Oggi parleremo di uno degli aspetti più controversi del rapimento di Aldo Moro nella primavera del 1978, ma prima di arrivarci facciamo il punto della situazione.
Il 1978, come anno intendo, comincia malissimo. Il 1° gennaio un aereo dell’AIR India esplode in volo non lasciando alcuno scampo ai 213 sfortunati che si trovano a bordo.
Il 7 gennaio vengono uccisi due militanti missini (un terzo lo ucciderà poco dopo la polizia durante le manifestazioni di piazza) il che innesca una sorta di faida che porterà alla morte di Franco e Iaio, militanti di sinistra e frequentatori del Leoncavallo a Milano.
Intanto continuano scelte decisamente poco democratiche (scusate l’eufemismo) da un lato da parte di Pinochet che nega ogni interferenza ONU e blocca ogni tipo di elezione per almeno altri otto anni e dall’altro in Cina, dove il partito comunista proibisce la lettura dei testi di Aristotele, Shakespeare e Charles Dickens.
É l’anno in cui la Francia continua imperterrita le prove di esplosione di ordigni nucleari a Mururoa, quello in cui la guerra tra gli irlandesi dell’IRA e gli inglesi continua a fare stragi, come nel caso delle 12 persone uccise da una bomba a Belfast.
É l’anno dei mondiali di calcio in Argentina, vergognosamente organizzati in un paese preda di una terribile e feroce dittatura, che si porterà via tra i 30 e i 40 mila oppositori o presunti tali, scomparsi nel nulla, appunto desaparecidos.
É, ancora, l’anno in cui in Vaticano cambiano molte cose. In estate muore papa Paolo VI, il milanese Montini. Al suo posto sale al soglio un veneto, il bellunese Albino Luciani, ma non vi si ferma molto, perché viene trovato morto nel suo letto dopo poco più di un mese di regno. I sospetti sulla reale causa della scomparsa rimangono, anche se per molti quella morte è più che sospetta. Al suo posto ecco il papa polacco Carol Woytila, la cui lunga reggenza sarà ricchissima di eventi positivi e negativi, dei quali ho parlato in questa trasmissione, nella puntata dedicata allo IOR.
Ci sono anche buone notizie, come quella che arriva dalla Spagna, dove quella nazione diventa ufficialmente una repubblica democratica dopo la lunghissima dittatura franchista.
E veniamo ai fatti di casa nostra.
All’inizio dell’anno il governo del paese è affidato ad un monocolore democristiano, guidato da Giulio Andreotti. É il suo terzo incarico, quello della solidarietà nazionale, quello che vede, per la prima volta, il partito comunista non opporsi alla formazione del governo, astenendosi nella votazione sulla fiducia. É anche il governo che presenta, novità assoluta per l’Italia, una donna come ministro. Si tratta dell’ex partigiana Tina Anselmi al Lavoro e Previdenza sociale.
Il parlamento è composto da una larga maggioranza democristiana, circa il 42% dei seggi, e da una altrettanto forte rappresentanza dei comunisti che raggiungono il 37%. I socialisti sono al 9%, tutti gli altri partiti sono molto deboli, a parte forse gli ex fascisti del Movimento sociale che ha il 4,5% dei voti.
Un nuovo governo viene approvato dalle camere il 16 marzo, poche ore dopo che Aldo Moro è stato rapito e la sua scorta sterminata. Il governo Andreotti IV, un nuovo monocolore, viene legittimato con un plebiscito. Anche il PCI vota a favore. La situazione drammatica svoltasi in via Fani ha giocato evidentemente un ruolo decisivo.
Dunque il 16 marzo succede qualcosa che nessuno in Italia dimenticherà più: il presidente del più forte partito italiano, la Democrazia Cristiana, viene rapito dalle Brigate Rosse, che lo terranno prigioniero per 55 giorni, prima di giustiziarlo e riconsegnare il corpo.
Il commando, molto ben addestrato, fa strage di Domenico Ricci, Oreste Leonardi, Giulio Rivera, Francesco Zizzi e Raffaele Iozzino, la sua scorta.
La morte di Moro avviene il 9 maggio 1978.
In questo periodo, detto del ruolo di Andreotti, quali altri personaggi sono al governo delle varie istituzioni del paese? La DC ha come segretario Benigno Zaccagnini, uomo della corrente di Aldo Moro, che uscirà distrutto come uomo e soprattutto come politico dalla vicenda del suo capo corrente.
RapimentoMinistro degli interni è Francesco Cossiga, che si dimette all’indomani della morte di Moro, sostituito dopo un breve interim di Andreotti, da Virginio Rognoni. Ministro della Difesa è Attilio Ruffini, siciliano, molto chiacchierato per via di suoi presunti collegamenti con la mafia.
Il Partito comunista italiano è nelle salde mani di Enrico Berlinguer, sicuramente il più illuminato leader che quel partito abbia avuto.
I sindacati, per così dire, di sinistra sono guidati: da Luciano Lama la CGIL; Luigi Macario, assieme a Pierre Carniti, la CISL.
Siamo sempre nel 1978 e, in estate, gli italiani sono chiamati ad abrogare con referendum il finanziamento pubblico ai partiti. La legge viene mantenuta, ma la quantità di “SI” all’abrogazione, oltre il 43%, fa capire che la fiducia dei cittadini verso i partiti sta rapidamente calando.
Lo stesso giorno in cui il corpo di Aldo Moro viene riconsegnato, in Sicilia viene ammazzato, dalla mafia di Tano Badalamenti, il giornalista Peppino Impastato.
Termina il processo ai vertici delle Brigate Rosse, Renato Curcio, Alberto Franceschini e Prospero Gallinari. Le condanne sono severe e ammontano, complessivamente per l’organizzazione terroristica, a più di 200 anni di carcere.
In Italia, intanto, viene approvata la legge sull’aborto.
A seguito dello scandalo Lookheed, il presidente della repubblica Giovanni Leoni si dimette. Paga con ogni probabilità colpe non sue, almeno non sui fatti di cui è accusato.
Al suo posto, e questa è la migliore notizia dell’anno, arriva al Quirinale Sandro Pertini.
Oggi vorrei raccontarvi una storia che parte proprio dalla vicenda Moro e cerca di capire se le Brigate Rosse siano davvero il nemico numero uno dello statista pugliese. Se volete che sia più esplicito: a chi e perché, tutto sommato, non dispiace affatto che Aldo Moro venga tolto di mezzo?

