kkk01Premessa

Su questo testo il canale Youtube Nova Lectio ha realizzato un bellissimo video che trovate qui: VAI AL VIDEO

Introduzione

Oggi parliamo di razzismo, ma non citando Vannacci e i suoi sproloqui, ma andando alle origini di questo fenomeno, affrontando il tema da un punto di vista storico, anche se non generale, perché parleremo di cosa è stato e di cosa è oggi il Ku Klux Klan, l’associazione statunitense che incarna le idee di molti americani, che vedono minacciata dalla società multietnica quello che siamo abituati a definire suprematismo bianco, vale a dire la convinzione che la razza bianca abbia qualche marcia in più rispetto alle altre.
Che poi, il razzismo degli statunitensi, nell’arco dei secoli, non ha guardato in faccia nessuno, neanche i bianchi, perché comunisti, anarchici, ma anche solo italiani o ebrei, hanno avuto le loro disavventure, a volte drammatiche, molto drammatiche.
Ma torniamo al Ku Klux Klan. Quando e dove nasce? Ma soprattutto perché nasce? Infatti limitarsi a parlare dei cavalieri coperti dai bianchi lenzuoli come di sempliciotti razzisti è un errore imperdonabile. La storia ci insegna che qualcosa di molto più profondo ha messo in moto questa macchina. Che cosa? Ascoltiamo una canzone e poi ne parliamo.
La canzone che abbiamo appena ascoltato è cantata nel 1939 da una delle più belle voci del blues e del jazz di tutti i tempi, Billie Holiday. La ragazza, nera, ha subito tutte le angherie possibili da parte dei bianchi e non solo: violenze sessuali da piccola, fame al limite della sopravvivenza da giovinetta e un totale rifiuto anche quando è diventata una grande star. Camerino solo per “colored” come venivano indicati gli afro americani all’epoca, ingresso separato, impossibilità di assistere a quegli spettacoli che esistevano proprio grazie a lei e ai suoi colleghi, la stragrande maggioranza dei quali aveva la pelle dello stesso colore della sua. Come fare a pkkk02arlarne male se muore giovane riempita di droghe e di alcool? Il brano, famosissimo, si intitola “Strage fruit” che significa strano frutto. Il frutto in questione non è commestibile, è il corpo di un nero impiccato, linciato. Curiosamente iltesto è scritto da un bianco, un ebreo di New York, a testimonianza della vastità dell’odio razziale degli statunitensi dell’epoca e non solo. Lo realizza lo scrittore Abel Meeropol, intitolandolo “Frutto amaro”. I frutti, nella poesia, sono i corpi di due cadaveri rimasti appesi ad un albero, quelli di Thomas Shipp e Abram Smith, linciati a Marion, in Indiana, nel 1930 da migliaia di persone, che assistono allo spettacolo come se andassero ad una festa. Billie, nera, dalla vita segnata dal razzismo, e Abel, ebreo-russo newyorkese, sono testimoni di un triste aspetto della storia americana, che ha raccolto i sentimenti di odio razzista di una parte non piccolissma del suo popolo, proprio nei confronti di neri ed ebrei.
Mi sembrava giusto cominciare così, anche per l’enorme ammirazione che riservo alla grande Billie Holiday.

Avvertenza

Prima di entrare nel vivo del discorso c’è un’avvertenza molto importante da fare. Sapete che da qualche anno esiste una fobia nell’uso di termini particolari. Il politicamente corretto è uscito fuori dai limiti del buon senso e ha limitato un vocabolario senza tenere in alcuna considerazione il motivo per cui certi termini possono essere usati. Qui le parole nero e negro ci sono e ci sono perché racconto la storia di un’epoca in cui le distinzioni linguistiche non esistevano. Se guardate un film degli anni 70, ma anche successivi, anche film di denuncia del razzismo, queste parole ci sono e vengono usate tranquillamente. Del resto ci sono paesi con popolazioni miste, come Cuba o il Brasile in cui nessuno si preoccupa di chiamare negro una persona di colore, ma quei popoli non hanno la coda di paglia per tutto l’odio che parte di loro hanno espresso e continuano ad esprimere. Insomma parlare di un negro invece che di quella parola che comincia con la “enne”, è tipico di chi ha qualcosa da nascondere, cosa che questo sito certamente non ha. Ho, lo dico con grande convinzione, la tranquillità di chi si è sempre espresso a favore dell’integrazione totale e dei diritti, quelli veri, non quelli fasulli legati a come si parla, di ogni tipo di popolo, di razza, di forma fisica, per non parlare del genere e di tutto il resto. Comunque, tanto vi dovevo per avvertirvi che, nelle parole che uso, qualunque esse siano, non c’è mai una intenzione razzista, sentimento che vive in un pianeta nel quale io non ci sono.

