pasoliniIl due novembre è il giorno dei morti.
2 novembre 1975, ore 6,30: la signora Maria Teresa Lollobrigida arriva da Roma all’Idroscalo di Ostia. É un quartiere periferico, povero, dove il Tevere si butta in mare. Si avvia verso la sua casa, ai margini di un piazzale in terra battuta, quando vede per terra un “mucchio di stracci”. Si avvicina per buttarli, ma si trova davanti ad un corpo umano, un cadavere, il cadavere di Pier Paolo Pasolini.
2 novembre ore 6,30: il giornale radio dà la notizia: “Hanno ammazzato il poeta Pasolini”. Una velocità impressionante. Nessuno, tranne Maria Teresa, sa ancora niente, anche se di cose ne sono già successe un bel po’.
Prima di continuare, un avviso importante a chi guarda questo video. Non fidatevi di quello che sentirete. Non perché vi si voglia imbrogliare, ma perché ci sono molte notizie date per vere, che diventeranno false, in una catena di conferme e smentite che, forse, avrà soluzione solo alla fine.
É una brutta storia che va molto al di là di quello che ognuno può pensare di Pier Paolo Pasolini, il poeta, lo scrittore, il regista di film spesso poco comprensibili ai più, pieni zeppi di provocazioni, che un’Italia bigotta, etichetta semplicemente come pornografici. Lui poi è dichiaratamente omosessuale, il che amplifica e di molto, visto il periodo, la repulsione che molti provano per lui e le sue opere. In più è comunista. All’epoca i termini fascista e comunista hanno ancora un significato di appartenenza, un significato politico ben preciso.
Una brutta storia, dicevamo, perché l’assassinio di Pasolini avviene in modo assurdo e strano e ci lascia con le solite tre domande alle quali rispondere: Come? Chi? Perché?
Proprio in quest’ordine, che è anche l’ordine delle incertezze, dei dubbi che crescono: sappiamo abbastanza bene il “come”, ci sono pochi indizi sul “chi”, mentre sul “perché” si brancola ancora oggi nel buio. Certo, ognuno di noi si è fatto un’idea, ma le idee senza le prove sono solo aria fritta e niente più.
La letteratura sul caso è praticamente infinita: stiamo parlando di uno degli intellettuali più conosciuti del secolo scorso. Migliaia di articoli, decine e decine di libri, una quantità enorme di documentari, qualche film. Quelli che abbiamo usato sono tra le fonti, molte fonti, perché su questa brutta storia c’è un sacco da raccontare.
E allora, cominciamo!

I ragazzi di vita

Alla stazione Termini c’è un gruppo di ragazzi, quando arriva un’auto. É un’Alfa GT2000 metallizzata. Scende un uomo, si avvicina ai ragazzi e chiede se qualcuno vuol fare un giro. L’intento è chiarissimo, del resto quelli sono proprio i “ragazzi di vita”, senza un soldo e disponibili a qualche marchetta. Giuseppe ci pensa e accetta, ma prima vuole andare a mangiare. É tardi, sono le undici passate e a quell’ora trovare una trattoria aperta non è semplice. Ma quell’uomo non è uno qualsiasi, è uno famoso, un regista, un poeta, è Pier Paolo Pasolini. Arriva al “Biondo Tevere” dove è solito cenare con gli amici. Lo conoscono bene, e, per uno come lui, la cucina si può riaprire. Giuseppe mangia una pasta e un petto di pollo e poi i due ripartono. Vanno ad Ostia, all’Idroscalo. É un terreno con un campetto da calcio, circondato da case abusive, poco più che baracche.
Qui il nostro racconto si interrompe perché ci mancano degli elementi per proseguire.

Pino Pelosi e l'Alfa Gt2000

All’una e mezza una pattuglia dei carabinieri vede arrivare una Alfa GT2000 che viaggia ad alta velocità contromano. La inseguono e al secondo tentativo riescono a bloccarla. C’è un ragazzo a bordo, diciassette anni. Si chiama Giuseppe Pelosi, detto Pino, soprannominato Pino la rana. É lo stesso che ha cenato con Pasolini. É minorenne, non può guidare neanche nel senso giusto di percorrenza. Sul sedile posteriore dell’auto c’è un maglione verde, sul portaoggetti un pacchetto di sigarette e un accendino, per terra un plantare. Il militare apre il libretto e legge il nome del proprietario: Pasolini Pier Paolo.
Pino viene fermato. I carabinieri si recano a casa del poeta, dove con lui abitano sua cugina Graziella e la mamma Susanna. “Hanno rubato l’auto di Pasolini” – dicono alla cugina - e vogliono parlare con lui. Ma lui non c’è, la sua camera non è stata usata.
Alle 6,30 arriva la telefonata del ritrovamento di un cadavere all’Idroscalo di Ostia. La polizia vi trova Pier Paolo Pasolini, morto, ammazzato a botte, con una violenza bestiale.
A questo punto il racconto si dirama in vari filoni. C’è il comportamento della polizia sul luogo del delitto, c’è l’esame del medico legale, professor Faustino Durante e c’è la confessione di Pino Pelosi.

