volpe132In questa storia, poco conosciuta dal grande pubblico, c’è la sintesi di una prima repubblica italiana, nella quale sono all’ordine del giorno depistaggi, bugie, conflitti di interesse, sottrazione o fabbricazione di prove. Ci sono due morti, un elicottero scomparso nel nulla, testimoni oculari inascoltati, segreti di stato assurdi e un mistero mai svelato.
Questa è la storia di Volpe 132, un elicottero Agusta A-109 della Guardia di Finanza.
La scena si svolge là dove i turisti sognano di andare: un mare limpido e trasparente, sabbie bianche incontaminate. Siamo di fronte a Capo Ferrato, nel Sud della Sardegna, 40 km in linea d’aria ad est di Cagliari. É il 2 marzo 1994, sta cominciando una luminosissima serata di luna piena.
Un elicottero della Guardia di Finanza scompare dal cielo, improvvisamente. Con il velivolo scompaiono anche due finanzieri: il maresciallo Gianfranco Deriu, 41 anni e il brigadiere Fabrizio Sedda, 28 anni, entrambi sardi. Il verbo scomparire non è usato a caso: i corpi dei militari non sono più stati ritrovati e del velivolo sono riemersi dal mare solo pochi pezzi di lamiera.
É una storia intricata, piena zeppa di sorprese e colpi di scena. Per avere un quadro comprensibile della vicenda, occorre smembrarla, sezionarla, dividerla per argomenti, anche a costo di rinunciare un pochino alla cronologia.
Volpe 132, di stanza a Elmas, vicino a Cagliari, alle 18.44 decolla per una missione di controllo lungo la costa e si dirige verso Capo Carbonara. Mezz’ora prima era salpata da Cagliari nella stessa direzione la motonave Colombina, in appoggio all’elicottero. (vedi immagine da ingrandire a piacere)
I due finanzieri comunicano al centro operativo radio di Decimomannu lo scopo della missione: “Un volo fino a Carbonara, dopodiché effettueremo una piccola ricerca verso Sud.” Sono le 18,46 e si accordano per un nuovo contatto una volta arrivati a Carbonara.
Alle 19,07 Volpe si collega con la base operativa della Guardia di Finanza, che trascrive nel verbale: “Siamo su Capo Carbonara. Ci dirigiamo a Sud e verso i bersagli”. Alle 19,15 una nuova notazione sul verbale: “Volpe e Colombina sono in collegamento.” Alle 19.18 la traccia di Volpe 132 sparisce dai radar di Decimomannu.
Cosa è successo?
L’elicottero potrebbe trovarsi in una zona d’ombra, per cui viene contattata la motonave Colombina. Che però non risponde. Si prova ancora e ancora, nessuna risposta. Il silenzio radio dell’imbarcazione continuerà per due ore, fino alle 21.00. Finalmente Colombina si fa viva: ha saputo da una nave di passaggio, la Torres, della scomparsa dell’elicottero a cui era legata dalla missione. Perché silenziare la radio per tutto quel tempo?
La mobilitazione è lenta, ma coinvolge un po’ tutti: perfino gli aerei di linea in transito sulla Sardegna, e poi gli aeroporti di Roma e Martina Franca. Inutilmente.
Si seguono le indicazioni avute da Volpe e si cerca a Sud di Capo Carbonara, dove Deriu e Sedda avevano detto di dirigersi. Non si trova niente di niente. Solo il giorno dopo, un aereo, per caso, vede dei rottami in mare. Ma non sono a Sud, sono molto più a Nord, nella baia di Feraxi, 100 km più su dell’ultimo avvistamento radar.
I frammenti sono poca cosa, ma tra questi c’è il casco del maresciallo Gianfranco Deriu. Non ci sono più dubbi: Volpe 132 è precipitato in mare e i due finanzieri sono, per bene che vada, dispersi, poiché dei loro corpi non si trova nessuna traccia.
Resta aperta la domanda: perché i finanzieri hanno detto di dirigersi a Sud e i resti si trovano a Nord? Che abbiano cambiato idea? Che abbiano visto qualcosa che meritava di essere controllata? Non lo sappiamo, non c’è alcuna comunicazione che ci possa aiutare in questo.
Il fatto è di quelli molto gravi. La procura di Cagliari apre un’inchiesta. É condotta dal procuratore Mauro Mura e dal pubblico ministero Guido Pani. Non hanno molto in mano e brancolano nel buio più fitto.