Le origini: il primo KKK

kkk01Pulaski è un piccolo centro del Tennessee, ai confini con l’Alabama, un centinaio di km a Sud di Nashville nel profondo Sud degli Stati Uniti. Oggi conta meno di 8 mila abitanti, ed è la capitale della contea di Giles. Un paese senza troppa importanza, uno dei tanti, che tuttavia ha un ruolo decisivo nella storia che sto per raccontarvi. C’è un edificio a Pulaski, sul quale campeggia una placca metallica. Riporta una data, il 24 dicembre 1865 e sei nomi, quelli dei fondatori di una associazione, che prenderà il nome di Ku Klux Klan.
Chi sono questi sei signori e cosa significa quella strana sigla, che oggi noi riassumiamo con KKK?
Cominciamo con la data, il 1865. Cosa è successo subito prima di allora? É finita la guerra di secessione americana, tra le truppe nordiste e quelle sudiste. Le prime, al comando del generale Grant, sostengono la liberazione degli schiavi, gli altri guidato dal generale Lee, vogliono mantenere i privilegi dei bianchi sui neri, considerati schiavi da un sacco di tempo. Detta così sembra un tantino frettolosa la definizione ed in effetti lo è, ma qui non ci interessa andare a fondo nella distinzione tra la politica sudista e nordista, perché i protagonisti sfuggono alle sottigliezze e badano, come vedremo presto, molto al sodo.
Come sappiamo la guerra viene vinta dal Nord, che impone regole nuove agli sconfitti. Tra queste anche l’abolizione dello schiavismo e la liberazione dei neri, che diventano di fatto dei dipendenti delle aziende in cui lavoravano, ad esempio nelle numerose piantagioni di cotone.
Questa, beninteso, è la teoria, perché la pratica è assai diversa, nel senso che tra il dipendente nero e lo schiavo negro di prima della guerra non c’è poi così tanta differenza. Ma questa differenza diventerà presto un pretesto solido e ben argomentato per la nascita delle associazioni come il KKK e quelle che ad esso si ispireranno.
I sei fondatori della confraternita, i cui nomi non hanno, per noi molta importanza, erano ex ufficiali confederati (cioè sudisti). Il nome non si sa bene che origine abbia. Qualche storico sostiene che si riferisca a Kuklos, termine greco antico che significa cerchia, nel senso di stretto legame tra gli aderenti, come vedremo meglio in seguito. Questa spiegazione ha una qualche ragione d’essere, visto che erano esistite altre associazioni con lo stesso nome, come ad esempio i Kuklos Adelphon, nati molto prima, nel 1812.
Cosa fanno i sei fondatori del KKK? All’inizio sembrano semplicemente dei burloni, gente che non ha niente di meglio da fare che imbastire sceneggiate e scorribande a cavallo, avvolti in lunghi mantelli bianchi, che coprono anche gli animali e con alti cappelli a punta in testa. Viene anche redatto una specie di manuale del “klanista”, ricco di regole e procedure abbastanza tipiche di una società segreta. I nomi dei capi è tutto un programma: “Grande Mago”, “Ciclope Superiore”, “Grande Dragone”, “Assistente Imperiale”.
Se qualcuno, anche qualche storico prende sottogamba questa confraternita, relegandola al ruolo di puro divertimento tra amici, quello che succede nei mesi e negli anni seguenti pone interrogativi di ben altra natura.
Proviamo ad entrare nelle teste dei bianchi sudisti di quegli anni. La sconfitta nella guerra di secessione ha provocato un terremoto nelle loro vite. Le conseguenze economiche sono gravi. La guerra ha chiuso i soliti mercati, facendo crollare l’export di prodotti pregiati come il cotone. A questo si aggiungono le novità legislative introdotte dal governo di Washington a proposito degli schiavi. Non c’è più una manodopera a costo zero e senza alcun diritto. La cosiddetta “liberazione dei negri”, ha portato loro nuovi diritti e nuovo “status sociale”. Un cambiamento che incide non poco sulla vita delle comunità locali. Perché, se è vero che, in molte situazioni, del passaggio da schiavo a dipendente non se ne accorge nessuno, le nuove norme mettono a disposizione dei neri strumenti nuovi e importanti: l’istruzione, la possibilità di far carriera o di aprire attività in concorrenza con i bianchi ed infine la cosa più temuta: la possibilità di candidare o addirittura candidarsi per un posto negli organi elettivi di gestione delle contee e delle città.