I dubbi

Oriana Fallaci pubblica un articolo in cui sostiene di sapere che quella notte c’erano più persone attorno a Pasolini e che gli abitanti dell’Idroscalo lo sapevano perfettamente. Si rifiuta di citare la fonte e per questo viene condannata a 4 mesi, poi amnistiati. L’ordine dei giornalisti si guarda bene dal difenderla.
Il 21 novembre, L’Europeo pubblica un articolo di Giancarlo Mazzini, intitolato: “I sei errori della polizia”, nel quale elenca tutto quello che non è andato bene nella tutela del “luogo del delitto”. Quando la polizia arriva, c’è una folla attorno al cadavere, il che fa confondere le tracce e rende impossibile capire quante persone c’erano quella notte attorno a Pasolini. Nessuno si sogna di mandare via quella gente o di recintare l’area. Anzi nel campetto a fianco una ventina di ragazzini gioca a pallone, che viene rimandato dagli stessi agenti quando esce dal rettangolo di gioco. A nessuno sembra importare nulla. I soli reperti che si trovano sono un bastone bagnato e sporco di sangue e capelli e una camicia a righe intrisa di sangue, come se fosse stata usata per tamponare le ferite. Se l’è tolta Pasolini: non è strappata, è stata sbottonata. Nient’altro viene raccolto. Non si rilevano i calchi delle gomme di auto o moto che fossero passate di là quella notte. Non vengono disposti su un foglio le posizioni dei reperti e del corpo. Pino Pelosi dichiara di aver perduto un anello la sera prima. Lo ha trovato un maresciallo della polizia di Ostia e se l’è messo in tasca. Dove l’ha trovato? Lui non lo ricorda. Nel frattempo, l’auto di Pasolini viene portata in un garage, sotto una tettoia, all’aperto. Chiunque potrebbe entrare e inquinare le prove. La scientifica arriva a Ostia solo lunedì 3, quando tracce e impronte sono diventate impossibili da identificare. Si cercano le tracce dell’auto di Pasolini, dell’Alfa GT2000, che avrebbe “sormontato” il corpo del poeta. La strada è piena di buche profonde: nel tragitto la coppa dell’olio si sarebbe per lo meno strisciata o addirittura rotta. Quella di Pasolini è perfetta.
Questo fatto è stato tenuto in conto? Sembra di no. Gli interrogatori dei testimoni, gli abitanti del quartiere e gli amici di Pino, cominciano giovedì, quattro giorni dopo il delitto. Perché così tardi? Il caso era stato archiviato in fretta e furia? Con che formula? Questo scrive Mazzini sull’Europeo, facendo scoppiare un sacco di dubbi su quello che Pelosi stava dicendo ai magistrati.

La confessione di Pino

La confessione di Pino la rana è un intricato racconto giallo, con un linguaggio poco usuale in ragazzi di quel tipo, con pochi anni di elementari alle spalle e l’abitudine ad esprimersi “in un certo modo”. Sembra, insomma, costruita ad hoc.
Proviamo a riassumere la lunga deposizione.
Pasolini e Pelosi arrivano all’Idroscalo. Dopo un approccio sessuale orale, Pasolini scende dall’auto, lasciandovi gli occhiali, che portava sempre. Pino lo segue. Pasolini lo prende alle spalle, volendo un rapporto completo. Pino dice che lui era d’accordo che non avrebbe “fatto la donna”. Pasolini lo stuzzica con un bastone toccandogli il sedere. Quando Pino si nega, il poeta si scatena, lo aggredisce a pugni e bastonate, così il giovane è costretto a reagire. E usa quel bastone per picchiarlo sulla testa. Poi, perduto il bastone, trova una tavoletta e continua con quella. Racconta di un calcio nei genitali, poi scappa con l’auto di Pasolini e, forse, inavvertitamente gli passa sul corpo.
Nella lunga confessione, Pelosi non risparmia i particolari, come la grande quantità di sangue che esce copioso dal capo di Pasolini. Lui, però, è pulito, ha solo qualche piccola macchiolina di sangue sui vestiti. Se le cose fossero andate come racconta dovrebbe essere pieno di sangue anche lui.

