Di cosa si tratta?

Questo, io credo, vale sempre, anche quando affrontiamo temi completamente differenti da quelli scolastici. Quando, ad esempio, vogliamo capire perché un terreno è inquinato, perché viene scavato un pozzo inquinante sopra una falda acquifera che abbevera milioni di persone, quando la società vuole costruire centinaia di centri commerciali, persino confinanti tra loro. Ecco, quello che ci serve per essere cittadini attenti e moderni. Avere un metodo di pensiero, riuscire a ragionare sia dentro, ma soprattutto al di fuori degli schemi tradizionali.
Di questo vorrei parlarvi oggi in questa prima puntata della trasmissione “Non sono stato io”.
É una specie di premessa agli argomenti che tratterò in futuro, un fare il punto della situazione, come io la vedo e non credo proprio di essere l’unico a farlo.
Ho a cuore le sorti dei ragazzi che diventano grandi in un mondo che non li merita affatto. Certo ci sono anche ragazzi che non meritano il mondo, qualsiasi mondo, in cui si trovano a vivere. Io spero che i primi, piano piano convincano i secondi che è ora di mettere la testa a posto e pensare al futuro, quello più lontano dell’organizzare lo spritz il venerdì sera. Per questo, nonostante non sia sempre d’accordo con loro, apprezzo moltissimo i movimenti giovanili che esprimono preoccupazione per l’ambiente. In primo luogo Friday for future, quello che segue l’esempio di Greta Thunberg. Anche con lei non sono sempre d’accordo, ma l’ammirazione che le riservo è assolutamente sincera.

Cominciamo dunque da qui.
Questa prima puntata si occupa di un altro modo di dire molto importante, che ci porterà a discutere di astronomia, ma non solo. Il modo di dire è “salvare i fenomeni” e ha molto a che fare con il metodo di indagine e di ragionamento.
Per capire di cosa sto parlando è necessario fare un salto nel passato, un passato molto lontano, quando non c’erano computer o automobili: nell’antica Grecia.
Prima, tuttavia, occorre fare il punto della situazione ad oggi, poi faremo il nostro viaggio nel tempo.
Il punto di partenza di questa discussione è, ancora e ancora, il modo in cui la società ha organizzato la propria produzione e la distribuzione delle merci in un mercato che è drogato dall’eccesso di consumismo, causato anche dall’eccesso di popolazione.
Quando ci guardiamo attorno con mente libera da preconcetti (sì, so che è terribilmente difficile farlo) notiamo che c’è qualcosa che non va, qualcosa che non torna. La logica vorrebbe portare in una direzione, mentre, pur con le stesse premesse, la realtà si porta da tutt’altra parte. Ecco un esempio.

Ma, come sapete, ho smesso da tempo di pensare ai politici come esseri logici e coerenti.
A questo proposito ho una storiella da raccontare. Una decina di anni fa, facevo parte di una associazione che si batteva contro la terza linea dell’inceneritore di Padova. All’epoca ci si batteva perché si prendesse la strada del riciclo, citando come esempio quello di Vedelago, vicino a Treviso. Quel centro è fallito, ma il principio sul quale funzionava è stato replicato in moltissime altre situazioni italiane, il che ci insegna che non è mai il particolare che determina il generale.
Bene, in quel periodo, a Padova, c’era una giunta di sinistra con sindaco Flavio Zanonato e l’azienda che si occupava dei rifiuti (Acegas APS) saldamente nelle mani del Partito Democratico. Erano loro a spingere (e ad ottenere alla fine) l’ammodernamento dell’inceneritore, sito nella prima zona industriale, non molto lontano dai quartieri della periferia EST della città.

