assangeOggi dedico questo spazio ad un uomo incarcerato in un carcere di massima sicurezza dal governo britannico, il carcere Belmarsh, non a caso chiamato la Guantanamo d’Inghilterra e il riferimento è a come era il carcere americano, non come è adesso che è stato rimodernato. Ci sono 900 detenuti, tra i più pericolosi, 100 condannati all’ergastolo. Chi vi hanno rinchiuso? Un leader talebano? Un terrorista di Hamas? Un mormone impazzito? Niente di tutto questo. Si tratta di un giornalista, un giornalista famoso, che ha rappresentato con la sua opera e rappresenta tuttora una delle poche voci libere dell’Occidente. Radio Cooperativa, attraverso il suo Consiglio di Amministrazione, ha deciso di onorarlo con questa trasmissione che racconta la sua storia e con un appello, di cui ora vi dirò. Sicuramente non è gran cosa se paragonata alle molte decine di premi internazionali che lo riguardano, ma così noi ci sentiamo più vicini al nostro modo di intendere l’informazione e ci sentiamo un pochino, proprio un pochino – pochino meglio in questi tempi così ricchi di violenza, soprusi, scelte scellerate in ogni parte del mondo.
Prima di dirvi di chi sto trattando, voglio anticipare che parlerò molto male degli Stati Uniti, dei suoi governi, delle sue organizzazioni amministrative e militari e, tutto sommato, anche della cittadinanza, convinta, non si sa da cosa, a vivere in un paradiso di libertà e democrazia, parole di cui non conoscono appieno il significato. Per cui, a chi non piacesse questa impostazione, consiglio di chiudere la trasmissione e dedicarsi ad altro.
L’uomo di cui voglio raccontarvi la storia si chiama Julian Assange, nato nel 1971 in Australia, e responsabile di un sito web diventato famoso, anzi diventato forse il sito più famoso al mondo: Wikileaks. Il termine Wikileaks può essere tradotto con un po’ di fantasia con “perdita di notizie”. Si tratta di una organizzazione no profit che cerca di divulgare informazioni che i regimi (non uso a caso questo termine) vogliono non si sappiano, ma che hanno a che fare con la società intera e quindi con le nostre vite.
Dunque Assange è prigioniero da 13 anni, quasi tutti passati in Inghilterra in varie situazioni, come vedremo tra poco. Perché si è arrivati ad un arresto? Cos’ha fatto di tanto grave Julian, se CIA, FBI e NSA, le tre organizzazioni dei servizi di intelligence statunitensi si sono mobilitate in forze contro di lui? Insomma, chi è davvero Julian Assange?
Ho utilizzato a piene mani il lavoro fatto circa un anno fa da Nova Lectio di Simone Guida, canale Youtube al quale collaboro che propone ai suoi un milione e centomila iscritti video di vario genere, mettendo però in primo piano sempre il rispetto delle libertà individuai e collettive.
Ho inoltre usato il libro di Stefania Maurizi, di cui parlerò tra poco.
E adesso l’appello: tra due settimane, il 20 febbraio, una corte londinese decideràò se quest’uomo può essere estradato negli Stati Uniti. Non è una cosa da poco, perché le accuse che l’amministrazione americana gli ha rivolto prevedono quasi due secoli di reclusione. Noi non vogliamo discutere i metodi della giustizia americana, ma sottolineare che questa enormità di pena è dovuta al fatto di aver diffuso materiale pesante, che racconta di atrocità nei confronti dei propri detenuti, assassini voluti di civili, di molti civili come vedremo, nelle varie guerre inutili che l’America ha condotto, di corruzioni, interventi armati a sostegno di propri fantocci in varie parti del mondo, ingerenze negli affari interni di altri paesi, rapimento e tortura di personalità in combutta con i servizi segreti di altri paesi, compresa l’Italia e altre quisquiglie di questo genere. Insomma qui c’è una inversione dei ruoli pazzesca. I delinquenti che accusano chi li ha scoperti. É come se un ladro beccato sul fatto potesse giudicare il poliziotto che l’ha arrestato. E i ladri in questo caso sono potenti, troppo potenti perché si muova qualcosa a livello ufficiale, politico e sono i responsabili degli Stati Uniti, della Svezia, della Gran Bretagna, per non parlare delle loro intelligence, con in primissimo piano la CIA e la famigerata NSA, di cui avremo modo di parlare a lungo di seguito.
Esiste una associazione che si preoccupa di Assange. Si chiama Free Assange; cercatela in rete e seguite i suoi consigli, firmate, se volete, se sue petizioni. Farete solo un piccolo passo, ma è un passo di giustizia.
Facciamo una brevissima pausa e poi cominciamo.