La perizia del medico legale

Il rapporto del medico legale, riportato dall’ANSA e ribadita al processo di primo grado contro Pino Pelosi, è scioccante. Il professor Durante è di una chiarezza assoluta. Il cadavere stava bocconi, le braccia sanguinanti, la fronte lacerata, la faccia deformata, gonfia e nera di lividi, di ferite. Le dita della mano destra fratturate e tagliate, la mascella sinistra fratturata, le orecchie tagliate, quella sinistra strappata via, ferite ovunque sul corpo, un’orribile lacerazione tra collo e nuca, dieci costole fratturate, come pure lo sterno. Sono ferite incompatibili con il bastone fradicio e la tavoletta, ma non sono mortali. Pasolini viene ucciso passandogli sopra con un’auto più volte, con conseguente “scoppio del cuore”. Una mattanza, con una ferocia inumana. Poteva mai il ragazzino avere la forza di fare tutto questo contro un uomo in perfetta forma fisica?
La storia di Pelosi non regge neanche un po’. Dice che c’era solo lui con Pasolini quella notte. Dice anche di essersi lavato le mani ad una fontana, prima di essere arrestato. Ma il volante, che pure ha usato, è perfettamente pulito. Ci sono macchie di sangue sul tettuccio dell’Alfa, ma sono dalla parte del passeggero. Se le ha lasciate lui, qualcun altro guidava, o viceversa. Sembra chiarissimo: il racconto di Pino la rana è un cumulo di bugie. Appare evidente a tutti. Ma lui confessa, lo fa vantandosi con il primo compagno di cella, lo fa in tribunale. Il suo avvocato è un famoso fascista, Rocco Mangia, suggerito ai genitori di Pino da un cronista del “Tempo”, il massone Franco Salomone. La strategia è di confessare tutto, accusarsi del delitto, confidando nella “immaturità” dell’imputato. Se questa venisse confermata, Pelosi se la caverebbe con poco o niente. Ma le cose vanno diversamente. Così, Mangia si affida ad una vecchia conoscenza, Aldo Semerari, specializzato in false perizie psichiatriche, che troveremo al soldo della banda della Magliana, con idee naziste e finito male per un doppio gioco tra le famiglie della camorra.
La testimonianza di Faustino Durante è un macigno e mette a nudo tutte le bugie della confessione di Pelosi. Per lui sulla scena del delitto quella notte Pelosi non era da solo.

Conclusione del processo di primo grado

All’inizio dell’arringa finale, l’avvocato della parte civile, annuncia che i familiari si ritirano da qualsiasi futuro procedimento, perché non esiste condanna o risarcimento che possa compensare la morte di Pier Paolo Pasolini. Il 26 aprile 1976 viene letta la sentenza. Pelosi non è affatto immaturo e viene condannato, vista la minore età e le attenuanti, a nove anni e sette mesi di carcere. Quanto all’essere solo, il tribunale aggiunge: «il collegio ritiene che dagli atti emerga in modo imponente la prova che quella notte all’Idroscalo il Pelosi non era solo». Ma resta una frase e niente più. La sentenza parla di “omicidio in concorso con ignoti”.
Una delle tante stranezze di questo caso è il fatto che la procura impugni proprio questa conclusione. Perché? Il suo compito è di indagare. Non si vuole sapere chi c’è dietro? Se c’entrano i fascisti, i servizi segreti, politici corrotti, o altri poteri ancora? L’effetto è quello di impedire ogni altra inchiesta sul caso. Alcuni investigatori che insistono nella ricerca, vengono promossi e destinati ad altro incarico. Strano, no?
All’appello e in cassazione la condanna viene confermata, ma si stabilisce che Pelosi era da solo, la presenza di ignoti viene definita “improbabile”. Come dire che si è trattato semplicemente di una squallida storia tra omosessuali. Questa è la verità, quella che esce dai dibattiti nelle aule di tribunale, quella che siamo costretti ad accettare come unica certificata. Eppure, in quei primi giorni di novembre, i cronisti che cercano di ricostruire la vicenda per la televisione, parlano sempre al plurale: “Lo hanno massacrato”, “Lo hanno schiacciato con la macchina”.
Alla fine, come troppo spesso accade, quella verità diventa assoluta e le versioni alternative scivolano via, senza scavare solchi, anzi quelli che insistono, e ce ne sono, finiscono per essere commiserati. La gente ci crede, la stampa, e non solo quella di destra, ci crede. Chi non si adegua diventa un complottista, un dietrologo, uno che insegue i fantasmi. É quello che, nel libro “Frocio e basta”, del 2016, gli autori, C. Benedetti, G. Giovannetti, chiamano un “dogma”!