Una questione di potere

Ora mettetevi nei panni dei bianchi. La frase più comune potrebbe essere “Dove andremo a finire di questo passo?” kkk02Già, perché la liberazione degli schiavi non è che metta all’interno della società civile gente qualunque. Il senso di rivincita e di vendetta per gli enormi torti subiti potrebbe essere cavalcato a spese di chi comandava prima. Se questo è l’inizio, pensano i bianchi, dovremo subire la rivincita dei neri che si impossesseranno del potere che abbiamo sempre avuto? A dire il vero molti dei privilegi esistenti, rimangono nelle mani dei bianchi: la gestione degli alloggi, quella del cibo e questo consente loro di rimanere decisamente in vantaggio, ma la concorrenza c’è e non si sa come le cose possano andare a finire. Tuttavia la situazione sociale dei “liberti” cioè degli schiavi liberati, non cambia di molto, costretti a fare ancora i conti con datori di lavoro che sono gli stessi schiavisti di prima, con le stesse pretese e la stessa impunità. I bianchi, in buona sostanza, fanno quello che vogliono, manipolano i tribunali, continuando a decidere la sorte di cittadini neri, indipendentemente dal loro comportamento. E, quando questo non basta, cominciano le scorribande punitive, gli incendi delle abitazioni, il terrore verso i singoli, fino ad arrivare a massacri veri e propri, di cui dirò tra poco. Ecco allora che le scorribande dei “cavalieri bianchi” non sono più ragazzate. Il KKK si estende, nascono sedi un po’ ovunque nel Sud. Per emulazione sorgono organizzazioni dello stesso tipo, come i Black Horse Cavalry dal volto nero, i Cavalieri della Camelia Bianca in Louisiana, i Visi Pallidi nel Medio Tennessee e altri ancora. Decine di testimoni raccontano delle spedizioni notturne: sempre in molti contro uno, coperti da maschere e vestiti, con cerimonie curiose e fantasiose, con l’immancabile vittima che, se è fortunata, ne esce con la schiena rigata dalle frustate, con qualche braccio o gamba spezzata, a volte con l’impossibilità di continuare a lavorare. Non è raro che ci scappi il morto. E il motivo? L’odio razziale? La vendetta personale? No, non è questo che muove quei Cavalieri, non è solo questo almeno e non è questo il motivo principale. Non si tratta di fare del male a Tizio o Caio, ma di creare un clima di terrore tra la popolazione nera, di modo che ci pensi due volte prima di alzare la cresta. É una lotta che punta alla supremazia sociale certo, ma soprattutto economica, che vuole sconfiggere la pretesa di quelli che sono sempre stati considerati poco più che animali, la pretesa di diventare padroni di qualcosa, un negozio, una attività, addirittura, cosa che sembra loro una bestemmia, di avere dei dipendenti bianchi. In questo clima, non mancano certo gli assassinii, ma bastano i segni sui corpi martoriati per avere raggiunto il proprio scopo. Non sono “quei bianchi” ad aver agito contro “quei neri”, è un “teorico uomo bianco” che si accanisce contro un altrettanto “teorico uomo nero”. E politicamente?kkk01

Schiavi e partiti politici

La situazione è curiosa, specie se si ragiona con l’attuale schema dei partiti statunitensi. Al Nord, quello che si batte per l’integrazione razziale, comandano i conservatori, i repubblicani, quelli che oggi hanno come capo istituzionale Donald Trump. Nel Sud invece gli interessi dei bianchi sono difesi dal partito democratico. Nel 1868 ci sono le elezioni presidenziali.
Per il partito repubblicano si presenta il generale Ulysses Grant, quello che ha vinto la guerra; al Sud i bianchi si appoggiano ai democratici. I “nemici” sono ovviamente i neri e i bianchi repubblicani, tutti favorevoli a Grant. La campagna elettorale negli stati del Sud è un massacro. I comizi repubblicani vengono assaltati, i neri e i repubblicani cacciati con spedizioni ben organizzate. In Kansas ci sono 2000 omicidi, in Georgia 2500, in Louisiana 1000 …. Grant però viene eletto ugualmente.
Tra i personaggi di spicco del Klan, c’è un generale, Nathan Bedford Forrest, proprietario terriero e successivamente schiavista. Diventa il primo Grande Dragone del KKK. In una intervista presenta le sue truppe: mezzo milione di uomini – sostiene – pronti a prendere le armi per difendersi dagli attacchi dei repubblicani, che vogliono dare ai neri il diritto di voto. Dice testualmente: “Non ho abbastanza polvere da sparo da sprecare per tirare ai negri. Il mio obbiettivo è di sterminare i radicali”. Accanto a lui, dal torbido passato durante la guerra, ci sono altri ex generali confederati e moltissimi reduci, rilasciando del Klan l’immagine di una vera e propria organizzazione paramilitare, visibile sia nella tecnica delle “spedizioni” che nelle parate propagandistiche.
Forse, ma sottolineo il forse, se la sola motivazione del Klan fosse stata il razzismo contro i neri, non avrebbe avuto il successo che ha avuto. Infatti è la motivazione economica la vera molla che fa crescere le adesioni, anche tra la popolazione non razzista. Le sedi del KKK si estendono un po’ ovunque negli stati del Sud, le scorribande, gli omicidi, le intimidazioni crescono e sono alla fine senza controllo.
E, al Nord? Come la pensano al Nord egli Stati Uniti di tutto questo? Occorre fare mente locale al periodo. Non è che le comunicazioni siano così veloci e puntuali. Con ogni probabilità non c’è neanche tanta attenzione della popolazione verso i mezzi di comunicazione, vale a dire dei pochi giornali che circolano. In fondo New York dista 1500 km dal Tennessee, cosa ne sanno lassù del KKK?

