Introduzione

com01Oggi mi piacerebbe fare alcune riflessioni su una corrente di filosofia e di pensiero, oltre che di azione, che ha coinvolto dalla metà dell’ottocento in poi larga parte della popolazione mondiale, il comunismo. Quello che mi piacerebbe offrire è la storia del movimento comunista, così come si è sviluppato dalle idee di Marx ed Engels a metà del 19° secolo e seguirne le evoluzioni. Oggi i paesi a governo comunista si contano sulle dita di una mano (letteralmente!), anche se, almeno in un caso si tratta di una nazione dalla potenza impressionante come la Cina.
Credo che tra gli ascoltatori ci sia chi ha partecipato alle azioni del partito comunista italiano. Di questo parlerò tuttavia poco, avendo dedicato, a suo tempo, un’intera puntata ad Enrico Berlinguer. E a quella rimando per chi fosse interessato (LINK).
Un solo chiarimento prima di cominciare. Non c’è, qui, nessuna intenzione di inneggiare al comunismo o, al contrario, di denigrarne i fondamenti. Cerco di essere semplicemente fedele narratore di quanto è successo, perché, come dico sempre, la storia è storia e non si può modificarla a piacimento. Fissati dunque i paletti e supponendo che siate convinti della mia onestà intellettuale, possiamo cominciare.
Questo è un inno storico molto importante, l’Internazionale Socialista. La sua origine è molto lontana, per celebrare la Comune di Parigi, uno dei più straordinari esempi di società anarco-comunista, avvenuta nel 1871.
Quando parliamo di società comunista (ma anche socialista o anarchica), l’obiezione che sentiamo subito è che “si tratta di un’utopia”.
E ci scontriamo subito con il problema più arduo, vale a dire la distinzione tra le proposte teoriche e le realizzazioni pratiche. Dovremo chiederci, insomma, se esista o se sia esistita qualche società che ha messo in pratica i dettami del comunismo, quello dei suoi padri. Cercherò di dare alcune risposte a questo quesito che è, alla fine, quello cruciale. Ma prima andiamo molto indietro nel tempo, perché le società utopiche non nascono certo con Marx ed Engels.

Società utopiche

La domanda è: sono mai esistite società utopiche? E poi, cosa significa utopia, in questo caso?
Banalizzando al massimo, in questo caso l’utopia è quella di un governo del popolo, ma non quello nostro che vota ogni tanto, lasciando poi che gli eletti facciano quello che vogliono. Intendo che è il popolo a proporre e a decidere le leggi con una sorta di democrazia diretta. Ma anche di più. L’altro aspetto è quello della messa in comune dei beni, della condivisione dei mezzi di produzione, delle terre da coltivare, delle risorse del paese. É un aspetto che troviamo sia nel comunismo primitivo che nell’anarchismo. Vediamo qualche esempio.
Uno dei primi ad immaginare una società utopica è il filosofo greco Platone, che, attorno al 375 a.C. scrive quella La Repubblica. Nei 10 libri di cui si compone, ci offre molti spunti di vario genere. Quello che qui ci interessa è il suo concetto di “Stato ideale” (o Città ideale). E non è nemmeno il primo, perché, anche leggendo la bibbia si incontrano suggerimenti idealistici, come avviene ad esempio nella Genesi a proposito della torre di Babele.
com02Ma questi sono solo spunti filosofici e molti altri si potrebbero citare, sono più provocazioni a sostegno di teorie sulla natura dell’uomo, sulla morale o cose del genere.
Un esempio più concreto si ha dopo la morte di Gesù di Nazareth, secondo quello che le scritture raccontano. La Chiesa primitiva, sorta a Gerusalemme, ha instaurato proprio questo sistema di condivisione dei beni ed è chiaramente la trasposizione dei dettami della predicazione del Cristo, così come appare dai Vangeli.
A proposito di religiosi che hanno cercato di organizzare società prive di proprietà privata, possiamo ricordare i Valdesi, o anche i dolciniani, guidati da fra Dolcino. Alla Chiesa questi movimenti non sono piaciuti per niente, tanto che il povero fra Dolcino finisce bruciato vivo sul rogo nel 1307.
Rivolte, dovute alla situazione grave in cui le classi più povere vivono, si ripetono in vari stati. In Inghilterra la rivolta dei contadini, la Jaquerie in Francia o il tumulto dei Ciompi a Firenze.
Questo non significa affatto che il comunismo è nato nel 1300 o prima, ma che ci sono stati molti movimenti che hanno cercato di modificare la situazione in meglio puntando verso una situazione utopica, sostituendo la distanza tra ricchi e poveri, con una giusta ed equa distribuzione dei beni.
Nell’elenco di chi ha proposto città ideali, utopiche, che possiamo chiamare “proto-comuniste”, ci sono due filosofi importanti. L’inglese Thomas Moore, latinizzato poi in Tommaso Moro e Tommaso Campanella.
Il primo descrive, nel suo trattato “Utopia”, una società basata sulla proprietà comune delle risorse, amministrate attraverso l'applicazione della ragione e non del profitto. Questa idea trova anche applicazione pratica in varie località inglesi, dove i Diggers, cioè gli zappatori, si uniscono per lavorare la terra secondo principi comunitari, senza quindi alcun concetto di proprietà privata o personale.
Tommaso Campanella inventa una “Città del Sole” in cui tutto funziona alla perfezione.
Gli abitanti non conoscono gli egoismi, gli orrori della guerra e della fame e le violenze che ci sono nel resto del mondo. La città è organizzata in modo totalmente razionale. Essa viene controllata da un gruppo di persone chiamate "offiziali" che vigilano continuamente in modo che nessuno possa compiere azioni non giuste nei confronti di altri cittadini.
Ma questa è solo un’opera letteraria, nessuna sua applicazione reale è mai esistita.
Quello che conta è che di società utopiche, descritte o realizzate, anche se per breve tempo e poi soffocate dal potere, ne sono esistite. Possiamo pensare a queste esperienze come alle prime immagini di comunismo, anche se il termine comparirà solo due secoli più tardi, all’inizio dell’800, e sempre in trattati utopici.
Utopie appunto, distrutte dall’indole dell’uomo di possedere mezzi, denaro e potere. Nascono così disuguaglianze, i ricchi e i poveri e, perché questo status regga, occorre che i ricchi prendano tutto quello che possono, lasciando i poveri in braghe di tela. Questa divisione aumenta nel tempo e non occorre tornare al medioevo con una classe dominante di prìncipi, feudatari e cavalieri e con una plebe alla fame, se non addirittura in schiavitù.
E adesso il nostro viaggio può cominciare. Ci trasferiamo nell’ultima parte del 1'700, in Inghilterra.

Rivoluzione industriale: borghesia e proletariato

Il nostro viaggio può cominciare verso l’ultimo scorcio del 18° secolo, quando avviene la rivoluzione industriale, prima in Inghilterra e poi negli altri paesi del continente. É una trasformazione epocale, enorme, che cambia ogni cosa da tutti i punti di vista. L’introduzione delle macchine a vapore prima e dell’elettricità poi, porta ad una industrializzazione che si autoalimenta. Tutti i settori produttivi e dei servizi ne sono coinvolti e con essi, come potrebbe essere diversamente, cambia anche profondamente la società tutta.
com01Va detto che le economie dei paesi, prima di questa rivoluzione, sono fondamentalmente su base agricola. E sappiamo bene come il contadino non abbia un introito sicuro, dipendendo dalle condizioni atmosferiche e da mille altri fattori contingenti.
I commercianti sfruttano gli introiti provenienti dalle merci che riescono a recuperare dalle colonie a prezzi non esorbitanti e, rivendendole in patria, possono investire in nuove tecniche di produzione, più moderne e sicuramente più remunerative. É un passaggio cruciale che porta la società contadina a dover fare i conti con un progressivo aumento di produzione dei beni per altra via, nelle fabbriche, che sostituiscono il lavoro manuale con quello delle macchine.
E poi, in Inghilterra, si mette di mezzo anche la legislazione, che approva una serie di Enclosures Acts, letteralmente “leggi sulle recinzioni” che di fatto tolgono ai contadini una grande fetta di terre da coltivare, favorendo i proprietari terrieri. E così i piccoli agricoltori si trovano costretti a cambiare mestiere e a spostarsi in città, diventando la nuova forza lavoro impiegata nelle fabbriche.
In tutto questo non possiamo dimenticare l’aspetto scientifico o tecnico se preferite, con l’invenzione delle macchine a vapore, grazie al genio di un fabbro inglese, Thomas Newcomen all’inizio del secolo 18°, macchine rese efficienti 50 anni più tardi dal senso pratico dell’ingegnere James Watt. É un passaggio fondamentale che dà una spinta decisiva all’industrializzazione. La società cambia: cresce una classe operaia sempre più numerosa. Le campagne si svuotano e si riempiono le città, dove crescono fabbriche di ogni genere, dando il via al lungo processo che porterà all’attuale società dei consumi. Alcuni lavori spariscono o sono ridotti a pochi isolati casi e altri nuovi si materializzano. Cresce un benessere generale, perché ci sono più beni da scambiare, da vendere e comprare, ma questo benessere non è per tutti e, soprattutto, non è gratuito: lo paga una classe operaia sfruttata e malpagata, senza diritti, con turni esasperanti di lavoro, soggetta ai voleri non sempre logici e quasi mai benevoli dei padroni.
É una situazione intollerabile per moltissime persone, perché i ricchi sono enormemente meno dei poveri e degli sfruttati. Una simile società è ingiusta e a qualcuno comincia a balenare l’idea che debba essere cambiata. Già, cambiata … ma come?
Bisogna costruire una strategia di intervento, capire come e cosa si possa fare per sovvertire questa divisione sempre più marcata tra ricchi e poveri. Si parla di classi sociali, quella dei lavoratori nelle fabbriche e dei contadini è all’ultimo gradino della scala.
Nascono nuovi termini. I borghesi sono quelli che hanno in mano il potere economico e politico, i proletari tutti gli altri. Il termine “proletario” deriva dal latino. Nell’antica Roma chi non possedeva niente veniva censito solo se possedeva figli, cioè prole, da qui il termine proletario. I borghesi invece sono quelli che possiedono qualcosa, probabilmente è di derivazione medioevale e deriva da burgos, borgo, paese, forse quelli che vivevano all’interno del borgo, forse nei castelli e quindi detentori del potere. Ma questa derivazione è molto incerta. Quello che conta, per noi è che la borghesia, nata con la rivoluzione industriale, è quella che possiede e gestisce i mezzi di produzione.

Analisi della società: da Hegel a Marx

com01Cosa fare, dunque? Il primo passo è capire come funziona questo meccanismo, quale ne è l’evoluzione. Nell’Ottocento la filosofia si spende su questo aspetto. Lo fa, ad esempio, Georg Wilhelm Friedrich Hegel, uno dei più importanti illuministi tedeschi. Lui sostiene che quella che definisce società civile è basata su un processo dialettico, vale a dire un continuo confronto o scontro delle esigenze degli individui che hanno determinati interessi con altri che vogliono la stessa cosa. Vale, per Hegel, l’esempio del “padrone e servo”, che sono sì in contrasto, ma nessuno dei due potrebbe vivere senza la presenza dell’altro. Certo non una visione socialista, ma un modo di interpretare un tema sul quale molti si sono schierati, a favore e contro l’interpretazione di Hegel.
Nel 1848, due filosofi tedeschi danno alle stampe un libretto propagandistico, che diventerà uno dei più famosi mai pubblicati: Il Manifesto del Partito Comunista. Karl Marx e Friedrich Engels fanno parte della “Lega dei giusti”, organizzazione operaia clandestina, che, quando, nel 1847, diventa “Lega dei comunisti”, adotta il motto “Proletari di tutti i paesi, unitevi!” e dà a Marx e Engels l’incarico di scrivere un manifesto, sull’indicazione del primo articolo dello statuto della Lega, che si pone come obiettivo “l'abbattimento della borghesia, il dominio del proletariato, la liquidazione della vecchia società borghese, basata sugli antagonismi di classe e la fondazione di una nuova società senza classi e senza proprietà privata”.
Il compito non è semplice, perché un simile obiettivo, di portata straordinaria, non si può basare su slogan o urla. Serve un’analisi, storica e sociale, che affronti tutti gli aspetti dell’economia, della produzione, dei rapporti tra le classi. Il “Manifesto” è questo, è la proposta di una società diversa, migliore nelle intenzioni, e dei modi per realizzarla. Karl Marx scriverà altre opere importanti, tra cui “Il Capitale”, tre volumi che disegnano una critica dell’economia politica. Il comunismo moderno nasce qui, una filosofia marxista che conterà seguaci in larga parte del mondo. Le domande che possiamo porci sono due: “Cosa vuole Marx?” e poi “Come si modifica il marxismo nelle successive esperienze concrete?”
É una bella domanda.

Cosa vuole Karl Marx?

Per capire se le idee di Karl Marx e Friedrich Engels possono trovare applicazione pratica, è necessario cominciare dall’inizio, dalla dichiarazione di intenti di Marx, che apre il Manifesto così:
Uno spettro si aggira per l'Europa - lo spettro del comunismo. Tutte le potenze della vecchia Europa, il papa e lo zar, Metternich e Guizot, radicali francesi e poliziotti tedeschi, si sono alleati in una santa caccia spietata contro questo spettro”.
Bisogna che cominciamo a prendere contatto con i nuovi termini. Sicuramente uno è comunismo, che è poi l’argomento di questo articolo, ma nel Manifesto ce n’è un altro, “partito”. Marx fa capire che per cambiare la società, perché le sue idee trovino applicazione, c’è bisogno dell’aggregazione dei comunisti e cioè la necessità di organizzarsi in una formazione politica con tanto di progetto da produrre, condividere e realizzare.
Questo succederà davvero, ma ci vorrà un bel po’ di tempo perché il proletariato si organizzi in questo senso. Accade quando nasce il Partito Socialdemocratico di Germania (SPD Sozialdemokratische Partei Deutschlands). Come si nota qui ci sono un sacco di definizioni differenti: socialismo, socialdemocrazia, comunismo e, siccome i termini sono importanti, con Marx ancora vivo, si parla diffusamente di marxismo come sinonimo di comunismo.
L’opera di Marx è monumentale perché affronta ogni aspetto della società tutta, la analizza e non si limita ad evidenziarne i difetti, ma propone soluzioni alternative, perché ci sia meno ingiustizia e più equilibrio. Perché gli uomini siano uguali. Ma questa, l’uguaglianza, è solo un mezzo per arrivare alla vetta delle conquiste: la libertà. Libertà che manca a chi è ostaggio dei potenti, dei ricchi; manca ai proletari, agli operai, ai contadini.
Qui non si tratta di dire che Marx è stato bravo o un povero illuso. La sua opera fa parte della storia che sto raccontando e come tale la propongo.