Nuove indagini e riaperture

Sergio Citti, regista, consulente di Pasolini, suo amico e sceneggiatore, segue una pista. Il giorno della scoperta del cadavere, il giornalista Furio Colombo del quotidiano “La Stampa”, raccoglie lo sfogo di un abitante dell’Idroscalo, Ennio Salvitti, che dice: «Lo scriva che è tutto ’no schifo, che erano in tanti, lo hanno massacrato quel poveraccio. Pe’ mezz’ora ha gridato mamma, mamma, mamma! Erano in quattro o cinque...». Ma poi queste parole rimangono solo una confidenza ad un giornalista, niente più. Citti si ricorda bene di quell’episodio, individua l’uomo e lo trova. Vuole che dica tutto quello che sa. E ci riesce anche, ma l’uomo non ha alcuna intenzione di vuotare il sacco davanti ad un magistrato. Siamo alla fine degli anni ’70. Il messaggio che Salvitti affida a David Grieco, amico di Sergio e di Pasolini, è chiarissimo. E lui lo riporta nel suo libro “La macchinazione”. Se il tuo amico non la smette – dice - gli taglio la gola. Non posso farmi ammazzare per la vostra bella faccia. Chi mette tanta paura a quell’uomo? Lui sa, dunque chi c’è dietro il delitto, chi sono gli altri assassini, i veri assassini di Pier Paolo Pasolini?
Ci sono varie, numerose riaperture del caso, tutte in circostanze legate a nuove scoperte di documenti o a dichiarazioni di soggetti coinvolti, in un modo o nell’altro, nella vicenda.
Si comincia nel 1987, su istanza dell’avvocato Marazzita, in relazione all’eventuale coinvolgimento di Johnny lo zingaro, un delinquente che ne combina di tutti i colori, fino all’ergastolo nel 1989. É strano che il soggetto, il cui vero nome è Giuseppe Mastini, sparisca d’un tratto non si sa se perché diventato collaboratore di giustizia o perché rintanato in qualche carcere della repubblica. Ma tutto ha luogo il 2 novembre del 1975. Ricorderete la cena, offerta a Pelosi da Pasolini, alla trattoria “Biondo Tevere”. La polizia si presenta e porta in questura il proprietario del locale, Vincenzo Panzironi. Gli viene chiesto una descrizione del ragazzo. L’oste non ha dubbi, è successo solo poche ore prima. Era alto un metro e settanta, forse più, - dice - biondo coi capelli lunghi fin sulle spalle. Gli viene mostrata una foto segnaletica. “É proprio lui”, dice. Ma Pelosi è moro e riccioluto e fino a quel momento foto segnaletiche sue non ce ne sono. Verranno fatte il giorno dopo a Regina Coeli. Quando poi Panzironi testimonia al processo di primo grado, viene accolto da un fuoco di fila di “non ti ricordi di me? Mi hai fatto la pasta aglio olio e peperoncino …” che lo confonde e alla fine ammette che, sì, il ragazzo di quella sera è proprio lui, Pino Pelosi. Dei capelli lunghi e biondi si perde ogni traccia. Che ruolo ha avuto Johnny nella vicenda non lo sappiamo.
Sappiamo invece che il famoso anello d’oro con pietra rossa, con la scritta “United State Army”, che Pelosi rivendica quando viene arrestato, non è suo, ma di Johnny. Quell’anello si trovava vicino al corpo di Pasolini all’Idroscalo. Johnny ha cominciato da piccolo a delinquere: a 11 anni ha uno scontro a fuoco con la polizia, viene ferito e da allora deve portare un plantare, proprio come quello trovato nell’Alfa di Pasolini.
Un caso?
Nel 1995 esce il film di Marco Tullio Giordana “Pasolini “­– Un delitto italiano”, che analizza tutti gli indizi e conclude che quella notte all’idroscalo, Pelosi non poteva proprio essere solo. La magistratura torna ad indagare.