Ma come? Lo stesso partito, a 80 km di distanza assume atteggiamenti opposti nei confronti di una pratica che è importantissima, come quella della gestione dei rifiuti?
Fate attenzione. Ho citato questo esempio perché l’ho vissuto direttamente, ma so per certo, che discorsi del tutto analoghi si possono fare per gli altri partiti, Lega compresa.
Insomma: la coerenza è merce molto rara e sicuramente viene dopo, molto dopo, gli interessi di bottega, che, nel caso citato, significa solo mantenere o cercare di ottenere potere politico e cioè i voti dei cittadini.
Credo che, se stiamo attenti e non chiudiamo le finestre per sempre, potremo notare questo aspetto della vita sociale abbastanza spesso. Per questo, come dicevo prima, avere un metodo di lavoro ben definito può aiutare.
I problemi futuri: acqua e cibo
Siamo tutti un po’ preoccupati perché le cose sembrano andare in un verso che non ci aspettavamo. A dire il vero, alcuni di noi se l’aspettavano eccome e lo avevano detto a chiare lettere in tempi non sospetti (se volete potete controllare i podcast di Noncicredo anche di molti anni fa per convincervene: trovate tutto sul mio sito noncicredo.org.)
É inutile, credo, fare la lista di cosa manca a cominciare dai carburanti, di cui in questi mesi del 2022 abbiamo sentito parlare un giorno sì e l’altro pure.
Anche se è un argomento che a Noncicredo ho ripreso mille volte, i motivi di queste carenze sono fondamentalmente due. Da un lato la crescita dissennata della popolazione mondiale che sta per raggiungere gli otto miliardi, quando le risorse terrestri naturali potrebbero bastare all’incirca per metà di loro. Dall’altro lato la carenza è dovuta alla voracità della società in cui viviamo, una società che mangia risorse con una rapidità pazzesca, come se fossero disponibili quelle di due o tre pianeti. Questo vale, ovviamente, in generale, perché in Namibia o nel Bangla Desh le cose vanno molto diversamente. Ma anche di questo ho parlato, qui a Radio Cooperativa, molte decine di volte. E non voglio tornarci su perché altrimenti non avrei lo spazio sufficiente per discutere del tema centrale, già annunciato.

La grande novità di questi ultimi tempi è la green economy, basata essenzialmente sull’uso di risorse rinnovabili, come le energie provenienti dal sole, dall’acqua e dal vento. Queste dovranno sostituire, in parte almeno, i vecchi combustibili fossili, il carbone, il petrolio e il gas, i quali sono dannosi per l’ambiente e la salute dei cittadini e come abbiamo visto cominciano a costare decisamente tanto.
Qualcuno potrà dire che nel consumismo non c’è niente di male, niente di demoniaco. Sono pienamente d’accordo, ma solo se vengono fatti salvi due punti essenziali. Primo: che non si danneggi l’ambiente in cui viviamo, che è la sola protezione che abbiamo contro l’estinzione. Secondo: che ciò avvenga in modo democratico, nel senso che se dobbiamo strafogarci, dobbiamo poterlo fare tutti.
In effetti se ci pensate la nostra magnificenza … le due macchine, i tre televisori, carne a pranzo e cena, e via di questo passo, sono rese possibili da uno stuolo di morti di fame, che non è un modo di dire, nel senso che si tratta di persone che letteralmente muoiono di fame … e di sete.

Ed è proprio questo il nemico numero uno individuato dalla CIA nel suo rapporto fornito al presidente dopo la sua elezione. Nel 2030, scrive l’Agenzia americana di Intelligence, il 60% della popolazione avrà problemi a rifornirsi di acqua e non credo proprio sia difficile immaginare cosa accadrà allora.
Il fatto che le risorse disponibili diventino sempre meno lascia aperte due strade soltanto.
Ma c’è qualcosa che viene prima di queste due strade. Se si continuerà a sfruttare le aree povere del pianeta per ingrassare quelle ricche, se si continuerà a far crescere la forbice già così enorme tra questi paesi, il panorama che abbiamo davanti non può che portare all’apocalisse. Lo dico senza paura di essere preso per un pazzo visionario, perché quando si tratta di sopravvivere o morire, nessuno si tira indietro in quanto non ha più niente da perdere. E, purtroppo, è quello che avviene oggi in un pianeta che si riempie la bocca con parolone come uguaglianza e democrazia, di cui non dà mai, sottolineo mai, una prova provata, perché alla fine ciò che prevale è sempre la propria pancia, il proprio portafoglio, il proprio potere.
Dicevo che il fatto che le risorse disponibili diventino sempre meno lascia aperte due strade soltanto. Vediamo quali sono.

