Introduzione

petroli00Oggi vorrei parlare di petrolio e più precisamente di come la gestione politica di questo bene così prezioso nella società dei consumi abbia finito per far commettere ogni genere di nefandezza a chi quella gestione aveva in mano. Quindi politici, industriali, criminali, soprattutto quelli delle grandi organizzazioni mafiose e, a volte, organi di controllo dello stato come la guardia di finanza.
Vorrei, insomma raccontarvi la storia di due scandali legati al petrolio. Ce ne sono parecchi, conclamati o solo vociferati, scoperti e nascosti. Farò due esempi, uno lontano negli anni, ma che ha prodotto terremoti sociali, perdita di fiducia nelle istituzioni di controllo, perché quella nella politica non c’è mai stata. Ci sono casi anche recentissimi, come quello della cantante Ana Bettz, che proprio in questi giorni la stampa ha sottolineato, e quello di cui vi parlerò alla fine dell’articolo, che ha visto coinvolto, anche se indirettamente, un ministro del governo di quel birichino di Matteo Renzi. Uno scandalo che ha mostrato come grandi aziende di stato abbiano inquinato vasti territori della Basilicata. E, a proposito di inquinamenti e contaminazioni, vi racconterò anche quello che in quella regione, da sempre considerata la cenerentola delle regioni italiane, è successo quando il nostro paese ha cominciato a dismettere le centrali nucleari. Insomma, un po’ di tutto, ma con la dicitura comune di “scandalo”.
Andiamo, però, con ordine e cominciamo, come è sempre meglio fare, dall’inizio.

La Tribuna di Treviso, 1980

petroli02L’inizio si colloca nell’autunno del 1980 a Treviso, dove un giornale locale, la Tribuna, scrive di una truffa gigantesca all’erario, di ben 2 mila miliardi di lire. In quell’articolo si legge: “il contrabbando di petrolio aveva provocato uno scarto del 20 per cento tra il petrolio effettivamente consumato e le imposte pagate, con conseguenti effetti sui dati statistici sui quali venivano impostati i, peraltro mai realizzati, piani energetici.
Troppo complicato? Linguaggio un po’ troppo tecnico. Traduciamo allora in un italiano da bar dello sport.
Il 20% dei consumi petroliferi nel nostro paese non porta nemmeno una lira all’erario. É come se non ci fossero, come se gli italiani consumassero il 20% in meno di quello che realmente consumano.
La beffa è che, nei primi anni 80, in Italia si riscontra un aumento dei consumi energetici, in controtendenza con gli altri paesi europei. I cittadini vengono aspramente criticati per questo, ma l’aumento è dovuto al fatto che vengono a mancare i litri di carburante arrivati illegalmente. Quindi l’aumento è solo quello della quantità legale di prodotti petroliferi.
Evidentemente l’articolo della Tribuna descrive la conclusione di un procedimento già in atto da qualche tempo. In effetti, le indagini partono dai magistrati trevigiani, nel 1978, assieme ai colleghi di altre 17 procure, tra cui Venezia, Milano e Torino. Già dai primi rilievi appare chiara una cosa. Lo scandalo, o la truffa se preferite, è possibile grazie a disposizioni legislative favorevoli, grazie a stretti legami tra politica e affari, grazie alla connivenza di alti funzionari degli organi di controllo, segnatamente la Guardia di Finanza.