Il KKK, la stampa e il governo

Per loro, che non sanno le ragioni profonde del fenomeno, si tratta solo di razzismo? Sanno che il movimento nasce da condizioni economiche e sociali? Chi li informa?
La stampa fa il suo mestiere, come oggi. Fa vendere di più un fatto eclatante, magari con morti e feriti che non una disamina sociale sulle origini del fenomeno KKK. Dovrebbe, se fatta bene, analizzare il quadro generale dei rapporti tra bianchi e neri, tra l’élite democratica del Sud e tutti gli altri: i neri, quella fascia di democratici delle classi più basse e soprattutto i repubblicani, che incarnano il potere nordista. Quello che serve, insomma, non è la pruderie di una situazione anomala, ma l’analisi sociologica e politica di un fenomeno attraverso il quale indagare sull’intera società meridionale del paese.kkk02
Il periodo è conosciuto come “Ricostruzione del Sud” e dovrebbe, nelle intenzioni di Washington portare il livello di sviluppo, in ogni senso, di quegli stati al pari di quello degli stati del Nord. Ma questa ricostruzione procede lentamente, molto lentamente, è, come sostiene qualche storico, “impacciata”. É piuttosto comodo addossare le colpe di questo insuccesso al KKK e ai suoi fratelli, nascondendo l’incompetenza e la corruzione dilagante tra i potenti del Nord. La stampa che conta si riduce a ben poca cosa. C’è il democratico Chicago Times e i repubblicani NYTimes, NY Tribune e Milwaukee Daily Sentinel. Questi quattro quotidiani pubblicano oltre tremila articoli sul KKK in circa cinque anni. E adeguano la terminologia ai tempi che passano. In pochissimi anni si passa infatti dalla “rivolta di Pulaski” alla “banda” (gang), alla “pericolosa organizzazione”, quasi che ci si renda conto, un po’ alla volta, dell’importanza generale del fenomeno. Ed è così che, alla fine, l’immagine del Klan, nel Nord del paese, diventa quella di un esercito perfettamente organizzato e coordinato, votato rigidamente alla segretezza, armato ed obbediente ai capi e per questo ancora più temibile.
Se i cittadini possono bersi ogni cosa scritta dai giornali, non può funzionare per il governo di Washington, il quale ad un certo punto si rende conto che il fenomeno è serio e va controllato e, possibilmente, fermato. Quando le violenze, per così dire, casuali, si trasformano in massacri per impedire il voto, è necessario muoversi. Nel 1871 il presidente Grant vara il Civil Rights Act, conosciuto anche come Ku Klux Klan Act, che contiene norme piuttosto dure per combattere il Klan. Le azioni che tentano di impedire il voto, di far parte delle giurie, di accedere a cariche pubbliche, rientrano nella giurisdizione federale (valida cioè per tutti gli stati). L’atto permette anche di schierare l’esercito, cosa che Grant non aspetta molto a fare, in particolare nella Carolina del Sud e in Alabama. Alla fine impone la legge marziale. Ci sono 500 arresti, un fuggi-fuggi generale; in centinaia si arrendono in cambio di clemenza. Un po’ alla volta, anche i singoli stati intervengono. Nel 1872, il primo KKK è ridotto a poca cosa e scompare dalla società e dalle cronache. Quando, nel 1882, la Corte Suprema dichiara il Ku Klux Klan fuori legge, gran parte dell’organizzazione non esiste più. Ma muore davvero? O ha seminato idee e iniziative che possono essere riprese e aggiornate.