Cominciano i fatti curiosi, difficili da spiegare. Non si sa ancora cosa sia successo, che gli armadietti dei due finanzieri vengono forzati dai militari per prelevare – così dicono – le pistole d’ordinanza, ma, secondo il fratello di Sedda, Peppino, cercano i cellulari, sai mai ci siano dei messaggi compromettenti?
Nel frattempo, c’è un’altra inchiesta, quella delle forze armate, coordinata dal Tenente colonnello Enrico Moraccini del PISQ - Poligono Sperimentale e di Addestramento Interforze del Salto di Quirra.
Cos’è questo poligono? É un centro sperimentale che accoglie militari della Marina, dell’Esercito e soprattutto dell’Aeronautica. Si trova a Perdasdefogu ed è la sede di un radar che può vedere cosa succede sulla costa Sud Est dell’isola.
Ecco un altro elemento importante e misterioso: i radar. Probabilmente ricorderete la vicenda del DC9 dell’Itavia, abbattuto nei pressi di Ustica. Quella sera i radar, curiosamente occorre dire, erano tutti spenti. Bene in Sardegna, quel 2 marzo 1994, succede lo stesso. L’unico che, quella sera, funziona è proprio quello del Poligono. In fondo, penserete, uno basta e avanza. Già … sarebbe vero, anche per la posizione privilegiata, peccato che le sue registrazioni si interrompano alle 19,14, un minuto prima del blackout delle comunicazioni di Volpe 132.
Visto quanto avvenuto coi radar in occasione dell’abbattimento del DC9 Itavia sopra i cieli di Ustica nel 1980, la vicenda che stiamo raccontando, prende il nome di “Piccola Ustica sarda”.
I punti oscuri sono parecchi, come vedremo, ma uno lo riscontriamo subito. Il colonnello Moraccini è di servizio quella sera al Poligono, come responsabile del centro. Dunque è un testimone. Come fa un testimone ad essere anche il responsabile dell’inchiesta? Ma se seguissimo tutti i conflitti di interesse in Italia, e non solo di quel periodo, non finiremmo mai di raccontare le nostre storie.
L’esito dell’inchiesta, che si chiude in 70 giorni, è davvero sorprendente e, se non ci fosse di mezzo un fatto così grave, sarebbe addirittura ridicolo. C’è scritto che Volpe 132 è precipitato in mare senza aver preso fuoco e senza disintegrarsi al momento dell’impatto. Come sia possibile capirlo senza poter contare sulla strumentazione di bordo, sulle comunicazioni radio e radar, nessuno lo sa. E se non si è disintegrato, dove diavolo sono finiti i suoi resti?
Dunque, per l’inchiesta è stato un incidente. Per i militari il caso è chiuso, viene archiviato, spiegando che “non esistono riscontri obiettivi per formulare un’ipotesi”. É questo che giornali e televisioni racconteranno per anni ai cittadini. Quella relazione però non convince nessuno: è piena di inesattezze e di falsità, e mancano testimonianze importanti, come vedremo tra poco.
Ma la cosa più assurda è il fatto che Deriu e Sedda vengono imputati di aver perso colposamente l’elicottero.
(vedi immagine 2)
volpe132La relazione conclusiva di Moraccini puzza di insabbiamento da molto lontano. I parenti delle vittime proprio non ci stanno e si affidano all’avvocato Carmelino Fenudi, che li seguirà in tutta la vicenda. Gianfranco Deriu lascia moglie e due figli piccoli, Fabrizio Sedda i genitori e un fratello.
Così si mettono alla ricerca di persone che quella sera abbiano visto qualcosa e possano riferire. Trovano, a capo Ferrato, Giovanni Utzeri, il primo di quattro testimoni, che racconteranno quello che sanno. Loro sanno molte cose, cose molto diverse dalla conclusione dell’inchiesta militare.
Quello che raccontiamo ora sui testimoni si verrà a sapere solo più tardi, perché di loro non c’è traccia nei verbali dell’inchiesta, nessuno sa niente o finge di non saperlo.
Il giardiniere Utzeri descrive con un’immagine e un suono quello che ha visto: “una palla di fuoco” e “buum”. Si rivolge prima ai carabinieri e poi alla finanza, dicendo loro che stanno cercando nel posto sbagliato, che Volpe 132 era a Capo Ferrato quella sera, non a Carbonara. Nessuno si muove, anzi i finanzieri lo trattano male e gli dicono di starsene buono che ci pensano loro.