<h4>Le nuove verità</h4>
Ma il più clamoroso colpo di scena avviene nel 2005. A RAI3 c’è una trasmissione che si occupa di misteri, casi giudiziari irrisolti. Si chiama “Ombre sul giallo”. Quando mancano pochi minuti alla fine della puntata, con un coup de theatre, entra in scena Pino Pelosi e racconta la sua verità. Ma non è quella del processo, è diversa, molto diversa. Lui e il poeta sono stati aggrediti da un gruppo di persone, le quali poi massacrano Pasolini, gridandogli insulti («Arruso, fetuso, sporco comunista»), e impongono a lui il silenzio sotto minaccia («Fatti i cazzi tuoi, sennò uccidiamo pure te e tutta la tua famiglia»). Ora che i genitori sono morti, Pelosi si è deciso a dire la verità.
In quel servizio gli italiani possono vedere il corpo di Pasolini all’obitorio. Il suo viso ha un colore strano, è grigio, ma non quel grigio dovuto alle botte, sembra coperto di petrolio, o di un olio vecchio, usato. Come se la macchina che l’ha investito avesse perso l’olio dalla coppa … certo non quella sua, che Pelosi si ostina a sostenere di aver guidato passando per errore sul corpo del poeta, che si trovava in direzione opposta alla via di fuga.
Insomma, anche questa versione fa acqua da tutte le parti. Il caso comunque viene riaperto e subito chiuso quando si scopre che Pelosi si fa pagare le interviste. Le nuove rivelazioni sono dunque solo un modo per racimolare dei soldi.
Non finisce qui. Nel settembre 2011 esce un libro a firma Pelosi: “Io so … come hanno ucciso Pasolini”. La prima parte del titolo è un richiamo ad un famoso articolo di Pier Paolo, di cui parleremo tra poco. É pieno delle stesse bugie del 2005, ma ci sono alcune novità. La prima che all’Idroscalo quella notte c’erano altre due automobili, una FIAT e un’Alfa uguale a quella di Pasolini. La seconda che individua, tra i presenti e quindi tra i colpevoli, i due fratelli catanesi Borsellino, che però, nel frattempo, sono morti. Ed infine che la sua frequentazione di Pasolini non era casuale, quella sera. Si conoscevano e frequentavano da mesi. Lo aveva conosciuto facendo il garzone del panificio di suo padre nel quartiere dove il poeta abitava. L’ultima intervista di Pelosi è una dichiarazione rilasciata al PM Francesco Minnisci, il primo dicembre 2014. Le persone presenti diventano sei, le auto 3 e c’è anche una moto Gilera. Oltre ai Borsellino, gli altri lui non li conosce. Si è trattato di un agguato, dice Pelosi, perché Pasolini è arrivato là per recuperare le bobine del film Salò, che erano state rubate tempo prima. Torneremo su questo punto. A ucciderlo è stata la GT2000 identica a quella di Pasolini. Insomma era tutto programmato nei minimi particolari.
Tra i fatti strani c’è anche la morte di Olimpio Marocchi, in un incidente stradale nel 2010. Lui era un amico di Pelosi e aveva contattato il Messaggero, raccontando di quella notte. Lui viveva nelle baracche dell’Idroscalo, era un bambino, ma ricorda bene la scena. Tutti sapevano cos’era successo. La signora Lollobrigida non arriva da Roma quella mattina; aveva dormito là, nella sua casa. Tutti avevano sentito le urla di Pasolini, proprio come il testimone aveva raccontato a Furio Colombo.
Pelosi muore nel 2017, portandosi via la verità che lui solo conosceva, ammesso che davvero fosse presente all’Idroscalo quella notte.