Il massacro di Wilmington

Dunque il KKK è morto, sepolto dalle leggi di Washington e dall’intervento dell’esercito. Eravamo rimasti al 1882, quando la corte suprema degli Stati Uniti dichiara il Klan fuori legge. Passano però solo una quindicina d’anni, quando succede che …
kkk02
Nel Norh Carolina c’è una cittadina, Wilmington, in cui la situazione politica è davvero curiosa, molto curiosa se avete seguito le vicende fin qui. Siamo nel 1898 e la maggioranza nera ha utilizzato a piene mani le nuove norme costituzionali ed è riuscita a convivere con i bianchi, tanto da creare una coalizione fusionista (bianchi populisti e neri repubblicani) che governa la città. Da molte cariche pubbliche sono rimasti fuori i democratici: bianchi elitari, industriali, planters, cioè proprietari di campi di cotone.. Ancora una volta il timore di essere scavalcato da quella marmaglia nera, scatena nella testa dei bravi cittadini bianchi il terrore. E se una simile situazione si estendesse nel resto del paese? Se pensate a quanto c’è voluto per avere un presidente afro americano alla Casa Bianca, capite che questo timore non era molto fondato, ma loro non potevano certo saperlo.
A capo dei democratici c’è Alfred Moore Wadell, già deputato a Washington. Lui non è un poeta e quando rilascia interviste, le sue parole, pubblicate dal giornale locale, non  hanno bisogno di spiegazione: “Non ci arrenderemo mai a una banda di straccioni negri. Anche se dovessimo ostruire la corrente del Cape Fear con le loro carcasse”.
Cape Fear è un promontorio, diventato celebre per un film di Scorsese del 1991. Ma torniamo a Wadell. E’ in grado di radunare un esercito di 2000 uomini, non sono vestiti come i cavalieri del KKK con i lenzuoli bianchi. Insoddano camice rosse e partono al contrattacco. Ci sono, anche in questo caso le elezioni a Wimington. I pronostici sono tutti a favore del gruppo misto. Così iniziano intimidazioni ripetute e continue, spesso violente, che alla fine hanno la meglio e i democratici di Wadell vincono le elezioni. Ma nel sistema americano non basta avere una percentuale più alta. I seggi hanno un altro tipo di assegnazione e così nel governo della città ci sono un bel po’ di fusionisti, chiamiamoli così nel senso di fusione tra le due razze.
A Wadell non va bene. Due giorni dopo i suoi uomini assaltano e bruciano l’unico giornale nero d’America, poi arrivano a Brooklin, il fiorente quartiere afro-americano di Wilmington, e qui comincia la strage. Ci sono (secondo molti storici) 300 morti e il quartiere viene raso al suolo. 2000 neri sono cacciati dalla città, lasciando tutto quello che hanno raccolto negli anni. Wadell diventa sindaco.  É l’unico colpo di stato riuscito negli Stati Uniti. Reazioni? Poche, quasi nessuna. I democratici trattano Wadell e i suoi assassini come eroi, i repubblicani si voltano dall’altra parte.
Ora non facciamo i sofisticati. Come si fa a parlare di un colpo di stato come quello di Wadell nel paese che sostiene di essere l’unico ad avere le stigmate della democrazia e della libertà. Avanti, non fate gli schizzinosi! Meglio dimenticare, far finta che non sia successo niente. Ma questo atteggiamento non dura pochi mesi o anni, dura un sacco di tempo, fino ai tempi moderni. E’ proprio il caso di dire che su quello che oggi è chiamato il massacro di Willington si è passata una mano di bianco.
Gli effetti di questa rivolta sono enormi. Charles Brantley Aycock, uno degli organizzatori della rivolta, nel 1901 diventa il 50º Governatore dello Stato difendendo pubblicamente il massacro in quanto «necessario per mantenere la pace».
Nel 1996 c’erano 126 mila neri iscritti alle liste elettorali, nel 1902 sono ridotti a 6 mila.
Bene, ma qui il KKK non c’entra. E’ vero, però è presente lo stesso modo di pensare ed è un atto decisvo nella nostra storia, perché è quello che dà inizio alle persecuzioni, questa volta sì razziali, contro gli afroamericani. Il razzismo, sempre presente, ma non preminente, si insinua dunque nelle strategie delle confraternite segrete e delle organizzazioni come quella di Wadell.

Altri massacri ...

Una ventina di anni dopo Wilmington, tocca a Tulsa, dove avvengono “disordini razziali”. Questa terminologia, usata da molte pubblicazioni, è una scemenza. Si è trattato di un altro massacro, messo in piedi dalla popolazione bianca per punire a modo loro un ragazzo presunto colpevole del tentato stupro di una donna bianca. Opportunamento pompato dalla stampa locale, l’episodio si trasforma in una caccia all’uomo e nella distruzione di Greenwood, il quartiere nero della città. La vendetta dura sedici ore: ci sono 300 morti, 800 feriti e diecimila persone perdono le loro case e i loro averi. Nessuno ne sa niente fino al 2001 quando il Congresso dello Stato, su insistente richiesta del Center for Racial Justice, riconosce gli eventi del 1921 e approva la creazione di un monumento commemorativo per le vittime, oltre a borse di studio per i loro discendenti.
Sono solo due esempi, altri ce ne sono stati, come quello in Florida a Rosewood ... storie tutte uguali, tristi, piene di sangue, che diventeranno pubbliche e ufficiali solo molti decenni più tardi. Poi, per somma disavventura occorre parlare delle leggi di Jim Crow ... cosa sono.

