legname8 miliardi! É il numero di persone che tra poco popoleranno questo nostro pianeta. 8 miliardi che hanno bisogno di cibo, che vogliono carburanti per le loro automobili, vestiti da indossare, legname per le costruzioni, vogliono avere a disposizione caffè, cacao, pellami, olio, bistecche. La società dei consumi vuole costruire sempre più abitazioni, strade, parcheggi e ipermercati. Per tutto questo serve spazio, terreno, spesso terreno fertile, ne serve sempre di più, e non si sa dove trovarlo. E allora? Allora si elimina una parte delle foreste, che non servono, così come sono, a fare denaro.


La deforestazione non guarda in faccia nessuno. Le enormi foreste primarie in Sud America, Asia e Africa sono attaccate in modo selvaggio. Nel 2021, un centinaio di stati si sono riuniti, per giurare che avrebbero “arrestato e invertito” la perdita di foreste nel mondo. Finalmente non si parla di “ridurre”, che può sembrare una buona cosa solo a chi non riflette sul significato di questo verbo. Ridurre vuol dire tagliare meno alberi, ma continuare a farlo. “Arrestare” significa smettere e “invertire” significa piantare nuovi alberi dove ne sono stati tagliati. Una delle cose che la politica sa fare benissimo è mentire. Lo ha fatto sempre in campo ambientale (non solo!). Basta pensare al dopo COP 21 di Parigi, quando tutti erano pronti a ridurre le emissioni climalteranti. Ma, dopo quell’accordo, tali emissioni sono cresciute. E lo stesso avviene per gli alberi. Infatti nel 2022 la deforestazione è aumentata ovunque. Nell’Amazzonia brasiliana la perdita è cresciuta del 15%. Non vanno meglio le cose in Africa dove nello stesso anno è stata distrutta copertura arborea per circa 3,6 milioni di ettari, tra cui circa 800mila ettari di foreste tropicali primarie, le più antiche, importanti, quelle che chiamiamo vergini, perché l’uomo non ci è entrato a fare i suoi comodi. Ma quella verginità sta sparendo con una velocità straordinaria. Questi dati li fornisce l’Università del Maryland, che ha pubblicato un rapporto in merito, la scorsa estate, sulla piattaforma Global Forest Watch del World Resources Institute. Si concentra proprio sulle foreste primarie tropicali, perché è là che si verifica, secondo i loro dati, il 96% della deforestazione. E solo una minima parte è dovuta agli incendi più o meno truffaldini. (link).
A cosa serve, nello specifico, il territorio “liberato” da quei fastidiosi ostacoli del “progresso”?
Perché dobbiamo preoccuparci di questo fenomeno, che non ha nulla di naturale ed è dovuto all’attività dell’uomo? Avere meno foreste a disposizione ha a che fare, molto semplicemente, con la nostra vita. Chi pensa che l’essere umano sia un unicum, ha capito davvero poco di come funzionano le cose. Egli è legato strettamente a tutto il resto della natura, agli altri animali, alla “pulizia” dell’ambiente e alle foreste. Queste sono l’unico motivo per cui la vita si è trasferita moltissimo tempo fa dalle acque dei mari sulla terraferma, in quanto hanno fornito, oltre alla formazione dell’ozono stratosferico e conseguente protezione dei raggi UV del sole, il combustibile necessario per il mantenimento in vita di tutti quegli esseri che avevano bisogno di ossigeno per sostenersi. Le cose non sono cambiate, oggi, sono solo peggiorate, dal momento che non è più garantito l’equilibrio tra la produzione di gas serra (quando respiriamo o bruciamo un pezzo di carbone) e l’assorbimento di quei gas. Avviene perché siamo in troppi, perché abbiamo costruito una società che non fa che immettere quei gas in atmosfera e perché abbiamo raso al suolo una quantità sterminata di alberi che ci potevano aiutare a mantenerlo, quell’equilibrio iniziale. Ci sono altri motivi per considerare sacre le foreste: difendono il suolo, favoriscono le precipitazioni, garantiscono la salvaguardia di quella biodiversità, oggi in grave pericolo, essenziale per la sopravvivenza delle specie, compresa la nostra.
É all’interno di questo cerchio che dobbiamo capire cosa diavolo è successo, capire perché mai abbiamo lavorato come il mitico Tafazzi, scavandoci una fossa che diventa ogni giorno più profonda.