Materialismo, plusvalore, rivoluzione

La differenza fondamentale tra l’analisi di Hegel e quella di Marx è che quella di quest’ultimo è basata sul materialismo. In sostanza, dice Marx, la realtà non si compone di belle parole e di teorie, ma è fatta di cose concrete, di bisogni, di desideri, di appetiti e quindi, in ultima analisi di lavoro e di denaro. Di cose materiali appunto!
Ecco allora che bisogna guardare a chi queste cose concrete, materiali, possiede e a chi non le possiede ma vorrebbe averle. La società è divisa in classi: chi ha e chi vorrebbe avere. Questa divisione scatena quella lotta di classe, che è portata avanti dagli uomini e certo non dalle idee o dalle teorie. Quando viene scritto “Proletari di tutti i paesi unitevi” significa che, per cambiare la storia e il mondo, serve un’azione collettiva. Un’azione che sovverta la situazione, che permetta alla classe debole, al proletariato di avere quelle cose di cui ha bisogno. Come ci si arriva? Attraverso una rivoluzione!
La storia ci insegna che questa divisione è sempre esistita, anche se si è manifestata in forme differenti. Sono le condizioni economiche a determinare non solo la vita delle persone. ma anche il tipo di governo, le gerarchie sociali, le leggi, le istituzioni politiche.
Nell’antichità questo avveniva grazie allo schiavismo, pensiamo a tutti i popoli dell’antichità, dagli egizi ai romani, dai greci ai popoli del Nord Europa. La cattura di schiavi era essenziale per far funzionare la propria società. Poi si arriva al Medioevo, dove lo schiavo cambia semplicemente nome, entrando nell’ambito del feudalesimo. Oggi, nell’800 in cui vive Karl Marx e nei secoli successivi, il feudalesimo è sostituito dal capitalismo, basato sulla proprietà privata dei mezzi di produzione. In ogni fase ci sono classi contrapposte. Oggi, dice Marx, sono la borghesia e la classe operaia.
La borghesia ha però aggiunto qualcosa di nuovo e potente: l’apparato pubblico, lo stato nelle sue molteplici sfaccettature, fatto apposta per tutelare i propri interessi.
Ovviamente in tutto questo discorso ha un ruolo fondamentale anche lo sviluppo tecnico, l’avvento delle macchine, che hanno reso la gestione della società più complicata. É necessaria una organizzazione che gestisca la fabbrica, l’industria, dove l’operaio lavora per il com01capitalista.
E torniamo qui al discorso del servo e del padrone di Hegel. Gli uni, gli operai, non possono esistere senza gli altri, i capitalisti, ma i loro interessi sono profondamente diversi. La conseguenza logica e inevitabile è che nascano contraddizioni in questa situazione e conflitti, che possono portare a cambiamenti sociali.
Insomma, in Marx ci sono le due anime di questa visione: materialista per il ruolo centrale delle esigenze economiche, ma anche dialettica. Questo termine significa che esiste un confronto tra le due classi, che in quel momento non può che essere tra la borghesia e il proletariato.
Perché? Da cosa dipende questa grande differenza? Dipende dal plusvalore, un concetto assolutamente centrale nell’analisi economica marxista. Di cosa si tratta?
Il plusvalore corrisponde alla differenza tra il valore prodotto dal lavoro dell’operaio e il valore accumulato, grazie a quel lavoro, dal capitalista. Proviamo a chiarire meglio. Il lavoro all’operaio porta uno stipendio, al datore di lavoro porta un utile, che è superiore allo stipendio. La differenza tra i due è il plusvalore. É così che, secondo Marx, si manifesta lo sfruttamento del proletariato, un meccanismo economico molto concreto. Il plusvalore è dunque la linfa del capitalismo, da qui deriva l’accumulo di ricchezze e quindi di potere nelle mani di pochi, mentre la maggior parte dei lavoratori deve accontentarsi di magri salari in una vita precaria. É questa disuguaglianza a portare allo scontro, alla lotta di classe, perché il proletariato riceve enormemente meno di quello che produce e chiede migliori salari, migliori condizioni di lavoro e un maggiore controllo sulle proprie vite. É questa contraddizione tra la ricerca del profitto e la ricerca della giustizia ad alimentare la lotta di classe.
La società che Marx ha in mente, la società socialista, elimina il plusvalore, perché assegna i mezzi di produzione ai lavoratori tutti, che li possiedono e li controllano, e ognuno riceve quello che dà, così che il conto è pari.
Il mezzo per arrivare a questa conquista è la rivoluzione, che sovverte il capitalismo e porta ad una fase di transizione, chiamata “dittatura del proletariato”, durante la quale la classe operaia prende il controllo dello stato, al fine di eliminare la borghesia e muoversi verso un’economia socialista. Questa fase è essenziale, per Marx, per impedire alla borghesia di riprendersi il potere. Non è, insomma, una dittatura nel senso che solitamente diamo a questo termine, perché non si tratta di sopprimere, ma di liberare le masse dallo sfruttamento del capitale.

Prima Internazionale e dissidi

com01Ci sono anni più importanti di altri in ogni storia. In questa è il 1864, quando viene convocata la Prima Internazionale, che raduna tutte le forze di sinistra. Ci sono tutti, perfino i mazziniani, che ne usciranno quasi subito, i socialisti, gli anarchici e i marxisti. Gli obiettivi sono concreti: si tratta di capire come il proletariato si deve muovere, se attraverso una contrattazione con la borghesia, o con azioni più ferme, come lo sciopero o la rivoluzione. Le vicende di questa organizzazione sono marcate da grandi differenze di vedute su molti temi trattati.
Delle differenze molto forti tra comunisti e anarchici ho detto nell’articolo sull’anarchismo, che trovate qui (LINK). Alla fine prevale l’idea marxista, mentre gli anarchici di Bakunin se ne vanno a fondare una loro internazionale.
Tuttavia, nonostante l’allontanamento degli oppositori, questa internazionale non dura moltissimo e nel 1876 si scioglie.
Oggi noi siamo abituati a parlare di destra e sinistra credendo di avere le idee chiare su questi termini. É un po’ più complicato farlo riferendosi all’Ottocento. Ad ogni modo, sul lavoro di Marx arrivano critiche anche “da sinistra” cioè dagli ambienti più duri o più decisi a muoversi verso una rivoluzione piuttosto che verso un accordo con la borghesia. C’è chi giudica il suo ragionamento troppo incentrato sull’economia, troppo tecnicistico, poco adatto a masse ignoranti. A parte Engels, difensore quasi d’ufficio, nella disputa interviene uno dei grandi autori comunisti italiani, Antonio Labriola (l’altro è Gramsci, di cui diremo più avanti). Lui ribadisce che il marxismo è un movimento basato proprio sui rapporti che l’economia stabilisce con tutto il resto, con politica, idee, dottrine religiose, istituzioni, … tutto. Labriola è una delle grandi figure del socialismo. Cerca anche di far entrare nel partito socialista idee marxiste, ma senza troppo successo.
La posizione più ostile verso Marx si ha nel suo paese, in Germania, dove alle critiche seguono i cambiamenti di rotta. La socialdemocrazia tedesca fa una notevole marcia indietro. Sotto l’influsso del filosofo berlinese Eduard Bernstein, butta all’aria concetti fondamentali del marxismo, come quello della rivoluzione e della dittatura del proletariato. É una revisione che separa, da allora, la socialdemocrazia dal comunismo. In fondo, dice Bernstein, questa società borghese ha prodotto dei miglioramenti nella vita delle persone, offrendo nuove possibilità lavorative, e di questo dobbiamo essere contenti e goderne. In questo dibattito entrano nomi importanti, come quello di Rosa Luxemburg, che contesta aspramente Bernstein. Nessuno – dice – nega che le riforme siano importanti, ma l’obiettivo non è un miglioramento, ma il raggiungimento di una società di “liberi ed uguali”, una società pienamente comunista, per avere la quale una rivoluzione è indispensabile.
I socialdemocratici e i socialisti vengono da questo momento ritenuti traditori, revisionisti, addirittura fiancheggiatori della borghesia.
Marx muore nel 1883, Engels nel 1895.

Dopo Marx, Lenin e i bolscevichi

 La domanda ora si sposta: i suoi successori, sono stati capaci di seguire le sue indicazioni? Là dove il comunismo è diventato dominante, ed è accaduto in una larga parte del mondo, la strada percorsa è quella del Manifesto?
Qui bisogna distinguere, perché cambiare radicalmente una società verso il modello comunista di Marx, dipende anche dalle condizioni che si trovano in ogni singolo stato.
com01Così, ad esempio, in Gran Bretagna, il capitalismo di trascina dietro una democrazia che riesce ad accontentare la classe operaia con le riforme che realizza. In queste condizioni i movimenti rivoluzionari non trovano spazio per emergere. Invece dove prevale l’autoritarismo, come in Germania, è più urgente pensare alla democrazia che alla rivoluzione. Ed è anche per questo che qui si afferma la socialdemocrazia. Per trovare terreno fertile per iniziare un processo che cambi la società occorre che il capitalismo non sia già affermato, che sia all’inizio del suo percorso o, addirittura che non sia ancora cominciato e che le condizioni del paese siano quelle feudali. É in questa situazione che il marxismo diventa una componente fondamentale della lotta contro il sistema dominante.
Dove trovare una situazione ideale come questa? In quel momento non c’è migliore esempio della Russia zarista. Ed è là che adesso ci trasferiamo.
Il movimento marxista, come visto, non è monolitico, diviso tra ortodossi che seguono fedelmente le indicazioni di Marx e revisionisti che hanno una visione più soft, meno drastica del percorso da compiere. Ma, anche tra gli ortodossi, non è che regni un’unità di intenti assoluta.
Nel 1898 viene fondato il POSR (Partito Operaio Socialdemocratico Russo), nel quale confluiscono tutti i movimenti rivoluzionari. Ci vuole qualche anno perché il partito cominci ad essere attivo, per via della reazione zarista, che porta decine di dirigenti in carcere. Si arriva così alla primavera del 1903, quando ha luogo, a Londra e Bruxelles, il 2° Congresso. Qui gli ortodossi si spaccano in due correnti, una minoritaria che potremmo definire “riformatrice”, i menscevichi e l’altra decisamente rivoluzionaria, i bolscevichi, legata alle idee, espresse in una pubblicazione uscita l’anno precedente e intitolata “Che fare?”, a firma di Vladimir Il'ič Ul'janov, detto Lenin, uomo di intelletto e di cultura, ma anche d’azione. Del resto, a testimoniare le sue partecipazioni attive, ci sono la carcerazione e un esilio di 17 anni. La storia del comunismo non può prescindere dalla sua figura. 
Ma la Russia non è la Germania di Marx e applicare alla lettera le sue idee risulta impossibile. Lenin si trova di fronte ad una situazione in cui l’industrializzazione fa fatica a decollare, la maggior parte del popolo è composto da contadini e, soprattutto, non esiste una classe operaia a cui affidare il compito di guidare la rivoluzione.
Chi può farlo allora? Il proletariato russo è in grado di acquisire una coscienza politica socialista? É possibile fare affidamento su quelle masse?
Lenin pensa di no. E allora anche le strategie proposte da Marx vanno modificate, adeguate al presente. Se il proletariato russo, per proprio conto, non è in grado di avviare una rivoluzione, ha bisogno di una guida, una avanguardia, formata da intellettuali radicali. Il “Partito” ha il compito di educare le masse, indicando la strada, gli obiettivi, i metodi, tutto insomma. Per questo ci vuole un organismo estremamente compatto, disciplinato, che, dopo una democratica discussione interna sui vari punti, segua monoliticamente le decisioni prese. É l’origine di quello che verrà poi chiamato centralismo democratico. Quello che ne risulta è che più che verso una dittatura del proletariato, ci si muove verso una dittatura del “Partito”, anche se fatta in nome e per conto del proletariato.

Rivoluzione russa: bolscevichi al potere

Nel 1916, Lenin scrive un saggio politico di fortissimo impatto, che sarà pubblicato nella primavera del 1917, “L’imperialismo, fase suprema del capitalismo”, che contiene una sintesi delle teorie di Marx esposte nel Capitale. É un testo che sembra scritto per la nostra società attuale, con l’avvento della globalizzazione e del neoliberismo: la finanza che prevale sull’industria, i militari sui politici, il potere dello stato gestito da grandi gruppi finanziari internazionali … trovate qualche riferimento ad oggi?
Arriviamo così allo scoppio della prima guerra mondiale con i partiti socialdemocratici e socialisti che approvano l’entrata in guerra. É una scelta che lascia Lenin basito, quasi non ci crede. Rosa Luxemburg, con il solito piglio battagliero, definisce la socialdemocrazia “anticomunista”, come, del resto, aveva fatto Karl Marx, leggendo il programma politico all’atto della fondazione dell’SPD. I socialisti sono traditori del marxismo e il distacco diventa definitivo: i bolscevichi sono i soli comunisti, come la società che vogliono creare. Nel 1918 il POSR cambia nome e diventa Partito Comunista Russo.
La storia è ben nota: nel febbraio 1917 scoppia una rivolta spontanea che toglie di mezzo lo zar, ma non è la rivoluzione comunista. Per quella ci vorrà ancora qualche mese. Lenin intanto rientra in Russia e scrive “Stato e Rivoluzione”, che verrà pubblicato l’anno successivo. É la visione marxista dello stato, una guida di come il proletariato si deve comportare. Nei vari capitoli, Lenin esamina esperienze e teorie precedenti. Un particolare riferimento è alla Comune di Parigi, i cui princìpi ugualitari sarebbero perfettamente adatti alla società comunista in senso marxista. Solo, dice Lenin, bisogna evitare una fine simile ai comunardi, massacrati dall’esercito imperiale. Fine dovuta al fatto di aver sottovalutato la reazione imperiale. Ed ecco tornare a galla il concetto marxista di dittatura del proletariato, fase di eliminazione della borghesia e di consolidamento del potere comunista, evitando rinascite borghesi. Serve una vera rivoluzione comunista, con il rovesciamento dei rapporti sociali, quella rivoluzione che ha luogo nell’ottobre russo del 1917. Lenin e i suoi bolscevichi sono al potere.
Cosa cambia? Praticamente tutto. Se lo stato capitalista rappresenta il dominio di una minoranza, la borghesia, su una maggioranza, il proletariato, lo stato comunista è l’esatto contrario: è il dominio della maggioranza. In questo senso è un passaggio democratico. Bisogna arrivare al punto, citando Lenin, che anche una cuoca possa dirigere il paese. Ma, proprio come la dittatura del proletariato, anche lo stato è provvisorio. Alla fine le classi devono sparire, lo stato si deve “addormentare”. Ci vorrà tempo, sostiene Lenin, almeno una generazione … un po’ ottimista davvero!