Leggi Jim Crow

Dunque il Ku Klux Klan è morto, ma le violenze contro la gente di colore riprendono vigore tra la fine del secolo 19* e l’inizio del successivo. Nel linguaggio del Sud c’è una locuzione usata in senso dispregiativo in voga da moltissimi anni: Jim Crow. Nasce come personaggio di una canzone, alla fine dell’800 e rappresenta un nero sciancato e poco in arnese. Jim Crowe diventano così tutti i neri quando ad essi ci si riferisce con astio.
Il poeta afro americano Langston Hughes, a metà del ‘900, scrive una poesia con riferimento proprio ai Jim Crow. Eccola:
Dov'è il posto per Jim Crow
Su questa giostra?
Signore, perché io voglio salire.
Giù nel Sud, da dove provengo,
Bianchi e negri
Non possono sedersi uno accanto all'altro.
Giù nel Sud, nel treno
C'è una carrozza apposta per Jim Crow
Sulle corriere ci mettono dietro,
Ma qui non v'è un retro
Per una giostra! Dov'è il cavallo
Per un bambino negro?
kkk02Se questa filastrocca appare negli anni ’40 del secolo scorso, è facile immaginare cosa fosse la presunta integrazione razziale mezzo secolo prima.
In tutti gli stati del Sud all’epoca sono in vigore le cosiddette leggi Jim Crow, una serie di imposizioni che separano neri e bianchi anche nelle cose più piccole. E, come dice la paesia che ho letto, è solo su una guiostra circolare che non esiste un davanti e un dietro dove confinare i neri. Le leggi Jim Crow riguardano tutta la vita pubblica. A volte sono riferite a particolari stati. Quello che è severamente vietato è la presenza contemporanea delle due razze in uno sterminato elenco di posti: e non solo quelli più ovvi, come le scuole, i bar o i mezzi di trasporto, ma anche le prigioni, i sanatori mentali e perfino i cimiteri. Il riassunto di queste leggi è ben rappresentato da questo articolo, presente in Alabama:
Chiunque sia colpevole di aver stampato, pubblicato o diffuso materiale che sostiene l'uguaglianza razziale o l'intermarriage è condannato a una multa di 500 dollari e/o a sei mesi di carcere.
Se a noi, oggi queste norme sembrano follia pura, all’epoca vengono prese molto sul serio, ovviamente dai bianchi. Dopo la guerra, come ripicca verso la pretesa di Washington di integrare le due razze, queste leggi vengono rese operative, a cominciare dalla Florida. L’ambiente dunque si colora del più bieco razzismo. Eppure a guardare sotto il tappeto, trovi qualcosa di più profondo che non è la segregazione fine a se stessa. Queste leggi assurde, infatti, sono messe là per impedire ai neri di acculturarsi, di prendere parte alla vita sociale e politica, e soprattutto di decidere chi governa gli stati, che devono rimanere appannaggio dei democratici e quindi dell’elite bianca. Leggi dunque, ancora una volta, razziste e politiche assieme, la cui validità arriverà fino al 1965. Ci sono norme così evidentemente  assurde (ad esempio due bibbie in tribunale su cui giurare, una per bianchi e una per neri) da chiedersi perché mai gli americani abbiano speso centinaia di migliaia di vite per ostacolare il razzismo anti-ebraico di Hitler durante la seconda guerra mondiale.
Quelle norme sono state raccolte da Martin Luther King e pubblicate poi da David Pilgrim. Questa colelzione si trova nel museo Jim Crow Museum of racist memorabilia, che raccoglie testimonianze di vari generi sul razzismo.
Questo atteggiamento, così assurdamente esplicito, fa parte, secondo i censori, dell’ordine naturale dell’Universo, nel quale i neri hanno un ruolo di sudditanza perché non sono persone evolutesi come i bianchi.
Ma torniamo alla nostra storia. Quando avvengono episodi come quello di Wilmington, il KKK non esiste più e si potrebbe obiettare che così usciamo fuori tema. Ma fgorse possiamo anche concordare con Aitor Hernandez, autore del libro “Ku Klux Klan: El brazo armado del Partido Demócrata”, 2015, che “tutto questo non sarebbe stato possibile se il Ku Klux Klan e i gruppi paramilitari bianchi che lo seguirono non avessero rovesciato i cambiamenti rivoluzionari che la Ricostruzione stava imponendo per creare una società priva di discriminazioni sulla base della razza”.
Ecco il legame: se il KKK è morto, non lo sono le sue idee e i suoi metodi. Poi però succede qualcosa.