Moro è un pericolo! Per chi? Anzi … per chi no?

LibroAnalizziamo di seguito di seguito alcune tesi, che non è detto siano vere, ma sono sicuramente possibili e riguardano il clima interno e soprattutto internazionale collegato alla vicenda Moro. Ho usato in particolare il libro del giudice Ferdinando Imposimato, quello che ha seguito da magistrato la vicenda Moro dall’eccidio di via Fani al ritrovamento del corpo, ma anche quello che, successivamente ha cercato di capire cosa davvero era successo allora. Il libro si intitola “I 55 giorni che hanno cambiato l’Italia”, è del 2013. Ferdinando Imposimato muore nel gennaio di quest’anno a 82 anni, dopo una vita dedicata alla lotta contro mafia, camorra, terrorismo, malaffare. Ha perso un fratello, Franco, assassinato dalla Camorra nel 1983. Usciremo presto dalla vicenda Moro, per capire il clima del periodo e analizzeremo altri omicidi terribili, ma fondamentali per capirci qualcosa.
La prima considerazione da fare è questa. Come si comporta il governo italiano di fronte al rapimento di Moro? La fermezza è la scelta: non si tratta coi terroristi, neppure nel caso di un così importante ostaggio per l’intera politica italiana. Che questa sia la strada giusta da seguire è convinzione non solo in quel periodo. Ancora oggi i più pensano che una vita può essere sacrificata per il bene della democrazia. Mi verrebbe da aggiungere “basta che non sia la mia”.
Partiamo dalle Brigate Rosse. Molti si chiedono chi ci fosse dietro questa organizzazione. Il giudice Imposimato afferma, alla fine degli anni ’70 “Dietro le Brigate Rosse ci sono solo le Brigate Rosse”. Un giudizio tranciante, sicuro, proprio come gli esiti della Commissione parlamentare che si occupa in quel periodo della vicenda Moro. Ma, col passare degli anni, quando nel 1991, si possono leggere i documenti secretati, questa opinione vacilla, e per Imposimato, nel frattempo entrato in Parlamento nelle file del partito comunista, diventa un’ossessione quella di capire come sono andate per davvero le cose in quei terribili momenti.
GiornaleCosì, rispolverando tutta la documentazione, ecco emergere quello che abbiamo visto in molte delle situazioni che ho descritto qui a Noncicredo. Mancano un sacco di documenti, sono semplicemente scomparsi. Ci sono interrogatori eseguiti e mai presi in considerazione. C’è un ruolo decisamente passivo dei servizi segreti, i quali ricevono soffiate su un probabile rapimento ben prima di quel 16 marzo. E c’è molto di peggio, come scopriremo verso la fine di questo articolo. Perché nessuno si è mosso?
Durante le indagini, il 20 marzo 1979, viene ammazzato Mino Pecorelli, altra vicenda che più intricata non si può. E dalle indagini emerge che il giornalista viene ucciso anche, non solo di intende ma anche, perché sapeva troppe cose sulla vicenda Moro.
E poi il suo partito, perché Moro, durante il lungo periodo di segregazione, scrive documenti importanti anche sulla Democrazia Cristiana. Tra l’altro ecco le sue parole:
Di questi problemi terribili e angosciosi, non credo vi possiate liberare anche di fronte alla storia, con la facilità, con l’indifferenza, con il cinismo che avete manifestato sinora nel corso di questi quaranta giorni di mie terribili sofferenze. […] Se questo crimine dovesse essere perpetrato, si aprirebbe una spirale che voi non potreste fronteggiare. Ne saresti travolti. Se voi non intervenite, sarebbe scritta una pagina agghiacciante nella storia d’Italia.
Dunque per Moro la decisione finale spetta al partito di cui è presidente, vale a dire ai vari Andreotti, Cossiga, Zaccagnini. Ma, secondo Imposimato, ci sono altri protagonisti, la cui azione influisce non poco sull’esito finale. Di questo si occupa questo lungo articolo.

