleremmo di consumi, di Overshoot day, del significato del PIL e di molte altre questioni che rimangono aperte a interpretazioni che sono molto lontane da quelle che ci mettono nella testa i mezzi di comunicazione del potere (si badi che non ho detto dei governi, ma del potere: è importante).
Se vogliamo essere seri e scrutare l’orizzonte senza perdere di vista quello che ci succede attorno, la domanda dalle cento pistole che dobbiamo fare è una sola: visto che tutta quella schifezza l’abbiamo prodotta, adesso dove la mettiamo?
Già, dove la mettiamo! Eccola qui la sorgente dei discorsi di questa trasmissione, il vero punto di partenza, l’origine dimolti dei mali che ci hanno colpito e ancora ci colpiscono. Dove mettiamo i rifiuti pericolosi?
Uno dice: ma gli stati non si preoccupano di avere sui propri territori schifezze che potrebbero danneggiare la salute dei cittadini?
Certo che se ne preoccupano, ma, sapete come vanno le cose. Se un genitore vede un pericolo per un figlio fa di tutto per togliere di torno quel pericolo o, quanto meno, di far sì che il ragazzo ci giri più al largo possibile. Lo Stato ha un altro approccio: lo Stato fa una legge. Che poi questa sia applicata oppure no, se venga osservata oppure no, non è affar suo, non direttamente almeno. In fondo ci sono istituzioni che ne hanno la responsabilità: la magistratura, le varie forze dell’ordine, perfino i servizi segreti in talune circostanze. Ma le leggi ci vogliono e su questo credo siamo tutti d’accordo.
Ecco dunque le norme per lo smaltimento dei rifiuti speciali. Sono severe (dal momento che lo sono i danni che potrebbero provocare), specialmente da quando, da troppo poco tempo aggiungiamo noi, l’inquinamento è rientrato, in varie forme e contesti nel codice penale. Inoltre indicano i modi di procedere che sono spesso lunghi e costosi. E sono a carico delle aziende che quei rifiuti hanno prodotto. La conseguenza è questa: le aziende dovranno pagare le società che provvederanno allo smaltimento dei rifiuti, sottraendo queste cifre dai propri utili. Credo non sfugga a nessuno che, mettendosi nei panni dell’imprenditore, se si potesse evitare questo esborso sarebbe molto meglio.  

La terra dei fuochi comincia a Vicenza

Ecco allora che, in alcuni casi (che ovviamente non sono tutti ma sono tantissimi a giudicare dalle inchieste e dai ritrovamenti di discariche abusive) conviene accordarsi con “ditte non troppo limpide” per aggirare la legge e risparmiare dei soldi. Queste ditte sono generalmente gestite da delinquenti, spesso aggregate o dirette da organizzazioni criminali importanti, non infrequentemente da associazioni come la camorra, la ‘ndrangheta e la mafia.
Durante la famigerata “emergenza rifiuti” di Napoli si sono scoperte nel casertano una miriade di discariche abusive contenenti rifiuti pericolosi, provenienti quasi sempre dalle industrie del Centro-Nord. Il film “Biutiful Cauntri”, uscito in quel periodo, proponeva alcune intercettazioni tra esponenti delle industrie lombarde e camorristi mentre si accordavano sul da farsi. Trasmissioni televisive importanti (Annozero, Report, Exit) intervistavano sindaci evidentemente conniventi con la camorra e pastori che dovevano abbattere le loro capre o mucche perché il latte che producevano conteneva diossina in quantità industriale.
Non voglio tornare necessariamente su temi di cui ho parlato nella precedente versione di Noncicredo, ma qualche riferimento è importante. Occorre capire cosa c’è dietro le vicende che ci vengono raccontate e che noi commentiamo al bar come degli idioti senza sapere neppure cosa stiamo dicendo. Altrimenti facciamo la fine di quelli che credono che l’acquisto del Milan da parte di Silvio Berlusconi sia stato sono una vicenda sportiva. Scusate il riferimento, ma se ci tenete leggetevi l’eccellente libro di Giacomo Giubilini, 91° minuto (ed. Mimimumfax) che parla anche, certo non solo, di calcio.