L’inchiesta

Cos’è successo di così grave? E da dove parte l’inchiesta?
A Padova c’è un capitano della Guardia di Finanza, Antonio Ibba, del servizio segreto interno all’arma. Ibba stende, nel 1976, un verbale che arriva, dopo qualche settimana, tra le mani del colonnello Aldo Vitali, che lo legge, si stupisce, indaga e stila anche lui una nota interna di 10 cartelle e 186 fogli allegati. C’è scritto che esiste un grossissimo giro di contrabbando di petrolio, gestito dalla “Costieri Alto Adriatico” di Marghera, protetta da un personaggio politico di alto livello. Vitali fa nomi e cognomi, tra i quali quello del petroliere Brunello e cerca di spiegare in che modo il “giro” eluda i controlli. La nota arriva, nel febbraio del 1976, nelle mani di Pietro Spaccamonti, generale ispettore dell’Italia Settentrionale della Guardia di Finanza, che prende l’incartamento e lo manda al Comando Generale, vale a dire al più alto grado dell’arma.
A dirigere la GdF ci sono due personaggi: Raffaele Giudice, il capo in testa, e il capo di stato maggiore Donato Lo Prete.
Risultato? Vitali viene trasferito e su di lui si apre un’inchiesta, suffragata da una relazione denigratoria su Vitali di Ciccone dell’Ufficio Informazioni di Padova. Si scopre presto che quella relazione è realizzata con la macchina da scrivere di Giulio Formato, amico di Ciccone, ma, soprattutto, legale dei petrolieri coinvolti nello scandalo. Per i magistrati è la prova del nove della collusione tra finanzieri e imprenditori.
Le accuse per Vitali sono di essere troppo credulone e quindi poco serio. Viene trasferito a Roma e sostituito da altri militari, che sono tutti uomini fidati di Lo Prete, l’ultimo è Vito Ausiello, petroli02di cui parleremo ancora più avanti.
Poi però c’è un colpo di scena. Accade su un’autostrada non lontano da Venezia.
Un’autobotte piena di gasolio viene fermata e si scopre che è senza bolla di accompagnamento. É della Brunello Lubrificanti, l’azienda citata nel documento di Vitali. L’indagine allora comincia: a Vicenza la Brunello ha un deposito e si scopre il legame delittuoso tra la Brunello e la Costieri Alto Adriatico. Ma i documenti raccolti arrivano praticamente illeggibili alla magistratura. La stampa carica a testa bassa: si tratta di pochi milioni di evasione, roba da ridere, altro che i duemila miliardi di quel credulone di Vitali.
Poi i carabinieri di Vimercate fermano due individui sospetti. Uno di questi, tale Bormida, ha con sé dei moduli H ter. Si tratta dei moduli di accompagnamento della merce trasportata. Ma la merce non c’è e Bormida non sa spiegare a cosa si riferiscano quei documenti. Viene avvertita la guardia di finanza, ma, ancora una volta, le indagini non portano a niente.
Strano no?
Passa un anno e, alla fine, il pretore di Monza, archivia tutti i procedimenti, ma le indagini continuano lo stesso, finché si scopre, tra le società, legate a Bormida, la “Isomar” del petroliere Chiabotti ed è qui che salta fuori il contrabbando. Viene aperto un procedimento, detto Isomar 1, che si conclude con la condanna dei principali imputati.  
Ci sarà anche un altro processo, Isomar 2, con il coinvolgimento di altre aziende e la condanna degli imputati con sentenza definitiva nel 1984. 
Intanto a Treviso c’è un colpo di scena.