L’emissario di Jimmy Carter: Steve Pieczenik

In particolare, gli Stati Uniti sono stati dentro la faccenda in modo clamoroso.
Non voglio anticipare troppo, ma se guardiamo a quel periodo, abbiamo visto quali sono le forze in campo in Italia. Dobbiamo aggiungerne un’altra, il presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter, un intermezzo democratico, tra il post nixoniano Ford e i mandati del cowboy Ronald Reagan.
Steve PieczenikGli Stati Uniti hanno in quel periodo (e non solo in quello) probabilmente una tra le organizzazione di intelligence più preparate al mondo. So che non serve sottolinearlo, ma quando si parla di intelligence si intendono i servizi segreti. In questo caso la CIA.
Anche la CIA, tuttavia, deve seguire delle regole. Quando viene rapito Moro, al ministero degli interni c’è Francesco Cossiga. Costui, come di prassi in queste drammatiche circostanze, mette in piedi un comitato di crisi che gestisca la situazione. Arriva anche un super esperto dagli Stati Uniti, uno psichiatra, tale Steve Pieczenik, mandato a Roma direttamente da Jimmy Carter. Eppure le regole, tra l’altro ribadite solo pochi mesi prima, sono quelle di non inviare mai personale dei servizi di informazione all’estero a meno che non ci siano di mezzo la sicurezza o il pericolo per gli USA.
Ora, quale pericolo può mai presentare il caso Moro per Washington?
In realtà i pericoli sono più d’uno. Nonostante non ce ne siano per la NATO, il politico pugliese sa ogni cosa sulle operazioni Stay Behind e sull’emanazione italiana di questa, Gladio, di cui abbiamo parlato altre volte.
A vent'anni dai fatti, nel 1998, si sviluppa una pesante polemica politica, che riguarda alcune affermazioni di Pieczenik. Secondo lui, Moro avrebbe potuto essere salvato e restituito alla vita politica, ma sarebbe stato vittima di un "complotto ad altissimo livello" avente lo scopo di evitare che lo statista fosse liberato; dunque per lo psichiatra americano non c’è alcuna intenzione di liberare Moro, ma ci sono anche una serie di fughe di notizie che sarebbero arrivate perfino alle Brigate Rosse. Tutto questo lo convince che liberare Moro è impossibile e se ne torna a casa sua.
In realtà Pieczenik sparerà successivamente altre sue verità, che faranno il rumore di grosse bombe. In particolare quella sulla decisione di abbandonare Moro al suo destino. Sarebbe avvenuta verso la quarta settimana, quando le lettere di Moro cominciano a diventare disperate e si teme che possano uscire segreti importanti non solo italiani ma anche internazionali, come già detto a proposito dell’operazione segreta Stay Behind, finanziata dalla CIA e gestita dall’interno dei Servizi segreti italiani con il nome di Gladio.
A quel punto la sorte dello statista pugliese è decisa. Ma non dalle Brigate Rosse. Per il bene comune (e cioè per la segretezza degli affari da spie) Moro deve morire. La decisione, sempre secondo Pieczenik, è di Cossiga e, aggiunge, “credo, anche di Andreotti”.
Ecco allora che diventa legittimo chiedersi “Chi ha ucciso Aldo Moro?” o, per lo meno “A chi conveniva che Aldo Moro venisse ucciso?”.
Come sempre trovare la verità in queste vicende è terribilmente complicato. Si cercano appigli, documenti, dichiarazioni, si seguono le cose strane che sono successe navigando a tentoni dentro nebbie molto fitte, aumentate dal fatto che alcuni dei massimi responsabili dell’epoca (Andreotti, Cossiga, Zaccagnini) se ne sono andati per sempre e si sono portati i loro molti e pesanti segreti nella tomba.