La seconda strada è quella di ritenere che questo modello di sviluppo può essere salvato, che è possibile raschiare ancora il barile perché là in fondo ci sono ancora possibilità per proseguire sulla strada che ci ha fornito il benessere di cui molti parlano. E, ancora una volta, per perseguire questo risultato ci sono solo due possibili modi.
É curioso, ma i miei studi di fisica ogni volta che parlo di questo argomento mi fanno venire in mente l’antica astronomia. Permettetemi dunque di fare una breve deviazione dal discorso, ma, vedrete, non sarà inutile.
“Salvare i fenomeni”
Uno dei misteri che ha sempre affascinato l’umanità è quello di capire come funziona l’Universo. Ancora oggi ci sono teorie e qualche dubbio, tanto che si aggiungono di tanto in tanto nuove scoperte e di conseguenza nuove ipotesi.
La maggior pare di questi non aveva alcuna nozione scientifica … beh certo: la scienza ancora non esisteva. Esistevano però i filosofi, i quali, all’epoca, spaziavano il loro campo di interesse un po’ dappertutto.
Il loro strumento principale e più avanzato era la vista, accompagnata da una buona dose di fantasia e immaginazione.
Adesso pensate di non aver studiato nulla e di guardare lassù. Cosa vedete? Vedete il sole che la mattina si alza a Est, percorre l’intero arco di cielo e finisce la sua corsa a Ovest. E questa è l’osservazione. Dal momento che il giorno dopo spunta di nuovo ad Est, in un tempo paragonabile a quello del giorno, si può immaginare che di notte faccia un viaggio simile, ma dall’altra parte della terra.
Lo stesso vale per la Luna, anche se il suo movimento rispetto alla terra è decisamente più complicato e poi si presenta in vesti sempre diverse, a volte tonda, a volte a forma di falce, a volte non si presenta affatto.
Voi cosa concludereste? Che la Terra è il centro di tutto e attorno ad essa ruotano il Sole, la Luna e anche i pianeti visibili.
Chi potrebbe darvi torto? Sono sicuro che sarete lieti di sapere che avete costruito una cosmologia filosofica. Avete, cioè, fornito una descrizione puntuale dell’Universo. Oddio, forse, detta così è un po’ forte, ma passatemi l’espressione che mi evitate un sacco di parole per descrivere quello che avete combinato.
Vi siete appena ripresi dalla fatica che un problema appare evidente. Se lascio un sasso che ho in mano, questo cade a terra. Perché il Sole, la Luna, i Pianeti non fanno altrettanto? Ricordatevi che non avete studiato niente.
Bisogna fissare gli astri in qualche modo. I filosofi greci non sono andati troppo per il sottile. Hanno immaginato che attorno alla Terra ci fosse una serie di sfere celesti invisibili, sulle quali quegli astri erano incastonati. Ed erano le sfere a girare, portandosi dietro i loro passeggeri.
Queste sfere sono perfette, immutabili nel tempo, perché non si vedono differenze nel loro comportamento al passare del tempo. Solo la terra è imperfetta e cambia le proprie caratteristiche (pensate alle eruzioni vulcaniche tanto per dirne una).
La differenza tra le sfere celesti e la terra sarà molto importante, come vedremo tra poco.

Ma torniamo a noi. Dunque Aristotele conferma la teoria geocentrica, con la terra al centro dell’universo e tutte le sfere che le girano attorno. Questo è un passo importante, perché nessuno osava mettere in discussione le sue affermazioni. Pensate che c’era un detto, usato per troncare ogni contestazione: “ipse dixit”, che significa “l’ha detto lui” e a chi si oppone peste lo colga. Pensate quanto siamo caduti in basso. La frase, con significato simile, ai nostri tempi è diventata “l’ha detto la televisione” … povero Aristotele paragonato alla RAI …che tristezza.
Dunque, il clima è questo. Quasi 500 anni dopo Aristotele un altro grande filosofo greco, che abita ad Alessandria d’Egitto, Claudio Tolomeo, si mette in testa di raccogliere tutte le nozioni astronomiche prodotte fino a quel momento e di scrivere un libro. Quello che ne esce è un vero e proprio monumento: l’Almagesto, che diventa la bibbia astronomica per 1300 anni, fino all’avvento di alcuni scienziati veri, che hanno mostrato che c’era un altro modo di guardare il cielo, molto più corretto di quello antico. Tycho Brahe, Cartesio, Galilei, Keplero e il più grande di tutti, Isacco Newton, danno vita ad una visione dell’Universo molto vicina a quella che oggi è adottata da tutti.
Si parla in questo caso di “Rivoluzione” … rivoluzione copernicana, rivoluzione scientifica, che significa che si è preso l’Almagesto con tutti i suoi contenuti e lo si è gettato via, costruendo un nuovo libro del cielo. É cambiato tutto. L’ipse dixit è finito nel cesso. Ma quanta fatica!
Tutto questo avviene con una lentezza estrema. Che nessuno osi alzare un dito contro i greci antichi solo perché, da un punto di vista tecnico, dicevano un sacco di corbellerie. Facevano quello che potevano.
La storia però è importante e a volte quelle corbellerie diventano il cavallo di battaglia per conquistare o mantenere un potere importante.
Quale potere? Lo scopriremo tra pochissimo.
I movimenti strani dei pianeti