Quando diciamo che il problema dei rifiuti riguarda il Sud, specialmente quegli sfaticati di napoletani, non facciamo che correre dietro a stereotipi che l’informazione e soprattutto la politica (ammesso che si tratti di cose differenti) hanno gonfiato a dismisura.
puntata1 05Dunque, nella recente indagine parlamentare sui rifiuti tossici nel Veneto (nel Veneto, si badi bene, non in Calabria) sono venute alla luce alcune storie davvero illuminanti. Come quella del camorrista Nunzio Petrella, residente a Thiene, dove nel 1992 viene arrestato per traffico di droga. Ai carabinieri che si presentano fa una grande risata: la droga? – dice – ma scherzate, sono i rifiuti che oggi valgono oro, altro che droga.
E così si scoprono gli altarini. I rifiuti che non si devono vedere arrivano a Petrella: sono fusti pieni di olio esausto, stoccati in parte vicino allo stadio di Vicenza e il resto ad est della città. Una parte serve per fare la pastina dei sottofondi stradali. Non è granché, alcuni fusto al giorno, roba da ridere, ma siamo anche agli albori dei traffici dei rifiuti. Un giorno a Perrella arrivano trecento quintali di monnezza da sistemare. Sono decisamente troppi per le solite procedure. I suoi capi gli ordinano di caricarli su camion e portarli in Campania. Nasce qui la vicenda della “terra dei fuochi”, con il territorio campano, la camorra campana, ma i rifiuti delle industrie venete e del Nord Italia.
La storia del pentito Perrella è raccolta in un libro, “Oltre Gomorra. I rifiuti d’Italia”. Lo cura il giornalista Paolo Coltro. É sconvolgente per chi ha sempre pensato ad un Nord pulito e rispettoso delle leggi e ad un Sud che assomiglia più al vecchio farwest di John Wayne che ad uno stato moderno.
Nunzio Perrella negli anni ’80 capisce tutto: le aziende del Nord usano il Sud come una pattumiera, ma i soldi, tanti soldi, non entrano mai nelle casse della camorra. Così impara l’arte, entra nel giro come imprenditore e poi si porta dietro tutta l’organizzazione camorristica.
Dopo l’arresto comincia a collaborare e tira fuori dal cassetto tutto quello che sa, che è tanto, tantissimo!
I sistemi per aggirare i controlli, il giro bolla, i documenti falsificati dalle discariche ufficiali dove i TIR non arrivano mai, la rete di connivenza della pubblica amministrazione centrale e periferica, i politici che fiancheggiano e vengono pagati profumatamente. Tutto documentato, nero su bianco, un terremoto!
Il sistema, per la camorra è un grande passo avanti: fare un sacco di soldi senza la necessità di ammazzare qualcuno, perché i morti ci sono stati e sono stati tanti, ma sono venuti dopo, colpiti da linfomi, leucemie e tumori al fegato, provocati dalla montagna di rifiuti tossici finiti nei corsi d’acqua e nelle campagne.
Bene, dice uno, allora tutto è finito là: il business maledetto si è arrestato.
Purtroppo no!
Nonostante alla direzione antimafia di Napoli siano stati consegnati i documenti, contenenti nomi, cognomi e ruoli, l’inchiesta sbatte contro il muro della prescrizione, come troppe altre vicende italiane di quegli anni. E così i Chianese, i Cerci, i Bidognetti, i Vassallo e tutti gli altri capobastone e mammasantissima la fanno franca e, per colmo di amara ironia, oggi gestiscono aziende che bonificano i siti che loro stessi hanno inquinato. E anche sulle bonifiche si potrebbe aprire un capitolo lunghissimo di intrecci strani, come ho fatto qualche tempo fa in una puntata di Noncicredo.