Ecco le sue parole, come risulteranno dalla deposizione: “L’elicottero mi è passato sulla testa e si è fermato proprio sopra quella nave porta-container che era alla fonda da almeno due giorni. Dopo ho sentito che il motore prendeva giri, come se l’elicottero cercasse disperatamente di sollevarsi. E poi... Poi quella terribile esplosione.”
Già, quella nave … un po’ di pazienza e ne parleremo.
I testimoni sono quattro, non si conoscono, vivono in posti diversi della costa, ma tutti riferiscono la stessa scena, con una corrispondenza straordinaria.
Gigi Marini sta pescando, quella sera, nella baia di Feraxi e lo vede bene l’elicottero: lo segue mentre sparisce verso Capo Ferrato. Ma la testimonianza più intrigante è quella di Giuseppe Zuncheddu, un pastore che sta su un’altura da cui vede tutta la baia. Lui riferisce che Volpe 132, su cui riconosce i colori della Guardia di Finanza, arriva dall’interno dell’isola, supera Monte Sette Fratelli e punta verso il mare. Lassù, in alto, nel cielo limpido, è impossibile che sia finito in qualche zona d’ombra: la sua posizione è chiaramente leggibile da radio e radar … eppure ….
Queste testimonianze sono decisamente sufficienti a demolire l’ipotesi dell’incidente. In quella relazione ci sono troppe cose strane, troppi fatti che proprio non tornano, non tornano per niente. E strano è anche il mancato riferimento a questi testimoni, che vengono nascosti, … eppure …
Zuncheddu ha un ovile, di fronte al quale un giorno atterra un elicottero dei carabinieri. Scende un ufficiale per farsi raccontare tutto quello che ha visto e sa su Volpe 132. Niente di strano, apparentemente, ma … perché Zuncheddu non viene semplicemente convocato in caserma, come avviene normalmente con un qualsiasi testimone? E come mai la procura di Cagliari, che ha un’inchiesta aperta sul caso, non sa nulla di questa spedizione? E come mai i carabinieri conoscono il nominativo del pastore, mentre alla procura nessuno sa niente?
Il quarto testimone, Antonio Cuccu, fornisce la stessa versione: la rotta, il lampo che sale dal mare, l’elicottero che viene colpito e precipita, il boato terribile. Lui non viene nemmeno ascoltato. Testimonianze così preziose si perdono tra le carte dell’inchiesta militare.
A dire il vero c’è anche un quinto testimone: Alessandro Leoni, il quale, con il padre, sta viaggiando sul traghetto Arborea verso il continente. Va a Roma per sostenere la prova per entrare, guarda caso, proprio in Finanza. Anche lui vede l’elicottero, che si muove in verso contrario al traghetto, quindi verso Nord. É un radioamatore: tira fuori il suo baracchino e si mette all’ascolto. Sente, sono le 19.05-19.10, questa frase: “Volpe stiamo rientrando”. In nessuna parte dei verbali questa frase compare. L’ora è certa, risulta dallo scontrino del bar, dove Alessandro aveva ordinato da bere pochi minuti prima. Secondo la testimonianza del padre di Alessandro, i due sarebbero stati seguiti per anni dopo quella rivelazione. Da chi e perché, non si sa.
Fin qui di cose strane ne sono già successe tante: i radar che non funzionano o sono spenti, le comunicazioni radio che spariscono, il silenzio radio di Colombina per due ore, le testimonianze non comunicate, i carabinieri che interrogano un testimone senza avvertire la procura. Ma, in quanto a stranezze, il bello (o il brutto) viene proprio adesso.
Quando l’inchiesta dei militari termina, finalmente il magistrato Guido Pani può richiedere la relazione finale dell’indagine, quella redatta dal colonnello Moraccini: è il giugno 1994.