La questione economica: i soviet

Questo enorme cambiamento produce una forte reazione da parte dei proprietari terrieri e degli aristocratici (i cosiddetti “bianchi”), sostenuti da diverse potenze straniere. La controffensiva diventa una guerra civile, che dura tre anni, fino al 1920, quando i bolscevichi prendono il sopravvento e Lenin ottiene tutto il potere. Durante il periodo della guerra, dal 1918 al 1920, viene attuato quello che viene chiamato comunismo di guerra, mettendo al centro delle questioni l’approvvigionamento delle città. Nascono così fattorie sovietiche (sovchoz) e fattorie collettive (kolchoz), specie di cooperative agricole gestite direttamente dallo Stato o dai soviet locali. Nei sovchoz i contadini diventano semplici dipendenti pubblici: la produzione è dello stato, così come i terreni, i mezzi e le strutture.
I soviet erano nati anni prima, addirittura durante l’impero dello zar, soprattutto per controllare e gestire gli scioperi nelle fabbriche. Si tratta di assemblee chiamate a gestire il potere politico locale. Sono formate da operai, ma anche da militari e da contadini: alla vigilia della rivoluzione d’ottobre sono oltre 1400 in tutta la Russia. É con l’avvento al potere dei bolscevichi che assumono un ruolo determinante nella configurazione del nuovo stato, che, non a caso, verrà chiamato Unione Sovietica.
com01Il comunismo di guerra è un tentativo che non porta a grandi risultati. Una scelta forse obbligata, ma poco apprezzata soprattutto dai contadini. Va tenuto conto che in quel periodo solo il 20% della popolazione vive in città e sono quelli sui quali i bolscevichi riescono ad esercitare il loro controllo. Rivolte e fallimenti sono frequenti: i contadini si ritirano nei loro villaggi, rifiutando di sottostare allo stato. Le linee ferroviarie sono parzialmente distrutte e alle città cominciano a non arrivare più i generi di sostentamento, cibo e combustibili. In questo periodo molte città vedono diminuire le loro popolazioni anche drasticamente (quasi un milione se ne va da Pietrogrado). Nel 1921 la carestia, legata ad un periodo di siccità e di gelo nelle regioni del Volga, causa la morte per fame di 5 milioni di persone. I bolscevichi perdono appeal, la classe operaia, che li sostiene nelle città, cala drasticamente. Le fabbriche sono in difficoltà, mancano decine di migliaia di operai, rifugiatisi nelle campagne. Il popolo non tollera più i favoritismi verso i membri del partito, l’Armata Rossa e gli studenti. La polizia segreta conta più di cento rivolte nel solo febbraio 1921. In marzo scoppia la rivolta di Kronštadt, alimentata dagli anarchici, contro lo statalismo e a favore di una gestione libertaria e locale. Per gli anarchici si tratta della “quarta rivoluzione russa”, per i dirigenti comunisti è solo un piccolo e insignificante episodio, uno dei tanti in quel periodo. É Lev Trockij a ordinare all’Armata Rossa di attaccare la città. Ci sono molti morti da entrambe le parti, ma alla fine Kronštadt viene riconquistata e la rivolta ridotta al silenzio. Tutto questo trambusto evidenzia il fallimento del comunismo di guerra: la strategia economica va modificata e Lenin se ne rende perfettamente conto. Da un punto di vista organizzativo, nel frattempo (1919) nasce il Comintern o Terza Internazionale. Non è solo un incontro con scambi di opinioni. Nel riaffermare l’internazionalismo del comunismo, tanto che si parla di un Partito Comunista Mondiale, viene ribadito il ruolo guida dello stesso Partito. Ma questo è niente. I partiti nazionali diventano una specie di sezioni di quello russo, del quale accettano le scelte in quanto a strategie politiche, obiettivi e metodi. Il discorso varrà anche il per il Partito Comunista d’Italia, che nascerà due anni più tardi a Livorno e sarà, nei fatti, una semplice costola del Partito Russo, una sezione della Terza Internazionale.

NEP: Nuova Politica Economia

La Russia è in gravissime difficoltà. Il comunismo di guerra ha prodotto solo guai. Servono dei correttivi rapidi ed efficaci. Serve un nuovo programma di interventi, un piano, che Lenin chiama NEP, Nuova Politica Economica. In realtà non è una scelta definitiva, è solo per tamponare i problemi in attesa della realizzazione della società socialista.
Rispetto al precedente piano, è una piccola ritirata, un passo indietro rispetto all’ideologia marxista. Con due decreti, emanati tra aprile e agosto 1921, le confische illimitate vengono sospese, si torna indietro sulla nazionalizzazione, alcuni beni che erano stati requisiti vengono restituiti dallo stato ai vecchi proprietari, ma solo nei settori dell’agricoltura e delle piccole attività. Lo stato tiene per sé il grosso degli affari: le banche, il commercio con l’estero, i grandi gruppi industriali. Sembra un ritorno, anche se molto blando e parziale, all’economia di mercato, una scommessa, che però porta qualche frutto positivo nella vita dei cittadini. Come è facile immaginare, all’interno del partito, non tutti sono soddisfatti di queste scelte. Lo statalismo è un bene prezioso per i privilegiati e i musi lunghi si sprecano.
La Russia diventa, dalla fine del 1922, “Unione delle repubbliche socialiste sovietiche” (URSS), o semplicemente Unione Sovietica. Nello stesso anno, Lenin subisce alcuni ictus e non è più in grado di dirigere il Partito e il Paese. Muore il 21 gennaio 1924. Nessuno tocca la NEP, al momento c’è qualcosa di più importante da fare: scegliere il successore del padre della rivoluzione.

Succedere a Lenin: Josip Stalin

A contendersi il potere sono in due: Lev Trockij e Josip Stalin, uomini molto diversi per storia, cultura, modi di porsi. E sono diversi anche com01nella loro interpretazione del comunismo, il cui sviluppo deve riguardare solo la Russia per Stalin (sua la teoria “socialismo in un solo stato”), mentre deve avere un respiro internazionale per Trockij. C’è anche un terzo personaggio in questa storia, Nikolai Bucharin, uno dei più amati da Lenin. Nella lotta per la successione sta con Stalin, che, alla fine, ottiene il posto che era stato di Lenin. La Russia è un paese da costruire, da adeguare al progresso moderno.
Il massimo degli sforzi viene diretto verso una meccanizzazione della produzione, soprattutto in agricoltura, dove i campi vengono ancora arati da aratri in legno trainati dai buoi. C’è anche una spinta verso una gestione collettiva delle terre, risorgono i soviet, ma la situazione è decisamente cambiata ed è stata cambiata proprio dalla NEP, voluta da Lenin. I piccoli possidenti di terre, i kulaki, se la passano abbastanza bene e non sono favorevoli a condividere con altri i propri introiti. Stalin agisce con calma, aspetta qualche anno e toglie di mezzo la NEP solo nel 1928. Il malumore tuttavia non è solo quello dei kulaki. Anche all’interno del Partito, Stalin ha avversari e non sono pochi. La sua reazione non ha mezze misure: gran parte degli oppositori finisce nei gulag, i campi di lavoro correttivi, che vedranno passare, negli anni, quasi venti milioni di persone, gli altri vengono semplicemente sterminati. L’opera di distruzione dei nemici da parte di Stalin verrà conosciuta solo molto tempo dopo, grazie alla relazione di Kruscev al 20° congresso del PCUS nel 1956, quando si scopriranno, con orrore, le grandi purghe staliniste.
In questo repulisti, Stalin commette alcuni errori, al di là del modo indegno di affrontare i nemici. Infatti, oltre ai contadini ribelli e ai contestatori, finiscono nelle mire di Stalin molti abili e importanti dirigenti bolscevichi e le menti migliori dell’Armata Rossa, figlia del suo avversario Trockij. É un errore che l’Unione Sovietica pagherà cara con un inizio della seconda guerra mondiale particolarmente difficile. Ci vorrà tempo perché l’esercito riprenda in pieno la sua efficienza. Anche quello che era stato tra i suoi migliori alleati, Bucharin, fa una brutta fine. C’è un processo farsa, come la maggior parte dei processi ai dissidenti, alla fine dei quali gli accusati ammettono colpe inesistenti, spesso fantasiose e la conclusione è sempre la stessa. Bucharin si piega, come lui stesso dice, “alla macchina infernale, che si serve di sistemi medievali, e maneggia un potere immane - la macchina che fabbrica calunnie sistematiche e funziona con perfetta automatica sicurezza”. Nella sua confessione tira in ballo anche Trockij, indicandolo come principale fautore di una controrivoluzione. Entrambi vengono uccisi, Bucharin giustiziato dall’NKVD, il Commissariato del popolo per gli affari interni, Trockij in Messico da un sicario, dopo un lungo esilio. Ci vorranno molti anni perché la figura di Bucharin venga riabilitata: lo farà Gorbacev nel 1988.
Uno degli aspetti importanti del governo stalinista è il culto della personalità, che è tipico delle dittature. La fama, l’amore e la devozione verso di lui, non termineranno nemmeno dopo le rivelazioni di Kruscev. “Baffone”, come veniva chiamato in Italia, manterrà il suo posto nel cuore dei compagni. Lui è quello che ha realizzato il comunismo, ha dato una indicazione chiara di come procedere per una società comunista e, soprattutto, ha sconfitto la bestia del nazifascismo riportando la libertà nel mondo. Ma, già prima delle rivelazioni di Kruscev, non tutti sono d’accordo su questa interpretazione. In Italia c’è un personaggio di enorme cultura, Antonio Gramsci, che è segretario del partito comunista d’Italia, oltre che deputato del regno. É il 1926 quando affida a Palmiro Togliatti, suo braccio destro in quel momento a Mosca, una lettera destinata ai compagni sovietici. Si lamenta della lotta interna al Partito. Come è possibile trattare da nemici i compcom01agni che hanno realizzato la rivoluzione? Che razza di comunismo è questo? “Compagni – scrive - voi state rovinando l’opera vostra”.
Gramsci ha un concetto tutto suo del comunismo, che vede come la vera “democrazia operaia”, rifacendosi all’opera dei soviet, dove prevale il principio assembleare, a partire da quei consigli di fabbrica, per i quali si era speso fin dal 1919. Un ruolo importante nella critica gramsciana ha sicuramente anche il cosiddetto “testamento di Lenin” che raccomandava prudenza nell'affidare una concentrazione di poteri nelle mani di Stalin, giudicato rozzo e inadatto a ricoprire il ruolo di segretario.
Togliatti non se la sente di portare un simile messaggio ai dirigenti sovietici e si rivolge all’ufficio politico del PCdI, il quale sconfessa il proprio segretario, che viene messo in minoranza. Questo episodio segna una rottura tra Togliatti e Gramsci, ma poco dopo il segretario viene arrestato, condannato e rinchiuso tra carceri e case di cura. Muore prima che termini il suo periodo di detenzione nel 1937. Per avere un’altra critica al regime sovietico occorrerà aspettare il memoriale di Yalta (1964) di Togliatti e l’opera di Berlinguer, che ho raccontato nei dettagli nell’artivcolo sul politico sardo. (LINK)
Dunque nel corso degli anni le critiche a Stalin non sono mancate. Ma adesso torniamo a Mosca e al periodo di regno del “piccolo padre”, come Stalin veniva chiamato. L’idea di comunismo, già modificata da Marx a Lenin, cambia volto: il materialismo dialettico diventa la verità assoluta, un dogma nell’URSS, una scusa perché Stalin possa attuare tutte le strategie politiche che desidera. La società sovietica diventa definitivamente totalitaria. Stalin viene rappresentato come un gigante geniale, che sa far tutto e che ci ricorda altri dittatori di tutt’altro colore. Ovviamente, non c’è più posto per la democrazia interna, né per il centralismo democratico.

L’imperialismo sovietico

Le cose, nonostante le scioccanti rivelazioni di Kruscev, non cambiano granché con i suoi successori, in particolare con Leonid Breznev. Lui impone il “socialismo reale”, che è anche l’unico ammesso o possibile.
L’idea staliniana di “socialismo in un solo paese” chiude le porte all’internazionalismo comunista, ma con qualche eccezione. Regimi comunisti vengono instaurati negli stati che stanno al di là della cortina di ferro. I partiti che li governano sono semplici succursali del PCUS. La scaletta, l’agenda e tutto il resto è dettato direttamente da Mosca.
com01Del periodo più recente sappiamo molto. Forse è inutile ricordare che lo stesso Ernesto Che Guevara accuserà l’Unione Sovietica di imperialismo, per i suoi molteplici interventi nei confronti degli stati stranieri e non solo di quelli dell’est europeo, dove spiccano i casi dell’Ungheria del 1956, della Cecoslovacchia del 1968 e della Polonia. La reazione è sempre violenta, ovunque si tenti un’apertura anche blanda ad una gestione più democratica dello stato. L’unico vero comunismo è quello sovietico, occorre adattarsi. Il periodo di Breznev è quello dell’espansione del comunismo sovietico o con azioni dirette o con il sostegno ai gruppi e ai movimenti locali. Accade in Vietnam, unificato dopo la guerra con gli USA, accade in Africa in diversi paesi come l’Angola, il Mozambico, l’Etiopia, accade anche in Sud America con il Nicaragua e, anche se il caso è davvero da trattare a parte, con il sostegno alla rivoluzione cubana di Fidel Castro, che vedremo più avanti. Questa politica cambia drasticamente le cose anche all’interno del paese. Le spese per l’esercito e per il sostegno estero, risucchiano un sacco di risorse, che, ovviamente, sono sottratte ad altro. In questo modo rallenta e spesso si ferma la crescita sociale ed economica. Alcune scelte strategiche, come l’insistenza di finanziare la meccanica pesante, più utile ai militari che ai civili, tende a portare l’URSS fuori dal giro buono della rivoluzione telematica, in un mondo che cambia rapidamente e pretende una flessibilità anche economica che l’Unione Sovietica non ha. E quando la popolazione si rende conto che le cose non vanno per niente bene, la richiesta di cambiamento è una semplice conseguenza. Succede soprattutto nei paesi satelliti, con la Polonia in testa. É un processo che non si riesce a fermare. Alla morte di Breznev, dopo i brevi interregni di Andropov e Cernenko, arriva Gorbacev, il quale cambia leggermente le cose introducendo due termini che, all’epoca, diventano virali: la glasnost, cioè la trasparenza degli atti dello stato e la perestroika, la ristrutturazione dell’economia per avviare il paese ad essere uno stato di diritto.
Ovviamente non tutti ci stanno: il 18 agosto 1991 c’è un tentativo di colpo di stato da parte del KGB, il potente servizio segreto sovietico, e di alcuni reparti militari, dopo aver isolato Gorbacev, in vacanza in Crimea. Il golpe, che intende ristabilire il regime sovietico, fallisce grazie alla reazione di Boris Eltsin e della popolazione moscovita. Ma rappresenta un duro colpo per la Russia, che vede la disgregazione e progressivamente le dichiarazioni di autonomia di numerosi paesi, come ad esempio quelli baltici. Il processo di democratizzazione sembra inarrestabile. Significativamente le spinte maggiori si hanno nei paesi satelliti, a cominciare dalla Polonia, dove un forte sindacato e i molti soldi arrivati soprattutto dal Vaticano attraverso lo IOR, pongono fine al regime filo-sovietico. Nel novembre del 1989 il muro di Berlino in frantumi è l’immagine del crollo del regime. Il comunismo sovietico, che è stato di Lenin, Stalin e Breznev, finisce qui.
Nasce la Federazione russa, mentre il parlamento decreta l’abolizione del Partito Comunista: è il 29 agosto 1991.