La “terra dei fuochi” è figlia di queste vicende. Forse, se l’Antimafia avesse potuto incastrare i colpevoli, oggi non ne parleremmo nemmeno.
Poi avviene di peggio. Un uomo che sa tutto sui traffici illeciti, viene abbandonato dallo Stato, viene tolto dal programma di protezione testimoni, non gli viene neppure assegnata una nuova identità.Terra fuochi Ecco allora il libro di Paolo Coltro che racconta ogni cosa, con il rammarico che la magistratura si sia fermata a catturare i pesci piccoli. Perrella dice: «In ore e ore di interrogatori ho indicato tutte le aziende coinvolte nel giro. Tutte del Nord: chi produceva, chi stoccava, chi affidava i rifiuti ai trasportatori. Nessuno li ha toccati. Erano troppo grossi? Forse è stata incapacità, forse è stata precisa volontà. Con il risultato che il sistema si è perpetuato».
E dove diavolo sono finite tutte queste schifezze? Mica per niente, tanto per sapere se ci siamo seduti sopra. Ebbene, ci siamo seduti sopra tutti quanti. Petrella vuota il sacco ad una trasmissione di RAI 2. Sotto la Valdastico Sud sono finiti centinaia di migliaia di metri cubi di resti di fonderia non trattati. Durante la costruzione arrivavano anche 80 camion per notte, provenienti da Arzignano.
Rifiuti dello stesso genere sono stati trovati sotto la Transpolesana, che incrocia la Valdastico Sud. L’impresa Mestrinaro ha “dopato” la terza corsia della A4 tra Quarto d’Altino e San Donà con 34.157 tonnellate di scarti industriali non trattati.
Stesso discorso per il parcheggio P5 dell’aeroporto Marco Polo di Venezia, lastricato con più di 4 mila tonnellate di rifiuti tossici rifilati a Save Engineering spa. Con pericolo delle persone, come certificano dai NOE di Venezia. La ditta Mestrinaro è sotto processo. La Save ha semplicemente evitato il collaudo dell’opera per contenere il danno. E queste sono solo alcune delle indicazioni.
C’è anche Fabio Fior, arrestato e condannato di recente con grande sconto della pena per aver accettato il rito abbreviato a 4 anni. Fior, componente della commissione VIA (Valutazione di Impatto Ambientale) eseguiva accertamenti e collaudi, dei quali ha beneficiato la Mestrinaro. Giancarlo Galan, altro galantuomo nostrano, l’aveva raccomandato come consulente nello scandalo dei rifiuti napoletani … pensate un po’: come mettere un pedofilo a dirigere un asilo.

Cosa fare se i rifiuti da smaltire sono troppi

Per chi segue le vicende ambientali queste sono probabilmente notizie che ha già immagazzinato, digerito, magari a malincuore.
Quando parliamo di terra dei fuochi, sulla quale si è anche molto speculato politicamente, ci riferiamo soprattutto a discariche abusive anche con eccessi che arrivano ad inghiottire interi camion con tutto il loro carico di prodotti tossici.
Ma come fare se la merce da smaltire è tantissima o se si tratta di veleni pazzeschi o, peggio ancora, di scorie radioattive? Ci vuole un’idea nuova. Ed è proprio qui che nasce la nostra prima storia, che comincia negli anni passati, quegli anni ’70, durante i quali gli italiani non pensavano certo all’inquinamento dei terreni e delle falde, figurarsi allo sversamento di rifiuti tossici in paesi stranieri.
E già, perché una delle soluzioni adottate per il nostro problema della monnezza, è quello di portarla nei paesi poveri, in quei paesi martoriati dalla guerra o dalla fame. Nel primo caso il permesso di scaricare di tutto sul proprio territorio è dato in cambio di una bella fornitura di armi, nel secondo in cambio di generi alimentari che garantiscano la sopravvivenza della popolazione. Il Mediterraneo è stato attraversato per decenni da navi cariche di veleni dirette verso il miglior offerente.