Chi è Julian Assange

Julian Assange è un uomo che ha agito secondo quella che tutti noi consideriamo una società normale, in cui un giornalista d’indagine può spulciare tra le carte delle associazioni per capire come sono andate veramente le cose. Per far sapere alla popolazione che li ha eletti, quante bugie vengono raccontate loro dai politici e dai loro associati. Ovviamente non funziona solo negli Stati Uniti, anche se quel paese, nonostante le balle che racconta ai loro poveri, inebetiti compaesani, rappresenta la negazione più perfetta della libertà e della democrazia.
Pensate se doveste trovare nel cestino la lista di una società segreta, che so, una specie di P2 di Licio Gelli. Cosa fareste, sapendo quello che ha intenzione di fare: colpi di stato, attentati bombaroli, omicidi su commissione? Già, cosa fareste? La rendereste pubblica? In quel caso avreste sicuramente una paura fottuta di ritorsioni, perché chi programma una strage con una bomba in una stazione ferroviaria con centinaia di viaggiatori presenti, non si farebbe certo problemi a mettervi dentro un sacco e buttarvi a mare. Poi però ci sono persone particolarmente coraggiose che non si preoccupano della loro vita e agiscono lo stesso. Il panorama, anche quello italiani, è pieno di queste persone. Senza andare troppo lontano pensiamo a chi ha combattuto la mafia a viso aperto: giudici e magistrati, giornalisti, gente comune come i testimoni.
Bene, Julian Assange è uno di questi e per questo merita, a mio avviso, il rispetto e l’ammirazione che riserviamo noi tutti ad un Peppino Impastato o a un giudice Borsellino.
Il motto della sua organizzazione, aperta assieme all’informatico John Young, è: “Tre cose non possono essere nascoste a lungo: la Luna, il Sole e la Verità.”
Ci sono molte pubblicazioni su Assange, ma se devo citare una giornalista che lo ha fatto conoscere e che ne ha parlato avendolo più volte incontrato, questa è Stefania Maurizi, attualmente impegnata ne “Il Fatto Quotidiano”, autrice di due libri su Assange. Consiglio per approfondimenti “Il potere segreto”. Ma Stefania è molto più che una semplice biografa del giornalista australiano. É la sola (in tutto il mondo) a cui lo stesso Assange ha consegnato i documenti segreti di Wikileaks, grazie ai quali ha potuto rivelare i file di Edward Snowden riguardanti l’Italia.
Già, Edward Snowden. Anche lui meriterebbe una puntata di questa trasmissione. Ma per i pochi che non lo sconoscono ho riservato uno spazio, più avanti, in cui racconto in breve la sua vita.
Snowden è definito in inglese whistleblower, che noi traduciamo in modo abbastanza orribile con “gola profonda”. Insomma è uno che, venuto a conoscenza di attività illecite del governo, ne dà notizia pubblicamente. Essendo finito però a lavorare in Russia, è diventato, per gli americani, un traditore della patria. I fatti risalgono al 2013, quando Snowden, che aveva lavorato per la CIA e per una società affiliata all’NSA, rivela ad alcuni giornalisti migliaia di documenti della stessa NSA. Documenti che vengono pubblicati in Gran Bretagna sul Guardian, in Germania su Der Spiegel e negli Stati Uniti sul NYT e sul Washington Post.
Tornando per un attimo alla giornalista di casa nostra, Stefania Maurizi, le sue inchieste sono famose e tutte indirizzate contro abusi sulle popolazioni, sui lavoratori e per la libera diffusione delle informazioni contenute nei rapporti di Wikileaks. Il suo apporto per questa puntata è assolutamente decisivo.
E già l’inizio del suo libro è un messaggio forte, quando scrive: “La potenza del Pentagono è tale da imbastire guerre, assassini e influenzare nazioni e governi in lungo e in largo per il mondo.”
Ma cominciamo, come sono solito fare, dall’inizio. Dunque Julian è un programmatore australiano, che nessuno conosce, fino a quando, siamo nel 2006, fonda con il citato Young, l’organizzazione Wikileaks in Islanda. Lo scopo, come già anticipato, è quello di diffondere documenti governativi di interesse pubblico, protetti dal segreto di stato. Non quisquiglie: si tratta di massacri di civili, torture, scandali finanziari. Queste tuttavia sono solo una piccola parte dei temi diffusi da questa piattaforma digitale. Ci parla dei vertici degli spioni statunitensi, in particolare della NSA, che è un ente di spionaggio americano molto particolare. In effetti non esistono agenti dell’NSA, come quelli dell’FBI (che si occupa della sicurezza interna) o della CIA, che invece si occupa dell’estero (chiedere ai cileni a proposito della loro dittatura negli anni ’70). L’NSA ha il compito di monitorare le informazioni che riguardano la sicurezza del paese. Lavora quindi proprio nel campo di Assange, solo che lo fa in modo opposto. Deve bloccare qualsiasi comunicazione porti un rischio per il regime statunitense e, ancora una volta, uso il termine regime non casualmente o perché sono improvvisamente impazzito. In particolare l’NSA spia le comunicazioni che contano, ma anche quelle che non contano niente, perché se mentre voi parlate con un vostro cugino di Washington e usate un termine di quelli attenzionati, potete stare certi che le vostre mail, il vostro telefono, la vostra stessa vita verranno passati al setaccio.
Però … diffondere documenti riservati o peggio coperti dal segreto di stato è un reato molto grave negli Stati Uniti, che sono estremamente sensibili ad ogni ombra che passa e l’accusa di spionaggio e di alto tradimento della nazione è la conseguenza immediata.
E questo accade ad Assange nel 2006.