Brunello, guardia di Finanza e contrabbando

Dicevo del colpo di scena. In effetti, a Treviso, nel 1978, succede qualcosa di inaspettato. Se un delinquente, che ha partecipato ad un colpo, viene trattato male, ad esempio se non rientra tra i beneficiari del bottino, può capitare che questi si arrabbi di brutto e denunci tutto.
É il caso del petroliere Gianni Savoia, che ha partecipato alla truffa, ma essendo stato estromesso dal giro grosso, si presenta al giudice di Treviso, denunciando la ditta Brunello come quella da cui partire per scoprire il traffico illecito. Nello stesso periodo due sottufficiali della Guardia di Finanza subiscono un tentativo di corruzione durante una verifica. É il punto di svolta: le verifiche portano gli inquirenti all’indirizzo del deposito carburante della Brunello, ma vi trovano solo un prato con l’erba alta un metro. Il 9 settembre 1978 il Brunello viene arrestato con l’accusa di contrabbando. I legami cominciano a diventare chiari: la guardia di finanza c’entra ai suoi massimi livelli. Il 29 dicembre il giudice di Treviso emette una comunicazione giudiziaria nei confronti di Lino Ausiello, il colonnello che è stato messo da Lo Prete al posto di Vitali.
Ausiello è un furbastro e ha escogitato un piano diabolico per evitare i controlli. Avverte Brunello delle ispezioni programmate dall’arma in modo da far trovare tutto in ordine. Usa anche uno stratagemma: invia alla Guardia di Finanza una lettera anonima con la denuncia di traffici illeciti da parte della Brunello; si incarica lui stesso dell’indagine e quindi sequestra i registri dell’azienda, evitando in tal modo ogni ulteriore verifica. É l’inizio di un domino di aziende implicate e di alti gradi della finanza conniventi. La faccenda comincia a diventare interessante per il magistrato Felice Napolitano di Treviso. Convoca i comandanti di zona del Veneto, i quali dicono che, sì, c’è un vecchio rapporto di un certo Vitali chiuso in un cassetto. Viene interrogato Vitali, che racconta tutto quello che due anni prima aveva scoperto. Finalmente il suo rapporto viene letto con attenzione e diventa una parte decisiva dell’inchiesta.
Intanto Raffaele Giudice va in pensione e lo sostituisce Donato Lo Prete. Ma, l’inchiesta Isomar 2 porta alla luce diversi pagamenti ai vertici della GdF. Comincia una nuova istruttoria, chiamata Giudice 1, che si conclude con la condanna dei due generali Giudice e Lo Prete.
Da Giudice 1 il groviglio piano piano si dipana: viene spiccato un mandato di cattura per Bruno Musselli, proprietario della “Costieri Alto Adriatico”. Musselli è irreperibile.
Finalmente anche la stampa si rende conto della situazione e racconta non solo della truffa, ma dei moltissimi interventi per insabbiare le cose o per depistare le indagini.
Alla fine del 1979, il giudice Napolitano accusa i due generali Lo Prete e Giudice di interesse privato e favoreggiamento. Il primo ha inoltre rapporti d’affari proprio con Musselli, latitante in Svizzera. Sul libro paga di questi figurano molti nomi illustri. Lui è titolare di una finanziaria, che controlla almeno trenta società di vari settori industriali: petrolifero, immobiliare, metalmeccanico, tessile. Tra queste la Bitumoil, che rifornisce il giro del petrolio di contrabbando. Tra l’altro, Musselli diventa console del Cile, quindi ha passaporto diplomatico che gli consente di viaggiare senza troppi controlli ed intoppi dentro e fuori dal nostro paese.