Questo sistema viene strenuamente difeso dal potere medievale, specie quello religioso, perché interpreta perfettamente la visione delle scritture, con un mondo, la terra, imperfetta e corrompibile, adatta agli uomini, e le sfere celesti perfette ed immutabili destinate ad ospitare una o più divinità a seconda dei casi. Pensate ai papi del medioevo, ignoranti come le talpe e spesso piuttosto minchioni (il termine può indurre a differenti interpretazioni, voi datene quella che vi piace di più). Ma quello che conta è che, loro, nonostante una vita di corte piuttosto dissennata, rappresentano dio in terra. E dove volete che si trovino, loro, i papi, se non al centro dell’universo? Devo confessare che rubo questa chicca da un’opera teatrale, straordinaria di Bertold Brecht, intitolata “Vita di Galileo”.
Quello che succede dalla metà del 1'500 in poi è abbastanza conosciuto. L’osservazione della realtà, prima con Tycho Brahe poi, soprattutto, con Galileo, mostrano l’impianto tolomaico, con quelle poche sfere perfette, non può funzionare, perché quello che succede in realtà non coincide affatto con quanto previsto dalla teoria. E così, piano piano, si passa al modello eliocentrico, col sole al centro del nostro sistema solare e la consapevolezza che la Terra è proprio una gocciolina in un immenso oceano popolato di miliardi di miliardi di altri pianeti e di stelle, con buona pace del papa che dovrà osservare l’Universo da un angolo anche piuttosto buio della nostra galassia.
Ma non è questo il punto. Il punto viene prima. Perché anche qualche bravo filosofo greco non è del tutto convinto della descrizione tolomaica e qualche idea non proprio conforme al diktat di Aristotele viene alla luce. Lo stesso Tolomeo nota che il movimento dei pianeti esterni allora conosciuti (Marte, Giove e Saturno) è davvero strano. Oggi chiamiamo la loro traiettoria “cicloide” ed è una linea curva piena di riccioli, come se il pianeta ad un certo punto tornasse indietro, facesse un cappio e poi riprendesse ad avanzare.

Oggi non avremmo dubbi: prenderemmo atto che il modello che abbiamo costruito non funziona più. Cercheremo di correggerlo se possibile, se no lo butteremmo alle ortiche e ne costruiremmo uno nuovo di zecca. Ad esempio spostando la terra dal centro e, al suo posto, mettendoci il sole.
E proveremmo modelli differenti fino a trovarne uno che sia coerente con quanto si osserva. Pensate. Se già Tolomeo, coi pochi strumenti di cui disponeva si era accorto che qualcosa non andava, figuriamoci con l’evoluzione dell’ottica, delle lenti e di strumenti di osservazione sempre più sofisticati, che erano disponibili ai tempi di Galilei, Keplero e Newton. Ma ai tempi dell’Almagesto, la fisica è ancora troppo giovane e ci sono altri fenomeni che i greci non sanno spiegare se la terra di colpo venisse messa in movimento. Oggi sappiamo che noi, mentre ce ne stiamo tranquillamente seduti in poltrona, viaggiamo a circa 1100 km/h nella rotazione terrestre, quella che alterna luce e buio, giorno e notte e a quasi 110 mila km/h nella rivoluzione attorno al sole, quella che dura un anno e scandisce le stagioni. Una simile affermazione avrebbe probabilmente portato chi la diceva sul patibolo: una bestemmia bella e buona.
I greci non potevano capire tutto questo (provate a pensarci: so per certo che molti di voi sono rimasti stupiti di fronte a questi numeri) perché mancava tutta quella parte della fisica, che avrebbero poi elaborato Galilei e Newton molto più tardi.
Dunque, in assenza di spiegazioni, quello che deve restare un punto fermo, assoluto, indissolubile è che il nostro pianeta se ne sta buono buono, zitto zitto, immobile al centro di tutto quel trambusto. Senza entrare in dettagli e formule, ai greci sembra impossibile che noi, assieme alla terra, ci muoviamo rapidamente nello spazio, senza sentire lo stesso vento addosso come quando si usa una biga veloce.
Tutto sensato, senza dubbio, ma quei movimenti strani dei pianeti vanno spiegati. E bisogna spiegarli in modo che la terra continui a restare al centro dell’universo e mantenere in vita le famose sfere celesti. Un lavoro complicatissimo, fatto soltanto per mantenere in vita il sistema dato come verità assoluta. Questo modo di procedere prende il nome di “salvare i fenomeni”, cioè trovare un qualche marchingegno che spieghi i riccioli delle cicloidi.