C’è anche da dire che in quel periodo (e fino alla metà degli anni ’90) non c’è una legislazione internazionale che impedisca questa specie di asta al ribasso nel mercato dei rifiuti tossici, per la quale è stato coniato anche un termine preciso: dumping ambientale. Un po’ come se la comunità internazionale dicesse: “Volete inquinare le vostre terre? Sono fatti vostri, non ci seccate!” E siccome gli affari, la politica e la morale occupano sempre stanze diverse e piuttosto lontane tra loro, il problema, semplicemente, non esiste.
Certo, ci sono le associazioni ambientaliste e quelle a tutela dei cittadini (ma ricordiamoci che siamo in anni in cui la loro voce è flebile flebile e poco accreditata dai mezzi di comunicazione). Così Legambiente ci ricorda che portare i propri scarti altrove non è affatto una pratica nascosta, perché importanti aziende pubbliche, come Montedison, Enichem, Eni trasportano regolarmente rifiuti in Nigeria, Libano, Sierra Leone, Mozambico, Somalia, Eritrea, nei paesi dell’America latina o nell’Est europeo come la Romania e la Polonia.
puntata1 09Fantasie? Terrorismo ecologico? Manie di grandezza dei dirigenti di Legambiente?
Per niente, Ascoltate cosa succede alla fine degli anni 90.
Siamo nel 1998 quando l’ACNA di Cengio (provincia di Savona) ha scaricato 400 tonnellate di rifiuti tossici nel Danubio, già proprio in quello della canzone il bel Danubio blu!
Uno dice: chi se ne frega: è in Ungheria, l’azienda è privata, mettete dentro il responsabile. Il fatto è che l’ACNA è una ex affiliata del gruppo ENICHEM, che a sua volta è una emanazione dell’ENI, gruppo statale. E la faccenda del Danubio non è la prima che dà fastidio. Del fatto che l’ACNA sia una industria inquinatrice se ne accorgono i cittadini della valle dove si trova lo stabilimento, i quali protestano nel 1956 contro l’azienda, ma come unico risultato vengono arrestati in più di 50. I problemi di inquinamento sono presenti in tutta la storia dell’azienda, la quale può ricattare la gente con il mantenimento del posto di lavoro e trovare spesso i sindacati e il Governo schierati dalla propria parte. Insomma niente di nuovo sotto il sole!
Tanto per capire che non sto raccontando favole, la Commissione parlamentare sui rifiuti diretta dal verde Massimo Scalia, stabilisce, nel 2000, che l’ACNA è responsabile dello sversamento nella discarica di Pianura (NA) di almeno ottocentomila tonnellate di fanghi pericolosi e tossici. (Il testo è agli atti nel sito della camera dei deputati).
Ma di questo nessuno ha mai parlato durante l’emergenza rifiuti di Napoli. Ne parla Repubblica nel 2008.
Per la questione danubiana, l’allora presidente di ACNA se la cava dicendo che, in fondo, loro hanno pienamente rispettato le leggi internazionali, leggi che, come visto, ancora non sono state messe a punto.
Certo si tratta di un episodio, ma non isolato. Già parecchi anni prima, nel 1987, 15 mila fusti e 20 container di scarti pericolosi delle industrie italiane vengono scaricati in Libano.
Prima di proseguire vorrei che faceste mente locale a quello di cui stiamo parlando. Qui non si tratta dello stupidotto che butta il toner della stampante nel bidone della carta (non fatelo comunque, per favore!). Un container ha dimensioni enormi e contiene da 35m³ (quelli più piccoli) a 70 m³ (quelli più grandi). 20 container dunque possono coprire un’area immensa, senza contare i 20 mila bidoni li accompagnano.