Petrolio

In quel periodo Pasolini sta lavorando a due progetti importanti: il film Salò e un romanzo molto particolare. Già il titolo è curioso: “Petrolio”. Lo è la sua lunghezza, 600 pagine circa scritte fino a quel 2 novembre; lo è la forma, apparentemente senza né capo né coda. Il dattiloscritto infatti è un insieme di capitoli (che Pasolini chiama Appunti), di disegni, di note che rimandano da qui a qui, di suggerimenti su dove inserire il tal foglio e così via. Viene pubblicato nel 1992 da Einaudi, ma delle edizioni parleremo tra poco. Ci sono due personaggi importanti: Carlo, dal doppio volto e Troya, che raffigurano rispettivamente Enrico Mattei ed Eugenio Cefis. Petrolio racconta, tra l’altro, la storia dell’ENI e la morte del suo primo presidente. ENI è il simbolo del potere, Carlo l’uomo più potente d’Italia in quel periodo. Esattamente come in Salò, molte sono le “scene” di sesso crudo e inaccettabile per la borghese cultura italiana degli anni ’70. Così la critica dimentica il senso politico del testo per tacciarlo di “sottopornografia” … il termine è di Edoardo Sanguineti, critico comunista, il che la dice lunga sul fatto che non era solo la destra a pensare che Pasolini fosse ammalato, fuori di testa, deragliato mentale. Insomma che non fosse più in grado di essere lucido, con la mente invasa da scene di sesso violento e omosessuale. A parte il fatto che Pasolini aveva cominciato a scrivere Petrolio nel 1960, il periodo in cui lavora a Salò è lo stesso in cui scrive gli articoli per il Corriere della Sera, articoli poi raccolti in “Scritti corsari”, dove mostra una lucidità disarmante e una lungimiranza impressionante nel valutare la situazione politica del paese.
Facciamo un piccolo salto indietro fino al 1972, quando una casa editrice sconosciuta di Milano pubblica un libro di un autore dal nome falso (e ancora oggi di incerta attribuzione, forse pseudonimo di Corrado Ragozzini). L’autore si firma Giorgio Steinmetz, il titolo è “Questo è Cefis, l‘altra faccia dell’onorato presidente.”  
Vi si trovano prove documentate su reati commessi da Cefis sia quando era presidente di ENI che di Montedison. Viene dipinto come l’uomo dietro la tenda, quello che manovra ogni cosa, avvalendosi di agganci e coperture della politica (avete pensato anche voi a Fanfani?), con un inestricabile groviglio di società intestate ad amici e parenti. Gestisce aziende fondamentali per il paese, come se fossero cosa sua. L’accusa di aver organizzato l’assassinio di Mattei è riportata senza troppi giri di parole. Un libro pericoloso, e infatti bastano 48 ore dopo la pubblicazione, per renderlo introvabile, semplicemente sparito dalla circolazione.
Una coincidenza?
Il libro verrà finalmente ripubblicato da Effigie nel 2010.
E Pasolini? Cosa c’entra Pasolini con tutto questo? Il fatto è che lui di quel libro possiede una copia, non una copia stampata, una fotocopia, avuta, nel 1974, dallo psichiatra milanese Elvio Facchinelli, assieme ad alcune conferenze tenute da Cefis, sulle quali torneremo presto. In “Petrolio” ci sono brani interi del libro di Steinmetz, riportati integralmente.
Ecco, per questo sì, si poteva uccidere. Ne sa qualcosa la famiglia di Mauro De Mauro, come abbiamo già raccontato qui. E, anche in quel caso, i documenti sulla vicenda Mattei/Cefis spariscono assieme al giornalista de “L’Ora”. Accusare Petrolio di scarsa lucidità è semplicemente una bugia; si tratta di un libro sul potere, ma questa volta riguarda chi nelle stanze dei bottoni decide il da farsi. E nelle stanze dei bottoni c’è il presidente di ENI, c’è l’accusa di essere il mandante dell’assassinio di Enrico Mattei, avvenuto nel 1962, ma spiegato dal pubblico ministero Vincenzo Calìa solo 30 anni più tardi. C’è un elemento straordinario di premonizione in “Petrolio” e cioè il fatto che il potere venga identificato con chi controlla gli idrocarburi. Se lo scrivesse oggi, Pasolini, avrebbe molti elementi in più, tra multinazionali, accordi sottobanco, coinvolgimento di banche e poteri politici, devastazione e inquinamento.
Di “Petrolio”, ad oggi, sono state pubblicate quattro edizioni. Nelle prime tre (Einaudi 1992, Mondadori, 1998 e Rizzoli 2015) manca qualcosa. C’è un capitolo che manca, l’Appunto 21, intitolato “Lampi su ENI”. Nel dattiloscritto originale, ci sono riferimenti espliciti a questa parte, addirittura c’è l’indicazione precisa di dove va inserita, ma non si trova, non si è mai trovata. Forse non è mai stata scritta o forse è stata rubata. Le due ipotesi non hanno alcun sostegno probatorio, quindi semplicemente non lo sappiamo. Ma mancano anche altre pagine, quelle di alcuni discorsi di Cefis, che pure sono presenti nell’originale, conservato al Gabinetto Vieusseux a Firenze. Pasolini non solo li inserisce, ma scrive: “Inserire i discorsi di Cefis: i quali servono a dividere in due parti il romanzo in modo perfettamente simmetrico e esplicito.” Li troviamo nel libro già citato “Frocio e basta” del 2016 e li troviamo, finalmente, nell’ultima edizione di Petrolio, edita da Garzanti nel 2022.
Cefis, è, nel romanzo, il simbolo di quella trasformazione del potere da clerico-fascista (parole di Pasolini) ad un potere nuovo, multinazionale, economico, mafioso. E uno di quei discorsi di Cefis si intitola appunto “La mia patria si chiama multinazionale”. É un punto politicamente importante per Pasolini, perché capisce che la sinistra non si rende conto di cosa sta succedendo.
C’è un’altra stranezza (ormai sono così tante da non contarle più) in tutto questo. Perché aspettare 17 anni a pubblicare un’opera fondamentale come “Petrolio”? Forse gli eredi avevano paura a farlo? Paura di chi?
Sull’appunto 21 c’è da segnalare anche la storia di Marcello Dell’Utri, che, nel 2010, si inventa il ritrovamento di quel capitolo, salvo poi essere sbugiardato, come per altre panzane, raccontate dal fondatore di Forza Italia. É questa improvvida uscita a spingere l’avvocato Stefano Maccioni e la criminologa Simona Ruffini a chiedere la riapertura delle indagini. Escono anche due libri, il primo nel 2011 (Nessuna pietà per Pasolini), il secondo nel 2022, con la collaborazione del giornalista Gianni D’Elia (“Pasolini il caso mai chiuso”).