I “bau bau” degli USA: URSS e comunisti italiani

bau bauSeguirò adesso i ragionamenti del magistrato Imposimato in una analisi che, così almeno credo, potrà lasciare interdetto qualcuno dei lettori.
La storia e la tragedia di Aldo Moro comincia molto prima di quel 16 marzo, con l’eccidio di via Fani, almeno dieci anni prima.
Ho già tracciato in altri articoli per sommi capi la storia degli anni ’60, sottolineando il ruolo importante negli Stati Uniti di John Kennedy, il quale tenta (al di là della brutta faccenda della Baia dei Porci e dei missili sovietici a Cuba), assieme al leader russo Cruschev, un’operazione difficilissima, che all’epoca viene chiamata “distensione”. Niente di straordinario, si intende, semplicemente il fatto che, pur essendo, anche come cattolici, fermamente anticomunisti, non si può demonizzare più di tanto una rivoluzione che comunque, nelle intenzioni, lotta per la liberazione di miliardi di persone nel mondo da un dominio feudale. Oggi nessuno si scandalizza, del resto il comunismo è scomparso da quelle terre e quindi non ci sono più discussioni da fare. All’epoca tuttavia le cose sono un po’ più complicate. L’Unione Sovietica è il bau bau e i comunisti lo sono altrettanto. Negli Stati Uniti, poveri cari, lo sono ancora, anche se per cercare dei comunisti veraci la ricerca è lunga e difficoltosa. E dunque John Kennedy viene visto, nei suoi ultimi anni di vita, come un sinistrorso, uno che vuole stringere alleanze coi comunisti, uno che vuole abbattere i sani principi di quell’America che si è sempre dipinta come un baluardo della libertà. Oggi sappiamo che è proprio così: è un baluardo della libertà, ma solo della propria libertà di fare e disfare a piacimento quello che crede, poco importa di che colore è il presidente o di che partito. Ne abbiamo viste di tutti i colori e non siamo così ingenui.
Dall’altra parte dell’Oceano, da noi, gli anni ’60 sono quelli del boom economico, che riempie la pancia degli italiani (o quanto meno di una buona percentuale di loro). E così, soddisfatte le esigenze primarie, c’è più tempo per pensare anche ai propri diritti, alle disuguaglianze sociali ed economiche, a richieste di più ampio respiro nella scuola, specie nelle università gestite da inqualificabili baronie e nelle fabbriche.
La Democrazia Cristiana, partito di super-maggioranza, comincia a subodorare qualcosa e qualcuno pensa di dover evitare uno scontro troppo duro, scegliendo il male minore, che è quello di coinvolgere nella gestione dello stato i partiti che, nel parlamento, siedono vicini a quelli democristiani: repubblicani, socialdemocratici e socialisti.
NenniIl partito socialista, in particolare, è, all’epoca, ancora un partito di sinistra, guidato da una icona dell’antifascismo, un eroe della resistenza, Pietro Nenni. Dopo un primo tentativo di Amintore Fanfani è proprio Aldo Moro a varare il primo vero centrosinistra italiano. C’è dentro come vicepresidente Nenni, c’è il socialdemocratico Saragat e altri ministri dei partiti non democristiani. Una svolta, non c’è dubbio, che mette in subbuglio la piccola borghesia italiana, che vede uno scivolamento verso il Partito Comunista, già allora seconda formazione come voti e il più attivo sul territorio. La destra del partito di maggioranza farà alcune scelte clamorose, come l’elezione del Presidente Segni grazie ai voti del MSI, il partito neofascista. Il subbuglio travalica il mare perché anche agli americani, anzi alla CIA, a gran parte dell’economia e della politica la scelta di Moro sembra scellerata. Teniamo presente che l’Italia è terra di confine con il blocco socialista e presenta, come detto, un Partito Comunista forte ed agguerrito. Come si fa a non aver timore di terribili conseguenze per la NATO e per tutta la politica che la CIA ha elaborato, assieme alla DC e alla mafia, per il nostro paese?
Con questa situazione ecco che John Fitzgerald Kennedy, presidente degli Stati Uniti, arriva a Roma; incontra Moro per testimoniargli la sua fiducia in quel tentativo e dare, di fatto, la propria benedizione al centrosinistra italiano.
Ora, mettere così strettamente in relazione i due omicidi, del resto avvenuti a distanza di parecchi anni, può sembrare esagerato e, anzi, lo è di sicuro, ma ci sono, nel libro di Imposimato, alcuni passaggi che meritano attenzione.
Il lavoro di Imposimato ha attraversato vicende di grande importanza. Tra queste quella relativa all’attività di Michele Sindona, ammanicato da un lato con la mafia, dall’altro con lo IOR e il Vaticano, e ancora con i Servizi segreti italiani. Nel 1981 Imposimato sta lavorando appunto al caso Sindona e lo fa in collaborazione con l’FBI, dal momento che le accuse contro il banchiere siciliano, prevedono, oltre al sequestro e ricatto a Roma e all’omicidio Ambrosoli a Milano, anche la bancarotta fraudolenta negli Stati Uniti.
Dunque in quel periodo Imposimato entra in contatto con gli ambienti della diplomazia americana. Tra l’altro, essendo stato per anni bersaglio dei comunicati delle Brigate Rosse, è una figura anticomunista e quindi vista con favore e ammirazione dall’amministrazione di Washington. Egli partecipa spesso a rincontri, anche mondani, all’ambasciata USA. E proprio in una di queste occasioni incontra un uomo, chiamato Louis, ufficialmente addetto all’ufficio legale, ma rivelatosi successivamente un agente della CIA. I dialoghi tra i due, riferiti da Imposimato sono interessanti e inquietanti. Ad esempio, Louis dice: “La morte di Moro è stata un bene per l’Italia e gli Stati Uniti. Non era amato né da Kissinger, né dagli americani. Moro, come Kennedy, dialogava troppo con i comunisti.” A noi sembra che dare del filocomunista a John Kennedy sia una vera eresia, ma gli americani hanno altri parametri rispetto ai nostri. Tutto ciò che esce dal liberismo più integrale è sospetto di comunismo. Ancora oggi, voglio dire.
Altra frase citata di Louis: “I russi sono pericolosi in tutto il mondo. Ci hanno portato il comunismo in casa. A Cuba. Tutta l’America Latina è diventata una polveriera, piena di odio per gli americani, gli yankees! Se fosse stato rieletto Kennedy, sarebbe stato una rovina per l’America.
Certo che si tratta di affermazioni pesanti, perché a guardare bene se ne potrebbe dedurre che sia l’uccisione di Kennedy, sia quella successiva di Moro, siano state quanto meno “benedette” dall’establishment americano, dalle lobby commerciali ed economiche, dagli eserciti e, ovviamente, dai servizi segreti.
Del resto, mentre Kennedy viene osannato all’estero, in patria ha vita veramente difficile. Molte sue leggi vengono bloccate dal congresso. La battaglia per i diritti civili gli attira l’ira dei conservatori del Sud, anche quelli del suo partito. Ed è proprio una grana esplosa nel partito democratico del Texas a portarlo a Dallas quel fatidico 22 novembre del 1963.

L’omicidio di JFK: cosa c’entra? … c’entra, c’entra!