Fuori dall’URSS

com01E fuori dal blocco sovietico? Tra i pochi dissidenti oltre cortina c’è Josip Broz Tito, a capo della repubblica jugoslava dalla fine della guerra fino alla sua morte. Dopo il periodo di massacri compiuti al termine del confitto, con il fenomeno delle foibe, lo scontro si sposta all’interno del Comintern, quando Tito rifiuta categoricamente di subire la politica stalinista di Mosca. La rottura è inevitabile e si assiste ad un difficile periodo durante il quale i “dispetti” di Mosca isolano sempre più la Jugoslavia, che viene espulsa dal Comintern. Tito provvederà, dal canto suo, ad una vera e propria epurazione dei fedeli a Mosca. Se questa rottura pregiudica gli aiuti sovietici, avvicina però Belgrado all’Occidente. I rapporti tra i due stati rientreranno nella normalità solo con la destalinizzazione avviata da Kruscev nel 1956.
É davvero complicato seguire l’evoluzione dei governi comunisti instauratisi in ogni angolo del mondo, a volte per un periodo breve.
Un caso interessante riguarda l’Albania, dove il Partito Comunista, una volta battuti nazisti e fascisti, vince le elezioni e comincia il governo di Enver Hoxha, nelle cui mani finiscono tutti i poteri. Comincia una storia che ha dell’allucinante per i cittadini albanesi, sottoposti alle follie di un dittatore spietato e ossessionato dall’Occidente. Il legame con l’Unione Sovietica è fortissimo, tanto che la costituzione è scritta prendendo a modello quella di Mosca. Quando, a metà degli anni ’60, cominciano le critiche al comunismo stalinista, l’Albania di rivolge alla Cina, stabilendo uno strano legame con una nazione lontanissima e un popolo che ha una storia e una cultura completamente diversa. Hoxha muore nel 1985. Comincia un periodo di normalizzazione democratica, costruita sulle macerie di un paese che ha vissuto imprigionato dentro i propri confini per oltre 40 anni. Un’esperienza che, a leggere Marx, di comunismo non ha proprio nulla.
Conosciamo la storia d’Europa del dopoguerra. Partiti comunisti nascono un po’ ovunque, ma due sono quelli che prendono piede: il francese e l’italiano. Non per gestire lo stato, sono sempre all’opposizione, anche se in qualche caso vanno molto vicino alla stanza dei bottoni, come in occasione del compromesso storico. Una interessante iniziativa è quella che va sotto il nome di eurocomunismo, proposta da Italia, Francia e Spagna, che adotta una visione completamente diversa da quella sovietica, basata com’è su regole democratiche, anche se il ruolo centrale del proletariato e della classe operaia non viene mai messo in discussione.
Dunque il comunismo al potere è una questione che non riguarda l’Europa Occidentale, ma c’è una espansione dalla parte opposta, verso l’Asia, in cui si accendono alcune situazioni particolarmente interessanti.
Adesso è tempo di rivolgersi altrove, in altri paesi dove il comunismo ha preso piede ed è ancora, almeno formalmente, la filosofia e l’organizzazione dominante. Per farlo facciamo un lungo viaggio verso Est e ci portiamo direttamente in Cina.

Chiang Kai-Shek e  Mao Zedong

Se, come visto, la Russia del 1917 si presenta come un paese arretrato dal punto di vista dell’industrializzazione, la Cina del 1921 lo è enormemente di più. É l’anno in cui viene fondato il Partito Comunista Cinese. Vi partecipa un uomo di Shaoshan, città del Sud Est della Cina, che salirà presto ai ruoli dirigenziali del Partito. Si chiama Mao Zedong (毛澤東).
La storia della Cina dell’inizio del secolo scorso è piuttosto movimentata. La dinastia imperiale regnante, i Qing, al potere da quasi trecento anni, comincia a mostrare le crepe. É inoltre ben poco amata dal popolo data la sua origine manciuriana. Una guerra civile porta nel 1912 all’abdicazione dell’imperatore e alla nascita della Repubblica cinese. Le vicende seguenti sono a dir poco confuse con lotte interne sia al partito che all’esercito e formazione di governi e contro governi, che prendono sede un po’ dappertutto nel paese. In questa fase ecco spuntare i signori della guerra, militari di varie fazioni che tentano di ottenere il potere con le armi. La confusione, se possibile, aumenta ancora.
com01La Cina partecipa alla prima guerra mondiale, forse più per l’attacco subito dal Giappone che per convinzione. La conquista dei territori cinesi da parte dei giapponesi e le condizioni molto dure imposte dal governo di Tokyo, convincono alla fine la Cina a dichiarare guerra alla Germania. Siamo nel 1917. Alla fine del conflitto alla Cina vengono restituiti territori che errano passati nelle mani del Giappone e della Germania.
Nel dopoguerra la situazione sociale esplode. Ci sono scioperi nelle città e manifestazioni studentesche. Il destino della Cina viene preso in mano dal partito nazionalista, fortemente sollecitato e aiutato dall’Unione Sovietica, che era appena uscita dalla guerra civile e aveva imposto il potere di Lenin e dei bolscevichi.
A capo dell’esercito che assume il potere c’è un uomo importante, un generale, Chiang Kai-shek (蔣介石).
L’esercito rivoluzionario di Chiang si rivolge al Nord e comincia la conquista dell’intero paese. Il Partito Comunista Cinese, su suggerimento di Michail Borodin, rappresentante del Comintern, si allea con l’esercito rivoluzionario. Poi però succede qualcosa, qualcosa di grave a Shangai, quando le truppe nazionaliste reprimono con un massacro le manifestazioni dei lavoratori. Ci sono centinaia di morti, arresti, torture di membri del partito comunista. É la rottura. I comunisti entrano in clandestinità e qui comincia la guerra tra loro e il partito di Chiang Kai-Shek, il Kuomintang.
Ecco dunque il contesto, anche se descritto molto a grandi linee, nel quale si avvia una campagna che durerà 20 anni e porterà, alla fine il Partito Comunista Cinese di Mao Zedong al potere.
Chiang Kai Shek lancia ben cinque campagne di annientamento dei comunisti, fallite per la resistenza incontrata o per dover spostare truppe a combattere l’invasione giapponese. L’ultima campagna, nel 1933, riesce però a mettere in crisi le piccole repubbliche sovietiche che Mao aveva creato nel Nord del paese. L’avanzata delle truppe nazionaliste, fa prendere a Mao una decisione azzardata. Prende armi e bagagli e comincia quella che viene chiamata la Lunga Marcia, uno spostamento delle basi comuniste di 6 mila km verso Nord. É in questa occasione che Mao Zedong diventa l’eroico leader del partito comunista cinese, che stabilisce la sua sede a Yana’n. Seguono anni complicati e confusi, durante i quali alcuni signori della guerra rapiscono Chiang Kai-Shek per ottenere accordi di potere. Poi, nel 1937 ecco di buono le armate giapponesi sul suolo cinese. Non c’è da stare a guardare. Tutti i cinesi, nazionalisti o comunisti, uniscono gli sforzi in una guerra che durerà 8 anni fino alla sconfitta nipponica nella seconda guerra mondiale. Ma la fragile intesa tra Kuomintang e PCC si rompe assai prima. Già nei primi anni ’40 la frattura è nei fatti. Mao organizza le sue truppe appoggiandosi ai contadini con azioni di guerriglia che costringono i giapponesi a trattenere sul territorio ingenti truppe. D’altra parte Chiang Kai-Shek è attendista, non affronta il nemico in campo aperto, ritenendo più grave il pericolo rappresentato dai comunisti che dai nipponici. Questo diverso atteggiamento sposta larga parte della popolazione, soprattutto quella contadina, dalla parte di Mao.
La fine della guerra vede, come poteva essere altrimenti, le due superpotenze comportarsi in modo opposto. Gli Stati Uniti impongono al Giappone di arrendersi all’esercito nazionalista, i sovietici invadono la Manciuria, fanno 700 mila prigionieri, raccolgono materiali e armi, che consegnano al Partito Comunista.
Alla fine, aiutati da USA e URSS, in Manciuria le città sono in mano ai nazionalisti, le campagne in mano ai comunisti. C’è anche un tentativo americano di trovare un’intesa tra i due contendenti per un governo del paese comune, ma l’intransigenza di entrambe le parti lo vanifica.
Comincia così l’ultima fase, l’ultima lotta per il potere. Da un lato i comunisti supportati dall’URSS, dall’altro Chiang Kai-Shek supportano molto più pesantemente dagli USA con milioni dollari in armamenti vari. Ma la situazione psicologica dei due eserciti è opposta. Da un lato c’è un governo corrotto e truppe che sono sui campi da battaglia da vent’anni, prima contro i comunisti, poi contro i giapponesi ed infine ancora contro i comunisti. Dall’altra parte c’è un esercito di liberazione che si ingrossa man mano, con truppe coese e ufficiali che si sono formati durante la Lunga Marcia e nei mille episodi di guerriglia contro i nipponici. La debolezza di Chiang Kai-Shek è evidente. Conquistata la Manciuria e moltissimo materiale bellico, l’esercito comunista si sposta a Sud della grande muraglia. Nell’aprile del 1949 Mao entra a Nanchino, capitale dei nazionalisti. Il 1° ottobre proclama la nascita della Repubblica popolare cinese con capitale Pechino. Chiangh Kai-Shek e 600 mila suoi soldati oltre a 2 milioni di civili si rifugiano nell’isola di Taiwan. Da allora ci sono due Cine, una enorme, quella maoista di Pechino e quella nazionalista, sostenuta dagli Stati Uniti, a Taipei, capitale di Taiwan.
Questa è la storia. Adesso però bisogna capire cosa succede in una Cina comunista e se il comunismo cinese ha qualcosa a che fare con Marx o con Lenin.

Il comunismo cinese

com01In Russia, Lenin ha avuto il problema di una classe operaia poco presente e quindi ha dovuto adattare le teorie marxiste alla situazione contingente. In Cina, Mao si trova in una situazione molto peggiore, dal momento che la forza della classe operaia è praticamente inesistente. Tutta la lunga campagna di lotta ha avuto come protagonisti i contadini. Anche in questo caso i leader comunisti non possono fare affidamento sul popolo che non è pronto, né culturalmente né ideologicamente a gestire un cambiamento epocale come quello che sta per arrivare. E dunque, anche qui, come nella Russia di Lenin, il Partito assume il ruolo di guida, a cui spettano tutte le decisioni in quanto a tattica e strategia. Del resto ancora oggi è così. Far parte del PCC è decisamente la cosa più importante per un cinese che voglia avere un ruolo chiave nella Repubblica Popolare Cinese.
Anche qui serve una industrializzazione. La Cina segue l’esempio dell’Unione Sovietica, che supporta con mezzi e suggerimenti i primi passi del nuovo regime. Del resto c’è riconoscenza da parte dei maoisti verso Mosca che, anche se in modo forse non eccessivamente massiccio, li ha comunque aiutati a superare i nazionalisti di Chiang Kai-Shek.
L’intervento dello stato ha un successo discreto nelle città in quanto a produzione industriale, ma fallisce nelle campagne, non riuscendo a migliorare di molto le condizioni dei contadini. Bisogna fare qualcosa e Mao si inventa un piano economico, chiamato “grande balzo in avanti”. Quella dei nomi pomposi e altisonanti è un vizio tipico dei cinesi. Basterebbe tradurre i nomi dei parchi di Pechino per rendersene conto. Ad ogni modo il nuovo piano poggia sulla collettivizzazione della produzione agricola e la formazione di “comuni” che ricordano le fattorie sovietiche dei primi anni della NEP.
Poi l’amore verso Mosca diminuisce parecchio: le condizioni sono molto diverse e ai cinesi non piace essere diretti (o comandati se preferite) dai burocrati sovietici. La distanza che si apre tra Pechino e Mosca ha, con ogni probabilità, anche altre motivazioni, di carattere politico e strategico. Ad esempio il rifiuto dell’URSS di aiutare la Cina a costruire un arsenale nucleare.
Intanto, nelle campagne tutto torna come prima: la produzione è famigliare con incentivi dello stato. Il fallimento del grande balzo crea un dissidio molto forte all’interno del Partito. La “sinistra” accusa la “destra” di degenerazione borghese. Mao, con il suo braccio destro, il generale Lin Biao, usa l’esercito per controllare la situazione e comincia una fase di indottrinamento ideologico delle masse. Il “libretto rosso” ne è un esempio: una raccolta di massime maoiste, pubblicate da Lin Biao nel 1963 e consegnate ai militari. É la premessa per quella fase che viene ricordata come “rivoluzione culturale”, durante la quale si parla assai poco di materialismo e moltissimo di ideologia, con manifestazioni esagerate di appartenenza ed esaltazione del leader. I fallimenti in economia e l’enorme confusione nella strategia politica comunista di Mao, fanno nascere un dissenso che è diretto da Zhou Enlai, che diventa primo ministro mentre Mao mantiene la carica di presidente senza di fatto avere un ruolo decisionale. com01É una fase estremamente violenta, con una quantità di morti non ben definita: c’è chi parla di alcune centinaia di migliaia, chi invece di decine di milioni. É il successore di Enlai, che muore prima di Mao, a cambiare le cose in Cina: Deng Xiaoping. Le sue “quattro modernizzazioni' (dell'agricoltura, dell'industria, della difesa nazionale, della scienza e della tecnica) fanno cambiare le cose decisamente in meglio da un punto di vista economico, anche per l’apertura verso Occidente, perfino con gli Stati Uniti, con la premessa, diventata famosa, delle partite di tennis-tavolo tra atleti cinesi e statunitensi. Del resto ad unaCina più pragmatica conviene entrare in contatto con la tecnologia occidentale, necessaria a far progredire la propria produzione. Nel 1989, mentre i regimi comunisti europei cadono uno ad uno, in piazza Tienanmen si svolgono manifestazioni giovanili che chiedono più democrazia. Ma l’aria di riforma che si respira in economia, non viene applicata in questo caso. Deng risponde schierando l’esercito. In piazza arrivano i carri armati con le scene trasmesse da ogni televisione europea. Dunque apertura economica sì, ma il Partito Comunista ha il monopolio politico. Questo fatto rimane ancora oggi, nonostante si possa ormai parlare, per la Cina, di un’economia di mercato.
In tutti questi cambiamenti c’è qualcosa che non muta mai ed è la figura di Mao Zedong, il quale, nonostante tutte le critiche possibili, i fallimenti e le vendette, rimane sempre, ancora oggi, il Grande Condottiero e il simbolo del comunismo cinese. Le infinite file di persone che ogni giorno aspettano ore per rendere omaggio al suo corpo imbalsamato sono la testimonianza più immediata che quell’uomo è quello che ha cambiato per sempre la Cina e quindi il popolo gli è riconoscente. Probabilmente molte di quelle persone, che sono in coda in piazza Tienanmen, non conoscono la storia o l’hanno dimenticata o nessuno gliela ha raccontata. 