Cos’è Wikileaks? Il caso Guantanamo

Wikileaks è stato uno spartiacque: per la prima volta i normali cittadini hanno potuto
 avere accesso agli archivi segreti. Il cosiddetto Freedom of information Act, garantisce la libertà di informazione anche dal punto di vista informatico. Il primo paese a sottoscrivere l’Atto è stato quello degli Stati Uniti nel 1966. Uno dunque dovrebbe essere tranquillo, almeno nelle nazioni in cui non è presente una dittatura o un governo autoritario che, nei fatti, impone censura su quello che si può dire e sapere e su quello che invece non si deve comunicare. Ma, come ben sappiamo, questo è vero in un mondo ideale, in cui non ci sono cause, ritorsioni, interessi intrecciati, malefatte coperte dai governi, un mondo ideale che non esiste da nessuna parte sul nostro pianeta.
Per capire meglio il lavoro di Assange, dobbiamo entrare nel mondo dei già citati whistleblower, gli informatori anonimi che sono decisi a fornire ai giornalisti informazioni riservate che avvengono all’interno di governi, di aziende, di organizzazioni. Ma per parlare e non dover poi subire le ritorsioni di cui ho appena detto, occorre disporre di una piattaforma abbastanza sicura, che sia in grado di proteggere, soprattutto da un punto di vista della crittografia, cioè della sicurezza dei dati informatici. E la piattaforma Wikileaks risponde perfettamente a questo scopo.
Una delle prime denunce, riguarda la prigione delle prigioni, quella di Guantanamo, un pezzetto di terra cubana in mano agli statunitensi. Un gioello, a modo suo, esaltata dal presidente Bush junior dopo i terribili fatti del 2001 e inserita di prepotenza nella lotta al terrorismo, che sembrava condotta dagli americani con il motto tipicamente romano “’ndo cojo, cojo” e cioè dove cogli, cogli, nel senso che nelle retate americane sono finiti sì terroristi veri, ma anche un sacco di persone che con quel casino non c’entravano proprio nulla, essendo magari omonimi di qualche seguace talebano o essendosi trovati per puro caso nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Certo, può succedere, ma in quel caso uno si scusa, risarcisce il fastidio e rimanda i poveracci a casa propria. É successo? Sembra proprio di no! L’ossessione americana verso il terrorismo è sembrata non molto diversa dalla caccia al comunista durante gli anni ’50, quando un totale imbecille come McCarthy ha fatto fare una figura veramente barbina a tutta l’amministrazione politica statunitense.
Sapere qualcosa del carcere di Guantanamo è pressoché impossibile. L’unico ad avere accesso al carcere, che non faccia parte della task force di esaltati che la dirigono e la gestiscono, è il comitato della Croce Rossa Internazionale. É proprio dal racconto di questi volontari che arrivano le notizie, pubblicate nel 2004 dal NYT, piene di particolari e dettagli. Ci sono 180 detenuti, 150 dei quali sono innocenti, come confermerà nel 2011 il Daily Telegraph. Ma ci sono le torture, fisiche e psicologiche, regolarmente comminate a tutte queste persone. Oggi noi ci scandalizziamo, giustamente, per il modo in cui viene trattata Ilaria Salis da quel nazifascista di Orban. All’epoca la situazione era decisamente più cruenta e vomitevole.
Ci scandalizziamo perché c’è di mezzo un’italiana … siamo un popolo di poveracci, parolai senza palle, compresi quelli che ci guidano, i quali si accorgono di quello che succede solo quando la stampa libera glielo fa notare. Che brutto paese.

Un altro carcere: Abu Ghraib

Ma torniamo a Wikileaks. Uno scoop simile a quello di Guantanamo riguarda un’altra prigione, quella irachena di Abu Ghraib. Gli iracheni non c’entrano nulla, perché quella prigione era gestita dall’esercito americano e dalla CIA. Qui le cose erano ancora peggiori che a Guantanamo. Le violazioni dei diritti umani includevano abusi fisici, sessuali, torture, stupri, sodomizzazioni e omicidi … tutta la serie di istruzioni con cui la CIA addestra i propri agenti. I video girati all’interno sono per lo meno allucinanti e si fa fatica a credere che qualcuno abbia anche solo potuto pensare alle convenzioni internazionali sui prigionieri di guerra.
Senza dover rivangare i terribili video, che comunque trovate in rete,  potete guardare i dipinti, significativi e opprimenti, che il pittore Fernando Botero ha dedicato a questa vicenda.
Il documento che contiene le direttive, gli ordini, le modalità d’esecuzione di Guantanamo viene pubblicato nel 2007 ed è consultabile ancora oggi sotto la dicitura Camp David. Se ne occupa addirittura Wikipedia, elencando i fatti cui Assange fa riferimento. Si tratta, tra l’altro, delle istruzioni su come far crollare fisicamente o psicologicamente i prigionieri durante gli interrogatori, la condotta migliore durante eventuali scioperi della fame e così via. Una sorta di decalogo per nulla eccezionale, pubblicato con l’intento preciso di mascherare le gravi forme di tortura che in quella prigione avevano luogo regolarmente. Anche la stampa ci ha messo il suo carico. Cominciamo da NYT, che, all’epoca dell’invasione irachena, aveva appoggiato pesantemente la teoria delle armi di distruzione di massa possedute da Saddam, forse per dare soddisfazione al presidente Bush, che vantava la guerra in Iraq come un successo mondiale. Lo stesso ha fatto il britannico Times, inventando una serie di storie con lo scopo di ammorbidire agli occhi un tantino offuscati dei suoi lettori l’orrore di una guerra poco chiara, che è costata la vita a 600 mila civili.
L’uso dunque dell’informazione è un’arma tanto potente quanto gli aerei spediti in oriente. Serve a tenere buona l’opposizione e a far dormire sereni i cittadini. Ed in effetti, per raggiungere questo scopo non occorre essere dei geni: basta sostituire alcuni termini nella narrazione, ad esempio dire interrogatori rafforzati, al posto di torture.