JFKDunque siamo a Dallas, il 22 novembre del 1963. Credo tutti sappiano come si sono svolti i fatti. Un uomo, Lee Osvald, con un fucile di precisione, spara i colpi che colpiscono Kennedy e lo fanno morire. Due giorni dopo, Osvald viene ammazzato da Jack Ruby, sotto lo sguardo esterrefatto di cento poliziotti e di 50 milioni di telespettatori. Ruby è condannato all’ergastolo, ma muore di cancro qualche anno dopo, nel 1967.
Questa catena di morti viene analizzata da una commissione apposita, la commissione Warren. Ma i suoi lavori si basano pesantemente su un precedente rapporto, stilato dall’FBI, diretto all’epoca dal potentissimo J. Edgar Hoover. Un dossier perfetto solo formalmente, mentre in realtà è pieno di inesattezze, di lacune, di menzogne. Non che la commissione Warren sia composta da amici stretti di Kennedy, anzi, la maggior parte di loro ha, per usare un eufemismo, qualche risentimento contro il presidente.
Il fatto che Imposimato sottolinea è che nessuno in quella commissione ha né la voglia né la forza di analizzare altre piste che non siano quelle dettate da Hoover, massone di grado superiore agli altri numerosi massoni inclusi nella commissione Warren e quindi praticamente intoccabile. Così a nessuno viene in mente di pensare ad un eventuale complotto e solo diversi anni più tardi ci si renderà conto di quanto poco professionale sia stata l’indagine e quindi il rapporto finale di Warren. Il risultato è che l’unico colpevole è Lee Osvald, ed essendo morto, il discorso si chiude là.
Ma le segrete storie dei servizi americani in quel periodo sono molte e a volte sorprendenti.
C’è, ad esempio, un accordo, ovviamente illegale, tra CIA e mafia, per uccidere Fidel Castro, con la prospettiva, sulla base dello stesso accordo, di far fuori anche Kennedy. La CIA è sempre stata contraria alle politiche kennediane.
C’è un personaggio, agente CIA e massone, che, nel 1962, arriva a Roma, prende contatto con Licio Gelli, proponendo l’unificazione della massoneria italiana. Secondo la commissione di indagine sulla P2, chiede, in cambio dei suoi servizi, una serie di impegni di carattere politico, tra cui il contrasto all’elezione di Kennedy a presidente USA del 1964.
Questa proposta viene accettata e diventa uno dei motivi per molto di quello che avverrà successivamente. CIA, massoneria, mafia, terrorismo nero, uniti per sconfiggere il comunismo. I mezzi? Attentati, stragi, omicidi individuali. Aldo Mola, il più grande studioso della massoneria al mondo, scrive:
Alla gran loggia di Francia (…) si sottoscriveva la dichiarazione resa dal fratello Warren, quello che con l’altro massone Hoover, già capo dell’FBI, concorse per seppellire l’uccisione di John Kennedy a Dallas sotto migliaia di pagine.”
 […] «Mi è stato domandato se l’appartenenza al Partito comunista comporti una condotta antimassonica: la mia risposta è sì!», disse Warren. Ciò significava che l’appartenenza alla grande fratellanza giustificava un’azione preventiva contro l’avanzata del totalitarismo dell’URSS e dei suoi alleati in Occidente, tra cui l’Italia.”
C’è anche un altro fatto curioso e strano. Il governatore del Texas, all’epoca dell’assassinio di Kennedy, è John Connally. Il suo braccio destro è Philip Guarino, un prete spretato, massone, legato alla CIA, a Cosa Nostra e al Pentagono, amico personale di due personaggi importanti dell’intera vicenda: Licio Gelli e Michele Sindona. Quest’ultimo, come ben sappiamo, legato ai vertici della mafia, in particolare Lucky Luciano, Luciano Liggio e Stefano Bontate.
Bene, Connelly aveva pregato Kennedy di cambiare il proprio itinerario, evitando il passaggio per Dallas. Una coincidenza? Una premonizione? O l’avvertimento che qualcosa di grave sarebbe successo e lui ne era informato?
Insomma nelle analisi sull’omicidio Kennedy molto è stato omesso, dimenticato o sottovalutato. Come i rapporti tra Lee Osvald e le agenzie di sicurezza, CIA e FBI, di cui Hoover è molto bene informato e mente spudoratamente quando lo nega nel rapporto. O il fatto che anche Jack Ruby aveva legami piuttosto stretti con Cosa Nostra, cosa questa dimostrata dal fatto che era stato proprio lui a portare i soldi a Cuba, per corrompere un importante funzionario e liberare così il capomafia Santo Trafficante, uno dei nemici giurati di John Kennedy. E poi c’è la lobby del petrolio che a Kennedy gliela giura senza tanti giri di parole.
Insomma il presidente nel 1963, con la prospettiva di essere rieletto l’anno successivo, è un personaggio decisamente scomodo per molte persone e per organizzazioni potentissime come la mafia, la massoneria, le lobby, i servizi segreti. E scusate se è poco.
E l’Italia? Cosa c’entra il nostro Paese con questi affari interni agli Stati Uniti? Abbiamo già visto che la lotta al comunismo in Italia è fondamentale per due motivi: la vicinanza con il blocco socialista e la presenza di un forte partito comunista, che potrebbe prendere il potere di fronte ad un cedimento dei suoi oppositori.
Così nasce una rete che coinvolge la CIA, Licio Gelli (e quindi i massoni) e la mafia. Del resto è cosa nota il legame stretto tra Gelli e Pippo Calò, di cui ho parlato nella puntata sul rapimento di Emanuela Orlandi, il cassiere della mafia siciliana, quello che teneva in riga a Roma perfino la banda della Magliana.
É Cossiga a rivelare queste trame, quando spiega che la sua adesione alla P2 era solo un modo per avere buoni rapporti con i membri del Governo degli USA, «i quali incaricarono Gelli, che io conosco bene, di organizzare la lotta al comunismo». Il potere di Licio Gelli andava ben oltre quella di un qualsiasi Venerabile Maestro. Era dentro i servizi segreti italiani e ad un livello molto elevato. É il tramite attraverso il quale la CIA e la massoneria americana influenzano le decisioni anche italiane. Questo è quello che emerge dalle conclusioni della commissione parlamentare sulla P2 diretta da Tina Anselmi
E Imposimato commenta:
Certo, la molla che spinse Gelli ad agire fu l’esigenza di contrastare l’avanzata del comunismo, la “partitocrazia”, e di colmare un «vuoto istituzionale e l’assenza di legittimazione del sistema politico e sociale». E la P2 svolse un ruolo di supplenza politica per «reagire alla incalzante minaccia dell’occupazione di settori importanti di potere da parte di un partito (il PCI) una cui consistente quota non nascondeva di mirare al ribaltamento della collocazione internazionale politico-militare dell’Italia».
La stessa minaccia che Gelli e la massoneria americana videro nelle scelte di governo di Kennedy.
Ed ecco di nuovo l’aggancio tra la situazione del ’63 con Kennedy e quella del 1978 con Aldo Moro.