Altre esperienze in Asia: Vietnam e Cambogia

A metà degli anni ’20 a Canton vive e lavora un fuoriuscito vietnamita, Ho Chi Minh, che si rifugia in Russia quando Chiang Kai-Shek prende il potere in Cina.
É già stato molto attivo, fondando la lega della gioventù rivoluzionaria e partecipando alla nascita del Partito Comunista a Parigi.
com01Nel 1929, alcuni membri della lega rivoluzionaria costituiscono ad Hanoi il Partito Comunista Indocinese, che comincia a propagarsi, organizzando scioperi e manifestazioni. In questo periodo l’Indocina è sotto il dominio francese. Solo nel 1941 Ho Chi Minh rientra in Vietnam e organizza il movimento Viet Minh. L’obiettivo è di creare basi in tutto il paese, affidandole ai guerriglieri che ne fanno parte. Nel 1945 il Partito Comunista viene sciolto e i suoi membri confluiscono nel Viet Minh. É solo una mossa formale, così da togliere l’imbarazzo per quell’aggettivo “comunista” dalle diciture ufficiali. Le idee tuttavia si rifanno sempre al marxismo. Poi l’Indocina vede apparire i partiti comunisti nazionali, in Laos, Birmania, Cambogia, dove salgono al potere i Khmer Rossi di Pol Pot.
Nel 1960, ad Hanoi, il Partito dei Lavoratori prende posizioni chiare: avviare una repubblica socialista nel Nord Vietnam e liberare il Sud Vietnam dal dominio capitalista. Finalmente anche il nome del partito è quello ufficiale: Partito Comunista Vietnamita. L’ideologia è quella marxista-leninista con la forte impronta di Ho Chi Minh.
La guerra che si svolge fino al 1975 contro l’esercito statunitense, sancisce alla fine la riunificazione dei due Vietnam sotto un’unica bandiera, quella socialista di Hanoi. La vecchia capitale, Saigon, oggi si chiama Ho Chi Minh.
Dal 1986 anche il Vietnam, come la Cina, si apre all’occidente, inserendo elementi di economia di mercato e diventando di fatto, nonostante il termine socialista nel suo nome, una moderna nazione dallo sviluppo enorme in questi ultimi anni.
Rimanendo in Indocina, ben diversa è la storia relativa al partito comunista cambogiano, che ha visto in Pol Pot il tiranno che per alcuni anni, fino al 1979, ha imposto una dittatura assurda alla guida dei Khmer Rossi. In quel periodo le stragi non si contano. Qualcuno ha calcolato che circa un quarto della popolazione è stata uccisa o direttamente dal regime o a causa di malnutrizione o dei terribili lavori forzati. La storia della Cambogia è complicatissima per l‘intervento di numerosi stati. Posso suggerire, per saperne di più, questo video di Nova Lectio. Quello che resta è l’orrore di quegli anni e una distanza abissale dalle idee del comunismo di Marx e Lenin.

La rivoluzione di Fidel Castro

Ci rivolgiamo adesso dall’altra parte del mondo, in America Latina, dove a varie riprese, esperienze comuniste o socialiste sono state messe in piedi. Tuttavia, quel subcontinente è il giardino di giochi degli Stati Uniti, non solo politicamente, ma, soprattutto, economicamente, avendo le molte grandi aziende, anche multinazionali, monopolizzato in vari paesi la produzione della nazione. Così, numerosi sono stati i golpe contro governi apertamente di sinistra. Tra tutti possiamo ricordare il caso del Guatemala di Arbenz Guzman e del Cile di Salvador Allende, che tuttavia non sono certo i soli.
Dove invece il comunismo ha attecchito è in un’isola dell’America caraibica, a Cuba.
com01La prima cosa da dire a proposito dell’avvento del comunismo a Cuba è che esso sostituisce un regime dittatoriale, retto da Fulgencio Batista, il quale sale, per la seconda volta, al potere con un colpo di stato nel 1952. Il giovane avvocato Fidel Castro si rivolge ai tribunali, accusando Batista di corruzione e tirannia, non ottenendo tuttavia alcun risultato. Così capisce che i metodi devono essere più drastici e, assieme al fratello Raul, mette in piedi un’organizzazione paramilitare, che si pone come primo obiettivo la caserma Moncada a Santiago de Cuba. L’assalto dei rivoltosi, sul cui numero non c’è alcuna certezza, è un totale fallimento, per l’equipaggiamento non adeguato e la preparazione superficiale. Molti vengono uccisi, altri catturati, imprigionati e torturati brutalmente prima di essere eliminati. Fidel Castro, coi pochi sopravvissuti, fugge sulla Sierra Maestra, ma viene arrestato pochi giorni dopo e condannato a 15 anni di carcere. Un movimento popolare indurrà il governo ad amnistiare tutti. L’azione contro la caserma Moncada avviene il 26 luglio 1953: è una data storica per Cuba, l’inizio delle azioni rivoluzionarie. In Messico, dove ripara assieme al fratello Raul e dove incontra il medico/guerrigliero argentino Ernesto “Che” Guevara, organizza il Movimiento 26 de Julio, con l’intenzione di tornare sull’isola per farla finita con Batista e l’ingerenza degli Stati Uniti. Con appena 80 uomini sbarca nella provincia Oriente, oggi Santiago de Cuba e si rifugia tra le montagne e le foreste della Sierra Maestra. Comincia la guerriglia che presenta subito un conto salato. Sconfitti, dispersi e uccisi dall’esercito di Batista, resta un pugno di uomini a continuare la lotta. Li guidano, oltre ai fratelli Castro e al Che, Camilo Cienfuegos, grande eroe della rivoluzione cubana, morto in modo estremamente misterioso in un incidente aereo nel 1959 a soli 27 anni. Sono momenti complicati, finché Fidel non trova un alleato in Crescencio Pérez, rappresentante dei “contadini precari”, quelli cioè che lavorano a chiamata, spesso poche settimane l’anno e soffrono terribilmente le difficoltà economiche dell’isola. É curioso il fatto che la popolazione sappia di queste attività sovversive non dalla stampa locale, o meglio, dalla rivista cubana “Bohemia”, che però ripubblica gli articoli del NYT, che mostrano una certa solidarietà dei liberals statunitensi verso i guerriglieri. L’informazione riesce ad aggregare il popolo attorno all’idea di una nazione diversa da quella di Batista. Ci sono alcuni eventi concomitanti decisivi. Da un lato il giudice Urrutia (futuro presidente di Cuba) dichiara innocenti gli 82 guerriglieri dell’assalto Moncada, perché – dice - ribellarsi ad una tirannia non è reato. Dall’altro le truppe di Fidel crescono di numero e di competenza e cominciano le prime vittorie contro guarnigioni di Batista, che non riescono a resistere ai guerriglieri. Poco a poco le campagne sono in mano a Castro, con grande gioia dei contadini che, vedono la loro vita cambiare: hanno cure mediche, istruzione per imparare a leggere e scrivere, fanno pasti con carne a cui non erano più abituati. Batista capisce che occorre togliere di mezzo la gente che sostiene Fidel. Così manda l’esercito e fa piazza pulita dei contadini, incendiando i raccolti e le case. Una massa di agricoltori arriva in città, rendendo ancora più difficile la sopravvivenza di tutti. I cittadini insorgono, i contadini tornano nei campi, ma questa volta hanno in mente solo una cosa: la vendetta contro il regime e l’esercito di Castro cresce. Anche la piccola borghesia, i politici liberali, i commercianti di zucchero abbracciano la causa della rivoluzione, sopraffatti dalle scelte, soprattutto economiche, di Batista. Ci sono tutti: ci sono i comunisti, i contadini, ci sono battaglioni di donne. Un’offensiva di 10 mila uomini dell’esercito di Batista, viene battuta da qualche centinaio di guerriglieri. L’esercito regolare è allo sbando: non arrivano rifornimenti e quando arrivano non sono adeguati. La popolazione è tutta dalla parte dei rivoltosi.
Il 1° gennaio 1959 dalla Sierra Maestra, Fidel lancia la parola d’ordine per uno sciopero generale di sei giorni che paralizza totalmente il paese: “Tutto il potere all’esercito ribelle”.

Il comunismo cubano

 Conquistato il potere, la vecchia tendenza nazionalista di Fidel lascia il posto a ben altre decisioni. É il cosiddetto “grande balzo”. La proprietà terriera viene abolita, i capitali USA espropriati, assieme a quelli dei ricchi (zuccherieri e industriali). Lo scontro diventa così inevitabile con tentativi controrivoluzionari uno dei quali voluto dal presidente americano John Kennedy. Fidel è un comunista, alleato dell’URSS, che installa dei missili nucleari sull’isola con la conseguente crisi cubana, risolta con il ritiro dei missili da parte di Kruscev.
Ma in questa storia del comunismo, Fidel Castro entra solo per necessità. In realtà il fascino iniziale del castrismo è il suo nazionalismo. Il modello cui Fidel si ispira è quello del grande rivoluzionario cubano José Marti, morto in battaglia nella guerra per l’indipendenza di Cuba dal dominio spagnolo, per un’equa distribuzione delle terre, per la fine della schiavitù e la discriminazione razziale, per arginare l’espansione degli Stati Uniti nei Caraibi. Una lotta per la liberazione del popolo, niente a che fare con le tesi di Lenin o il Manifesto di Marx. Perché “per necessità”? Una volta preso il potere si avviano riforme ed azioni decisive: stroncare il dominio delle oligarchie interne, modificare i rapporti con gli Stati Uniti, che avevano considerato l’isola più o meno come una propria colonia al tempo di Batista. Castro nazionalizza le imprese straniere, la maggior parte delle quali sono statunitensi, vara la riforma agraria che nazionalizza le proprietà al di sopra dei 405 ettari, che sono trasferite a cooperative agricole o a singoli coltivatori. Gli espropri colpiscono non solo i cittadini cubani più ricchi, ma anche quelli USA e le loro aziende. Gli indennizzi previsti in titoli non possono certo soddisfare i proprietari terrieri. A Washington non sono contenti e finanziano le forze di opposizione a Castro. Questa contrapposizione porta Cuba a cercare alleanze altrove, trovandole nell’Unione Sovietica, con la quale si firmano importanti accordi commerciali e non solo. Dal 1961 la rottura, anche diplomatica, con gli Stati Uniti è un fatto compiuto.
com01Il tentativo di invadere Cuba, orchestrato dalla CIA sotto l’amministrazione Eisenhower, viene realizzata nella primavera del 1961, poco dopo l’insediamento di John Kennedy alla Casa Bianca. Gli esuli cubani in America, equipaggiati dalla CIA, sbarcano alla Playa de Giron (Baia dei Porci) dove in tre giorni vengono sconfitti dall’esercito cubano, armato ed equipaggiato dall’URSS. Questo mette fine ad ogni rapporto con gli Stati Uniti, Castro dichiara Cuba una repubblica socialista, basata su una ideologia marxista-leninista. Le intenzioni di Fidel sono ottime: abolizione, nei fatti, del razzismo, uguali opportunità per tutti, creazione di università e centri di cultura di altissimo livello, innalzamento dei livelli sociali, ad esempio dello sport e così via.
La contropartita a queste grandi iniziative è la povertà diffusa nel paese, specialmente dopo l’inizio dell’embargo permanente, che impedisce ai cubani di trovare molti generi necessari, come la benzina o i ricambi per le auto. Tutta merce che arrivava, prima della rivoluzione, in larga misura proprio dagli Estados Unidos.
Anche gli altri stati latino americani, nel 1962, dichiarano Cuba un pericolo di invasione del comunismo nel continente e la escludono dal Sistema Interamericano. Nonostante il tentativo di Barak Obama di porre fine all’embargo, non se ne fa nulla perché vi si oppone un parlamento a maggioranza repubblicana. A tutt’oggi le richieste per la sospensione sono pesanti, in quanto prevedono, oltre alla democratizzazione dell’isola, il risarcimento dei cittadini e le imprese statunitensi per le proprietà confiscate durante la Guerra Fredda.
Ovviamente anche la Cuba castrista, con una storia comunista tutta particolare, non fosse altro che per l’isolamento avuto durante tutto il suo cammino, soffre dei mali legati all’applicazione pratica dei temi di cui abbiamo parlato fin qui. La repressione degli oppositori, la mancanza di libertà di pensiero, e il culto della personalità sono ben presenti e rappresentano l’ombra scura di un regime che, finora, è riuscito a sopravvivere “in qualche modo”. Anche a Cuba, come in Russia e in Cina restano i miti della rivoluzione: Fidel, Cienfuegos e soprattutto “Il Che”.
Su Ernesto Che Guevara è in preparazione un articolo, che racconta, tra l’altro, nei dettagli, la storia della rivoluzione cubana, qui solo accennata.