Il secondo regno del KKK: W. Simmons

kkk02Nel 1915 un uomo di 35 anni, William Simmons, si mette in testa di rifondare il Klan. L’origine di questa idea gli viene forse dal film “The birth of a Nation” di Nate Parker, tre ore di esaltazione della nascita di uno stato, in cui si strizza l’occhio a più riprese alle gesta eroiche del Klan. Il film riprende il romanzo “The Klansman” di Thomas Dixon Jr. La pellicola ha un successo enorme, e viene approvata perfino dal presidente democratico degli Stati Uniti, Woodrow Wilson. Alla sua base l’idea che i neri della Ricostruzione siano assassini, controllati dai nordisti per calpestare il Sud.
Può darsi che Simmons quell’idea ce l’avesse dentro da tempo, spinto da un razzismo assai più diffuso di quello che si può pensare. Il casus belli è, probabilmente, l’affare Mary Phagan, una operaia tredicenne, che era stata uccisa da un uomo ricco, bianco ed ebreo, Leo Frank. In quel periodo, gli ebrei sono la seconda categoria di persone più odiate dopo i neri. La condanna all’ergastolo non è sufficiente. Non lo è per la stampa, per i pastori protestanti che predicano il biblico “occhio per occhio”. Così un corteo, preceduto da un governatore e da un futuro senatore, lo preleva e lo impicca in un vicino boschetto. Non gli riservano il taglio di dita, testicoli, orecchie come si usa coi neri, ma le molte visite e fotografie al corpo appeso da parte dei cittadini, testimoniano che quella giustizia fai da te è fortemente radicata nella popolazione.
Simmons studia per bene ogni particolare della storia del vecchio Klan di Pulaski, e la sua evoluzione. Poi, giovedì 25 novembre 1915, giorno del ringraziamento, convoca una trentina di uomini in cima alla Stone Mountain, una roccia che si eleva di qualche centinaio di metri sulla pianura circostante, in Georgia.
Eccoci dunque sul monte Stone, pronti alla prima riunione del nuovo KKK. Gli adepti portati lassù da Simmons, si trovano di fronte un altare, una bibbia, una spada, una bandiera americana e una grande croce cosparsa di olio. Questa viene incendiata. L’idea è copiata integralmente dal film di Nate Parker, e diventa un simbolo delle riunioni, delle iniziazioni e delle spedizioni punitive del KKK. Le abbiamo viste in decine di film quella croce di fuoco. L’incipit delle riunioni sembra una frase tratta dal vangelo, tanto che uno, ascoltandola, può chiedersi “che male c’è?”. Ecco la frase pronunciata da Simmons.
Ecco l’impero invisibile risvegliato dal suo sonno di mezzo secolo per intraprendere un nuovo compito, per svolgere una seconda missione per il bene dell’umanità e per richiamare ai mortali l’angelo buono della fratellanza tra gli uomini”. E Simmons si autoproclama "Grande Mago Imperiale dell'Impero Invisibile dei Cavalieri del Ku Klux Klan”, chissà che biglietto da visita!
Alla luce della croce, gli adepti giurano fedeltà alla nuova organizzazione. Rispetto a quella storica, nata a Pulaski, ci sono alcuni cambiamenti. Innanzitutto il KKK è un’associazione con tutti i permessi in regola, con tanto di firma del governatorato della Georgia. Poi i nemici non sono più soltanto i neri, ma chiunque non sia un WASP, una sigla che sta per White, bianchi, Anglo-Saxon, Anglosassoni, Protestant. Quindi vanno combattuti tutti gli altri: cattolici, ebrei, comunisti, immigrati, perfino i darwinisti, che peraltro godono ancora oggi di avversione in quella strana terra che sono gli Stati Uniti. Simmons ha grandi idee, o se preferite, grandi speranze. Vuole estendere l’organizzazione a tutti gli Stati del Nord America, compreso il Canada, centralizzare l’organizzazione con uniformi uguali, tuniche bianche e cappello a punta, coinvolgere anche le donne e trovare adepti anche tra le fila del partito repubblicano, perché lo scopo è quello di influenzare l’intera società, usando i mass media e i partiti politici.
Le riunioni cominciano con Simmons che pianta un coltello sul tavolo e grida con aria di sfida: “Lasciate che i negri, i cattolici e gli ebrei entrino ora”. Un’aria combattiva di chi sente di avere in pugno la situazione, ma i suoi obiettivi sono ambiziosi, difficili da ottenere. Ed infatti, un anno dopo il primo giuramento, i risultati non sono esaltanti. Ci vuole un’idea che faccia aumentare gli adepti.

KKK un affare economico colossale?

Entrano in scena due personaggi decisivi: Edward G. Clarke e Mary Elizabeth Taylor, che diventano consulenti di Simmons. I due, un pubblicitario ed un’esperta in pubbliche relazioni, capiscono che dietro tutta l’ideologia e le sceneggiate, si nasconde un grosso affare economico. É una cosa che sanno fare bene, lo hanno sperimentato aumentando di parecchio le donazioni alla Croce Rossa durante la guerra. Al Klan applicano le stesse tecniche di marketing. I centomila iscritti del 1921 diventano due milioni nel 1923 e cinque milioni due anni più tardi. Stilano un programma dettagliato e ampio in cui le parole “anticomunismo”, “antisemitismo” e “anticattolicesimo” sono ovunque. Stabiliscono una quota di iscrizione societaria in 10 $, 8 dei quali finiscono nelle loro tasche e 2 in quelle di Simmons. Investono in aziende che producono abiti e accessori per il Klan, con larghi margini di guadagno. La tunica bianca, realizzata con un lenzuolo, ha un costo di 1,25 $, ma viene venduta a 6,50 $. Il giornale del Klan, il Searchlight, è di proprietà di Mary Taylor.
I due tuttavia qualche pasticcio lo fanno, anche da un punto di vista personale. Entrambi sposati, hanno una relazione sessuale, che male si intona con lo spirito puro e le regole del Klan. Quando alcuni giornali cavalcano questa notizia, aggiunta ai sospetti di una condotta economica, diciamo così, molto allegra, Edward e Mary sono costretti ad abbandonare il Klan, la cui guida passa nelle mani di Wesley Evans.
Se, all’inizio, i membri del Klan sono soldati reduci dalla prima guerra mondiale, che non trovano lavoro e addossano la colpa agli immigrati e quindi covano, oltre al razzismo, sentimenti di vendetta e desiderio di rivincita, successivamente le cose cambiano, perché il supporto di quei poveracci non può far diventare il Klan la macchina da soldi che si desidera.
Bisogna rivolgersi a ben altri clienti, facendo leva sul fatto che il Klan è percepito come una normale organizzazione, una come tante altre. Così, arrivano appoggi importanti, governatori, sindaci, senatori, membri della Corte Suprema, che indossano i loro cappelli e partecipano alle riunioni alla luce delle croci e sotto le bandiere con la croce celtica e una goccia rossa di sangue nel suo centro. I legislatori sono membri del Klan, così come i giocatori di baseball, gli attori e le attrici. Lo è perfino il presidente Warren Hardy, dopo aver giurato nelle mani di Simmons in una sala della Casa Bianca. Il Klan, in grado di eleggere 11 governatori e 9 deputati, è diventata una potente organizzazione politica, che nel 1926 conta 6 milioni di membri.