Questa volta però, qualcosa va storto. Il governo libanese, probabilmente avvertito da qualcuno, scopre la cosa e si incazza come una bestia. All’Italia arriva una lettera, sapete come si dice in questi casi, educata ma ferma. Insomma un cazziatone, che intima di riportarsi a casa quelle schifezze. Il governo italiano abbozza, si scusa, e manda una nave per caricare il materiale e riportarlo in patria. É il 1988: quella nave riporta a casa novemila fusti di rifiuti, il resto non si sa. La nave viene ancorata a La Spezia, in disarmo, poi cambia nome, ma quello originale è Jolly Rosso. Ricordatevelo: è una delle chiavi decisive delle nostre storie.
Un altro esempio?
Il 26 aprile 1988 arriva a Livorno la nave Zanoobia riportandosi a casa le scorie tossiche che la società Jelly Wax e la nave Lynx avevano cercato di scaricare in Venezuela. Questa società, Jolly Wax, è specializzata nello smaltimento (diciamo così) dei rifiuti tossici. Ne vengono scoperte 1200 tonnellate in Libano nel 1988 e l’Italia fa ancora una volta una figuraccia. Già perché nessuno crede che queste aziende possano agire indisturbate, senza un appoggio. Appoggio che, come vedremo, verrà sicuramente dalle varie mafie, ma anche da istituzioni importanti, come i servizi segreti e da poteri occulti come la massoneria deviata.
Le operazioni di rimpatrio di cui parliamo sono pagate dallo stato, quindi dai cittadini. Nel caso della Zanoobia si spendono 200 miliardi delle vecchie lire, ma stranamente nessuno finisce sotto processo e tanto meno viene condannato per questo.
C’è un caso clamoroso in Nigeria, con 2600 tonnellate di fanghi tossici esportati. Intervengono organismi internazionali delle Nazioni Unite a intimare il rimpatrio all’Italia: in quel caso viene usata la nave Karen B.
Ancora, nel 1997 in Mozambico finiscono 600 mila tonnellate di scorie industriali, soprattutto solventi, seppellite nel deserto. Il tutto gestito da un’azienda appositamente costituita in Irlanda. Dunque più che di casi si tratta di un vizio o, se preferite, di una strategia.
E poi c’è la madre di tutte le malefatte sui rifiuti tossici, il cosiddetto progetto Urano.
Questo merita di essere raccontato nei dettagli.

Il progetto Urano: gli attori

Abbiamo dunque capito, più o meno, come funzionano le cose. Se hai un’azienda, anche birichina, magari associata a qualche organizzazione mafiosa, che si occupa di rifiuti tossici e radioattivi, hai un mercato sicuro, basta trovare i canali giusti, il posto giusto e le persone giuste da oliare.
Gli affari migliori si fanno con i paesi del terzo mondo, meglio se poverissimi, meglio ancora se in uno stato di guerra o comunque di guerra civile o di guerriglia interna. Sono le condizioni in cui le famose mazzette garantiscono gli effetti migliori.
Dunque nel 1987 parte l’organizzazione del progetto Urano, quello che avrebbe dovuto spianare la strada ad un traffico enorme e non solo di rifiuti. In effetti, come vedremo tra poco, ci sarà di mezzo anche un grosso traffico di armi, così grosso da coinvolgere perfino la stampa che conta, come i giornalisti del TG3 Ilaria Alpi e Miran Hrovatim, che proprio seguendo queste piste troveranno la morte. Ma questa è un’altra storia tristissima, che racconteremo un’altra volta nei minimi dettagli.