La CIA e la lotta al comunismo

Rimaniamo ancora in Sud America. Come detto qualche governo di sinistra c’è stato, anche se non si è dichiarato “comunista”. Possiamo parlare di amministrazioni progressiste, come quella guatemalteca o quella cilena, già citate in precedenza.
Ma se torniamo indietro nel tempo, alla fine della seconda guerra mondiale, possiamo cercare di capire quale sia lo stato d’animo degli Stati Uniti. Qui il discorso si fa un pochino complicato, perché, oltre alla politica, intervengono altri fattori, come l’economia spesso dislocata a Sud del confine, e una presenza molto ingombrante, quella della CIA, l’Agenzia di Intelligence americana, insomma l’agenzia delle spie, degli agenti segreti. La cosa curiosa è che sulla CIA sono stati fatti una quantità impressionante di film e l’agenzia esce quasi sempre con una montagna di fango versatele addosso. Bene, la realtà è molto peggiore dell’immaginazione e le porcherie fatte da questo organismo sono così tante e così gravi che è impossibile seguirle tutte. Anche su questo aspetto della politica americana, è in preparazione un articolo, che verrà pubblicato su questo sito.
La domanda che uno può farsi è questa: come facciamo a sapere le cose segrete della CIA se sono, appunto, segrete? Il fatto è che, nel 1972, succede qualcosa che in USA non si era mai visto. Un presidente, Richard Nixon, è costretto a dimettersi per l’affare Watergate, dopo l’impeachment, cioè la messa sotto accusa. Si scopre che il comitato del la rielezione di Nixon ha spiato illegalmente il comitato del partito in competizione con lui, cioè il partito democratico. Ora, per noi non è una cosa sconvolgente pensare che ci siano trucchi e trucchetti, fatti durante una campagna elettorale, ma per gli americani la parola scandalo ha un altro significato. Magari i bravi cittadini soprassiedono all’uccisione di migliaia di persone per rovesciare un governo straniero, cosa avvenuta decine di volte a cominciare da quello iraniano nel 1953, ma poi succede un pandemonio per questioni che a noi sembrano decisamente meno importanti. Nell’affare Watergate c’entra la CIA, intervenuta per bloccare le indagini dell’FBI sullo scandalo. E questo fa saltare il tappo. Molti documenti secretati (cioè quasi tutti) vengono resi pubblici e da allora la CIA utilizza una certa trasparenza nelle sue azioni … questo almeno è quello che il governo americano lascia intendere, ma io la mano sul fuoco su questa verità com01non la metto di certo.
Quello che a noi interessa qui è il fatto che da allora si vengono a sapere molte cose sull’operato della CIA e in particolare sulle sue linee strategiche e sui suoi obiettivi.
Ma andiamo con ordine. Dopo la seconda guerra mondiale, nel l1947, il servizio segreto militare OSS si trasforma in un servizio civile, che assume il nome di CIA, Central Intelligence Agency. L’organizzazione riferisce direttamente al presidente, che in quell’occasione è il neo eletto Dwight Eisenhower, il generale che aveva vinto contro i nazifascisti europei. Sconfitti questi ultimi, il nemico diventa un altro, molto potente e, quel che più conta, molto misterioso, l’Unione Sovietica, ansiosa, a detta degli americani di esportare il comunismo in ogni angolo del pianeta.
Il “terrore dei rossi” (Red scare), che aveva portato alla morte di Sacco e Vanzetti, (LINK) si ripete di nuovo. Perché? Perché temere un paese che certo non se la passa benissimo, che è dall’altra parte del mondo e ha un sacco di problemi interni?
Innanzitutto viene cavalcato il dualismo democrazia – comunismo, come se gli Stati Uniti fossero il solo paese democratico del mondo. Va anche aggiunto che la popolazione statunitense non brilla per cultura storica o geografica e quindi si può raccontarle tutte le balle che si vuole.
E dunque con i comunisti nascosti sotto il letto o pronti ad invadere gli studios di Hollywood, entra in scena la CIA.
A dirigerla tra il 1953 e il 1961 c’è un uomo, la cui storia pubblica comincia come finanziatore dei nazisti di Hitler, prosegue come spia in Europa per l’OSS ed infine approda alla neonata CIA nel 1947, diventandone uno dei più importanti agenti. Per un periodo può contare anche sul fratello Foster, diventato segretario di stato (cioè ministro degli esteri come diremmo noi).
É lui, Allen, a contrattare con il presidente, Eisenhower prima e Kennedy poi, tutte le azioni segrete in ogni parte del mondo. Ma anche a casa propria, dove segue le indicazioni cervellotiche e incredibilmente stupide di un senatore del Wisconsin, Joseph McCarthy, il quale si lancia in una crociata contro i comunisti americani che assomiglia molto da vicino a quella di Don Chisciotte della Mancia, eroe improbabile del genio di Miguel de Cervantes.
Ma la mission è la stessa: combattere i comunisti. Mentre il demente McCarthy se la prende con un sacco di gente che non c’entra nulla, fino a che non tocca l’esercito e qui si deve fermare e dimettersi (siamo nel 1954), la CIA opera nel concreto. Attraverso un paio di oscure e terribili operazioni induce i media a condizionare la popolazione proprio in senso anticomunista, includendo in ciò tutti i governi di sinistra, anche velatamente di sinistra, che andranno rimossi e sostituiti con personaggi cari agli Stati Uniti. Insomma con dei fantocci, come avvenuto in Iran con lo Scià nel 1953.
Una strategia seguita nei dettagli dai servizi americani. Sotto la presidenza Eisenhower si calcola che siano state ben 170 le azioni segrete in 48 paesi, usando la crescente paura del comunismo per imporre la propria visione del mondo. 

Lotta al comunismo o tutela dei propri interessi commerciali?

Non potendo seguire tutti i 170 casi, ne vorrei presentare almeno uno, avvenuto nel 1954, sotto la direzione del direttore della CIA Allen Dulles.
Prima di entrare nei dettagli è bene capire una cosa. Se gli Stati Uniti si presentano come i paladini dell’anticomunismo, è bene guardare più da vicino i loro interessi.
In Iran, ad esempio, intervengono per avere vantaggi, che saranno considerevoli, sull’acquisto del petrolio. Nell’Indonesia di Sukarno cercano (inutilmente) di intervenire quando si scopre che nel sottosuolo ci sono 20 miliardi di barili di petrolio, che sia unb caso?
Dunque al di là dell’ideologia, gli USA vogliono difendere i propri interessi negli altri paesi. In particolare vogliono farlo là dove le loro multinazionali hanno messo piede e fanno il bello e cattivo tempo in termini economici. La Cuba di Batista era esattamente questo, una specie di parco giochi di Washington. La rivoluzione di Fidel Castro ha tolto agli americani tutti i loro giocattoli e così si spiega la reazione violentissima, come non avvenuto in nessun’altra occasione.
Ma adesso ci spostiamo in Guatemala, all’inizio degli anni ’50.
Il paese ha un governo progressista, retto prima da Juan José Arévalo e poi da Jacobo Árbenz Guzmán. É la fase rivoluzionaria del paese, di tendenze socialiste. In particolare Árbenz vara una riforma agraria che, tra le altre decisioni, espropria le terre non utilizzate. Come in altre situazioni del subcontinente, c’è una società che ha in mano larga parte dell’economia della zona. In questo caso si tratta della United Fruits Company, che non solo controlla il commercio di cibo, in particolare delle banane, ma anche centri nevralgici come l’unico porto atlantico del paese, le ferrovie, il telegrafo e il polo ospedaliero. Secondo gli storici, nel dopoguerra, la società viene usata dalla CIA per combattere la diffusione del comunismo. L’azienda fornisce un grande sostegno finanziario e materiale (ad esempio aerei per trasportare le truppe) sia in Guatemala che a Cuba, dove finanzia la spedizione che termina alla Baia dei Porci, come abbiamo visto in precedenza.
Sospettando intenzioni non proprio pacifiche da parte degli USA, il governo guatemalteco si rivolge alla Cecoslovacchia chiedendo aiuti militari. Il 15 maggio 1954 una nave ceca scarica 2000 tonnellate di armi destinate al governo. Si tratta, a detta degli storici, di pezzi piuttosto antiquati, spesso obsoleti, inadatti a fermare una eventuale irruzione ben organizzata. Ma questo è sufficiente per creare il casus belli che la CIA e la United Fruits aspettavano. Allen Dulles aveva comunque messo le mani avanti, autorizzando il rovesciamento del governo già nel dicembre precedente. L’azione prende il nome di PBSuccess. La metodologia è più o meno la stessa di ogni altro rovesciamento di governi stranieri. Calunnie, manifestazioni guidate da Washington, creazione di una forza d’attacco, guidata dal colonnello Carlos Castillo Armas, scelto direttamente dall’Intelligence americana. Il colpo di stato riesce e Arbenz si dimette il 27 giugno 1954, lasciando il paese nelle mani di un dittatore con un futuro oscuro fatto di guerra civile per 40 anni.
La CIA però, in questo caso, scala un altro gradino. Oltre alle solite azioni segrete, questa volta partecipa direttamente alla guerra, usando la propria flotta privata per bombardare città guatemalteche. Azioni che avevano avuto il nulla osta da parte del presidente Eisenhower. É una svolta pericolosa per l’agenzia di spionaggio statunitense, perché adesso agli atti di guerra politica si aggiungevano atti di guerra vera e propria. E questa non sarà per niente l’ultima volta.
Da questo esempio, che, come già detto non è affatto l’unico, si impara che l’interventismo o, se preferite, l’imperialismo statunitense ha un forte connotato commerciale ed economico e che usa il pericolo dei comunisti come scusa per intervenire dove le pare. Anche se questa parte non è sulla storia del comunismo in senso stretto, credo valga la pena ricordare come le teorie ugualitarie … ricordate Rosa Luxemburg che voleva una società di liberi ed uguali? … valeva la pena, dicevo, ricordare come le teorie ugualitarie siano state sempre viste come pericolose da una nazione e un popolo che ha fatto del capitalismo e del consumismo la propria bandiera. Insomma, se Russia, Cina, Cuba e gli altri stati comunisti hanno avuto i loro torti, anche gli americani non sono da meno. Ed ho citato solo un esempio dei molti che potevo fare … a partire dalla tragica fine di Salvador Allende.

Conclusioni

Nella lunga storia del comunismo sono nati molti stati, retti da governi marxisti o leninisti. La maggior parte di questi hanno adottato una politica economica assai lontana da quella proposta da Marx o da Lenin o da Mao. L’economia di mercato, la globalizzazione, il consumismo hanno fatto piazza pulita del respiro comunista originario.
Ma ci sono ancora alcuni paesi a guida comunista, o perlomeno che si dichiarano tali, perché, come visto, non è semplice parlare della Cina di Xi Jinping come rappresentazione delle teorie marxiste. A volte l’aspetto comunista è rimasto solo sulle pagine delle varie costituzioni.
com01Ecco le cinque nazioni comuniste al giorno d’oggi: Cina, Cuba, Laos, Vietnam e Corea del Nord, anche se quest’ultima ha tolto ogni riferimento al marxismo-leninismo, sostituendolo con il culto della personalità della famiglia Kim.
Siamo alla fine di questo lungo discorso sul comunismo. Dalla sua storia sembra piuttosto evidente che il fallimento quasi completo delle esperienze pratiche farebbe concludere che le utopie dalle quali siamo partiti, sono rimaste tali e che nessuno è mai riuscito a costruire quella società di “Liberi ed Uguali”, preconizzata da Rosa Luxemburg.
Se pensiamo alle aspirazioni del comunismo ideale, non possiamo che rammaricarci che non si siano realizzate. Possiamo farlo leggendo un brano di Norberto Bobbio, che certo non si può considerare uno studioso di sinistra. Lo scrive nel 1995 in “L’Utopia capovolta”:
“In un mondo di spaventose ingiustizie, com’è ancora quello in cui sono condannati a vivere i poveri, i derelitti, gli schiacciati da irraggiungibili e apparentemente immodificabili grandi potentati economici, da cui dipendono quasi sempre i poteri politici, anche quelli formalmente democratici, il pensare che la speranza della rivoluzione sia spenta, e sia finita soltanto perché l’utopia comunista è fallita, significa chiudersi gli occhi per non vedere [...]. Il comunismo storico è fallito [...]. La democrazia ha vinto la sfida del comunismo storico, ammettiamolo. Ma con quali mezzi e con quali ideali si dispone ad affrontare gli stessi problemi da cui era nata la sfida comunista?”
Come non essere d’accordo?

kkk01Premessa

Su questo testo il canale Youtube Nova Lectio ha realizzato un bellissimo video che trovate qui: VAI AL VIDEO

Introduzione

Oggi parliamo di razzismo, ma non citando Vannacci e i suoi sproloqui, ma andando alle origini di questo fenomeno, affrontando il tema da un punto di vista storico, anche se non generale, perché parleremo di cosa è stato e di cosa è oggi il Ku Klux Klan, l’associazione statunitense che incarna le idee di molti americani, che vedono minacciata dalla società multietnica quello che siamo abituati a definire suprematismo bianco, vale a dire la convinzione che la razza bianca abbia qualche marcia in più rispetto alle altre.
Che poi, il razzismo degli statunitensi, nell’arco dei secoli, non ha guardato in faccia nessuno, neanche i bianchi, perché comunisti, anarchici, ma anche solo italiani o ebrei, hanno avuto le loro disavventure, a volte drammatiche, molto drammatiche.
Ma torniamo al Ku Klux Klan. Quando e dove nasce? Ma soprattutto perché nasce? Infatti limitarsi a parlare dei cavalieri coperti dai bianchi lenzuoli come di sempliciotti razzisti è un errore imperdonabile. La storia ci insegna che qualcosa di molto più profondo ha messo in moto questa macchina. Che cosa? Ascoltiamo una canzone e poi ne parliamo.

Introduzione

E così eccoci arrivati al 2025.
giub01Oggi ci dedichiamo ad uno dei motivi che fanno dell’anno appena iniziato una data importante. A Natale scorso, in effetti, si è aperto il Giubileo o l’Anno Santo se preferite usare un altro modo di indicare questa ricorrenza così importante per la Chiesa cattolica. Vedremo poi che i due termini non sono affatto la stessa cosa, anche se è prassi comune farli coincidere. Ora, chi mi segue sa perfettamente che il mio spirito liturgico è davvero poca cosa, mentre sono molto più interessato a scoprire le radici storiche degli avvenimenti. L’ho fatto nella scorsa puntata natalizia sul significato del Natale, le sue origini, i suoi riti, i legami con le culture pagane, il modo di presentarlo dei vangeli, in particolare quello di Matteo. Ho cercato di far capire come le tradizioni che usiamo per festeggiare quella che è ritenuta la più importante ricorrenza del calendario ecclesiastico soprattutto cattolico, non abbia alcun legame con la nascita di Gesù, ammesso che sia avvenuta, ma non sappiamo quando, sicuramente non nell’anno uno, come le nostre date continuano ad indicare.