Questo “salvare i fenomeni” mi riporta al nostro tema e cioè al fatto di voler salvare ad ogni costo il nostro sistema di vita, il nostro modello di produzione, le nostre manie di consumo. E, come dicevo, per farlo si sono intraprese due strade, nessuna delle quali mi piace, nemmeno un po’. Un’altra breve pausa e poi vediamo quali sono.
Le soluzioni interne al sistema: il land grabbing
Ci chiediamo come sia possibile “salvare i fenomeni” alla luce della situazione attuale. Traduco per chi si fosse perso per strada. Salvare i fenomeni è un modo di dire che significa mantenere tutto l’assetto sociale, economico, di sviluppo, apportando delle modifiche senza però stravolgere l’impianto e cioè rimanendo all’interno della
Se le risorse che abbiamo o che possiamo comprare per via tradizionale non bastano, occorrerà andarsele a prendere in qualche altro angolo sperduto del mondo. Ci sono espressioni che usiamo nella nostra vita che fanno letteralmente a pugni con la logica, anche quella più spicciola. Pensate ad esempio quando noi parliamo di alcuni stati africani o sudamericani o asiatici chiamandoli “meno fortunati”, come se la loro situazione attuale fosse figlia di una tombola, un tiro di dadi, del lancio di una moneta. Purtroppo la storia ci insegna che le cose non sono andate così e che il colonialismo, lo sfruttamento di uomini e terre lontane dalla propria, è un’azione voluta, desiderata, spesso per motivi che con la propria sopravvivenza niente hanno a che fare, ma hanno a che fare con il consumo, il potere, la smania di grandezza. O semplicemente perché tanto loro sono più deboli e non ci sarà alcuna resistenza o peggio perché li si considera uomini e donne di serie B, vicine agli animali più che alle persone.
Sì lo so cosa state pensando: il colonialismo e questi vecchi concetti razzisti sono una cosa del passato. A nessun paese viene in mente di pensare che gli africani siano come animali che tanto non capiscono cosa succede loro.
Ma il colonialismo non è affatto terminato, ha solo cambiato aspetto, ha sostituito gli eserciti con i banchieri, i generali con i business-men, le divisioni corazzate con le multinazionali o con l’apparato del ministero degli esteri o del commercio.
Succede oggi, anzi succede sempre più spesso.
Gli stati ricchi sono in grado di presentarsi ai governanti di quelli “meno fortunati” e dire loro più o meno queste parole: “Noi ti diamo questi denari, tanti denari, che puoi anche tenere per te, mandare in qualche banca alle Cayman o in Lussemburgo, in cambio tu mi lasci sfruttare una parte delle tue terre. Mi dai quelle fertili per coltivarci il mais o la soia o la canna da zucchero. Mi serve per farci combustibile per le mie macchine, le mie automobili, in modo da soddisfare la sete di merci del mio popolo il quale, poverino, altrimenti deve rinunciare alla sua seconda auto o alle sue domeniche negli ipermercati.”
Le motivazioni sono di questo tipo, magari invece della coltivazione di mais, su quelle terre ci pascolano le pecore, come avviene in Patagonia, oppure si tratta di zone nel cui sottosuolo ci sono ricchi giacimenti di minerali preziosi. Oppure, perché là sotto ci sono giacimenti di combustibili particolari, come il gas di scisto o l’uranio.
Ed è terribilmente difficile per governanti più o meno corrotti dire di no. Perché i soldi in gioco sono davvero tanti e i compratori sono terribilmente potenti. Sto parlando, complessivamente di un’area enorme che è già passata di mano in pochi anni.