Cominciamo dalle fonti.
puntata1 06Le informazioni che si hanno su tutti questi traffici derivano in larga misura dalle inchieste e dalle indagini delle procure calabresi, in particolare quella di Paola, eseguite in condizioni estremamente difficili per via delle insufficienti risorse economiche e tecniche disponibili. E poi, ancora di più, dalle dichiarazioni di alcuni pentiti. Uno di quelli che parla è Giampiero Sebri, che vuota il sacco nel 1997 e racconta una delle tante storie incredibili dell’Italia degli anni 70-80. Sulle sue dichiarazioni parte una indagine a Torino, condotta dal PM Romanelli su un vasto traffico internazionale di rifiuti pericolosi e di armi. Vengono riempite una quantità spaventosa di verbali, ma nel 2005 quell’inchiesta viene archiviata. Questo semplicemente per dire il clima nel quale le procure lavorano, un clima difficile, pesante, e certe volte vanno a sbattere contro un muro di gomma invalicabile.
Il progetto Urano viene concepito nel 1987 e ha come luogo di seppellimento di rifiuti tossici e anche radioattivi provenienti da tutto il mondo, una depressione naturale nel Sahara. Ci sono addirittura dei protocolli di intesa tra noti faccendieri dell’epoca che, come detto, non trafficano solo in rifiuti ma anche in armi.
Lo scenario in cui tutto questo accade è, visto oggi, un puttanaio. É quello in cui si mescolano la politica craxiana (primo ministro dal 83 all’87), la massoneria deviata di Licio Gelli e della P2, le brigate rosse e la mafia, la banda della Magliana e gli interessi dei faccendieri, in un intreccio incredibile che ancora oggi presenta un sacco di aspetti misteriosi e di crimini irrisolti.
Giampiero Sebri è l’uomo del momento, quello giusto: conosce uomini d’affari perfettamente integrati nella società, con case a Montecarlo, uffici in Italia e in Svizzera, società in Irlanda e conti bancari un po’ ovunque. Gente per la quale trattare armi, rifiuti, o qualsiasi altra cosa non è mai un problema: in ogni caso si tratta semplicemente di affari.
Purtroppo questi affari – per i più poveri tra i poveri – si traducono in malattie, guerre, morte. Sebri, con le sue dichiarazioni, getta luce sulla ragnatela che lega politici, massoni, mafiosi, imprenditori, servizi segreti. Connessioni individuate anche dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sui rifiuti.  E getta luce anche sull’omicidio Alpi-Hrovatim.
Il giornale che si attiva, inviando tre giornalisti a parlare con Sebri è di quelli che non ti aspetteresti mai. Si tratta di Famiglia Cristiana, che ascolta il pentito e ne raccoglie racconti da film dell’orrore, agghiaccianti.
E Sebri fa nomi e cognomi. Tra questi Nickolas Bizzio, un miliardario italo-americano, con residenza a Montecarlo, massone, molto vicino a Casa Savoia, insomma uno che le conoscenze importanti le ha. Apre attività un po’ ovunque. Una di queste, la SPI (Società Progettazioni Integrate, una srl) si occupa anche di rifiuti e del loro smaltimento.
Sebri entra nell’affare nel 1984 come uomo di Luciano Spada. Spada non è un politico in senso stretto, ma uno che conta molto, se si permette di ingiuriare in riunione lo stesso Pillitteri (già sindaco di Milano) e dare del tossico a Martelli (il secondo in ordine di importanza dopo Craxi nel PSI).
La deposizione di Sebri è raccolta anche nel dossier della commissione che si è occupata (con una chiusura indegna del suo presidente Carlo Taormina, ma questa è una storia che racconteremo a parte) dell’assassinio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatim e può essere consultata senza problemi nel sito della camera dei deputati.
E qui, come prima per Famiglia Cristiana, Sebri ricostruisce l’intera faccenda delle navi e del mercato dei rifiuti tossici che doveva avere grandi coperture politiche internazionali ed economiche per essere portata a termine.
Ma torniamo al progetto Urano.
I rifiuti sono per lo più di provenienza americana. Il compito di Sebri è quello di preparare il terreno presso le autorità. Ha già soggiornato a lungo in Puerto Rico e ad Haiti dove ha costruito la sua rete di conoscenze, indispensabili per facilitare l’arrivo dei rifiuti nocivi e delle armi.