L’assassinio di Bob Kennedy

Bob KennedyA metà strada tra i due omicidi eccellenti di cui ho parlato finora se ne colloca un terzo, forse meno reclamizzato dalla stampa e dalla storia, ma ugualmente importante per gli sviluppi di cui ci stiamo occupando. Mi riferisco all’assassinio di Robert Kennedy, fratello di John, ministro della giustizia, candidato democratico alle elezioni del 1968 e, con grandissima probabilità, futuro presidente americano al posto del repubblicano Richard Nixon.
Robert, Bob per tutti, cade sotto gli spari di pistola di un immigrato giordano, mandato, secondo gli inquirenti, dal sindacalista Jimmy Hoffa, per farla breve un gaglioffo disonesto che si impantanerà in relazioni con mafiosi della peggior specie. Il suo sindacato viene contrastato ferocemente dai Kennedy (tutti e tre, John, Bob ed Edward), sicché una qualche sete di vendetta può anche esistere.
Ma in quell’omicidio c’è qualcosa di molto strano. L’autopsia infatti rivela che i colpi che uccidono Bob Kennedy non sono quelli di Sirhan, che si presenta di fronte al politico con una pistola di bassa qualità, che tiene 8 colpi. I proiettili sono in tutto 13 e quelli mortali non provengono dal davanti. Chiunque, con queste semplici constatazioni, concluderebbe che qualcun altro nello staff di Bob Kennedy abbia premuto il grilletto e che parlare di complotto sia la cosa più sensata del mondo.
Chi ha, questa volta, interesse ad eliminare un altro Kennedy?
C’è la mafia, che Bob rincorre e indaga durante tutto il suo mandato di ministro della giustizia, non ricevendo peraltro alcun aiuto dal solito Hoover, capo dell’FBI, che pensa alla mafia certo non come un cancro da estirpare, neppure quando si scopre il famoso meeting di Apalachin, quando la quasi totalità dei boss mafiosi americani e siciliani si incontrano nella tenuta di Joseph Barbara, ma vengono scoperti dalla polizia e molti si essi arrestati.
Bob Kennedy, nonostante l’evidente ostilità di Hoover, prosegue la sua battaglia, potendo contare anche sul primo grande pentito della mafia, Joe Valachi. Nasce così la lista dei boss mafiosi e dei sindacalisti controllati dalla malavita.
Il 12 luglio del 1961, l’FBI, su ordine di Robert Kennedy, ferma, all’aeroporto di Chicago, Sam Giancana e la sua amante. Alcune piste indicavano proprio nel boss mafioso il mandante dell’omicidio di John Kennedy. In quella occasione Giancana minaccia di rendere pubblici alcuni segreti sul presidente JFK, ma Bob non si lascia ricattare. E la sua offensiva da risultati strepitosi: nel 1962 ci sono 127 rinvii a giudizio di mafiosi, e 74 di loro sono condannati. Dopo pochi mesi, ne rinvia a giudizio altri 350, 138 dei quali sono condannati. Mano a mano che la lotta alla mafia da risultati positivi, aumenta l’odio di Cosa Nostra americana e di quella italiana che vedono minacciati i programmi di “lavoro” concordati a Palermo e Apalachin nel 1957.
Le intercettazioni delle discussioni sono chiarissime. Si parla senza mezzi termini di eliminare Bob Kennedy una volta per tutte. Figurarsi cosa potrebbe succedere se diventasse presidente. 
Del resto il ruolo della mafia è centrale nelle scelte politiche anche di casa nostra. Nel libro di Cangini del 2010 “Fotti il potere”, Cossiga dice: «il potere mafioso, camorrista e ’ndranghetoso non ci sono estranei» e andavano «accettati», e ancora «la mafia quando diventa un fatto di infrastrutture, cessa di allarmare e di indignare.”
Insomma la politica deve adeguarsi alla situazione.