Collateral Murder: civili assassinati

La forza di Wikileaks è quella di essere un’entità digitale sovranazionale, quindi slegata dalle leggi di questo o quel paese, che, come si può facilmente capire, limitano nei fatti la libertà di stampa dei mezzi di comunicazione tradizionali: giornali, riviste, siti, televisioni e radio. In più cambia di continuo i contatti all’interno delle strutture che quei documenti segreti contengono e anche le località dove la diffusione delle notizie viene realizzata.
É chiaro che, prima o poi, la storia deve venire a galla. Succede nel 2010, quando il Pentagono, il quartier generale della Difesa statunitense, o meglio il controspionaggio, stila un rapporto di 32 pagine, nel quale l’organizzazione di Assange viene definita come una minaccia per la stabilità della nazione, catalizzatore di notizie false e entità di dissidenti guidate da un vecchio hacker, condannato dal governo australiano.
La risposta di Assange non si fa attendere e un mese dopo attacca molto duramente. Viene pubblicato un video terribile, la cui autenticità viene controllata da più parti, in particolare da Kristinn Hrafnsson, all’epoca reporter della TV pubblica islandese. Curiosamente (ma forse no) Kristinn viene licenziato dalla televisione, ma continua a collaborare con Wikileaks.
Il video è disponibile su Youtube, potete trovarlo cercando Collateral Murder, letteralmente assassinio collaterale. É piuttosto crudo, meglio che siate avvertiti. C’è un elicottero Apache che macella con munizioni da 30 millimetri un gruppo di civili iracheni, tra cui due reporter della Reuters che passavano di là per puro caso. Uno di loro viene scambiato per terrorista, confondendo il teleobbiettivo della sua macchina fotografica con qualche terribile arma. Morale della triste vicenda: ci sono 18 morti civili, tra cui il padre di due bambini che si era fermato con il suo camioncino per aiutare i primi feriti. In tutto questo, quello che fa più rabbia è che l’equipaggio dell’elicottero sghignazza vedendo cadere i morti e le auto dei militari statunitensi passarci sopra senza problemi. É un colpo durissimo, che va parato in qualche modo e l’amministrazione si giustifica dicendo che si trattava di miliziani terroristi e che l’attacco era avvenuto nel mezzo di un conflitto a fuoco. Bugie pietose: nessuno di quei cittadini poteva rappresentare una minaccia di alcun tipo.
Il problema di fondo lo racconterà un soldato di quel gruppo e sta nelle regole d’ingaggio, definite “una barzelletta”. In una conferenza pubblica nel 2016, espone queste regole. I soldati americani potevano reagire con le armi semplicemente se si sentivano minacciati. Questo poteva innescare reazioni assurde anche se solo un iracheno li avesse guardati male.
Stefania Maurizi fa un’osservazione al riguardo: un conto è uccidere dei civili durante un combattimento senza avere intenzione di farlo, un altro è prenderli di mira in modo deliberato. É la differenza che c’è tra un danno collaterale e un crimine di guerra.

Il ruolo di Chelsea Manning

Ma come finisce quel video, che sicuramente all’esercito statunitense non deve aver fatto piacere vedere in mano a chiunque, tra i file di Wikileaks? Lo si scopre due mesi più tardi. Si tratta di un analista dell’esercito americano, tale Bradley Manning, il quale, oltre al filmato, aveva fornito 260 mila file ricchissimi di gravissime violazione dei diritti umani non solo in Iraq ma anche in altre parti del mondo. Oggi Bradley è diventato Chelsea in seguito ad un cambio di identità sessuale. Manning poteva far finta di non vedere quelle porcherie, ma le cose non sono andate così. Tra tutti quei file ce n’erano alcuni contenenti le versioni vere, non edulcorate per il pubblico, di fatti gravi, anzi gravissimi. Prendiamo un esempio per capire di cosa parliamo. Nel 2001, durante la guerra in Afghanistan, secondo la versione ufficiale, gli Stati Uniti inviano in Pakistan aiuti umanitari alla popolazione: cibo e denaro a sostegno della povertà del paese. In realtà quegli aiuti erano fondi da convertire in aerei militari e armi con cui supportare l’offensiva americana in Afghanistan. Ovviamente se uno di quegli aerei avesse abbattuto dei civili, la colpa sarebbe stata del Pakistan, certo non degli Stati Uniti che in fondo avevano mandato solo riso, fagioli e qualche miliardo di dollari in Asia. In questo modo si mettono al sicuro da scandali internazionali e inchieste.
Manning viene arrestato e condannato a 35 anni di carcere, internato nella base di Quantico in Virginia, un piccolo centro, che però ospita la più grande base dei marines.
Nel 2020, dopo 7 anni di carcere duro, viene liberata non senza aver riportato gravi ripercussioni mentali.

The afghan war logs

Ma le rivelazioni di Manning sono solo l’antipasto ad un’altra uscita di Wikileaks, questa volta dal titolo Afghan War Logs, ancora accessibile sul loro sito. Più di 76 mila documenti che raccontano la guerra in Afghanistan come davvero è stata condotta e non come è stata raccontata al popolo dai media e dalle televisioni di tutto il mondo.
Scritte dagli stessi militari presenti sul territorio, vengono riportate le coordinate esatte e l’ora degli eventi. E così compaiono centinaia di vittime civili mai menzionate prima, qualche centinaio secondo il Guardian ma la cifra esatta è probabilmente più elevata.
Quello che emerge in modo chiarissimo è che le notizie ufficiali sono false: la verità è stata manipolata, omessa, coperta. I nomi non sono mai comparsi da nessuna parte, come, per fare un esempio, la task force 373, una unità di élite che prende ordini direttamente dal Pentagono, con la missione di catturare e uccidere membri di alto livello di Al Qaida. Sui metodi usati è meglio leggere i documenti segreti svelati da Wikileaks.
La brutalità con cui queste forze speciali agivano nella notte aveva portato a sterminare forze afghane alleate, donne e bambini. Durante una delle loro operazioni, per esempio, i soldati della Task Force 373 avevano ucciso sette bambini. La notizia della loro morte era stata data in un comunicato stampa della coalizione, ma senza spiegare il contesto in cui era avvenuta.”
C’è da sottolineare che un conto è venire a sapere questo tipo di notizie molto tempo dopo i fatti. Un po’ come oggi parliamo della guerra del Vietnam, ben altra cosa è saperlo mentre le operazioni sono ancora in corso. Non credete che in questo modo il fastidio provato dal Pentagono sia molto maggiore?

Anche noi andiamo in Guerra: è costituzionale?