I politici che si difendono tra loro

Dai controlli saltano fuori anche versamenti cospicui di denaro ai politici. Si comincia con Sereno Freato, che è il capo della segreteria di Aldo Moro, che riceve decine di milioni da Musselli. E soldi arrivano anche ad esponenti socialisti, decine di milioni per Di Vagno e Magnani Noya, oltre a Tommaso Pesce, vicesegretario della federazione socialista di Milano.
La faccenda esplode proprio indagando sugli intrallazzi di Musselli. Saltano fuori legami con mezzo mondo, tra cui anche i vertici della guardia di finanza. petroli02L’indagine passa da Treviso a Venezia, per competenza territoriale e qui cominciano i guai, perché gli accusati sono potenti e intentano un vero e proprio contro-processo, fondato su una quantità di lettere anonime che minimizzano il contrabbando e denunciano i magistrati come sovversivi e agenti per motivi politici e non inerenti alla giustizia. La Procura di Venezia chiede alla Cassazione di scegliere un luogo idoneo per processare i magistrati. Viene scelta Modena, dove il giudice istruttore proscioglie da ogni addebito i magistrati di Treviso e Venezia.
I politici si scatenano allora in una ridda di dichiarazioni e conferenze stampa per difendere l’onore dei propri parlamentari, addossando la colpa a tutti gli altri. Una scena impietosa e vergognosa, purtroppo non infrequente negli anni seguenti e fino ad oggi, nel nostro parlamento.
Alla fine del 1980 il ministro dell’interno, Reviglio, nomina una commissione, fatta tuttavia apposta per mettere in sordina le responsabilità politiche. Pochi giorni dopo lo stesso ministro consegna a ciascun parlamentare copia del rapporto Vitali, che, finalmente ha la soddisfazione di poter dire “io lo avevo detto e scritto”.
La commissione Reviglio continua la sua opera. Con calma, molta, anzi troppa calma, ostacolata continuamente dal suo stesso presidente, il democristiano Remo Segnana, morto nel 2018 e, purtroppo, mio concittadino, essendo nato a Borgo Valsugana, dove risiedeva la famiglia di Alcide De Gasperi.
L’azione di Segnana è quella tipica dell’insabbiatore, allungando a dismisura i tempi di consegna dei risultati. Ma non finisce qui, perché nell’ottobre 1980, L’Espresso pubblica un dossier, che raccoglie tutte le informazioni che abbiamo letto fin qui. Interviene Domenico Sica, procuratore della Repubblica di Roma, il quale firma un ordine di perquisizione del giornale e perfino delle abitazioni dei giornalisti firmatari dell’inchiesta, Pietro Calderoni e Gianluca Modolo. Questo fatto, anche alla luce di quello che accadrà negli anni seguenti, appare come qualcosa di estremamente grave, che limita la libertà di informazione dell’opinione pubblica. Ma i giornali riportano il fatto come notizia di secondaria importanza. C’è anche da dire che Domenico Sica non è giudicato da tutti come uno stinco di santo, anzi … petroli02A proposito di stampa, torniamo a parlare di Mino Pecorelli. Cominciano a circolare voci di un coinvolgimento di O.P. nello scandalo petroli. O.P. (Osservatore Politico) è la rivista di Pecorelli (vedi qui).
Già all’inizio dell’indagine Isomir, Pecorelli aveva annunciato l’esistenza di un traffico illecito di prodotti petroliferi. Proprio quando si prepara ad attaccare, con la solita ferocia, il coinvolgimento di certi politici nello scandalo petroli, avendo già preparato una copertina dedicata ad Andreotti, Mino cambia atteggiamento. Va a cena con Vitalone, uomo della corrente del Divo Giulio e perfino con il generale Lo Prete. Della raffica di notizie, anticipata dal giornalista, si perde ogni traccia. Pochi giorni dopo viene ammazzato.
C’è anche un’altra anomalia. In quegli anni Bisaglia è ministro dell’Industria e potrebbe essere accusato se non altro di non essersi accorto di nulla. Ma Bisaglia non appare mai su O.P. Il motivo è che lo stesso politico è uno dei finanziatori della rivista di Pecorelli, come si rileva da una lettera che la sorella consegna ai magistrati dopo la morte del fratello. Bisaglia allora si dimette da Ministro alla fine del 1980. É il solo politico a pagare, in qualche modo, lo scandalo dei petroli.
Resta da vedere chi e come sono stati condannati.