É ovvio che su quelle terre ci sono popolazioni, spesso indigene, senza un documento scritto di proprietà, ma con secoli di storia alle spalle. Devono semplicemente sloggiare. Spesso su quei terreni ci sono foreste che danno fastidio, perché serve terreno arato per seminare i cereali. Una situazione, insomma, che non è solo moralmente riprovevole, ma danneggia popolazioni e ambiente.
E i compratori? Sono grandi multinazionali, spesso finanziate da banche di alto livello (anche dalla banca mondiale) a volte perfino da fondi dove finiscono i soldi di cittadini ignari. E compratori sono anche i grandi stati, quelli più fortunati, sicuramente quelli più ricchi, che, se vogliono “salvare i fenomeni”, cioè mantenere lo status quo, devono investire all’estero.
Come detto ai soliti noti, l’Occidente, l’Australia, il Giappone, oggi si sono aggiunte nuove potenze economiche, la Cina, l’India, la Corea del Sud, gli Stati Arabi. Sono questi i primi compratori di terre all’estero.
Il termine comunemente usato per questo neo-colonialismo, tutto basato sui soldi e sulla corruzione, è “land grabbing”. Si può tradurre come “Arraffamento delle terre”. Perché un termine così negativo per quello che sembra essere solo un affare, un business? Per le conseguenze che queste operazioni hanno nei confronti degli abitanti di quelle zone, che devono abbandonare le loro case, le fonti d’acqua, i campi coltivati, in una parola la loro possibilità di sopravvivenza.
Questa è dunque la prima strada seguita per rimanere dentro il sistema.
La seconda è l’affannosa ricerca di quello che resta dei combustibili fossili, anche in zone delicate del pianeta, come nei mari artici o sotto i ghiacci polari. Questo approccio apparentemente è meno cruento verso le persone, ma, appunto solo apparentemente. Perché contamina l’ambiente, lo impoverisce, lo inquina e alla fine rende più complicato viverci dentro. Insomma, alla fine, le persone ne vengono danneggiate, se mi passate l’espressione, per via indiretta, attraverso il territorio che esse abitano, territorio che si ammala e le fa ammalare.
Dicevo all’inizio che il combustibile è il motore della nostra società. Averne a disposizione è fondamentale. Più ce n’è e più la fabbrica del cosiddetto benessere funziona. Più ce n’è e maggiore sarà il consumo di merci, dunque la loro produzione, dunque più ricchi saranno i profitti per i pochi che ci guadagnano davvero. Certo la presenza di combustibile garantisce anche il lavoro per milioni e milioni di persone che hanno solo quello e occorre tenerne conto perché, oggi, il lavoro coincide con la possibilità di sopravvivere nel mondo industrializzato.

Oppure i produttori di quelle bistecche che la pubblicità nostrana dice che ci fanno bene e ci invita a mangiarne tante. Servono pascoli, ma soprattutto servono terreni per coltivare cereali da usare poi come mangimi. E questi cereali sono spesso geneticamente modificati, con tutte le implicazioni che questo potrebbe avere sulla salute delle bestie da macello e di chi se ne nutrirà.

Dal consumo all’inquinamento
Prima della pausa dicevo che: forse basterebbe salvaguardare o ripristinare le nostre difese per tornare un pochino indietro, allontanarci da una catastrofe che, a guardare quello che succede, sembra ogni giorno più probabile.
Dall’altra parte della barricata ci sono invece coloro i quali non si capacitano di dover rinunciare a parte del passato e riconvertire le proprie vite. Nella stragrande maggioranza dei casi è gente che dal cambio di rotta ha tutto da perdere. Poi ci sono gli scettici, che sono sempre meno, visto il progressivo aumento degli effetti collaterali al cambiamento climatico e le sempre più numerose prove a sostegno. Con questi ho smesso di discutere da tempo. In molti casi (non in tutti si intende) assomigliano a quei poveri diavoli dei terrapiattisti, che non hanno il coraggio di andare sul bordo della loro terra per vedere se si cade giù: povere menti da compatire. E idioti, invece, quelli che li seguono, dando loro corda … ma dai!
Dunque chi ha interesse a “salvare i fenomeni”?
Penso alle grandi lobby dell’energia, ai produttori di automobili, ai proprietari di aziende e fabbriche che producono e vendono merci e a tutti quelli che queste lobby proteggono nell’ambito delle loro mansioni politiche. Certo succede ovunque, ma il caso più eclatante è quello degli Stati Uniti, dove la definizione di “lobbista” all’interno del parlamento, è considerato normale, come se a uno si dicesse che ha gli occhi neri o che porta sempre cravatte azzurre. Sono pagati dalle compagnie per tutelare, anche in parlamento, i loro interessi. La campagna elettorale, il mantenimento di una certa posizione sociale ed economica viene rimborsata votando le leggi che quelle lobby invocano ed opponendosi alle altre. I soldi investiti in politica dalle varie Big Oil, Big food e compagnia sono tantissimi, ma il ritorno è enormemente maggiore.
La religione di tutti questi personaggi è una sola: cercare altre fonti di combustibile tradizionale, cioè di petrolio e di gas, costi quel che costi.
L’estrazione di combustibili fossili rappresenta sempre una violenza al pianeta. Potete guardarla da qualsiasi punto di vista e giustificarla in ogni modo, ma nessuno può negare che l’estrazione di gas e di petrolio non modifichi in qualche modo l’ambiente circostante. Le operazioni di estrazione, trasporto, lavorazione, ancora trasporto ed utilizzo implicano sempre un inquinamento più o meno grande del terreno, dell’atmosfera, a volte dell’acqua della Terra.
E quando ad inquinare sono quasi 8 miliardi di individui la questione non può certo essere presa sottogamba.
Tuttavia ci può anche stare che per avere un benessere che migliori le nostre condizioni di vita qualche sacrificio lo si possa chiedere alla nostra casa. Insomma pur di avere la luce, l’acqua corrente, trasporti e mezzi di comunicazioni efficienti ci possiamo anche stare.