Dicevo delle notizie che escono mentre la guerra è ancora in corso.
Chiaro dunque che il Pentagono non prende per niente bene tutta la faccenda. Infatti queste notizie su una guerra inutile o interminabile come loro la chiamavano, rischiano di compromettere tutto, magari il ritiro dei contingenti europei, spinti forse dai loro governi. Paura? No di certo, basta cavalcare l’ignoranza, uno dei metodi più potenti a disposizione del potere. I giornali parlano poco o niente della guerra e certo non delle stragi e delle atrocità. É la stessa CIA a sottolineare tutto questo, come poi riportato da Wikileaks. Lo scarso rilievo dato alla guerra, permette infatti a Francia e Germania di non doversi preoccupare dell’opposizione della popolazione e poter per contro aumentare continuamente il numero delle loro truppe impegnate in oriente. Non solo, ma quella guerra viene sostenuta usando l’indignazione contro i talebani, cavalcando da un lato la laicità francese, dall’altro la paura di nuova immigrazione da parte tedesca. Anche in Italia le cose non vanno benissimo. Per capirlo ecco un altro passaggio del libro di Stefania Maurizi:
Con gli Afghan War Logs avevamo fornito dati e informazioni fattuali alla politica, ai media e all’opinione pubblica italiana, che potevano finalmente guardare a quel conflitto al di là della nebbia della guerra e della propaganda dei “nostri ragazzi” che andavano a fare del bene. Ma non ci fu nessun dibattito. Il silenzio della politica e l’incapacità o la mancanza di volontà dei media italiani di fare squadra contribuendo ad esercitare pressione sulle istituzioni, furono patetici. Con un paese così, la CIA poteva stare tranquilla: non avrebbe mai dovuto scomodarsi per cercare gli argomenti propagandistici che aveva preparato per influenzare tedeschi e francesi.”
Se andiamo a leggere la nostra costituzione, troviamo che essa esprime chiaramente il ripudio, che è termine forte, il ripudio di ogni guerra che porti offesa alla libertà di altri popoli. I dubbi di una violazione di questo articolo sono, a ben vedere, piuttosto legittimi.

Si mette in mezzo anche la Svezia, serva degli USA

Così, per evitare situazioni poco piacevoli, l’amministrazione USA si adopera con ogni mezzo a mostrare di Assange l’immagine di un uomo con le mani sporche di sangue. Autorevoli personaggi, come l’allora segretario di stato Mike Pompeo, definiscono Wikileaks come un’organizzazione spionistica non appartenente ad alcuno stato, ma supportata dalla Russia. Il blocco informatico negli Stati Uniti era a quel tempo difficile da superare per gli utenti diciamo così normali, come siamo noi.
A questo si aggiunge la prima denuncia pubblica, questa volta in Svezia. Assange vi si reca per tenere una conferenza e viene accusato di molestie sessuali e violenza ai danni di due ragazze svedesi. Viene emesso un mandato di cattura internazionali. Le indagini sono ancora in corso anche per il continuo tira e molla delle autorità scandinave. Forse basterebbe questa dichiarazione del giornalista statunitense Raffi Katchadourian, che scrive: “La Svezia è una satrapia degli Stati Uniti”. Per i pochi che non lo sanno, le satrapie erano le regioni, in cui era stato diviso il regno di Dario il Grande, ovviamente fedelissime del re di Persia.
Non sembra una definizione messa là a caso, se consideriamo che la Svezia si è resa partecipe alle orrende Extraordinary Renditions, il sequestro di presunti terroristi che venivano rapiti e portati in luoghi di tortura ad esempio in Egitto, come accaduto al religioso musulmano Abu Omar, rapito a Milano nel 2003 dalla CIA con la complicità dei nostri servizi segreti. La Svezia si rende responsabile di due di questi casi.

The Iraq war logs: Assange va fermato!

Nel 2010 Wikileaks pubblica un nuovo dossier, simile al precedente, questa volta sulla guerra in Iraq: Iraq War Logs. Si tratta di quasi 400 mila nuovi file che si riferiscono alle operazioni tra il 2004 e il 2009. Anche qui torture e diritti umani calpestati allegramente. L’Iraq, senza Saddam era diventato un luogo di combattimento tutti contro tutti: contractor assoldati dagli occidentali che non sapevano chi era il nemico, Al Qaida che voleva ammazzare tutti, iracheni regolari contro ribelli. Questi file forniscono una stima di morti civili per causa diretta, quindi non come effetti collaterali, un numero compreso tra 180 e 200 mila. Ma questo la stampa non può riportarlo. La guerra è una causa nobile e gli stessi media cominciano a fare una guerra ad Assange. Viene definito come un criminale al quale bisogna dare la caccia, neanche fosse, lui stesso, un membro di Al Qaida.
“Bisogna neutralizzarlo usando le forze speciali.” Parole molto dure. A pronunciarle un’ultraconservatrice dell’Alaska e un commentatore televisivo. Solo nel 2010 il giornale tedesco Der Spiegel mette l’accento su una questione sardonica. Nei 400 mila documenti, la parola democrazia compare solo 8 volte. Tanto fanno i media che alla fine perfino Amazon, caccia Wikileaks dai suoi server. La EFF, la fondazione delle frontiere elettroniche, un ente a difesa dei diritti digitali, scrive: “Amazon aveva l’opportunità di difendere la libertà di parola dei suoi clienti. Invece è scappata con la coda tra le gambe.” Poi vengono revocati gli accessi ai servizi di PayPal e dei circuiti di carte di credito: la cosa allucinante è che tutto questo avviene in assenza di una qualsiasi sentenza o di un qualsiasi provvedimento giudiziario a giustificarlo.
Il solo a ribellarsi a questo stato di cose è Daniel Ellsberg, l’informatore che nel 1971 aveva portato alla luce i Pentagon papers, 7 mila pagine di falsità sulla sporca guerra in Vietnam. E quindi l’intero mondo dell’informazione si concentra, anziché sulle barbarie delle varie amministrazioni statunitensi, sulle presunte colpe di Assange. Diventa più grave raccontare la verità che operare stermini, massacri, uccisioni di civili e così via.