La risposta lo lascia interdetto. La risposta, infatti, non arriva dalla Commissione militare, arriva direttamente dall’Ufficio centrale per la sicurezza della presidenza del Consiglio dei Ministri. C’è scritto che quel documento è classificato con la sigla PCM-ANS 1/R, in parole povere è coperto dal segreto per la sicurezza dello stato. Ma Guido Pani non è uno che molla facilmente. Gli sembra evidente che qualcuno stia cercando di insabbiare tutto. Così, impugna una legge del 1977 e scopre che la procedura utilizzata per apporre il segreto non è regolare. Cavilli, grazie ai quali ottiene finalmente la relazione militare. Ma la sorpresa più grande deve ancora arrivare. Leggendo il documento infatti non si riesce assolutamente a capire il motivo di tanto segreto e di tanta copertura. La conclusione infatti, come sappiamo, è che si è trattato di un incidente, niente più. Perché allora il segreto di stato?
É qui che in procura, Mura e Pani mangiano la foglia e cominciano ad indagare più a fondo.
Dalle testimonianze emerge anche un altro fatto: alla fonda, nella baia di Feraxi quella sera c’è una nave mercantile, che, subito dopo la caduta dell’elicottero, se ne va alla chetichella. Che c’entri qualcosa? Che sia quello il “bersaglio” di cui parla Deriu nell’ultima comunicazione alla base?
Proviamo a saperne di più. Ci sono un sacco di testimoni, a decine, che quella nave hanno visto arrivare e partire in continuazione negli ultimi sei mesi. É all’ancora a non più di 50-100 metri dalla costa, la si vede benissimo. Di notte tiene, contrariamente alle regole, le luci spente, come se dovesse nascondere qualche attività illegale. Le voci, sull’isola, ma sono solo voci, parlano di droga e di armi che verrebbero consegnate per portarle chissà dove. Ufficialmente trasporta grano della SEM, azienda sarda di proprietà di Massimo Cellino, in Nord Africa. Quella nave è la Lucina, che qualche mese più tardi diventa teatro di un massacro orribile, nel porto di Djendjen, in Algeria. Anche questo è un fatto strano e inspiegabile. La nave è da quasi un mese, senza un motivo reale, ferma nel porto, un porto militare, con sistemi di sicurezza molto efficaci. Lo racconta uno c’è stato più volte, l’ex ufficiale di Gladio, Antonino Arconte. A lui si devono, attraverso alcuni libri, molte informazioni sull’organizzazione armata Stay Behind.
Nella notte tra il 5 e il 6 luglio 1994, sette uomini dell’equipaggio della Lucina vengono sgozzati e dal carico spariscono 600 tonnellate di “roba”. Vengono incolpati, e ancora oggi la versione ufficiale è questa, gli estremisti islamici, i terroristi. Resta la domanda di cosa se ne facciano dei terroristi di tutto quel grano … o forse non era grano?
Arconte racconta che in quel viaggio doveva esserci un suo collega, Tano Giacomina, assente all’imbarco per motivi personali. Anche Tano è un ufficiale di Gladio. Perché un’organizzazione come Gladio è interessata al trasporto di grano verso l’Algeria? Stiamo parlando del periodo in cui si moltiplicano le consegne di armi e di rifiuti tossici in Africa, tanto che la stessa Commissione parlamentare che si occuperà dell’assassinio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatim, avvenuta a Mogadiscio tre settimane dopo la sparizione di Volpe 132, citerà la Lucina in relazione ai due episodi: la presenza a Feraxi il 2 marzo e l’eccidio a Djendjen di quattro mesi dopo. Quello che qui ci interessa è che la Lucina forse non è una nave qualsiasi, pulita e immacolata, che si preoccupa di fare avere il cuscus agli algerini.
Ma torniamo in Sardegna. Quel via vai della Lucina, accompagnata da numerosi motoscafi che le girano attorno per rifornirla, è decisamente strano. Siamo, infatti, proprio di fronte al Poligono del Salto di Quirra, un’importante struttura militare. E in quel tratto di mare, tra Capo Ferrato e Feraxi il traffico è interdetto, vietato ai mezzi non autorizzati. La Lucina era autorizzata? Per fare che cosa?
Questa nave dunque è una fonte inesauribile di misteri, tra i quali anche la sua presenza a Feraxi quando Volpe 132 la sorvola prima di esplodere. E subito dopo se ne va, a luci spente, di notte, senza riapparire più in Sardegna.
Magari la Lucina non ha alcuna responsabilità nell’episodio, ma anche qui c’è qualcosa che non torna. La presenza di una nave in un simile posto, supercontrollato dai militari, non può certo sfuggire alle autorità.  Ma, per loro, quella nave non è mai stata là, nemmeno quella sera, quando decine di persone l’hanno vista con chiarezza. Un’allucinazione collettiva? … da non credere!