Introduzione

nat01Oggi voglio parlarvi di qualcosa che tutti credono di conoscere, anche se poi questa conoscenza è frutto spesso di tradizioni, di manipolazione dei testi, di falsità, insomma è poco storica, se capite quello che voglio dire. Il tema è il Natale, la festa del 25 dicembre, dedicata ad un episodio dubbio, avvenuto in Palestina molti secoli fa e di cui la Chiesa si è impossessata, rendendola probabilmente la festività più importante dell’anno liturgico.
Ora non vorrei essere troppo drastico. É sicuramente un rito fantastico, che riunisce le famiglie, quando ci si scambiano i doni e si mangia il panettone con lo spumante. Tutto bellissimo, ma questo non è quello che mi interessa condividere con voi. Vorrei cercare di capire, grazie alle fonti storiche che abbiamo oggi, cosa è stato davvero il Natale, perché si festeggia il 25 dicembre, a cosa sono dovute le narrazioni collaterali, come la venuta dei tre re magi, che oggi sappiamo non erano tre e neppure re. Dico subito che non sempre si riesce a risalire a fonti attendibili o addirittura certe dei fatti, che ci sono molte stranezze, relative alle date e agli avvenimenti in quel pezzetto di Medio Oriente, di 2 millenni fa, anno più anno meno.

anarch É il 23 agosto 1977, a Boston il governatore dello stato del Massachusetts, Michael Dukakis pronuncia queste parole: “Io dichiaro che ogni stigma ed ogni onta vengano per sempre cancellati dai nomi di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti. Il processo e l’esecuzione di Sacco e Vanzetti devono ricordarci sempre che tutti i cittadini dovrebbero stare in guardia contro i propri pregiudizi e l’intolleranza verso le idee non ortodosse, con l’impegno di difendere sempre i diritti delle persone che consideriamo straniere per il rispetto dell’uomo e della verità”.
Cinquant’anni prima, il 23 agosto 1927, a Charlestown, la sedia elettrica toglie la vita a Ferdinando Nicola Sacco, 36 anni, e a Bartolomeo Vanzetti, 39 anni, dopo che un tribunale ha decretato la loro condanna a morte. Perché? Quali tremendi reati hanno commesso? Che ci fanno quei due negli Stati Uniti d’America, il paese della giustizia e della libertà. Già … giustizia e libertà … i due italiani, uno pugliese di Torremaggiore, l’altro piemontese di Villafalletto, queste parole le conoscono bene, sono anarchici e quindi … avete visto il video sull’anarchismo?

p201La fonte che oggi utilizzo è un libro molto bello, che consiglio vivamente. É scritto da Sandra Bonsanti, già deputata del partito repubblicano negli anni della caduta della prima repubblica. Il titolo è “Il gioco grande del potere”, edito da Chiarelettere nel 2013. Di questo libro cercherò di riassumere alcuni capitoli, i quali, secondo me, rappresentano bene il tema di questa puntata.
Oggi parliamo, infatti, del potere, quello vero, non quello che esce dalle urne di una elezione. Spesso (non sempre si intende) i politici sono solo uomini devoti ad una causa o a qualche capo o a qualche associazione che preme su di loro perché si comportino in un certo modo. Succede, ad esempio, negli Stati Uniti, dove concorrere alle elezioni è molto costoso e, se non sei un miliardario, devi avere alle spalle una serie di sostenitori che finanzino la tua impresa. Il risultato è la nascita dei lobbisti, termine che noi diciamo con un certo disprezzo, ma che, oltre oceano, viene utilizzato in senso neutro, senza dare ad esso alcun peso negativo. La maggior parte dei senatori e dei deputati statunitensi sono lobbisti e quindi gestiscono il potere per conto terzi.

anarch É il 1896: a S. Giovanni, frazione del paesino savonese di Stella nasce Alessandro Giuseppe Antonio Pertini, per tutti, semplicemente Sandro. Nasce in una famiglia che non ha problemi economici. Suo padre è un piccolo possidente terriero. Di 13 fratelli, sopravvivono all’età adulta in cinque. L’unica femmina, Marion, è destinataria di numerose lettere raccolte in “Mia cara Marion”, libro che racconta gli anni più duri della vita di Sandro.
Ripercorrere la storia di Sandro Pertini significa rivivere la storia d’Italia del Novecento fino agli albori della caduta della prima repubblica, un periodo lungo, ricco di eventi che hanno stravolto il mondo, a molti dei quali lui ha partecipato da protagonista.

anarchQuesto è il testo della puntata che ho realizzato in radio e che contiene, come parte, quello usato per il video di Nova Lectio.

Introduzione


Carissimi amici di NSSI, benvenuti a questa puntata della trasmissione, l’ultima prima della sosta estiva. Credo sia abbastanza chiaro quale sia il tema di oggi. La canzone introduttiva è uno dei canti più famosi dell’anarchismo e ricorda l’espulsione di un gruppo di anarchici dalla Svizzera. Tra questi c’era l’autore del testo che abbiamo appena ascoltato, Pietro Gori. Si era rifugiato in Svizzera perché accusato di complicità nell’omicidio del presidente francese Sadi Carnot nel 1894, ad opera di un altro anarchico, amico di Gori, Sante Caserio.
Da questa introduzione può sembrare che gli anarchici siano tutti bombaroli, per usare un’espressione cara a Fabrizio De Andrè, anche lui anarchico. Questa puntata vuol dimostrare che le cose sono enormemente più complesse e che parlare per sentito dire fa, sempre, fare brutte figure.
Avviso subito che la puntata è bella tosta, piena di riferimenti storici, spesso poco conosciuti dal grande pubblico.

pannellaParlare di Marco Pannella è complicatissimo, non perché il personaggio sia sfuggente o altro, ma per la semplice ragione che non c’è azione politica del dopoguerra in cui non abbia messo piede. Se poi ci riferiamo ai diritti civili questa considerazione va elevata alla ennesima potenza.
Tanto per chiarire: dopo la sua morte, è stato chiesto a molti suoi contemporanei importanti, politici, giornalisti, intellettuali, di definirlo. Non ci sono due definizioni uguali, ciascuno ha privilegiato un suo aspetto, positivo o negativo che fosse, perché Pannella è così: il bene e il male, la luce e l’ombra. Ma resta una figura centrale, anzi centralissima, della politica italiana. Diverso da tutti gli altri, una figura leggendaria per la sua unicità rispetto a quanti lo hanno circondato con affetto o lo hanno respinto con sdegno. Un alieno per metodi non convenzionali, spesso inventati perché ancora non esistenti.

magliana

Introduzione

Oggi ci occupiamo di avvenimenti, molti avvenimenti, che hanno coinvolto un sacco di gente durante gli anni della prima repubblica, diciamo dalla metà degli anni 70 fino a …
In realtà alcuni dei personaggi di cui parliamo sono ancora oggi citati nella cronaca, nella cronaca nera, quindi una data di scadenza proprio non esiste. E tuttavia le vicende che maggiormente ci interessano fanno parte di quel grandissimo casino degli anni che finiscono verso la fine del secolo scorso.
Di cosa parliamo? E quali sono i personaggi di cui ho detto? Oggi vi racconto la storia di un gran numero di delinquenti. Questa volta però non è solo un modo di dire, come quando, per fare un esempio, parliamo di qualche politico birichino. Anche se qualcuno di loro entra nel nostro racconto. Si tratta di delinquenti veri, di banditi, tra i più crudeli ed efferati che gli anni dal 1975 in poi abbiano conosciuto. Oggi voglio raccontarvi le vicende legate ad una banda criminale romana, nata in un quartiere degradato, la Magliana. L’argomento di oggi è la banda della Magliana.

pepeÉ un contadino di 89 anni, vive nella sua piccola fattoria al Cerro, nella periferia di Montevideo. Coltiva fiori, soprattutto crisantemi, che vende al mercato o alle fiorerie della zona. Non si separa mai da Lucìa, sua moglie e da Amelia, la sua cagnetta che ha perso una zampa. É stato per cinque anni presidente dell’Uruguay e, prima, guerrigliero e rinchiuso in carcere per 15 anni, 11 dei quali passati in condizioni disumane. É un uomo saggio, pieno di esperienze, ma anche di sogni, un uomo che, nonostante l’età, non teme di parlare di futuro e di utopia.
É Josè Alberto Mujica Cordano, per tutti semplicemente Pepe Mujica. Questa è la sua storia.
La sua salute, in queste ultime settimane è peggiorata, ma quando scrivo questo pezzo è vivo e vegeto e io spero rimanga tale ancora a lungo.

Il giovane Lorenzo

donm01Lorenzo apre gli occhi al mondo il 27 maggio 1923. Capita in una famiglia borghese, che non ha problemi finanziari, possedendo addirittura un feudo a Montespertoli, ma soprattutto in una famiglia di elevata cultura. Il bisnonno è un filologo importante, il nonno è direttore del museo archeologico fiorentino, il padre è chimico, la madre, triestina ed ebrea, ha imparato l’inglese nientemeno che da James Joyce. Lorenzo è il secondo di tre fratelli e in quell’ambiente cresce, acquisendo una cultura vasta e importante. Già da giovanotto parla sei lingue, compresi latino ed ebraico. Eppure, non è uno studente modello e deve soffrire anche qualche bocciatura. Ad ogni modo, si diploma al liceo classico.
Nel 1930 la famiglia si trasferisce a Milano, dove, per l’aria che tira contro gli ebrei, i genitori si sposano in chiesa e battezzano i figli. Lorenzo decide di non iscriversi all’Università, ha altre cose in mente: vuole diventare pittore. Così si iscrive a Brera, ma, soprattutto, frequenta lo studio di un artista tedesco, Hans-Joachim Staude dal quale impara un sacco di cose al di là delle tecniche pittoriche, una filosofia che curi i particolari essenziali e punti all’essenziale. Un insegnamento che l’accompagnerà tutta la vita.

dolciDanilo Dolci è stato un uomo straordinario. I siciliani, specie quelli della provincia di Palermo, lo conoscono bene. Ci sono vie e scuole intitolate a lui. Per la maggior parte degli altri è un nome che non dice molto, eppure la sua opera ha provocato in quelle terre una vera e propria rivoluzione. Parlarne oggi, a cento anni dalla sua nascita, è quindi quantomeno doveroso. Danilo nasce il 28 giugno 1924 in mezzo alle doline del Carso, in Friuli, da dove si sposta, per il lavoro del padre, in Lombardia. Antifascista, viene arrestato dai repubblichini, ma riesce a fuggire e a rifugiarsi presso dei pastori in un piccolo borgo dell’appennino abruzzese. É il suo approccio con un altro mondo, un altro modo di essere, una società che la povertà sa benissimo cosa sia. Ma, la sera, con quella gente, in osteria, si trova a parlare di poesia. Dopo la guerra, studia architettura, prima a Roma, poi a Milano. Per racimolare un po’ di soldi insegna in un corso serale e ha tra i suoi allievi Franco Alasia, che sarà sempre al suo fianco in mille battaglie. Partecipa a concorsi di poesia, finendo per gareggiare con nomi come Pasolini, Turoldo, Zanzotto e non è l’ultimo tra i poeti conosciuti.

berliChe i politici non siano proprio il trionfo della simpatia per il popolo è cosa risaputa. Parlarne è sempre un tantino complicato. In questo caso la storia di un uomo, importante, decisivo per milioni di persone, addirittura, in alcuni casi, per le sorti di una nazione, si intreccia con quella della nostra Repubblica. E lo fa in un periodo straordinariamente ricco di eventi, belli e brutti, ma soprattutto brutti, che hanno segnato i 40 anni dalla fine della seconda guerra mondiale al 1984. L’uomo al quale è dedicato questo video è Enrico Berlinguer, sassarese, del 1922, famiglia di antica nobiltà sarda, decisamente antifascista durante il ventennio, con il padre avvocato, socialista.
Muore da “eroe comunista”, subendo un ictus sul palco di Padova, durante un comizio elettorale nel 1984. Più di un milione di persone parteciperanno ai suoi funerali a Roma. L’effetto della sua scomparsa porterà, per la prima e unica volta, il suo partito ad essere il primo in Italia, anche se per una manciata di voti.

assangeOggi dedico questo spazio ad un uomo incarcerato in un carcere di massima sicurezza dal governo britannico, il carcere Belmarsh, non a caso chiamato la Guantanamo d’Inghilterra e il riferimento è a come era il carcere americano, non come è adesso che è stato rimodernato. Ci sono 900 detenuti, tra i più pericolosi, 100 condannati all’ergastolo. Chi vi hanno rinchiuso? Un leader talebano? Un terrorista di Hamas? Un mormone impazzito? Niente di tutto questo. Si tratta di un giornalista, un giornalista famoso, che ha rappresentato con la sua opera e rappresenta tuttora una delle poche voci libere dell’Occidente.

monnezzaPorto fuori la spazzatura”. Quante volte l’abbiamo detto: “fuori” è davanti a casa, in attesa del camion della raccolta differenziata o l’isola ecologica di condominio. Oggi parliamo di un altro “fuori”, di quei rifiuti che finiscono in un’altra nazione o addirittura in un altro continente. E qui le cose cambiano drasticamente.
La società dei consumi, quella in cui viviamo, è fondata sui rifiuti. Senza di essi non esisterebbe.
La rivoluzione industriale del ‘700 ci ha regalato un sistema di produzione “lineare”. Si estraggono materie prime: quelle che servono per realizzare le merci, e quelle che servono per produrre l’energia necessaria alla loro lavorazione. Facendolo, si produce inquinamento e, spesso, devastazione dei territori.

videlaQuando in Argentina si parla del “golpe”, nessuno ha dubbi che ci si riferisca, tra i tanti avvenuti, a quello che tra il 1976 e il 1983 ha visto al potere una giunta militare.
I numeri sono importanti e dicono molto, ma non tutto, di questo periodo. Ci sono decine di migliaia di morti ma un numero molto minore di cadaveri, migliaia di prigionieri, cittadini fucilati per strada, un milione di esiliati. Questo orribile conteggio, che ancora oggi non ha spento il suo eco, va, in qualche modo, spiegato, perché la dittatura è stata, anche, un atto politico, una presa di potere per la quale occorre porsi alcune domande. Perché è avvenuta? Chi l’ha resa possibile e chi l’ha sostenuta? Quali novità ha portato nella vita sociale, associativa, economica del paese? E poi: perché e come è finita?

def3Eccoci arrivati all’ultima puntata sulla deforestazione in questa miniserie. Nella prima abbiamo cercato di capire quanto gli incendi, quasi sempre prodotti dall’uomo, incidano sulla deforestazione. Nella seconda invece ci siamo occupati di studiare il fenomeno del cosiddetto illegal logging, vale a dire il commercio illegale di legname, soprattutto quello di pregio, il teak e il palissandro, in varie regioni del mondo. Abbiamo visto che questa pratica truffaldina, sempre coperta da controllori e quasi sempre dalle amministrazioni pubbliche, è diffusa in ogni parte del globo, dalle regioni africane a quelle asiatiche, e anche in Europa, segnatamente nei Carpazi, in Romania.
Oggi il discorso si allarga, perché vogliamo studiare il fenomeno più diffuso di tutti legato alla deforestazione. Ci chiediamo infatti cosa succede alle zone boschive devastate dalle ruspe e dalle motoseghe. A cosa servono i terreni liberati dagli alberi?

legnoCari amici eccoci alla seconda puntata sulla deforestazione. Questa volta parleremo di un argomento davvero poco diffuso, perché siamo abituati a pensare che le cause di questo disastro ambientale siano sostanzialmente due: gli incendi di cui abbiamo parlato l’ultima volta e la creazione di zone verdi adatte al pascolo alla coltivazione, di cui parleremo nella prossima e ultima puntata.
C’è un altro motivo per cui gli alberi vengono tagliati e questo è direttamente legato al tipo di legno con cui sono fatti. Se ci pensate, quante cose fatte in legno avete in casa vostra? Possiamo cominciare dai pavimenti per passare a molti mobili, soprattutto se questi hanno qualche decina d’anni alle spalle da quando sono stati costruiti. E poi librerie, tavoli, sedie e chi più ne ha ….