Cablegate

Nonostante questo clima, Assange colpisce ancora con lo scandalo Cablegate, vale a dire 250 mila messaggi cifrati intercorsi tra i diplomatici americani. Ne viene fuori un’immagine del paese che fa davvero schifo e in questo caso la guerra non c’entra. Alcuni esempi.
L’azione delle multinazionali dell’abbigliamento operanti ad Haiti, in combutta con il governo locale per bloccare l’aumento degli stipendi degli operai, (si parla di poco più di mezzo dollaro l’ora).
E ancora, lo spionaggio e la richiesta di dati biometrici ai danni di funzionari delle Nazioni Unite, come l’allora segretario generale Ban Ki Moon, il tutto a firma dell’allora segretario di stato di Obama, Hilary Clinton. E poi considerazioni, come dire “schiette” su governi alleati come quello del tunisino Ben Alì, definito nei file “sclerotico cleptomane”. L’uscita di queste notizie mette ovviamente in un imbarazzo totale il governo statunitense, che si affanna a correre dietro a scuse un tantino raffazzonate.
E l’Italia?
Era l’epoca del governo Berlusconi e l’Italia veniva definita come una “democrazia dal guinzaglio molto corto” dove i politici subivano grandi pressioni, esercitate direttamente dai diplomatici statunitensi e riferite direttamente al dipartimento di stato. 4189 cablogrammi sull’Italia e sul Vaticano forniscono le prove di tutto questo.
Il giornalista Glenn Greenwald del Guardian sottolineerà il fatto che quella fuoriuscita di documenti era solo una piccolissima parte dei metadati che la NSA registrava e deteneva. Per metadati si intende qui: numeri di telefono, conversazioni tra persone che non si sognerebbero mai di essere ascoltate in segreto.
Lo stesso Guardian, ma anche il Washington Post, pubblica altri documenti top secret, dimostrando quanto in profondità le maglie della NSA fossero penetrate nei server dei principali giganti della Silicon Valley, come Facebook, Skype, Microsoft, Google e così via. Viene usato un programma particolare, chiamato PRISM, che raccoglie ogni cosa, ogni comunicazione, ogni dato, foto, documento, che milioni di persone affidano al web. Lo scopo? scandagliare tra i miliardi di dati quelli che potrebbero potenzialmente essere dannosi per la stabilità del paese. Ovviamente le multinazionali negano tutto il loro coinvolgimento, ma la questione non è mai stata chiusa. Nel 2015 la Corte Europea dei diritti dell’uomo, dichiara illegale la sorveglianza di massa eseguita da NSA. A scoperchiare il bubbone, fornendo i nomi delle aziende e i metodi della NSA, è stato un esperto informatico, che aveva lavorato per la CIA, Edward Snowden. Lui aveva collaborato con un’azienda consulente della NSA e aveva così potuto venire a conoscenza dei programmi del controllo di massa esercitati dal governo statunitense e da quello britannico. Snowden meriterebbe una puntata a parte. Qui ci limitiamo ad alcune informazioni sul suo conto. Ma lo faremo un po’ più avanti.
Prima vediamo cosa emerge dalle sue dichiarazioni. Si tratta dell’uso da parte degli Stati Uniti di programmi per intercettazioni telefoniche tra USA e Unione Europea, il già citato PRISM, TEMPORA e altri software simili. In sostanza i telefoni e le comunicazioni via web sono tutte spiate dalla NSA e quindi dal governo americano.

Le mail di Hillary Clinton

In particolare, caso che è finito su tutte le testate del mondo, la questione delle mail, più di duemila, interne al Comitato Nazionale Democratico, in concomitanza con il turno elettorale tra Trump e Hillary Clinton. Secondo quanto scrive Stefania Maurizi, da quelle mail usciva un’immagine del Partito Democratico statunitense molto diversa da quella per così dire pubblica. Un partito che si muoveva tra faccendieri di Wall Street, banchieri, magnati della Silicon Valley, ambiente che nulla aveva in comune con la classe media americana, dalla quale il Partito della Clinton avrebbe dovuto avere la maggior parte dei voti. Classe media, è bene ricordarlo, molto sofferente per la crisi economica di quel periodo. I discorsi confidenziali di Hillary finiscono su Wikileaks e non sono certo utili alla sua elezione.
Ne citiamo una per tutte:
Sono piuttosto distante dalle lotte della classe media, per via della vita che ho vissuto e delle fortune economiche di cui io e mio marito godiamo ora.” Secondo voi un operaio avrebbe mai poto darle il suo voto?
Nei dettagli, la notizia è pubblicata dal Wall Street Journal, si parla dei circa 120 milioni intascati per i suoi discorsi a Wall Street e dei circa 225 mila dollari per conferenza. Sappiamo bene come è finita, surclassata, piuttosto sorprendentemente, da Donald Trump. Assange così è finito nel mirino anche dei democratici, accusato di aver cospirato con gli haker russi. Trump, in quell’occasione ha usato Wikileaks come slogan elettorale, ma per Assange i due contendenti sono della stessa pasta e scegliere tra loro è come farlo tra la gonorrea e il colera.