A pensarci non c’è nulla di sorprendente se, dopo il primo carico arrivato ad Haiti con moltissime armi, c’è un colpo di stato contro Lesly Manigat, da poco eletto presidente.
Non sempre Sebri segue di persona le spedizioni, ma qualcuna di queste gli resta impressa. Ad esempio a Porto Rico, gli viene mostrata una quantità enorme di bidoni pieni di rifiuti tossici lasciati lungo la costa, in un’insenatura. Il terreno è coperto per centinaia di metri da fusti di grosse dimensioni, di colore grigio scuro, buttati qua e là alla rinfusa. Molti bidoni sono aperti, ne escono pietre di colore bluastro, miste a materiale fosforescente, sembrano cristalli luminosi. I bidoni sono stati scaricati dai camion lungo una scarpata. Molti sono rotolati fino alla battigia.  Ecco il suo racconto a Famiglia Cristiana.
«La scena era raccapricciante: da quei 15 container squarciatisi cadendo giù dalla collina, non lontano dalla capitale Port au Prince, erano uscite decine di fusti. Alcuni erano stati aperti, forse a picconate. Ne era colato un liquame scuro, dall’odore nauseante, un odore così forte che si sentiva fino a 300 metri di distanza. L’avvocato che mi aveva accompagnato sul luogo disse che lo scarico era avvenuto sette giorni prima. Ma purtroppo non avevo ancora visto tutto».
E continua:
«Tornammo a Port au Prince e andammo all’ospedale. C’era una folla di persone in attesa, soprattutto donne e bambini. Si lamentavano. I bambini avevano la faccia e le braccia piene di grosse croste e bolle, simili a quelle provocate dalle ustioni. Alcune donne perdevano sangue, come se stessero abortendo. La scena era straziante. L’avvocato mi fissò, irato: "Guarda che io sono haitiano, questo spettacolo non lo dovevo vedere, non era nei patti". Solo in seguito Bizzio mi spiegò che gli accordi erano diversi. I rifiuti, infatti, dovevano essere interrati e coperti da colate di cemento. Una parte dei rifiuti, invece, era stata buttata in mare e un’altra scaricata senza nessuna precauzione. La nave, inoltre, trasportava anche un carico di armi. Ricordo il nome dell’imbarcazione: Vulcano»
Facciamo un respiro prima di concludere questa prima parte.

Il progetto Urano non parte: perché?

Quando Spada muore nel 1989, Sebri continua il proprio lavoro, appoggiandosi a Bizzio, il miliardario italo-americano. Bizzio si vantava di essere stato il primo a sversare schifezze nel continente africano, precisamente in Guinea.
E poi ci sono i rifiuti sversati in mare lungo la costa Las Terrenas in Repubblica Domenicana. Secondo Sebri si tratta addirittura di parecchie navi con gravi conseguenze sulla pesca. Non sfugge nessun continente, nemmeno la vecchia Europa.
In Inghilterra vengono seppelliti rifiuti molto pericolosi nelle miniere abbandonate del Nord. Spada cita, inoltre, il caso di rifiuti americani trasportati via nave in Italia e da qui fatti proseguire via terra fino al confine tra Polonia e Russia, dove vengono interrati.
Insomma, ovunque ci sia produzione, la questione dei rifiuti pericolosi viene risolta alla stessa maniera, che certo non è quella delle normative vigenti. Ma io ho cominciato ad attirarvi in questo discorso con un grande progetto ed è arrivato adesso il tempo di parlarne.
Il "Progetto Urano", prevede l’invio di ingenti quantità di rifiuti – principalmente americani – in un immenso cratere naturale che si trova nel Sahara spagnolo. 