incendiVoglio affrontare nelle prossime tre puntate un argomento che credo sia importante e vorrei proporvelo sotto vari punti di vista. Si tratta della deforestazione, che è responsabile di una larga fetta del cambiamento del clima, un’opera criminosa che è cominciata molti decenni fa senza smettere mai.
Prima però vorrei sottolineare un concetto che penso debba essere chiarito.
Le dichiarazioni dei potenti (lo faranno anche a Dubai non c’è dubbio) parlano da molto tempo di “ridurre” la deforestazione. In questo verbo, “ridurre”, c’è tutta la truffa della situazione. Cosa significa, infatti “ridurre”? Significa tagliare meno alberi, vale a dire che invece di eliminarne mille al giorno, ne elimineremo 750. Qual è il risultato? La deforestazione diminuisce? Per niente. Aumenta ancora, anche se ad un ritmo più lento. Altre foreste vengono distrutte, il contenuto di gas serra nell’atmosfera cresce ancora, così come la temperatura media del pianeta, con tutte le conseguenze che ben conosciamo … ma il solito idiota che si informa su Tik Tok sarà felice e contento di aver sentito che la deforestazione viene ridotta.
A chi conviene che le foreste diminuiscano, che si facciano grandi spazi liberi in Amazzonia, in Congo o nel Borneo? E perché?

legname8 miliardi! É il numero di persone che tra poco popoleranno questo nostro pianeta. 8 miliardi che hanno bisogno di cibo, che vogliono carburanti per le loro automobili, vestiti da indossare, legname per le costruzioni, vogliono avere a disposizione caffè, cacao, pellami, olio, bistecche. La società dei consumi vuole costruire sempre più abitazioni, strade, parcheggi e ipermercati. Per tutto questo serve spazio, terreno, spesso terreno fertile, ne serve sempre di più, e non si sa dove trovarlo. E allora? Allora si elimina una parte delle foreste, che non servono, così come sono, a fare denaro.

majoranaEttore Majorana è scomparso verso la fine di marzo del 1938.
Già … “scomparso”!
É questo l’aggettivo chiave di questa nostra storia. “Scomparso” in questo caso non sappiamo neanche cosa voglia dire: scomparso perché morto o scomparso perché nascosto da qualche parte? E quali motivi avrebbe avuto per nascondersi? E chi lo avrebbe voluto morto? O è lui stesso ad essersi procurato la morte?
Non ci sono, neanche in questo video, risposte a queste domande. Semplicemente: non lo sappiamo noi, come non lo sa nessun altro. In moltissimi, scienziati di chiara fama, storici, scrittori, registi cinematografici, perfino fumettisti, hanno detto la loro. Le ipotesi avanzate sono molte e una diversa dall’altra. Non si riesce neppure a stabilire quale sia il giorno esatto di questa scomparsa: il 25 quando esce dal suo albergo a Napoli? Il 26 quando scrive l’ultimo messaggio? O uno o due giorni dopo, come qualche storico sostiene? É una storia piena zeppa di misteri. Che fine abbia fatto Ettore Majorana non si sa. Le molte fonti utilizzate per questo video sono spesso in disaccordo, alcune sono datate, altre molto recenti. Tutte fanno affidamento su due elementi: i racconti di chi l’ha conosciuto, i colleghi e i parenti, e le sue lettere, molte lettere.

 

pasoliniIl due novembre è il giorno dei morti.
2 novembre 1975, ore 6,30: la signora Maria Teresa Lollobrigida arriva da Roma all’Idroscalo di Ostia. É un quartiere periferico, povero, dove il Tevere si butta in mare. Si avvia verso la sua casa, ai margini di un piazzale in terra battuta, quando vede per terra un “mucchio di stracci”. Si avvicina per buttarli, ma si trova davanti ad un corpo umano, un cadavere, il cadavere di Pier Paolo Pasolini.
2 novembre ore 6,30: il giornale radio dà la notizia: “Hanno ammazzato il poeta Pasolini”. Una velocità impressionante. Nessuno, tranne Maria Teresa, sa ancora niente, anche se di cose ne sono già successe un bel po’.
Prima di continuare, un avviso importante a chi guarda questo video. Non fidatevi di quello che sentirete. Non perché vi si voglia imbrogliare, ma perché ci sono molte notizie date per vere, che diventeranno false, in una catena di conferme e smentite che, forse, avrà soluzione solo alla fine.

videlaQuando in Argentina si parla del “golpe”, nessuno ha dubbi che ci si riferisca, tra i tanti avvenuti, a quello che tra il 1976 e il 1983 ha visto al potere una giunta militare.
I numeri sono importanti e dicono molto, ma non tutto, di questo periodo. Ci sono decine di migliaia di morti ma un numero molto minore di cadaveri, migliaia di prigionieri, cittadini fucilati per strada, un milione di esiliati. Questo orribile conteggio, che ancora oggi non ha spento il suo eco, va, in qualche modo, spiegato, perché la dittatura è stata, anche, un atto politico, una presa di potere per la quale occorre porsi alcune domande. Perché è avvenuta? Chi l’ha resa possibile e chi l’ha sostenuta? Quali novità ha portato nella vita sociale, associativa, economica del paese? E poi: perché e come è finita?

guineaGuinea equatoriale, una delle quattro raccontate da questo video. La letteratura è povera, a parte quella di qualche agenzia di viaggi. Ci sono invece inchieste di importanti media, come la BBC, dossier di associazioni per i diritti dei popoli, come Amnesty International, numerosi articoli da riviste come Nigrizia dei Comboniani e riferimenti alle decisioni di tribunali internazionali. Questo non può non incuriosire: cosa succede laggiù, in quel pezzetto di terra sulle coste del Golfo di Guinea?
É uno stato piccolo, molto piccolo, con pochi abitanti, un milione duecentomila secondo il censimento del 2015. Alla faccia del nome, non è nemmeno attraversato dall’Equatore, che si trova un po’ più a Sud.
La terraferma è chiamata Rio Muni; ci sono alcune isole. Tre piccole vicino alle coste e Bioko, ben più importante, dove, stranamente, si trova la capitale, Malabo, 300 mila abitanti, assai più vicina alle coste del Camerun che a quelle della madre patria. Era stata un rifugio per gli schiavi liberati e poi un avamposto navale inglese. Per questo si era popolata ed è stata scelta poi come capitale della repubblica.

navi 501Nelle ultime quattro puntate abbiamo analizzato alcuni aspetti che riguardano il commercio di armi e rifiuti tossici provenienti o comunque passati per il nostro paese.
Abbiamo cominciato dalle navi che trasportano rifiuti ed armi verso paesi stranieri. Paesi che accoglievano volentieri rifiuti anche molto pericolosi, spesso radioattivi, in cambio di forniture di armi oppure di denaro. Lo smaltimento, se possiamo usare questo termine, avveniva spesso in maniera approssimativa, a volte semplicemente gettando le merci sulla riva dei fiumi o sulle spiagge. In Somalia questo è successo e nel paese africano cercavamo di capire cosa era successo Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Probabilmente avevano capito molto, collegando anche l’utilizzo delle navi della cooperazione, con i loro carichi di vestiario, medicinali e cibo, per trasportare armi e rifiuti tossici. E per questo sono stati assassinati il 20 marzo del 1994. Da allora sono passati quasi trent’anni, ma degli assassini e, soprattutto dei mandanti, ci sono solo indizi, ma nessuna certezza.

Premessa

alpi01Siamo arrivati alla quarta puntata di questa storia incredibile che si svolge tra Italia e Africa, con le navi che arrivano per depositare rifiuti tossici, che industrie, organizzazioni e amministrazioni dei paesi ricchi non vogliono tenere per sé né vogliono pagare lo smaltimento secondo le normative vigenti.
Abbiamo seguito, nelle scorse puntate camion che interravano rifiuti tossici e radioattivi ovunque, in Italia ma anche all’estero, ad esempio nei paesi dell’Est europeo grazie all’intervento di Cosa Nostra. Abbiamo seguito le rotte così strane di quelle navi che improvvisamente si inabissavano: un sacco di navi forse 40 o forse 100 che ancora oggi riempiono i fondali marini lungo le coste della Calabria e della Basilicata, e anche della Sicilia e della Puglia. Abbiamo saputo, grazie alle indagini di molte procure, grazie alle investigazioni fatte eseguire da alcune commissioni parlamentari, che dietro quegli affari c’erano potenti coperture politiche e militari. Secondo il pentito Francesco Fonti i vertici del partito socialista di Bettino Craxi avevano in mano la situazione, che però lasciavano gestire ai Servizi Segreti, usando come manovalanza gli uomini della ‘ndrangheta, specie quella della famiglia di San Luca e del clan Iamonte.
In mezzo a questo andirivieni di rifiuti compaiono anche le armi, altro grande affare italiano. E armi e rifiuti tossici viaggiano spesso assieme su quelle navi della cooperazione che dovrebbero essere cariche solo di cibo e vestiti per le popolazioni più povere e disgraziate del pianeta.
Nella nostra storia manca un anello importante, che è forse quello che più ha suscitato clamore e sdegno nel paese, o meglio in una piccola parte del paese che sapeva di essere vivo. Gli altri erano troppo impegnati a seguire le gag di Drive In e la pubblicità nascosta di Berlusconi nelle sue televisioni.
L’anello che manca riguarda una giornalista del TG3, Ilaria Alpi, e il suo operatore, Miran Hrovatin, morti ammazzati il 20 marzo 1994 a Mogadiscio, in Somalia. Oggi voglio raccontare la loro storia.

autoelIl futuro della società sostenibile è legato alle auto elettriche!
Le auto elettriche inquinano più dei motori endotermici, altro che sostenibilità!
Sono queste le frasi che, se cercate in rete “sostenibilità auto elettriche”, saltano fuori, ma non una volta, bensì decine di volte, ciascuna condita di credenziali e presunte prove. “Presunte” per un semplice motivo: di fronte a due verità contrapposte, almeno una delle due dev’essere falsa, di sicuro non possono essere vere entrambe.
Questa è la fine che fanno tutti i dibattiti basati su dogmi o su quell’”ipse dixit” di aristotelica memoria, sostituito purtroppo dalla televisione, dai soloni che pontificano senza averne titolo, da quelli che sono sovvenzionati da questa o quella parte, da quelli che “ho sentito dire che”. Così si cade nei discorsi da ultras del calcio, i quali, di fronte alle stesse immagini, danno interpretazioni opposte, suffragate da quel fenomeno della mente, chiamato tifo. Ci finiscono mille discussioni, anche sulla politica, basta leggere le prime pagine dei quotidiani in una mattina qualsiasi. E viene da chiedersi come si fa a districarsi in questo ginepraio.
É un bel problema. Quello che possiamo fare è usare un metodo pragmatico, eliminando ideologie, posizioni precostituite, preconcetti e tutto il resto che gli va dietro.

Puntata 3: riassuntopuntata3 02

Vi stavo raccontando l’incredibile storia di Francesco Fonti, affiliato alla ’ndrangheta nella famiglia di San Luca e poi pentito. Ha raccontato tutto, prima di morire nel 2012, lasciando memoriali ai procuratori antimafia, dai quali è possibile risalire ai nomi di tutti i coinvolti. Quelli che appartengono alle varie famiglie della mafia calabrese, quelli che hanno coperto il traffico illecito di rifiuti tossici e di armi, quelli che li hanno forniti, i politici e gli appartenenti ai Servizi Segreti che, chiudendo tutti e due gli occhi hanno intascato un po’ di denaro e, forse di potere.
So che avete già indovinato, ma la sua testimonianza è servita davvero a poco. Molte inchieste sono state frettolosamente chiuse, la quasi totalità dei documenti dichiarati segreti di stato e desecretati solo di recente (di questo parleremo alla fine del nostro racconto) e insomma la cosa si è protratta, segno evidente che le coperture del malaffare arrivavano in alto, molto in alto.

Introduzione

puntata2 00Abbiamo cominciato, due settimane fa, parlando della gestione, se mi passate questo termine, dei rifiuti pericolosi e tossici. Le industrie, ma, come vedremo, anche organizzazioni statali e non solo italiane, quando producono scarti nella loro lavorazione devono seguire percorsi e rispettare normative particolari, specie se quegli scarti rischiano di danneggiare l’ambiente in cui vengono sversati e i cittadini che in quelle zone abitano. Così dagli anni ’60 in poi si è andata affermando una pratica meno dispendiosa. Si contatta un’azienda, per così dire, birichina, che si occupa, zitta zitta, di mettere qua e là i rifiuti. Sotto uno stadio, nel sottosuolo di un’autostrada o del parcheggio di un aeroporto. Quando però la quantità di monnezza è eccessiva, occorre inventarsi qualcosa di più raffinato. Nasce così la tratta di rifiuti Nord-Sud, con destinazione particolare nelle regioni della Campania e della Basilicata. Sulla Basilicata avremo molte cose da dire, ma solo più avanti nella nostra storia. A dirigere il traffico interviene la camorra, poi la ‘ndrangheta, e la mafia siciliana.
Le mille discariche abusive campane, scoperte negli anni, stanno a dimostrare che questo è un vero e proprio sistema. É chiaro che gli effetti devastanti di materie particolarmente pericolose (pensate alla diossina, tanto per non fare nomi), incidono sulla produzione di ortaggi, sul mangime delle capre e delle bufale e quindi di tutti i latticini che vengono poi venduti in ogni angolo del mondo. Un crimine a largo spettro che ha come vittime l’ambiente e tutti i suoi abitanti. Ma frutta una quantità enorme di denaro, molto più, a detta di alcuni pentiti, del traffico della droga, che è tutto dire!
nigerVoglio parlarvi del Delta del Niger, una regione della Nigeria ricchissima per la presenza di vasti giacimenti di petrolio; una regione poverissima perché la maggior parte dei cittadini che vi abitano vivono nella miseria più nera. Una regione in cui governi ed esercito hanno fatto centinaia, forse migliaia di morti, sparando su manifestanti pacifici; una regione attraversata da bande armate, che assaltano strutture e rapiscono lavoratori stranieri. Una regione tra le più inquinate ed invivibili al mondo. Una regione che si affaccia sui bracci del fiume Niger che si tuffa nell’Oceano nel golfo di Guinea.
Questa regione si trova a sud della città di Port Harcourt, costruita dagli inglesi come centro di esportazione del carbone all’inizio del secolo scorso. Oggi conta oltre un milione e duecento mila abitanti, ha un centro cittadino ed è circondata da molte bidonville dove il degrado è assoluto. Come mai?