La denuncia e la consegna

L’appello al primo emendamento (che sancisce esplicitamente la libertà di stampa) aveva funzionato per i Pentagon Papers del Vietnam, ma non funziona per Wikileaks. L’interpol infatti emette un mandato di cattura, in seguito al quale Assange si consegna a Scotland Yard a Londra. Da qui la sua vita non è più libera, diventa un recluso, sotto varie forme, tutte terribili, come vedremo tra poco.
Prima tuttavia vorremmo aggiungere un paio di questioni che troviamo sul libro di Maurizi.
La prima riguarda la disparità di trattamento tra Assange e il resto dei giornalisti che si sono occupati e hanno pubblicato i suoi file. Sono decine i professionisti di mezzo mondo che hanno contribuito alla diffusione delle informazioni segrete. Giornali come L’Espresso, El Pais, Der Spigel, Washington Post, Guardian, hanno messo a disposizione le loro pagine per questo. Ebbene: nessuno di questi giornalisti è stato incriminato, condannato o gli è stato impedito di lavorare. Questo destino è toccato soltanto ad Assange.
La seconda questione riguarda il modo in cui Assange è stato incriminato. Non l’ha fatto l’amministrazione Obama. Il motivo era proprio il fatto che incriminando Assange, in automatico si sarebbero dovuti incriminare tutti gli altri giornalisti e i corrispettivi giornali. E incriminare il Washington Post o il NYT non è mossa politicamente saggia. Trump, che pure dichiarava di amare Wikileaks per i suoi scopi elettorali, ricorre ad un escamotage. Lo incrimina perché lui non è un giornalista e quindi non può diffondere le notizie che ha diffuso e perché ha messo a rischio delle vite pubblicando i documenti.
Vediamo le due cose separatamente.  Al di là della definizione che possiamo dare di giornalista, e del fatto che non tocca cero allo stato stabilire se uno lo è oppure no,  in realtà Assange non solo è iscritto al sindacato australiano dei giornalisti, ma la stessa Associazione internazionale dei giornalisti lo ha ritenuto tale, così come l’ordine dei giornalisti italiani, che gli ha assegnato la tessera onoraria. Insomma la motivazione statunitense fa acqua da tutte le parti. Il secondo motivo è ben più grave, perché se quei documenti avessero provocato la morte di persone, le cose sarebbero davvero molto più complicate. Ora, i documenti di Wikileaks sono quelli più setacciati, studiati, spulciati al mondo. Il numero di persone che ci ha messo il naso è enorme. Da nessuna delle revisioni risulta che una sola persona abbia perso la vita. Ne segue che le motivazioni dell’incriminazione di Assange sono pretestuose.

Intermezzo: Edward Snowden

Prima di considerare gli ultima anni, quelli in cui Julian Assange è stato prigioniero, sotto varie forme di vari governi, vorremmo tornare a raccontare, brevemente la storia di Edward Snowden, perché la sua vicenda si intreccia con quella di Assange, anche se la conclusione è decisamente meno drammatica.
Lui è americano, nato in Carolina del Nord, esperto informatico, dopo essersi arruolato nell’esercito e aver lavorato per la Cia, finisce alla Dell, la nota casa produttrice di computer. Questa lo assegna ad una struttura della NSA in Giappone ed infine, sempre alle dipendenze della NSA, alle Hawaii, nel 2013. Da un po’ di tempo i documenti che gli scorrono davanti lo mettono in allerta: i metodi usati dalla NSA non sembrano per niente corretti e coincidenti con i dettami della costituzione americana. Il 10 giugno 2013 viene licenziato con la motivazione di discordanze tra i metodi di Edward e quelli dell’azienda che lo pagava, la Booz Allen Hamilton.
Snowden provato a smovere le acque con comunicati interni alla NSA, ma viene sempre ignorato. il 20 maggio vola ad Hong Kong, regione amministrativamente speciale della Repubblica Popolare cinese. Da qui, poco dopo rivela ad alcuni giornalisti come il già citato Glenn Greenwald, Laura Poitras, Ewen MacAskill, migliaia di documenti secretati della NSA, sulla base dei quali escono articoli su giornalidi rilievo come il Guardian inglese e il Washington Post. Poi seguono altre testate: Der Spiegel il Germania e The New York Time con altre rivelazioni ancora.
Non passano che pochi giorni che il dipartimento della giustizia lo accusa di spionaggio e di furto di materiale appartenente al governo. Lo fa sulla base di una legge del 1917, l’Espionage Act pensata e scritta unicamente per coprire i segreti di stato. Non contempla l’interesse pubblico, l’unico fine è salvaguardare la reputazione degli Stati Uniti da possibili scandali. Scavalca ogni diritto internazionale tanto da rendere potenzialmente imputabile chiunque diffonda notizie riservate. E’ la prima volta nella storia degli Stati Uniti che l’Espionage Act viene usata contro un giornalista.
Il dipartimento di stato gli revoca il passaporto. Si imbarca da Hong Kong verso Mosca. Qui ovviamente si accorgono subito che il passaporto è invalidato e lo confinano nel terminal dell’aeroporto Seremetevo per più di un mese. Poi arriva la richiesta e la concessione del diritto d’asilo, che si rinnova di anno in anno, fino al 2020. Di tornare in patria non se ne parla. Suo padre, una volta capita l’antifona, consiglia al figlio di rimanere dove si trova perché negli Stati Uniti non avrebbe sicuramente avuto un processo giusto.
Il Parlamento europeo si è espresso in suo favore, chiedendo a tutti gli stati di non concedere mai l’estradizione per quello che viene definito “difensore internazionale dei diritti umani”. In quel caso si contano i difensori della libertà e i dipendenti dagli Stati Uniti. La votazione è vinta per soli 4 voti.
La sua autobiografia ha dato occasione ad un’altra denuncia per aver infranto un patto di non divulgazione, ma il risultato è stato che quel libro è finito in testa alla classifica dei bestseller di Amazon.
Sulle motivazioni del suo gesto, gli stessi amministratori americani capiscono che si tratta di semplice sensibilità ideologica, la stessa che viene richiesta agli agenti dei servizi quando vengono arruolati. C’è una frase di Snowden che possiamo ricordare: “Ho deciso di sacrificarmi perché la mia coscienza non può più accettare che il governo statunitense violi la privacy, la libertà di Internet e i diritti basilari della gente in tutto il mondo, tramite un immenso meccanismo di sorveglianza costruito in segreto.
Le voci sui suoi spostamenti verso paesi senza estradizione come l’Islanda o l’Equador, hanno messo in moto una caccia individuale spesso assurda. É accaduto, ad esempio, il 2 luglio 2013, quando Snowden era ancora tra Hong Kong e Mosca, che l’aereo presidenziale della Bolivia, con a bordo il presidente Evo Morales, di ritorno da un summit a Mosca, dovesse atterrare a Vienna, perché gli viene impedito il sorvolo dei cieli di Spagna, Portogallo, Francia e Italia, ovviamente su pressione della Casa Bianca. Tutte le proteste della Bolivia per questo atto intimidatorio, supportate anche da altri paesi dell’America latina, sono state del tutto inutili. Il 22 ottobre 2020, a Snowden viene accordato il permesso di residenza definitivo in Russia, due anni più tardi ottiene la piena cittadinanza, con tutti i diritti ad essa connessi.
Questa è dunque, in breve la storia di Edwuard Snowden, un altro uomo che si è trovato invischiato tra la lealtà alla patria e ai suoi servizi che sviliscono i concetti di libertà e democrazia e la sensibilità di un uomo che non sopporta gli abusi perpetrati ai danni di milioni di persone.

Il “soggiorno” nell’ambasciata ecuadoregna

Dunque, nel 2010 Julian Assange si consegna spontaneamente a Scotland Yard. Prima viene tenuto agli arresti domiciliari e poi rintanato per circa 7 anni come rifugiato politico nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra.
Per quello che ci risulta, le ambasciate sono un luogo sacro perfino in tempo di guerra, un po’ come erano i templi nell’antica Grecia, ma, l’intelligence statunitense e inglese avevano messo telecamere e microfoni nell’ambasciata per cogliere ogni respiro di Assange e dei suoi visitatori.
Durante le visite consentite, come quelle della giornalista Maurizi, gli zaini dei visitatori venivano segretamente aperti e tutti i mezzi informatici passati al setaccio alla ricerca di informazioni. Ogni colloquio era registrato sia in video che in voce da apparecchi di cui neppure i tecnici dell’ambasciata sapevano nulla. Sembra uno di quei film di spionaggio che si vedono al cinema, ma è la triste realtà.
Le minacce di irrompere nell’edificio da parte della Gran Bretagna si limitano a circondare la palazzina. Lo scopo è quello di prendere Assange e mandarlo in Svezia, paese, come già detto servo degli Stati Uniti, che aveva richiesto l’estradizione. Da lì poi sarebbe stato mandato in USA dove lo attendevano qualche secolo di carcere duro.
E fino a che a governare lo stato latinoamericano c’è stato il socialista Rafael Correa, che non aveva certo un rapporto d’amore con gli Stati Uniti, la tutela del proprio ospite è stata mantenuta. Assange non si nega ad essere interrogato, ma concede alla Svezia solo all’interno dell’Ambasciata ecuadoregna londinese. Questo scrive l’ambasciata dell’Ecuador al governo svedese, che risponde con un sonoro e rumoroso silenzio.
Poi, nel 2017, sale al potere in Ecuador il filo-statunitense Lenìn Moreno. Chissà se il finanziamento di 4 miliardi di dollari da parte del fondo monetario internazionale hanno avuto qualcosa a che fare con la decisione di togliere ad Assange le visite e l’accesso ad Internet. L’accanimento dei media nei suoi confronti, con l’assunto di essere d’accordo con la Russia, lo portò a definire quella farsa come il business della crocifissione. Un accanimento che si riflette pesantemente sul corpo e sullo spirito di Julian. Stefania Maurizi riporta:
Assange sta lentamente morendo, non esagero. Avrà perso 12 chili in questi 8 mesi che non l’ho visto. É così dimagrito che gli si vedono le spalle piccole, come una modella macilenta. Ha una barba e capelli che sembra un eremita. Mi chiedo come faccia il suo cervello a funzionare ancora, perché è chiaro che funziona ancora.
Alla fine, la mattina dell’11 aprile 2019, la polizia inglese, in borghese, entra nell’ambasciata e si porta via di peso un Julian Assange, irriconoscibile, ridotto a pelle e ossa. Lui grida che il popolo della Gran Bretagna deve resistere. Il filmato dell’arresto fa il giro del mondo e l’imbarazzo più grande è il fatto che viene distribuito dal media russo Russia Today. Per la Russia è un’occasione d’oro per sottolineare il fallimento delle democrazie occidentali, come un cittadino libero viene trattato, per gli occidentali il fallimento del loro sistema di informazione. Così Assange finisce nella prigione Belmarsh, la Guantanamo britannica.
Ora voi pensate di rimanere rinchiusi per molti anni in un piccolo spazio: nell’ambasciata è stato rintanato 7 anni in 30 metri quadri sena poter mai uscire a respirare l’aria libera, a vedere da fuori la luce del sole. Neanche l’ora d’aria, che le nostre carceri, anche quelle più dure offrono a delinquenti efferati, a quei criminali mafiosi che hanno sciolto nell’acido i corpi anche di bambini, che hanno sulla coscienza stragi, omicidi, traffici di droga e di armi. Un incubo al quale, per noi abituati a poterci muovere liberamente facciamo davvero molta fatica a credere.
La notizia peggiore arriva bel 2021, quando l’alta corte britannica, ribaltando la prima decisione, dichiara che Assange può essere estradato negli Stati Uniti.
Passa un anno e a metà marzo 2022 si discute sul ricorso presentato da Wikileaks contro questa sentenza. La corte suprema britannica rigetta il ricorso sostenendo che per esso non ci sono le basi legali. Tra due settimane l’ultimo atto.
Ora, possiamo ragionare su cosa sarebbe successo in una dittatura, forse non si sarebbe arrivati a tanto, si sarebbe risolto il tutto con largo anticipo usando un sicario. Il caso della giornalista Politovskaja e di Putin ne è una buona testimonianza.
Ad Assange una volta è stato chiesto il perché delle sue scelte. Avrebbe potuto aprire una sua attività nella Silicon Valley, avere una villa con piscina e vivere tranquillo. Ma lui risponde: “Si vive una volta sola. Bisogna far buon uso del tempo che abbiamo e fare qualcosa che sia significativo e soddisfacente. Questo è qualcosa che per me è significativo e soddisfacente. Mi piace aiutare le persone che sono vulnerabili. E mi piace schiacciare i bastardi.
Quando leggerete questo articolo la storia avrà avuto una fine … oggi non sappiamo quale.