A leggere i giornali e le dichiarazioni dei personaggi importanti che discutono di energia ogni giorno, si ha l’impressione che davvero la strada non possa cambiare, che l’unico modo di venirne fuori sia quello di trovare altro petrolio e altro gas da bruciare.
Purtroppo i giacimenti non sono eterni e, mano a mano che vengono svuotati, diventa più difficile recuperare altro combustibile, grattare il fondo del barile, infilare la mano sempre più in profondità. Questo, oltre a rendere tecnicamente meno agevole le operazioni, le fa diventare più costose e dunque il prezzo che dovremo pagare è destinato a salire sempre di più.
Lo dico tra parentesi, ma questa è la fine che faranno, prima o poi, tutti i combustibili fossili. Anche il carbone e l’uranio, di cui si parla meno perché il loro contributo al totale è minoritario rispetto agli altri due, per motivi diversi, ma entrambi molto validi. Il carbone per il livello eccessivo di inquinamento prodotto, come ben sanno le autorità cinesi che non possono però farne a meno se vogliono “salvare i fenomeni”; l’uranio per tutte le implicazioni di rischio che il suo utilizzo comporta.
Proviamo allora, per un momento, ad accettare il fatto che il prossimo futuro ci vedrà ancora dominati da Shell, Chevron, ENI, Halliburton e tutte le altre multinazionali delle fonti fossili (salto per decenza quelle della chimica, dei farmaci e del cibo). Dove e come andiamo a cercare nuove fon

La risposta c’è, è concreta ed è questa: “sotto i ghiacci polari e dentro le rocce scistiche.”
Non ho il tempo,. In questa puntata di raccontare cosa succede nell’Artico e con i giacimenti di gas scistico soprattutto negli Stati Uniti.
L’ho però fatto moltissime volte con Noncicredo, le cui puntate, tutte quelle degli ultimi dieci, anni trovate sul mio sito: noncicredo.org.
Sullo stesso sito si apre da oggi una parte dedicata a questa nuova avventura, Nonsonostatoio, che potete raggiungere anche direttamente scrivendo www.nonsonostatoio.eu.
La soluzione: centrali a carbone e nucleari … per davvero?
Oggi abbiamo parlato di metodo, tirando in ballo quello che gli antichi greci e i loro seguaci medioevali avevano assunto a qualcosa che doveva andare bene per forza. Oggi è ancora così?Per certi versi lo è, perché, come visto prima, le resistenze al cambiamento radicale sono molte e soprattutto ben supportate economicamente. Tuttavia qualcosa di nuovo c’è.
Un anno fa, nell’agosto del 2021, l’IPCC, l’organismo dell’ONU che si occupa specificamente di cambiamenti climatici, ha fatto avere ai politic,i che qualche mese dopo si sarebbero riuniti in Scozia per partecipare alla COP numero 26, un voluminoso documento, che raccoglieva le conclusioni di 14 mila studi, ricerche, approfondimenti, provenienti da Università, centri di ricerca, associazioni private. Le conclusioni erano e sono sempre le stesse. Il degrado in cui versa il pianeta è causato dalle attività umane, a partire dalla combustione di combustibili fossili, passando per la produzione di carne, per la coltivazione di piante che prevede l’abbattimento di foreste millenarie, e così via.