I servizi segreti, la CIA e Gladio

Ho già spiegato nell’articolo sul SIFAR di come la CIA abbia praticamente messo in piedi i servizi segreti italiani nel dopoguerra, arruolando persone giuste (anticomuniste e spesso provenienti dalle strutture del passato regime fascista) e dotando il neonato SIFAR gladiodi regole americane. Addirittura nel 1954 la CIA compra un vasto appezzamento in Sardegna, dove verrà poi costruita quella base di Capo Marrargiu, che avrebbe dovuto avere un ruolo di detenzione dei politici arrestati durante il golpe De Lorenzo del 1964.
Ho anche già raccontato del ruolo della CIA nella costituzione di Gladio, l’emanazione italiana dell’operazione Stay Behind, un insieme di gruppi clandestini che avrebbero dovuto operare alle spalle del nemico una volta che l’armata rossa avesse invaso il paese.
Ma il problema degli americani non è solo di tipo militare. Il partito dominante, la Democrazia Cristiana, è un insieme di anime così diverse, che la rendono instabile e non garantiscono una governabilità continua e indirizzata nel modo giusto, cioè con grande spirito anticomunista. La CIA individua in Aldo Moro il responsabile di questa instabilità, bollandolo con la solita superficialità tipica dei militari e degli statunitensi, come marxista. Vanno quindi messe in piedi operazioni diverse, arrivando fino all’omicidio.
La cosa forse più curiosa è che queste decisioni, così poco democratiche, vengono regolarmente registrate su tutta una serie di documenti, che negli anni ’90 potranno essere letti da tutti, a seguito della desecretazione degli stessi. Forse i servizi pensavano di essere intoccabili.
Nel 1954 uno di questi documenti prevede la costituzione di “comitati di esperti” con la presenza di un militare. La stranezza, in questo caso è che tocca agli ambasciatori americani organizzare questi comitati anche all’estero e segnatamente in Italia e Francia. É da qui che nasce l’idea, promossa da Cossiga e appoggiata da Andreotti, del comitato che gestirà il sequestro Moro, immediatamente dopo la strage di via Fani.
E poi c’è tutta la storia di Gladio, la cui nascita viene ufficializzata il 28 ottobre 1956 da un accordo tra il capo di stato maggiore della difesa, generale Aloja e la CIA, anche se la parte, diciamo così pratica, viene approvata in settembre da rappresentati del SIFAR e della CIA.
Cosa può fare Gladio? Quali sono le sue missioni?
Oltre a difendere il paese dall’invasione sovietica, gli obiettivi interni sono chiarissimi: impedire la costituzione di governi di centrosinistra e mantenere l’Italia all’interno della NATO.
L’organizzazione di Gladio è un affare serio. Oltre a reclutare centinaia di uomini, vengono creati dei formidabili depositi di armi, provenienti dagli Stati Uniti, in appositi siti segreti, chiamati NASCO, alcuni di questi addirittura all’interno delle caserme dell’esercito o dei carabinieri. Se qualcuno ha letto l’articolo su Alcamo Marina, ricorderà che proprio in quella zona era stato scoperto uno di questi depositi e quella scoperta aveva collegato la strage di Alcamo alle azioni di Gladio.
Quando il giudice istruttore Leonardo Grassi si occupa delle indagini sulla strage di Bologna e dell’Italicus, scopre che l’assassinio di leader politici in USA e all’estero è prassi abituale della CIA e delle sue emanazioni.
E, ancora una volta, ci sorprendiamo dal fatto che sia tutto diligentemente trascritto in documenti che prima o poi vengono alla luce. Ecco, per fare un esempio, una direttiva del generale Westmorland del 1970, quando è capo del personale dell’esercito americano in Italia.
“Le operazioni in questo particolare campo sono da considerarsi strettamente clandestine, dato che l’ammissione del coinvolgimento dell’Esercito USA negli affari interni dei Paesi ospiti è ristretta all’area di cooperazione contro l’insorgenza o le minacce di insorgenza. Il fatto che il coinvolgimento dell’esercito USA sia di natura più profonda non può essere ammesso in alcuna circostanza.”
Beh, ci mancherebbe altro che si venisse a sapere che l’esercito statunitense collabora a far fuori uomini politici o a fomentare disordini quando non direttamente dei colpi di stato.
C’è un libro, che trovate in rete sia sotto forma di e-book che come usato, intitolato “Il libro che nessun governo ti farebbe mai leggere”, scritto da un ex agente della CIA, poi politico e scrittore, Jesse Ventura, che contiene 63 documenti segreti su birichinate (passatemi l’allegro eufemismo) compiute dai servizi segreti americani.
C’è un paragrafo che sembra il vademecum del perfetto sicario che ammazza un politico importante. É come leggere l’esecuzione a Dallas di J F Kennedy.
Sempre per restare in termini di documenti redatti, eccone un altro. L’autore è Guido Giannettini, chiamato agente Z. Il documento salta fuori durante le indagini sulla strage di piazza Fontana del 1969 a Milano. Ve ne leggo un passaggio:
“La CIA non è né di destra, né di sinistra. È un’agenzia di sicurezza del governo degli Stati Uniti con una vasta organizzazione e attività colossali. I 500 milioni di dollari all’anno di bilancio l’hanno convertita in un mostro il cui controllo è sempre più arduo. Questo denaro ha unto tanto governi di sinistra quanto di destra. […] La CIA ha sempre operato in stretto contatto con il governo e l’amministrazione politica americana.”
Nello stesso rapporto ci si riferisce al presidente Johnson, subentrato a Kennedy dopo l’assassinio di questi. E si dice chiaramente che o fa quello che vuole il potere invisibile o lo si obbliga a rinunciare all’incarico. E si attacca duramente Robert Kennedy, definito, tout court, un marxista. Secondo i più autorevoli storici quel potere invisibile è rappresentato dalla massoneria. Non è così strano pensare all’assassinio di Robert Kennedy come una conseguenza di questo clima.