Giudizio e condanne

I tre gradi di giudizio portano a risultati molti simili, pur con qualche differenza davvero non da poco.
A Torino, è il 30 aprile 1987, vengono condannati gran parte dei petrolieri e dei finanzieri, ma la sentenza non segnala alcuna regia degli uomini politici coinvolti e quando, come nel caso di Freato, si accerta il crimine di frode, i termini di prescrizione sono scaduti e tanti saluti. La sentenza di appello riduce la pena per Lo Prete e Musselli, Freato viene assolto con formula piena.
Cosa è successo? Come mai da così tante indagini non saltano fuori tutti i nomi coinvolti? Lo si capisce leggendo la motivazione della sentenza, che dice, in sostanza, che non ci sono prove per accertare la consegna delle tangenti nelle mani di personaggi vicini alla DC, al PSI, al PSDI. I giudici quindi non possono condannare nessuno dei politici.
La corte di Cassazione confermerà le decisioni della corte d’appello di Torino.
Giorgio Galli, uno dei più eminenti politologi italiani, scrive:
"A questo punto, ovviamente non volendo criminalizzare alcuno, (...) è forse configurabile questa ipotesi: se il ruolo dominante e determinante di un gruppo sociale si misura dalla capacità di controllo di un sistema e di una situazione tale da consentirgli di superare crisi che travolgono alti vertici (dai generali, agli alti magistrati, ai grandi finanzieri) quello che accadde in Italia nel 1977-1982 ci dice che questo gruppo dominante e determinante in Italia è il ceto politico di governo. Qui è la cuspide della piramide. Se altrove si dice che i governi passano, ma la polizia resta, in Italia si può dire che i falsi burattinai passano, ma i veri burattinai restano".
Prima delle considerazioni finali, conosciamo meglio due dei personaggi più di spicco di questa faccenda, il generale Raffaele Giudice e Donato Lo Prete, capo del servizio informativo della Guardia di Finanza, all’epoca dei fatti. 

Raffaele Giudice

Il Gen. Giudice, proveniente dall'esercito, prende possesso del Comando Generale della Guardia di Finanza il primo agosto 1974 e resta in carica fino al 1978, quando viene pensionato. La sua nomina ai vertici delle fiamme gialle da esterno al corpo, lascia perplessi e viene attribuita alle sue amicizie politiche. Tra i suoi referenti politici ci sono l'on. Andreotti, l'on. Salvo Lima, fedelissimo di questi e siciliano come lui, l'on. Giovanni Gioia, tutti in fortissimo odore di mafia. Non solo la politica. Ci sono molte testimonianze che parlano di vere e proprie collette tra petrolieri per patrocinare la sua nomina.
Tra le altre cose è uno degli iscritti alla loggia P2 di Licio Gelli, alla quale versa mezzo milione di lire. Degli arresti e delle condanne per lo scandalo petroli abbiamo già detto.
Al di là delle formule giuridiche, per i magistrati è uno dei padrini dello scandalo, assieme al suo Capo di Stato Maggiore, Donato Lo Prete, al petroliere Musselli e al politico Sereno Freato. petroli04C’è un aneddoto curioso nella vicenda. Musselli era molto legato all’on. Aldo Moro, di cui, lo ricordo, Freato era il segretario particolare. Così Giudice chiede a Musselli di presentarlo al politico pugliese, con questa motivazione: "Avevo bisogno del suo aiuto (...) Avevo preparato un libro giallo sulla Guardia di Finanza. Proponevo di ampliare e riformare il corpo per renderlo più efficiente contro le evasioni. (...) solo Moro poteva aiutarmi."
Ci pensate? Un libro contro le evasioni … forse si tratta di evasioni di altra natura, non fiscali o di una grossa presa per i fondelli.
Il suo stipendio all’epoca è di circa 30 milioni di lire, ma si riscontra che il suo patrimonio è valutabile in centinaia di milioni, numerosi conti bancari esteri e beni immobili. È anche curioso che lo stesso si possa dire dei suoi più stretti collaboratori Lo Prete e Trisolini. Lo dice chiaramente il tribunale di Torino nella sentenza, che  riscontra un’analogia resa ancora più stretta "con riferimento all'entità delle possidenze bancarie, alla contiguità numerica (oltre che alla presenza nella stessa banca) dei loro conti correnti, all'analogia dei modi di versamento, alla provenienza del denaro tramite sottufficiali della segreteria del comando, alla corrispondenza degli investimenti delle somme in titoli, alla comune tenuta dei libretti al portatore, tutti egualmente intestati a nomi di fantasia".
Nella vicenda risulteranno implicati anche il figlio Giuseppe, socio del petroliere Morelli, e la moglie Giuseppina Galluzzo, accusata di aver portato ingenti somme di denaro in Svizzera.
Muore nel 1994.

Donato Lo Prete

Donato Lo Prete è stato a capo del servizio informazioni della Guardia di Finanza dal 68 al 72. É una specie di protettore del piano che porta allo scandalo petroli del 1974. In effetti si circonda di ufficiali e sottufficiali di suo gradimento, che diventano poi suoi complici. Tra loro si possono ricordare Vincenzo Gissi, Giulio Formato, Salvatore Galassi, Arturo Billi.
Nel 1972 comanda il Nucleo Centrale di Polizia Tributaria e successivamente viene chiamato da Giudice a Capo di Stato Maggiore della Finanza.
Considerato "di provata fede andreottiana" dagli autori del dossier su L’Espresso, è stato uno dei centri fondamentali di protezione del contrabbando.
Viene inquisito dalla Procura di Treviso sin dal 1979 e si rende presto latitante. Viene arrestato in Spagna nel 1982. Anche lui è risultato iscritto alla P2 e sono state riscontrate numerose possidenze ed un tenore di vita eccessivo rispetto alle sue entrate lecite.
Viene condannato con la sentenza del 30 aprile 1987 del Tribunale di Torino, in primo grado, a 8 anni e 200 milioni di multa. La sentenza della Corte d'appello di Torino del 17 luglio 1989, conferma la sentenza di primo grado ma dichiara la condanna "non eseguibile", dal momento che l'estradizione, concessa dalla Spagna, non riguardava i reati fiscali e di contrabbando. Come vedete la nostra giustizia mette dentro gli umili e salva sempre in un modo o nell’altro i potenti. Che bella cosa!

Conlcusioni

Le considerazioni finali possono partire dalla figura di …. sapete a cosa mi riferisco fatta da Matteo Renzi quando si è recato a parlare con l‘emissario di Re Salman, un sanguinario tiranno medievale, che condanna i suoi sudditi a morte per crocifissione e pratica, come regola, la tortura più dura nelle proprie carceri. petroli02Molti hanno visto in questa mossa, al di là del desiderio di rovesciare il governo Conte, un modo per opporsi ai cambiamenti previsti da green new deal europeo e dal contenuto dei paletti del recovery fund a favore delle energie rinnovabili. Del resto l’Italia di Conte ha contribuito all’elezione di Ursula von der Leyen, che ha spinto più di chiunque altro per una transizione ecologica del continente e alla fine, nonostante gli intrighi pazzeschi del nostro palazzo è grazie a Conte se sono stati destinati i 209 miliardi del recovery fund proprio per muoversi verso un’economia a basso impatto di carbonio. Come farlo fuori? Ci pensa Matteo … se voi credete alle coincidenze, accomodatevi, ma la cosa suona quantomeno strana.
Bene, anche nel 1974 c’era una situazione analoga. L’Italia stava per entrare nella sua fase nucleare, anche per ridurre l’importazione di greggio e diminuire così la produzione di energia elettrica con il gasolio. All’epoca, tra l’altro, non c’erano automobili diesel e quindi veniva a mancare ai petrolieri una valvola di sfogo sul mercato. Avrebbero dovuto inevitabilmente ridurre le importazioni e quindi rinunciare a parecchi soldini. La scelta del governo a favore del nucleare era, insomma decisamente contro gli interessi dei petrolieri. E così hanno cercato di “convincere” (questa parola va tra virgolette) … di convincere i partiti al governo, segnatamente DC, PSI e PSDI a continuare ad andare avanti con il petrolio. Lo hanno fatto a suon di mazzette. A scoprire queste attività sono i cosiddetti pretori d’assalto genovesi, Mario Almerighi, Adriano Sansa e Mario Sossi, quello rapito e poi rilasciato dalla Brigate Rosse. Da qui lo scandalo dei petroli di cui abbiamo parlato fin qui.
Curiosamente, proprio per evitare che le multinazionali facessero un mercato dei politici, comprando quelli che servivano loro, viene proposto il finanziamento pubblico dei partiti, che sarebbe come dire: diamo dei soldi ai ladri, così magari non rubano. C’è voluto un referendum per togliere di mezzo questa idea e sono arrivati i rimborsi elettorali.
Che bella storia!