Questo progetto deve riempire di soldi le ditte coinvolte nel traffico.
puntata1 07E chi sono questi attori? C’è il gruppo di Bizio e Spada (ricordo che Urano nasce nell’87 due anni prima della morte di Spada), una società genovese, la Odino Valperga, un colosso nel settore delle spedizioni, che attualmente non esiste più. C’è di mezzo anche Guido Garelli, un faccendiere rappresentante dell’organizzazione ATS, di cui parleremo sucessivamente). Secondo Spada c’è di mezzo anche il governo italiano, secondo lui ai massimi livelli, anche se questo fatto non verrà mai accertato. Quello che, comunque, è certo è che Spada intrattiene rapporti familiari e quotidiani con i socialisti che contano: oltre che con Craxi e Pillitteri, anche con Margherita Boniver, Francesco Forte, Claudio Martelli e De Michelis.
Da tutto questo emerge che Luciano Spada è in quel momento la mano armata del partito al potere negli affari legati a rifiuti e alla cooperazione.
Cosa c’entra la cooperazione? C’entra, ma non è ancora venuto il momento di parlarne; lo faremo a tempo debito.
Per ora, accontentiamoci di dire che le navi cariche che partivano per la cooperazione con i paesi poveri non sempre trasportavano alimenti, medicinali e vestiti.
Oltre a questi personaggi entrano nel giro i proprietari dei territori dove quella famosa buca da riempire nel Sahara si trova. É un periodo particolare anche in Marocco, diviso tra il governo ufficiale e il fronte del Polisario, che rivendica l’autonomia proprio sulle terre dove il progetto Urano deve realizzarsi. É dal 1979 che i due contendenti sono costantemente in guerra tra loro e solo il miraggio di dividersi un buon gruzzolo di dollari poteva portarli allo stesso tavolo.
Viene così costituita una società che prende il nome di ATS (Amministrazione Territoriale del Sahara)
É una specie di ministero con il compito di elargire i permessi per lo smaltimento dei rifiuti nel Sahara. Nessuno però vuole mettersi a capo di una simile struttura. Serve un pupazzo (la definizione è di Sebri). La scelta cade su Guido Garelli.
Lasciate che vi legga uno delle tante bibliografie che trovate nella rete di questo signore.
Dietro la sigla dell’Ats si nascondevano uffici commerciali, apparentemente velati di normalità, a Gibilterra, l’enclave britannica che si affaccia sull’accesso al Mediterraneo. Poteva fare di tutto: agire come mercante, banchiere, mediatore di commodities, armatore, poteva altresì importare, esportare, vendere, comprare e scambiare. Guido Garelli era molto più di un semplice trafficante: il progetto che la società di copertura di Gibilterra aveva disegnato era immenso, il più grande deposito di rifiuti pericolosi del mondo, nel cuore del Sahara, nella terra teatro della guerriglia saharawi. Garelli aveva in dote un compito ben preciso consistente nel: studiare il mercato; creare gli agganci giusti; capire come funzionava quel business che avrebbe potuto finanziare l’indipendenza del suo paese adottivo, scacciando l’esercito marocchino che dagli anni Settanta occupava la striscia del Sahara occidentale, stretto tra la Mauritania e il Marocco.
Nonostante tutti questi preparativi e l’importanza delle persone coinvolte, il progetto Urano fa fatica a decollare. Il periodo di pianificazione è lunghissimo. Per risolvere l’impasse viene chiamato quello che Bizio chiama un “altissimo personaggio del SISDE”, vale a dire dei Servizi segreti civili, all’epoca separati da quelli militari. A Parigi c’è una riunione in cui ci sono tutti e finalmente l’accordo viene raggiunto. A Lugano si firmano i documenti. Tutto è pronto e la prima nave, carica di rifiuti, parte per il Sahara.
Ma quando si comincia a scaricare, ecco il clamoroso colpo di scena che cambia tutto. Tutto si ferma, sospeso per aria, perché? Cosa diavolo è successo?
Concedetemelo: i colpi di scena in queste storie sono il sale del racconto e quindi qui ci fermiamo.