É proprio in quel tratto interdetto di mare che affiorano i pochi resti di Volpe 132. Li trova Giovanni Utzeri, uno dei testimoni; li mostra all’inviato del TG3; gli vengono immediatamente confiscati. Sono pochi pezzi, il fondale è basso, dove sono finiti tutti gli altri? L’ipotesi più probabile è che siano stati presi, portati al largo e fatti affondare. Da chi? Perché?
L’inchiesta della procura è basata sui reati di “disastro aviatorio” e di “omicidio colposo plurimo”, che hanno una scadenza, come avviene per la maggior parte degli oscuri fatti italiani del periodo: la prescrizione, una pietra tombale che consegna tutto alla storia senza mettere nessuno nei guai.
Per questo, il pubblico ministero Guido Pani, ad un certo punto, è costretto a chiedere l’archiviazione del caso, poi però ha un guizzo.
Dite la verità: se aveste ascoltato quelle testimonianze, voi cosa avreste fatto come prima cosa? Sono sicuro che avreste cercato i resti dell’elicottero, avreste chiamato un perito di quelli bravi e gli avreste chiesto di controllare se su quei resti ci sono residui di esplosivo. Guido Pani ci pensa nel 2005. Affida l’incarico ai carabinieri del RIS (Reparto Investigazioni Scientifiche), ma chiama anche un professore del politecnico di Torino, Donato Firrao, uno importante, che aveva già avuto esperienze simili, partecipando alle indagini su fatti drammaticamente rilevanti come la strage di Ustica, il caso Mattei, la morte di Nicola Calipari.
Insomma Pani vuole essere sicuro che, visto quello che succede con le forze dell’ordine, non si faccia un nuovo buco nell’acqua.
Ma le cose non vanno nella direzione desiderata.
Intanto l’avvocato Fenudi prende la palla al balzo. Queste nuove perizie, se positive, faranno scattare l’accusa per un reato molto diverso: “omicidio plurimo volontario”. E per questo tipo di reato è previsto l’ergastolo e nessuna prescrizione. Così il procuratore Mura blocca l’archiviazione.
In realtà si blocca anche tutto il resto. I RIS chiedono un rinvio dopo l’altro e poi spariscono dalla scena assieme al professor Firrao. La relazione verrà consegnata in procura sei anni più tardi, nel 2011, ma ancora una volta c’è un colpo di scena: la perizia viene secretata.
Il procuratore Mura non può dire nulla. É l’avvocato Fenudi, che commenta: “Se gli accertamenti avessero dato esito negativo, la procura non avrebbe avuto alcun motivo per secretarli.”
Il fatto stesso che le indagini si spostino verso un “omicidio plurimo volontario” testimonia di questa possibilità.
Ma, in quanto a risultati, tutto rimane come prima.
Questa storia non finisce qui, ci sono altri colpi di scena, che meritano di essere ascoltati.
A Fenosu, nei pressi di Oristano, da un hangar viene rubato un elicottero Agusta A-109, perfettamente identico a Volpe 132. Rubare un elicottero non è come rubare un motorino: ci vuole un’organizzazione molto professionale. Chi sia stato non si saprà mai.
Sono due giornalisti de La Nuova Sardegna, Pietro Mannironi e Pier Giorgio Pinna, a segnalare l’episodio. Stanno seguendo il caso, costruendo un dossier, che verrà pubblicato nel 2011 da “L’Espresso” e si rivelerà preziosissimo per cominciare a capire qualcosa di quanto accaduto. Sulla vicenda del “gemello” di Volpe 132, seguiamo la loro inchiesta.
Quell’elicottero è oggetto di un contenzioso tra la società Wind Air e la Banca dell’Agricoltura, la quale rivendica un pagamento non effettuato e chiede la restituzione del velivolo. L’ufficiale giudiziario si reca a Fenosu il 24 marzo, tre settimane dopo l’abbattimento di Volpe 132, apre l’hangar … vuoto!
Dell’elicottero non c’è traccia. Viene ritrovato 40 giorni più tardi a Quartu, vicino Cagliari, ma … da quell’elicottero è stata portata via tutta la strumentazione di bordo. Alla procura questo fatto puzza parecchio. Ci sono troppe coincidenze. Tra le ipotesi quella di aver pensato di scaricare a mare quella strumentazione lontano da Feraxi, dai testimoni e dalla Lucina.