Il centro, la sinistra e il compromesso storico

Eliminati i due grossi problemi a casa propria, era ora di volgere lo sguardo in Europa, dove, come spiegato prima, Aldo Moro stava agendo davvero male, con quella sua mania di aprircompromesso storicoe a sinistra il fronte politico italiano.
Siamo nel 1969 e Kissinger, ministro degli esteri USA, arriva in Italia assieme al suo presidente Nixon. Qualche anno più tardi, ricordando questa visita, dice:
“Vi erano molte ragioni per interessarsi della politica interna italiana: nel 1963 gli Stati Uniti decisero di sostenere l’apertura a sinistra il cui obiettivo si identificava in una coalizione tra i socialisti di sinistra e democristiani: la cosa, almeno così si sperava, avrebbe isolato i comunisti. Gli esiti ultimi della coalizione si rivelarono, a distanza di dieci anni (1973) diametralmente opposti a quelli sperati. Lungi dall’isolare i comunisti, l’apertura a sinistra (di Moro, n.d.a.) li fece diventare l’unico partito di opposizione vero e proprio. Distruggendo tutti i partiti democratici più piccoli, l’esperienza di centrosinistra privò il sistema politico italiano della necessaria elasticità. Da qui in poi tutte le crisi di governo avrebbero avvantaggiato i comunisti.”
In effetti il centrosinistra italiano degli anni ’60 non fa che rafforzare il PCI, portandolo, nel 1964 ad una quota del 34% dei voti e a candidarsi, pertanto come partito di governo nazionale, mentre già molte regioni sono rette da giunte comuniste.
É da qui che parte l’offensiva americana contro Moro, sempre più violenta e, decisamente, senza esclusione di colpi.
Si comincia nel 1974, una settimana prima che Aldo Moro, come ministro degli esteri, accompagni il presidente Giovanni Leone in un viaggio negli Stati Uniti. Gerald Ford, repubblicano e massone, probabilmente sotto suggerimento di Kissinger, se ne esce tranquillo dicendo che effettivamente gli americani erano intervenuti in Cile per favorire il colpo di stato di Pinochet, perché avevano fatto, testuale ciò che “gli USA fanno per difendere i loro interessi all’estero.”
Kissinger, dopo l’arrivo della delegazione italiana dice: “Ci rimproverate per il Cile. Ci rimproverereste ancora più duramente se non facessimo nulla pgiornalier impedire l’arrivo dei comunisti al potere in Italia o in altri Paesi dell’occidente europeo
All’epoca il governo è un centrosinistra guidato da Mariano Rumor, che sarà ministro anche sotto i governi Moro prima del rapimento di via Fani.
Le minacce diventano sempre più dirette. La moglie di Aldo, Eleonora Moro, racconta di un uomo che spaventato le riferisce questa frase: «Onorevole Moro, lei deve smettere di perseguire il suo disegno politico per portare tutte le forze del suo Paese a collaborare direttamente. Qui o lei smette di fare questa cosa o lei la pagherà cara. Veda lei come la vuole intendere». É appena di ritorno dagli USA, ma non rivela chi l’ha detta.
Ma c’è anche di peggio.
Nell’articolo sullo scandalo Lokheed, abbiamo visto che, per vendere una partita di caccia, l’azienda statunitense versa una forte mazzetta ad un importante politico italiano, chiamato in codice Antelope Cobler.
Per questo scandalo finiscono nel mirino della giustizia numerosi personaggi, i condannati Gui e Tanassi, ma anche Rumor, il presidente Leone e Aldo Moro, poi scagionati da ogni addebito.
Le indagini sono condotte anche da una Commissione del congresso americano, che, tra le altre cose, scopre che la CIA elargisce ai partiti anticomunisti e loro affiliati la bella cifra di 65 milioni di dollari in quindici anni. Ricordiamoci che i milioni di quegli anni sono diversi, più di 4 volte più importanti di quelli di oggi.
É Randolph Stone, braccio destro di Kissinger, massone, iscritto alla loggia P2 di Licio Gelli (tessera 899) e capo della stazione CIA di Roma a lanciare l’attacco a Moro. In suo aiuto arrivano due ambasciatori: John Volpe e Luca Dainelli, il quale fornisce alla stampa la notizia che, dietro Antelope Cobler, si cela l’onorevole Aldo Moro.
Il 14 e 15 marzo 1978, alla vigilia del rapimento di Moro, il Corriere della Sera pubblica due notizie a tutta prima pagina. Mentre nella prima si dà conto di questa voce su Moro, considerandola un diversivo, che ha solo fatto perdere tempo agli inquirenti, nel secondo, quello del 15 marzo, si trova scritto:
Le ultime fasi dell’inchiesta sono state movimentate invece da un altro episodio nato da una intercettazione telefonica […] coinvolgendo in prima persona l’attuale presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro. A fare il suo nome e a identificarlo in Antelope Cobler è stato un ex diplomatico, Luca Dainelli, già ambasciatore italiano in estremo oriente, successivamente dimissionario
Si tratta quindi di una pista, non più di una illazione irragionevole da buttare alle ortiche.
Dainelli conferma alla Consulta la sua versione, dicendo che l’informazione gli è arrivata da fonti sicure: un giornalista, un ambasciatore e un agente della CIA.
In realtà la notizia arriva, all’ambasciatore Volpe, direttamente dagli uffici del Segretario di Stato USA, Henry Kissinger.
Questo fatto significa la distruzione della carriera politica di Moro e, decisamente, la fine di ogni possibilità di centro sinistra o, visti i tempi, di cominciare a pensare a quel compromesso storico, che Moro e il segretario del Partito Comunista Italiano, Enrico Berlinguer, stanno cercando di mettere in piedi.
Chiudo leggendo qualche riga del libro di Imposimato a proposito di queste accuse. 
“Anche io all’epoca avevo avuto il dubbio, insinuato da quelle testimonianze, che lo statista fosse realmente coinvolto nello scandalo. E questa notizia va tenuta ben presente a sostegno della tesi che esisteva uno schieramento politico-massonico e d’intelligence di vasta dimensione, che aveva interesse alla distruzione dell’immagine di Aldo Moro, in vista del sequestro che i congiurati sapevano imminente.”

Anche i sovietici si mettono in fila

Ho detto prima del rapporto tra Moro e Berlinguer. La politica di quest’ultimo, all’epoca, viene definita “Eurocomunismo” con un sempre più deciso distacco dalle scelte, molto opinabili per gli stessi comunisti italiani, di Mosca. Questo fatto non può certo far piacere ai sovietici, tenuto conto anche che il PCI è il più grande partito comunista d’Occidente. Così, durante il sequestro Moro, la Pravda, il giornale ufficiale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, scrive che «l’eurocomunismo propugnato da Berlinguer serve gli oscuri obiettivi della reazione, il discredito del regime socialista, della politica del PCUS e degli altri partiti fratelli. Di fronte a tutto questo, noi non possiamo restare indifferenti».
Ecco quindi che si apre un secondo fronte. Dopo la pista americana, che ho cercato di tratteggiare oggi, si apre un possibile nuovo fronte, quello sovietico. Ma di questa storia avremo modo di parlare nella seconda parte di questo articolo.
E, mentre il mistero si infittisce, diventa sempre più attuale, la domanda: “Chi ha ucciso Aldo Moro?

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NOTA: l'articolo non può essere considerato originale, ma un libero riassunto del libro di Ferdinando Imposimato "I 55 giorni che hanno cambiato l'Italia".