Eccola di nuovo: la banda della Magliana

Per concludere sulle richieste di riapertura delle indagini, l’ultima in ordine di tempo è recentissima, del marzo 2023. La chiede, ancora una volta, l’avvocato Maccioni, per conto di David Grieco, che abbiamo già conosciuto come carissimo amico di Pier Paolo Pasolini. La richiesta è di allargare la ricerca dei DNA registrati nel 2010 dai RIS e trovati sui reperti, confrontandoli con uno spettro più ampio dei trenta di allora. A giustificare la richiesta c’è la testimonianza di Maurizio Abbatino, er Crispino, uno dei boss della banda della Magliana. Cosa c’entra adesso la banda della Magliana? Va detto che, nel 1974/75, la delinquenza romana che si riconosceva in Giuseppucci e soci, ancora non si chiamava così, ma i personaggi erano gli stessi che due anni più tardi avrebbero cominciato a terrorizzare Roma, in combutta con camorra, mafia, servizi segreti, massoneria deviata, politici corrotti.
Dunque nell’agosto del 1975 alla Technicolor di Roma avviene un furto. Vengono rubate una settantina di bobine di tre film: Decameron di Fellini, Un genio, due compari, un pollo di Damiano Damiani e Salò di Pasolini. Nove di Fellini e 15 di Pasolini. Per Fellini è un disastro, perché il film è già uscito in Francia con materiale non di primordine, per Pasolini un guaio, soprattutto perché dovrà ricorrere ad alcune scene di ripiego. Ma gli manca la scena finale, a quella ci tiene proprio tanto. É il ballo collettivo al quale partecipa anche lui. La futura banda della Magliana si riunisce nella bisca di Franco Conte, che aveva commissionato il furto delle bobine. Pasolini si reca da lui e gli viene dato un appuntamento, la sera del primo novembre all’Idroscalo di Ostia. Le restituiranno gratuitamente quelle bobine, ma forse è meglio – gli dicono – che porti un pensiero, per il disturbo. Sotto il tappetino della GT2000 si troveranno due milioni di lire.
Questo racconta Maurizio Abbatino e questo conferma Gian Luigi Rondi, al quale Pasolini si era rivolto raccontando tutta la storia, per avere un consiglio. Dunque, siccome le bobine all’Idroscalo non c’erano, la conclusione è evidente.
Prima di avviarci a terminare questa storia, c’è un’altra testimonianza da proporre alla vostra attenzione.

Misha Bessendrof

Il 20 marzo 2016, il giornalista Paolo Brogi del Corriere della Sera, si reca a New York. Ha un appuntamento importante, che sconvolge tutte le versioni ufficiali sul delitto Pasolini. Il suo interlocutore è un ebreo russo, docente di matematica in una piccola università privata della Grande Mela: si chiama Misha Bessendorf. Il 2 Novembre 1975 abita a Ostia, assieme ad altri russi, fuggiti dall’Unione Sovietica, in una palazzina che dista non più di cento metri dall’idroscalo. Quella sera, molto tardi, dopo mezzanotte, sente schiamazzi e grida. Si affaccia alla finestra e nota, attorno ad un uomo a terra, alcune persone. Incuriosito, scende per capire cos’è successo. La scena la conosciamo: il cadavere è quello di Pasolini, ma gli altri, chi sono? Tre o quattro individui sui trent’anni, dice Misha. La parte sconvolgente, pubblicata da Brogi sul suo sito,  (https://www.brogi.info/2014/08/delitto-pasolini-perche-lebreo-russo-misha-bessendorf-unico-testimone-oculare-dellomicidio-non-e-stato-ancora-sentito-dalla-magistratura.html ) è quando Misha racconta: “Allora sono  corso giù per le scale e nel giro di  pochi minuti il posto era pieno di gente della zona e di carabinieri. Uno dei carabinieri mi ha preso il nome e ha trascritto quanto avevo visto. E poi? Non sono stato più sentito da quel carabiniere una seconda volta”. Nessuno si occupa più del caso, fino all’intervista di Brogi. Perché?
Questa storia è piena zeppa di informazioni, che non sappiamo se siano vere o inventate. Ma, supponiamo, per un attimo, che il racconto di Misha sia vero. Che conclusioni possiamo trarne? e quali ulteriori dubbi crea?
Anzitutto il fatto che la signora Lollobrigida non svela un omicidio alle 6,30 del mattino, perché tutto il quartiere dell’Idroscalo lo sa molto prima. Poi è curioso che i carabinieri avvertano la cugina di Pasolini del furto dell’automobile. Non era stato dato l’allarme dell’omicidio da parte dei carabinieri presenti a Ostia in quelle ore di “notte fonda”? Come mai la notizia al giornale radio viene data alle 6,30 del mattino, se Maria Teresa Lollobrigida denuncia il fatto proprio a quell’ora?