Dopo il Brasile, che detiene il triste primato, lo stato che più si distingue nella poco meritoria opera della deforestazione, è il Congo, con oltre mezzo milione di ettari perduti nel 2022. Ma la cosa peggiore di questo paese è che non ci sono buone prospettive per il futuro. A novembre 2021 era stato stanziato dalla COP26 mezzo miliardo di dollari per proteggere le foreste di quello stato. Come risposta il governo ha messo all’asta permessi per l’esplorazione di petrolio e gas in foreste primarie e torbiere ricche di carbonio (con gli effetti evidenti sull’effetto serra) e ha promesso che tra poco ritirerà anche la moratoria sul taglio degli alberi nelle foreste con nuove concessioni.
La deforestazione è cresciuta un po’ ovunque nei paesi africani, che presentano sul loro territorio vaste foreste tropicali. Alcuni aumenti sono clamorosi: Ghana 71%, Angola 52%, Camerun 40%, Liberia 23%.
Dal momento che le conseguenze della deforestazione sono importanti per la nostra vita, ci sono un sacco di studi, eseguiti da università e organizzazioni come la FAO o l’UNEP, da cui ottenere informazioni. Purtroppo ci sono vaste aree della terra dalle quali è difficile, a volte impossibile, ottenere dati attendibili, e, a volte, non se ne ottengono affatto.
Secondo la maggior parte degli studi, ad esempio quello pubblicato su Science nell’autunno 2022, (link) il 90% della deforestazione è dovuta all’agricoltura, o meglio all’espansione dei territori destinati all’agricoltura. La stima fatta dalla FAO è che ogni anno, per la sola fascia tropicale, scompaiono 7 milioni e mezzo di ettari di foreste, destinati alla produzione agricola. Si tratta di un quarto del territorio italiano.
A fianco della deforestazione consentita da concessioni statali, c’è una florida (passateci l’aggettivo) deforestazione illegale. Certo, se consideriamo la politica di Bolsonaro o delle amministrazioni indonesiane che hanno permesso il taglio indiscriminato di porzioni sempre più grandi di foresta pluviale, non possiamo dire che si sia trattato di illegalità, in quanto quei tagli sono avvenuti nel rispetto delle decisioni politiche dei governi locali. Ma questo non significa che quella deforestazione sia sostenibile, anzi, nella maggior parte dei casi non lo è affatto. La deforestazione legale, insomma, va contro ogni logica di buon senso.  Dunque il cosiddetto illegal logging, non coincide con la deforestazione, ne è una parte, non sempre visibile. Il problema è proprio questo: l’Italia importa l’80% del legname che lavora, ma è molto difficile stabilire con precisione se la materia prima ha un’origine legale o no. Secondo un report dell’UNEP e dell’INTERPOL (link) dal 15 al 30% del legname trattato è di origine illegale e frutterebbe cifre fino ai 100 miliardi di dollari l’anno, che finiscono nelle tasche di organizzazioni criminali di vario genere. A quanto pare è il secondo giro d’affari più remunerativo dopo la droga.
Prima di addentrarci negli esempi, viene da chiedersi se i governi non abbiano fatto proprio nulla contro questo cancro. Ci limitiamo qui a considerare quello che è stato deciso dall’Unione Europea, intanto perché ci viviamo e poi perché, nonostante gli evidenti difetti, rimane comunque l’organizzazione politica più attenta alle questioni ambientali.
La decisione più recente dell’UE al riguardo, è stata pubblicata il 9 giugno 2023. É il Regolamento numero 1115 (link) nel quale si stabiliscono i criteri da seguire per l’importazione e l’esportazione di materie prime e prodotti associati alla deforestazione. I prodotti indicati sono la carne. cacao, caffè, olio di palma, gomma, soia e legno. Ma anche tutte le derivazioni, come ad esempio i mobili, la cioccolata e così via.
I criteri previsti sono:

  • Devono provenire da fonti a deforestazione zero;
  • Devono essere prodotti nel rispetto della legislazione vigente nel paese di produzione;
  • Devono essere oggetto di una dichiarazione di due diligence, cioè un controllo di tutte le informazioni relative all’acquisto.