La vicenda dell’elicottero “gemello” è avvolta nella nebbia più fitta. L’inchiesta non porta a nulla. La Wind Air risulta una società fantasma, con indirizzi inesistenti, personaggi strani che le girano attorno, anche agenti dei servizi segreti italiani. Il processo finisce in modo incredibile. L’avvocato della parte lesa, la banca dell’Agricoltura, informa il giudice che “Non avevamo più un interesse per andare avanti”. Davvero interesse? O avevano avuto un’offerta che non si può rifiutare?
E poi c’è un processo del 2003, contro un colonnello della finanza, tale Roberto Vernesoni, accusato di traffico di droga e alla fine condannato a 7 anni. Ci interessa? Sì, perché tra i testimoni c’è un maresciallo, Giovanni Mei, che dice testualmente: ... perché pare che ci sono 4 o 5 pentiti che accusano Vernesoni di aver dato della droga e fra l'altro di essere il fautore dell'abbattimento del famoso elicottero con due piloti a bordo.”
Guido Pani lo convoca in procura a Cagliari e il maresciallo conferma: “Nella primavera del 1997 incontrai il maresciallo Valerio De Giorgi ... che mi chiese se fossi coinvolto nell'indagine per traffico di stupefacenti per la quale stavano parlando 4 o 5 pentiti ... Il De Giorgi aggiunse che questi stessi pentiti parlavano del fatto che il colonnello Vernesoni avrebbe avuto un ruolo attivo nell'istruire certi personaggi per abbattere l'elicottero della Finanza scomparso tempo prima.”
Già i pentiti: chi sono, cosa sanno? Emerge un nome, un certo Zirottu, forse un informatore del GOA (l’antidroga della Finanza), che si presenta ai giornalisti Mannironi e Pinna, raccontando di aver partecipato ad un traffico d’armi tra Sardegna e Corsica e di aver visto l’abbattimento dell’elicottero, ordinato da un certo Capobianco. Ma le sue dichiarazioni sono confuse e decisamente sbagliate in quanto a riferimenti geografici. E poi, di questo Capobianco, nessuno sa niente, non esiste. Un nuovo tentativo di depistare le indagini?
E la politica? C’è un messaggio accorato, ma chiaro e puntuale di Peppino Sedda al presidente Giorgio Napolitano, al quale chiede di intervenire perché si sappia, semplicemente, la verità.
(https://inchieste.repubblica.it/it/finegil/la-nuova-sardegna/2011/08/08/news/incongruenze_depistaggi_errori_signor_presidente_ci_aiuti-20188456/.
Ci sono anche alcune interrogazioni parlamentari. Quella del 2013 di Michele Piras, deputato di SEL (partito fondato da Nichi Vendola), viene indirizzata al primo ministro Letta, al ministro degli interni Alfano e a quello della difesa Mauro; ripercorre tutta la storia che abbiamo raccontato fin qui, con tutti i dettagli. Chiede una commissione parlamentare che indaghi sul fatto. Commissione che, ad oggi, non s’è vista.
Nel 2015 viene prodotto un film su questa storia. Lo realizzano il giornalista Vincenzo Guerrizio e il regista Raffaele Manco. É un documento fondamentale per capire cosa è successo e perché non si sa cosa sia successo davvero. Si chiama “Il grano e la volpe”.

Questo è quello che sappiamo sulla fine di Volpe 132, una storia, una volta di più, avvolta nel mistero più fitto, corredata da morti ammazzati, senza che quelle morti abbiano un movente logico. Avviene in un paese, in cui appare sempre più evidente che governi, servizi segreti, poteri occulti, faccendieri di ogni genere, hanno tutto l’interesse che il popolo non sappia. Purtroppo, una larga parte della popolazione, ancora oggi, non sa niente di quello che è successo in quegli anni e continua a stupirsi di quello che vede ogni volta che di un tappeto si solleva un lembo, scoprendo una quantità impressionante di polvere là sotto. Conoscendo la storia, anche quella misteriosa di quel periodo, forse i cittadini si stupirebbero meno e reagirebbero di più e in modo più serio di un post su Facebook. Sono certo che allora, non si accontenterebbero, tornando a Volpe 132, di quella corona di fiori che ogni anno, il 2 marzo, per ricordare i finanzieri Deriu e Sedda, galleggia per qualche ora nella baia di Feraxi.
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Fonti: