Questa è una storia vera, una storia storica insomma, scritta sui libri di testo … beh non quelli che ci hanno propinato a scuola, ma comunque su altri libri.
La storia riguarda un’isola, Rapa Nui, che nel dialetto del luogo significa “grande roccia”, probabilmente perché è il solo enorme scoglio circondato da migliaia di miglia di oceano. Gli spagnoli, i primi occidentali a visitarla la chiamarono Isla de Pascua e noi oggi la conosciamo come Isola di Pasqua
Rapa Nui Rapa Nui è un’isola sperduta in mezzo all’Oceano Pacifico. Oggi è territorio cileno, anche se la terra madre è distante 3600 km, un po’ come se l’Italia avesse un possedimento nell’estrema punta Nord della Norvegia o in Nigeria.
L’isola viene colonizzata attorno al 400 d. C. da una popolazione proveniente dalla Polinesia. Può sembrare incredibile il viaggio intrapreso da questi navigatori dal momento che la Polinesia si trova ad oltre 4000 km di distanza. Ma le ricerche effettuate sui reperti, sul modo di costruire le grandi zattere che potevano affrontare i pericoli del mare, sul DNA tratto dalle ossa dei cadaveri, trovate nel sottosuolo (e non solo come vedremo), le informazioni sul linguaggio, non lasciano dubbi. Negli ultimi 100 anni sono state raccolte informazioni sufficienti per essere ragionevolmente sicuri che gli abitanti di Rapa Nui sono di origine polinesiana. E così, non si sa certo per quale motivo, probabilmente perché in fuga dal loro paese, questi incredibili marinai attraversano 4 mila km di oceano per approdare all’isola più isolata del mondo. Qualcuno ha scritto che la terra più vicina a Rapa Nui è la Luna.
Non è un territorio molto vasto, circa 120 kmq, più o meno come una grande città italiana (Torino ad esempio). Le analisi che sono state condotte in loco hanno dato esisti davvero sorprendenti. Ad esempio sono stati trovati enormi strati di polline di palma, ma nemmeno una pianta. Questo significa che in origine l’isola doveva essere interamente coperta da un’immensa foresta di palme.
Anche se sull’isola si sono trovate evidenze di coltivazioni di patate dolci, di banane, di canna da zucchero e qualche allevamento di polli, il cibo per gli abitanti dell’isola arrivava soprattutto dal mare. Ma per pescare occorreva fare i conti con le coste rocciose molto ripide e scoscese e col fatto che, appena mosso un passo fuori dalla terra, il mare presenta profondità impressionanti, fino a 3000 m.
Questa situazione costringeva i pescatori a cercare le loro prede al largo per non schiantarsi contro le rocce e quindi a costruire imbarcazioni grandi. L’origine polinesiana degli abitanti di Rapa Nui fornisce loro una straordinaria abilità nella costruzione di imbarcazioni. Così, usando il legno delle palme così numerose e a portata di mano, quei marinai costruiscono enormi zattere e canoe per dedicarsi all’ approvvigionamento del cibo.
Analizzando le ossa trovate sull’isola si scopre che la preda di gran lunga più catturata è il delfino. Probabilmente là attorno ce n’è in grande abbondanza, oppure le dimensioni del delfino consentono una efficacia migliore per le battute di pesca. Sta di fatto che è proprio questo cetaceo il pasto più consumato a Rapa Nui. Questo testimonia a maggior ragione sia la pesca al largo che la necessità di imbarcazioni importanti.
Per quanto riguarda le palme, esse non sono tutte uguali. Ci sono quelle che forniscono il legno per le barche, quelle chiamate “hua hua”, con le cui fibre si fanno le corde indispensabili nelle attività marinare, ed infine quelle chiamate “toromiro” che vengono usate come combustibile per scaldarsi e cucinare.
Finché il consumo di legno e la ricrescita delle palme si mantiene in equilibrio, tutto fila liscio. È una società il cui modo di vivere è sostenibile e sostenuto dalle risorse dell’isola. Nel periodo di massimo splendore l’isola conta una popolazione di circa 8 mila unità.
Ad un certo punto accade qualcosa. Forse la presa di potere da parte di una casta o una tribù, oppure (come avvenuto in moltissime altre situazioni storiche, pensiamo all’antico Egitto, ai Maya, alla Spagna di Isabella, e così via) una setta di sacerdoti mescola religione e potere e domina la scena sociale e politica di Rapa Nui.
Moai di Rapa NuiIn questo periodo comincia la costruzione dei “moai”, le grandi statue di pietra, alte fino a 10 m e pesanti fino a 100 tonnellate, che vengono costruite e collocate su una specie di muretto di roccia lungo fino a 20 m.
Non sappiamo di preciso il motivo di queste strane costruzioni. Forse sono degli omaggi ai potenti dell’isola: capi, funzionari, sacerdoti o verso le tribù dominanti. O forse sono omaggi agli dei, magari cominciati in periodi di difficoltà e poi diventate un’abitudine. C’è un film che racconta una storia su quest’isola, quando vi arrivano gli esploratori europei. Una storia d’amore tra un ragazzo della tribù dei lunghi orecchi, la casta nobile e una ragazza della tribù dei corti orecchi, praticamente gli schiavi costretti a costruire queste statue, ma, è solo un film. Del resto niente si sa.
Quello che, invece, si sa è che i moai vengono realizzati in una specie di “laboratorio” nell’interno dell’isola e poi portati verso riva. C’è una cava a 10 km dalla costa con statue iniziate, lasciate a metà, alcune ancora più grandi di quelle rimaste in piedi. 10 km non sono uno scherzo se non hai i mezzi di trasporto giusti (non c’erano grandi animali sull’isola). Per questo trasporto alle palme tocca un altro lavoro; i loro tronchi vengono fatti rotolare verso il mare, portandosi dietro questi enormi pesi di pietra, che si tengono in equilibrio usando corde, costruite con le fibre delle palme hua hua. Insomma ancora un altro poderoso consumo di legname, ma questa volta per un motivo che con la sopravvivenza non ha niente a che fare. Un modo molto stupido di consumare le proprie risorse. Oggi una cinquantina di statue guardano verso l’oceano.
Con l’aumentare della popolazione e la richiesta di statue, di cibo, di combustibile, piano piano l’isola non ce la fa più a sostenere tutte queste attività, tutte basate sullo sfruttamento delle palme. Le varie esigenze consumano gli alberi ad un ritmo enormemente maggiore di quello della loro riproduzione.
Poco dopo il 1400 la palma sull’isola è completamente estinta. Secondo gli studiosi a ciò contribuisce anche una veloce riproduzione di ratti che rosicchiano i frutti della palma impedendo la nascita di nuovi germogli.
E questo innesca una reazione a catena impressionante. Gli uccelli selvatici che consentono l’impollinazione si estinguono o emigrano, così come gli animali domestici. Per sopravvivere resta il mare, ma, senza palme, non si possono più costruire zattere per uscire in mare aperto. Rimangono i molluschi attaccati alle rocce delle scogliere; ma presto finiscono anche loro.
Si cerca allora di incrementare l’allevamento di pollame, ma alla fine l’unica risorsa di proteine possibile, è terribile dirlo, è rappresentata dagli altri esseri umani. La pratica del cannibalismo viene confermata dal ritrovamento di ossa umane “rosicchiate” tra la spazzatura e anche dai racconti raccolti dai primi visitatori europei a Rapa Nui.
Non c’è più cibo e così non si possono più mantenere i capi, i sacerdoti, i funzionari che sono esentati dal lavoro. Nascono fazioni, con capi militari, guerre intestine e faide che riducono la popolazione a poche centinaia di unità. È assai probabile che durante questa fase di guerra cominci anche la distruzione dei “moai”.
La datazione delle ossa dei delfini mostra che attorno al 1500 la pesca d’altura termina. La mancanza di legno impedisce di costruire le zattere per pescare o – in caso estremo – per tentare una fuga.
E questa è la fine!
Rapa NuiQuando gli esploratori europei, nel sec. XVIII, arrivano sull’isola, trovarono molta desolazione e pochissimi abitanti. L’olandese Jacob Roggeven vi approda per primo il 5 aprile 1722, lunedì di Pasqua (da qui il nome dell’isola) e vede solo pochi alberi che non superano i tre metri di altezza. Secondo i botanici solo 47 specie di piante (prevalentemente tipi di erba) sopravvivono su Rapa Nui, che viene considerata tra le terre più aride del pianeta.
È difficile giudicare questa popolazione col senno di poi; probabilmente la deforestazione è avvenuta in modo inconsapevole e altrettanto probabilmente per favorire chi su quelle foreste vantava dei diritti economici o politici o sociali.
C’è tuttavia di che riflettere: un pugno di uomini senza macchine e strumenti, con la sola forza delle braccia e attrezzi di pietra è riuscito nell’impresa di autodistruggersi. Lo ha fatto eliminando le foreste che, all’inizio, aveva a sua disposizione.
È solo una storia del passato, riservata ad una piccola isola sperduta nell’oceano? O è una storia che si è ripetuta nel tempo e continua a ripetersi ancora oggi?