Secondo la Commissione, i principali prodotti derivanti dalla deforestazione (vedi link pag. 5) sono l’olio di palma e la soia, che, sommati assieme, rappresentano i due terzi del totale. La nuova legge entrerà in vigore alla fine del 2024, data spostata di un anno per le piccole imprese, escluso però il commercio del legno e dei suoi derivati.
Questa decisione è figlia di un altro precedente regolamento, del 2010, chiamato EUTR (European Union Timber Regulation - link), che invitava gli operatori di mercato a controllare la provenienza illegale del legno usato. A questa normativa è associato un registro al quale gli operatori devono iscriversi obbligatoriamente dal 4 aprile 2022, garantendo così il rispetto delle condizioni previste.
Ovviamente i birichini ci sono sempre. Per fare un esempio di casa nostra, in provincia di Treviso, all’inizio di Settembre 2023, i carabinieri forestali hanno visitato 34 ditte dedite al commercio di legname, identificate 41 persone ed elevate 13 sanzioni amministrative a tutela della regolare tracciabilità e della legale commercializzazione di legno e prodotti derivati.
Ancora prima, negli anni ’90, ci si era illusi di frenare la deforestazione grazie a certificazioni di sostenibilità sui prodotti forestali. Il risultato è che non solo grandi società hanno aperto sezioni dedicate specificamente a questo tipo di certificazione, ma anche una miriade di società più piccole, per questo meno controllabili, hanno fatto altrettanto. Del resto il giro d’affari è stimato in circa 10 miliardi di dollari l’anno. Di queste certificazioni abbiamo parlato nel video sul Greenwashing, ma possiamo riassumere i due problemi più gravi che le accompagnano. Il primo è che si tratta di una decisione volontaria degli operatori del settore e il secondo che più spesso di quanto si crede, le certificazioni sono false, o rilasciate con sufficienza o dietro lauto compenso, ad aziende che deforestano alla grande. Qualche esempio?
L’inchiesta giornalistica “Deforestatione Spa” (link) ha identificato 48 società di certificazione che hanno rilasciato attestati di sostenibilità ambientale a imprese che erano già accusate di aver devastato riserve naturali e oasi verdi, falsificato permessi e organizzato commerci illegali di legno e prodotti derivati. I documenti raccolti mostrano che dal 1998 all'inizio del 2023, almeno 347 aziende del settore del legname hanno ottenuto certificazioni ecologiche anche se erano state denunciate pubblicamente, per gravi violazioni ambientali spesso anche da agenzie statali. Almeno 50 di queste società hanno potuto vendere prodotti in legno con le etichette verdi di sostenibilità perfino dopo essere state sanzionate o condannate nei processi. E questa mole di casi è solo la parte visibile del problema: molti governi non pubblicano i nomi delle aziende (e dei manager) responsabili dei reati ambientali.
Le leggi, dunque, ci sono, ma, come per ogni altra legge, ci sono quelli che se ne fregano o trovano il modo di aggirarle.
Qualcuno può forse pensare che, in fondo, sono problemi lontani da noi, cose che succedono in Congo, nel Borneo, in Brasile. Ma non è così e per dimostrarlo non ci resta che viaggiare verso la Transilvania, nella contea di Suceava in Romania. Ci troviamo nei Carpazi, non molto lontano dai confini con Ucraina e Moldavia, dove si parla addirittura di “mafia del legno”. Le foreste sono rapinate degli alberi da decenni. Secondo gli studi più recenti, quello di Ecopeco del 2019  (link) o quello di Global Forest Watch del 2023 (link), il legname tagliato illegalmente raggiunge i 15 milioni di metri cubi l’anno. La legge dello stato consente di tagliare, raccogliere e vendere solo gli alberi già a terra, sradicati, malati o secchi. Le autorità marcano questi alberi e li inseriscono in un inventario. Questo poi viene pubblicato e parte una gara d’appalto così che un imprenditore possa decidere quali e quanti lotti comprare. La truffa non è complicata e nasce proprio qui. Accanto agli alberi segnati dalle autorità, i delinquenti segnano anche altri alberi, di modo che nel lotto scelto ci sono molti più alberi, circa il doppio, di quelli previsti. Il trasporto di ogni camion contiene una parte di alberi privi di documenti, ma troppo pochi per avviare un controllo. Alla fine, complessivamente, sono una quantità enorme. Dal 1990 una parte delle foreste sono state consegnate ai privati: non come proprietà, ma come possibilità di usarle a proprio piacimento. La filiera di questo traffico illecito comincia dal taglialegna, seguito dal guardaboschi, carica di prestigio in quel paese. Basta dichiarare la presenza di un numero minore di alberi nella propria zona di guardia e il resto può essere tagliato senza problemi. In uno dei casi scoperti, la differenza era di 2 mila alberi. Il fatto di mescolare legno “con passaporto” e senza, rende difficile, perfino impossibile per la segheria, sapere la provenienza del legname. Responsabili non sono solo le figure più direttamente a contatto con la foresta. Ci sono commercianti, imprenditori, trasportatori, personale forestale amministrativo, funzionari pubblici. Una vera e propria organizzazione mafiosa. A contrastare questo malaffare ci pensano le guardie oneste. Negli ultimi dieci anni oltre 200 di queste sono state aggredite e 6 hanno perso la vita in scontri con i contrabbandieri di legname. L’UE dal 2015 ha limitato per legge l’importazione di legname romeno al 30% del totale, ma questo non toglie che non si sappia quanto di quel legno, pur limitato per legge, sia di origine illecita. Secondo l’organizzazione non-profit britannica Earthsight (link), Ikea avrebbe ottenuto legname illegale. Nel 2022 si è difesa sostenendo che nessuna inchiesta aveva rivelato uso illegale di legname. Curiosamente, nel frattempo, ha acquistato quasi l’1% delle foreste romene, diventando il più grande proprietario privato di superficie forestale di quel paese.
Il business è cresciuto a dismisura quando sono arrivate in Romania alcune ditte di legname austriache, che hanno immesso molto denaro nel traffico. Forse le cose stanno cambiando, ma i danni commessi sono enormi e non rimediabili. Secondo molti, lo stato non è estraneo a questo massacro e sfrutta ogni insignificante motivo per consentire di abbattere le foreste che coprono intere colline. Certo, questo non è illegale, ma folle decisamente sì. Purtroppo quest’area non ha lo stesso appeal, nelle discussioni sulla deforestazione, dell’Amazzonia o del Congo, ma il danno provocato è enorme e sarebbe opportuno intervenire con misure molto più drastiche di quelle in essere.
É difficile stabilire in quale paese la deforestazione illegale è maggiore, ma certo la Cambogia si trova nelle prime posizioni al mondo. Alla storia di questo paese abbiamo dedicato un video, ma qui vogliamo capire cosa succede alle sue foreste. La grande foresta pluviale cambogiana era chiamata “Amazzonia del sud-est asiatico”. Nei primi 20 anni di questo secolo, secondo Global Forest Watch, 2,5 milioni di ettari sono stati distrutti e nove alberi su dieci sono stati abbattuti illegalmente. La strage continua ancora. Il bottino viene poi contrabbandato in Vietnam e da qui esportato all’estero, soprattutto in Cina, ma arriva anche in Europa. C’è del legno molto prezioso e molto caro in quelle foreste, il palissandro. La razzia è fatta a tappe: il boscaiolo, il trasporto verso il fiume Mekong, da qui in barca fino al punto in cui camion attraversano il confine con il Vietnam. Ci sono persone che combattono questa pratica, sono una sorta di guerriglieri, che spiano le operazioni, le filmano e le diffondono. In uno dei video, i camion che arrivano al confine hanno le insegne dell’esercito. La filiera truffaldina è ben protetta da poteri che arrivano molto in alto.
Uno dei siti in cui la deforestazione è maggiore è un santuario, la foresta di Prey Lang, nel Nord del paese. Qui si incontrano i trasportatori di palissandro. Sono poveracci, lo fanno per sopravvivere e devono ungere parecchie ruote per poter lavorare, in primo luogo i ranger che dovrebbero sorvegliare che tutto questo non succeda. Guadagnano in una notte più dello stipendio mensile di un operaio, lavorano due-tre giorni la settimana. Nel 2016 Prey Lang è diventata una foresta protetta e da allora il disboscamento è sensibilmente aumentato. Era una zona in cui abbondavano le tigri, oggi sparite del tutto. L’unico ruggito che si sente è quello delle motoseghe. Qui viveva il popolo Kuy. Oggi non possono nemmeno entrare nella foresta, che, per loro, rappresentava la vita: era la farmacia in cui trovavano erbe medicinali, era il lavoro perché ognuno aveva un certo numero di alberi da cui ricavava resina da vendere. La foresta è oggi, di fatto, una proprietà privata. Il governo, usando il trucco dell’area protetta, ha escluso occhi indiscreti. Nel contempo ha emesso concessioni per 99 anni ad aziende straniere, vietnamite, malesi, cinesi. Avrebbero dovuto piantare alberi della gomma, di manioca, banani, per portare lavoro per la popolazione e ricchezza per lo stato. Ma le concessioni sono una copertura per il taglio illegale degli alberi di pregio, che rendono enormemente di più di tutta la manioca coltivabile. La dimostrazione è che i terreni disboscati vengono poi abbandonati.
Oltre alla delinquenza di questa situazione, la rimozione di così tanti alberi influisce anche sul meteo, perché le piogge sono diminuite, la stagione umida si è ridotta di due o tre mesi. Del resto è di quest’anno lo studio eseguito dall’Università di Leeds (UK) che mette in relazione la deforestazione con la riduzione di pioggia. (link).
Intanto, il legno non c’è. I falegnami sono in crisi: non sanno con cosa fabbricare una sedia.
Se dalla Cambogia si viaggia verso Nord, attraverso la Thailandia si arriva in Myanmar, quella che molti hanno studiato a Geografia come Birmania. I suoi meravigliosi monumenti qui non ci interessano. Ci occupiamo di un albero il cui valore è del tutto paragonabile a quello del palissandro, un legno fantastico, che viene utilizzato, tra le tante cose, per la copertura dei ponti dei grandi yacht dei miliardari sparsi per il mondo, il teak. Consideriamo questo settore produttivo, perché è uno dei fiori all’occhiello dell’azienda Italia e quindi ci interessa particolarmente.
Questo legno birmano non può essere acquistato e importato in Europa. Si tratta però del miglior teak in assoluto ricavato da alberi che possono avere anche un secolo di età, e raggiungere i 40 metri di altezza. Il Myanmar è oggi il più grande produttore di teak al mondo, con il 40% del totale. Può contare su una foresta che nel 2017 copriva il 63% del territorio nazionale, ma la riduzione galoppa a ritmi vertiginosi, causata per lo più dal taglio illegale, il cui valore è stimato dalla Myanmar Timber Merchants Association (link) in 200 milioni di dollari l’anno. Come in altre regioni, la deforestazione illegale non si ferma davanti ai parchi nazionali, come quello dell’Alaungdaw Kathapa, dove i ranger hanno incriminato, nel corso degli ultimi anni, 34 taglialegna illegali, confiscato 14 tonnellate di palissandro e 1,25 di teak e distrutto una cinquantina di motoseghe e quattro accampamenti di bracconieri.
L’esportazione non è stata fermata nemmeno dal Regolamento europeo EUTR, i cui esperti, nel 2017 dicevano che è di fatto impossibile un controllo serio, in quanto il legname che arriva in Europa potrebbe arrivare da qualsiasi posto. Sempre con la stessa tecnica: mettendo nel mucchio di tutti i tronchi, quelli illegali.
Come scrive Rudi Bressa in “Trafficanti di Natura”, il nostro paese “è stato per anni l’attore principale a livello europeo per l’importazione del legno e, cosa più rilevante, ha continuato a farlo per tutto il 2021, nonostante a giugno dello stesso anno l’Europa avesse imposto una moratoria col regolamento d’esecuzione Ue 2021/998, voluto proprio per scongiurare qualsiasi forma di finanziamento diretto o indiretto al regime militare responsabile del colpo di Stato.”
C’è un database delle Nazioni Unite, Comtrade (link) che testimonia il fatto che l’Italia è passata dal 3% di importazioni nel 2016 ad oltre il 10% nel 2019. Ma c’è di più.
L’EIA, Environmental Investigation Agency, è una ONG britannica che si occupa di denunciare i crimini ambientali. Ha pubblicato un rapporto, secondo il quale, tra gennaio 2018 e ottobre 2020, l’Italia ha importato circa 12 mila tonnellate di legno per un valore di 60 milioni di euro. Il ministero per le politiche agricole e forestali ha emesso una comunicazione ufficiale agli operatori del settore, sottolineando la scarsa possibilità di distinguere la provenienza del legname e quindi invitando a prestare la massima attenzione alle importazioni. Concludeva, la nota, che gli operatori avrebbero fatto meglio a smetterla di immettere teak sul mercato.