Così, di fronte ad una crisi che ha messo insieme una gestione pesante di una grave pandemia e una guerra forse inaspettata ma con possibili conseguenze gravi anche per noi, ha urlato senza pensarci un attimo a tirare fuori dal cassetto le centrali a carbone e quelle nucleari. Ora, è chiaro che chiunque può pensare che, in fondo, che male c’è.
Sottolineo solo che il carbone, tra tutte le fonti fossili, è quella che maggiormente contribuisce all’effetto serra. Che questo, l’effetto serra intendo, è, alla fine, la causa di tutti i mali climatici che ci tocca subire e che le più recenti misurazioni danno un valore così grande che per trovarne traccia occorre andare indietro di milioni di anni, quando i mari avevano livelli di 20 metri superiori a quelli attuali e la temperatura media del pianeta era 4 gradi Celsius più alta. Che voglia dire qualcosa? Che sia davvero il caso di far crescere ancora la soglia di questo valore? Aumentare ancora di più l’effetto serra?
In quanto al nucleare, di cui ho parlato mille volte a Noncicredo, come già detto all’inizio, sottolineo alcuni aspetti cruciali che andrebbero raccontati alla gente, assieme all’innegabile vantaggio che la fissione nucleare non produce gas serra. Non lo fa nel funzionamento del reattore, ma prima? Quando si scavano miniere per recuperare l’uranio? Per trasportare il materiale?
Le questioni sono:
Primo. Per costruire una centrale nucleare moderna (di terza generazione, la quarta semplicemente non esiste sul mercato è ancora in fase di studio) … per costruire una di queste centrali serve un sacco di tempo. La francese Flamonville, progettata del 2004, cominciata nel 2006 non è mai entrata in funzione, forse lo farà nel 2025. Analogamente sono andate le cose per quella, gemella, di Olkiluoto in Finlandia.
Secondo. I costi della costruzione e della manutenzione sono elevatissimi. Dare un’occhiata alle già citate centrali europee per averne un’idea.
Terzo: Non sono sicure. Quelle costruite, dai francesi, in Cina sono ferme perché si sono scoperti problemi gravi sulle condutture, che presentano ruggine.
Quarto. Le centrali nucleari producono solo energia elettrica. Lo fanno a prezzo molto alto rispetto alle altre forme di produzione, comprese ovviamente quelle rinnovabili. Questo costo finirà inevitabilmente sulle bollette degli italiani: avremo dunque un vantaggio rispetto alle cifre esorbitanti che stiamo pagando adesso? Oggi, in tutto il mondo, tranne pochissimi paesi come la Cina o l’India, hanno un contributo minimo dal nucleare nel loro mix energetico.
Ci sono eccezioni, come la Francia, che sta avendo dal nucleare tanti di quei problemi, sia tecnici che economici da far paura. Nonostante i suoi 52 reattori, si vedono cotretti ad aprire centrali a carbone, perché metà sono fermi per manutenzione per tempi molto lunghi.

Oggi non esiste alcun luogo sicuro, in tutto il mondo, dove si possano stoccare senza timore le scorie di questa forma di produzione di energia. Tra un anno e mezzo, l’Italia riceverà da Inghilterra e Francia, un grazioso regalo. Sono le barre riprocessate delle nostre vecchie centrali, mandate là per estrarre quello che di utile poteva ancora servire (Plutonio soprattutto). I nostri politici dovranno decidere cosa farne. Hanno dato l’incarico a Sogin di individuare le aree più idonee per costruire un deposito per le scorie di bassa e media intensità. Sogin lo ha fatto: sono risultati più fortunati 67 siti, distribuiti tra le regioni: Piemonte, Toscana, Lazio, Puglia, Basilicata, Sicilia e Sardegna. Non c’è la vostra? Siete fortunati, ma vi ricordo che quando c’è una fuga di materiale radioattivo non sai mai dove andrà a finire trasportato dal vento.
E le scorie ad alta intensità? Questo non si sa: verranno parcheggiate da qualche parte in attesa che a livello europeo si decida cosa fare e lo si faccia. Se prendiamo come paragone cosa sta accadendo negli Stati Uniti, la frase “campa cavallo che l’erba cresce” ci sta proprio bene.
Carbone, aumento del gas, nucleare, queste le scelte per alleviare la crisi sociale ed economica. Ma così si acuisce e di molto la crisi ambientale, che comunque provoca morti e disgrazie.
Per fortuna oggi non c’è più Aristotele e solo i poveri di spirito continuano ad affidarsi a quell’“ipse dixit”, diventato “l’ha detto la televisione” o, peggio ancora, “l’ha detto internet”. Oggi c’è un sacco di gente che ha capito la situazione e cerca di cambiare rotta. I fenomeni non vanno salvati, vanno cambiati e se serve, buttati del tutto. La speranza di tutti noi è che queste persone abbiano forza sufficiente per imporre le proprie idee, che sono quelle di approfittare di questa emergenza per spingere oltre ogni limite la realizzazione di infrastrutture basate su energie rinnovabili.
Conclusione
Per oggi è tutto. Dalla prossima punta cominceremo il racconto di una serie di storie istruttive su come sono andate e, a volte, ancora vanno le cose in questa nostra strana nazione.Da Mario il solito affettuoso saluto. Sigla.
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Nota: questa è la trascrizione testuale della puntata del 6 settembre 2022 della trasmissione "Non sono stato io" a Radio Cooperativa.
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