Io so ...

Ora dovremmo tirare le somme, ma questa volta non ce ne sono. Non abbiamo le prove di quello che tutti pensiamo sia successo quella notte. Però vogliamo concludere ricordando uno degli articoli scritti da Pasolini sul Corriere il 14 novembre 1974. Si intitola “Cos’è questo golpe? Io so”.
[https://www.corriere.it/speciali/pasolini/ioso.html].
Andrebbe letto tutto, con calma, riflettendo e cercando di capire. É un’accusa spietata, nella quale dice di sapere chi c’è dietro le bombe, i tentativi di golpe, le ingiustizie sociali e il degrado del paese.
Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli.
Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.

Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace [… ]”
Ma – si chiede Pasolini - tocca all’intellettuale questo compito, quello di smascherare i cattivi? O tocca ai politici dell’opposizione che sicuramente hanno prove e indizi? Perché non lo fanno? Alla fine i nomi usciranno – conclude – da uomini che hanno condiviso il potere. Ed è proprio quello che succede nel 2000, quando il generale Gianadelio Maletti rilascia un’intervista a Repubblica dal Sudafrica, dove è rifugiato da vent’anni.
«La Cia voleva creare» spiega Maletti, «attraverso la rinascita di un nazionalismo esasperato e con il contributo dell’estrema destra, Ordine Nuovo in particolare, l’arresto di questo scivolamento verso sinistra. Questo è il presupposto di base della strategia della tensione. [...]
Pasolini non le manda a dire, non ha paura, accusa apertamente anche la politica. Ecco una parte della lettera che manda ad Antonio Ghirelli, direttore de “Il Mondo” nel 1975:
“Andreotti, Fanfani, Rumor, e almeno una dozzina di altri potenti democristiani, dovrebbero essere trascinati sul banco degli imputati. E quivi accusati di una quantità sterminata di reati: indegnità, disprezzo per i cittadini, manipolazione del denaro pubblico, intrallazzo con i petrolieri, con gli industriali, con i banchieri, collaborazione con la Cia, uso illegale di enti come il Sid, responsabilità nelle stragi di Milano, Brescia e Bologna (7) […] Senza un simile processo penale, è inutile sperare che ci sia qualcosa da fare per il nostro paese.”
Già … “Io so, ma non ho le prove e nemmeno indizi”. Quando David Grieco gli chiede: ma allora che senso ha, lui risponde: Non le ho, ma le sto cercando.
É sufficiente per ordire un agguato e far tacere una voce così scomoda? Non lo sappiamo. Sappiamo però, con una certezza che diventa sempre più forte mano a mano che entriamo nei meandri di questa brutta storia che, per usare un’espressione di Giancarlo de Cataldo, Pasolini era una figura troppo cruciale nella nostra vita culturale per morire ad opera di un Pino la Rana qualsiasi. -------------------------------------------------------------------------------

Fonti:

Libri:
Pier Paolo Pasolini: Petrolio - Einaudi 1992
Pier Paolo Pasolini: Io so – Garzanti 2019
David Grieco: La macchinazione – Garzanti 2015
Frocio: Frocio e basta – Prospero ed. 2016
Carlo Lucarelli: PPP, Pasolini, un segreto italiano – Rizzoli 2015
Video/film
Marco Tullio Giordana (regista): Pasolini, un delitto italiano, 1995
Carlo Lucarelli (RAI): Blu notte – 2005
I film di Pier Paolo Pasolini
Articoli
Aa. Vv. - La controinchiesta de L’Europeo (L’Europeo 14/11/1975)
http://www.centrostudipierpaolopasolinicasarsa.it/pagine-corsare/la-vita/dibattito/delitto-ppp-i-primi-dubbi-nella-contro-inchiesta-delleuropeo-21-xi-1975/
Oriana Fallaci: Pasolini ucciso da due motociclisti? (L’Europeo 14/11/1975)
http://www.centrostudipierpaolopasolinicasarsa.it/pagine-corsare/la-vita/dibattito/delitto-ppp-sulleuropeo-i-primi-dubbi-di-oriana-fallaci-14-xi-1975/
Giancarlo Mazzini: I sei errori della polizia
http://www.misteriditalia.it/altri-misteri/pasolini/controinchiesta/Mazzini.pdf
Vari articoli sulla stampa e sul web.
Siti web
Centro studi Pasolini Casarsa della Delizia: www.centrostudipierpaolopasolinicasarsa.it
Il primo amore: www.ilprimoamore.it
Giustizia insieme: https://www.giustiziainsieme.it/it/