Ma, nonostante questo e nonostante le chiare indicazioni arrivate dall’Europa, l’Italia ha continuato ad importare teak per tutto il 2021: circa 2 mila tonnellate.
Ma, soprattutto ai ricchi, il teak serve, per lastricare di sottilissime doghe le loro imbarcazioni da milioni di dollari, o per avere splendidi pavimenti e mobili nelle loro ville di lusso. A noi basta anche un legno meno prezioso, ma soprattutto ottenuto in modo sostenibile.
A proposito di legno pregiato, in particolare di palissandro, una situazione non molto dissimile da quella cambogiana si trova in Africa, dove esistono foreste di questo pregiatissimo albero. Palissandro è il nome che noi usiamo in generale. In Zambia c’è il mukula (Pterocarpus tinctorius), mentre in Africa Occidentale il kosso (Pterocarpus erinaceous). Quello che li accomuna è il fatto di essere ormai in via di estinzione. Il motivo è da ricercarsi nella fame di questo legno da parte di molti stati, ma soprattutto della Cina. Dal 2010 ad oggi il volume d’affari legato all’esportazione di palissandro dall’Africa è passato da un valore praticamente nullo a 1 miliardo di dollari l’anno. Assieme al land grabbing ha provocato l’abbattimento di 4 milioni di ettari di foreste all’anno.
Il Gambia aveva dichiarato il kosso in pericolo di estinzione già dieci anni fa e aveva approntato leggi di tutela, ma, a giudicare dai dati del rapporto EIA, Cashing in on chaos, (link) non è servito a molto e la vendita è continuata imperterrita.
Il traffico è prevalentemente illegale, organizzato da leader di comunità locali, da commercianti di legname e da uomini d’affari stranieri. Lo stesso è avvenuto in Ghana, che ha vietato dal 2019 l’estrazione di palissandro, ma i risultati sono gli stessi del Gambia. Pochi paesi africani in cui sono presenti foreste si salvano. Secondo i reporter del Museba Project, (link) il commercio comincia da agricoltori e pastori, per assicurarsi lauti guadagni extra. Le cose funzionano, qui come in Cambogia, nello stesso modo. Dal Camerun, dove la maggior parte degli alberi vengono tagliati, partono i trasportatori verso la Nigeria, che è il più grande esportatore di palissandro africano. Poi, a forza di tagliare, anche le foreste non sono più in grado di supportare la richiesta del mercato. Negli ultimi anni i bracconieri degli alberi si sono trasferiti nelle regioni più a Nord del Camerun, dove li attendono 22 milioni di ettari di foresta tropicale.
Dove finisce questa enorme quantità di legno pregiato? Secondo World Wildlife Crime Report delle Nazioni Unite, (link) l’80% del legno finisce in Cina. Un quinto di questo è rappresentato dal palissandro. É forse inutile sottolineare, ancora una volta, che tutto questo non può avvenire senza la copertura di amministratori e controllori, ad ogni livello.
Tutto questo riguarda soltanto il legname tagliato e commerciato in modo illegale nel mondo, ma le cause della deforestazione certo non si fermano qui e servirebbe un altro video per fornire, almeno qualche esempio.
La deforestazione amazzonica, ad esempio, legata principalmente alla filiera della carne (pascoli, allevamenti intensivi, produzione di mangimi) non è sempre legale, ammesso di considerare legale il commercio durante la presidenza Bolsonaro.
In Costa d’Avorio quasi metà della foresta umida tropicale indisturbata del Paese ha lasciato il posto alla coltivazione di cacao.
Nel Borneo vaste aree di foresta tropicale sono state destinate alla coltivazione di palme da olio e poi c’è la soia, la carta, mentre ad Haiti sono andate perdute metà delle foreste presenti per produrre generi alimentari e per pascolare i bovini, ma anche e forse soprattutto perché il legno costituisce l’80% del combustibile da utilizzare per scaldarsi, cucinare, vivere. E, naturalmente si potrebbe continuare con questo elenco, perché ogni paese in cui gli alberi sono tanti – o meglio – sono STATI tanti, vede avanzare motoseghe e ruspe.
Insomma il discorso sulla deforestazione è quanto mai ampio e ricchissimo di sfaccettature. Rimane il rimpianto di vedere gli amici alberi fare, per un motivo o per l’altro, sempre una brutta fine.