Il declino del secondo regno

Ma il declino è alle porte e ha varie origini. L’organizzazione va benissimo, incassa circa 75 milioni di dollari l’anno, ma scoppiano alcuni scandali, primo tra tutti quello del Grande Dragone dell’Indiana, David Curtis Stephenson, uno dei più duri suprematisti, colpevole di aver rapito, torturato, stuprato e indotto al suicidio Madge Oberholtzer, 29 anni, una cosa intollerabile che va contro la sacralità della donna, una delle regole ferree del Klan. Inoltre, per contrastare l’elezione di alcuni candidati cattolici, vengono spesi molti soldi, impoverendo le casse dell’organizzazione. Ma c’è dell’altro. La gestione di così tante persone diventa complicata. Negli Stati del Sud, soprattutto, si ricordano con nostalgia le gesta dei cavalieri del generale Forrest e delle loro cavalcate notturne. Riprendono le violenze con un crescendo preoccupante. Ci sono omicidi e vessazione di ogni genere. Si preoccupano perfino i governatori del Sud e, nonostante tutte le benevolenze possibili, ad un certo punto la situazione diventa intollerabile. Le autorità prendono nota. A capo dell’FBI c’è un mastino come Edgard Hoover, impegnatissimo ad arrestare anarchici e comunisti. Quando nelle liste del KKK compaiono così tanti nomi di magistrati e poliziotti, Hoover capisce che bisogna fare qualcosa. Possiamo pensare maliziosamente che sia anche per il fatto che adesso le vittime non sono più solo nere. Anche la stampa è costretta a segnalare i casi drammatici con articoli critici verso il Klan, che comincia a sgonfiarsi a poco a poco. Singoli stati approvano leggi “anti-maschera” per togliere la segretezza e l’anonimato. Nel 1928 i membri tornano ad essere alcune centinaia di migliaia. Poi c’è la grande crisi del 1929. In Europa l’antisemitismo sfocia nel nazismo e i paragoni con le camicie brune si fa imbarazzante. Cominciano a spirare venti di guerra, molti americani pensano che i loro figli partiranno per combattere un nemico che qualche attinenza col KKK ce l’ha, altro che no! La parola fine arriva nel 1944 e arriva dal fisco, che pretende la restituzione di 685 mila dollari di tasse non versate. É la bancarotta. Il KKK deve vendere il suo palazzo imperiale ad Atlanta e, ironia della sorte, a comprarlo è la Chiesa Cattolica. Finisce così il secondo impero del KKK. Quello che non finisce affatto è l’odio razziale, specialmente verso i neri. Infatti, dopo lo scioglimento ufficiale del 1944, passano solo due anni prima che Samuel Green, già Grande Dragone della Georgia, raduni i suoi sulla Stone Mountain, proprio come aveva fatto Simmons, per dare vita al terzo impero del KKK.

Il terzo regno del KKK

kkk02Dunque nasce il terzo impero, ma rimane isolato in Georgia per un decennio. Green muore nel 1949 e viene sostituito da Roy Davis, un vecchio adepto di Simmons, che vuole espandere il Klan ben oltre i confini della Georgia. Il KKK assume nuovamente importanza a metà degli anni ’50. Perché proprio allora? Cosa succede di così importante negli States, da modificare la storia dell’organizzazione?
Uno dei fatti che decidono le sorti del terzo KKK, avviene nel 1951 a Topeka, capitale del Kansas. Linda Brown, una ragazzina nera di 8 anni, si vede rifiutare l’iscrizione in una scuola bianca ed è costretta a ripiegare su una scuola nera molto più distante dalla sua casa. Il padre di Linda si rivolge al tribunale, ma non è il solo. Episodi simili accadono un po’ ovunque e il caso Brown rientra in una class action, che è chiamata “Brown”, semplicemente perché quello è il primo nome della lista. Se ne occupa la NAACP, l’Associazione nazionale per la promozione delle persone di colore, dando l’incarico di gestirla a Thurgood Marshall, avvocato, che sarà il primo giudice nero alla Corte Suprema. La discussione tra i giudici della Corte si basa sull’interpretazione di un paio di emendamenti della costituzione, introdotti appositamente dopo la guerra di secessione, in particolare il 14°. Quest’ultimo prevede uguali diritti di fronte alla giustizia per i cittadini americani indipendentemente dalla razza. Non tutti sono d’accordo nell’estenderlo anche alla pubblica istruzione, anche se questa era praticamente inesistente un secolo prima, quando l’emendamento era stato approvato e quindi, all’epoca, non aveva senso citarla. Ci vogliono diversi anni per arrivare ad una conclusione unanime. Nel 1954, finalmente, la Corte si esprime contro la segregazione nelle scuole pubbliche. L’anno successivo una nuova sentenza, conosciuta come Brown 2, impone a tutte le corti l’applicazione delle decisioni del 1954, raccomandando di applicarle in “modo rapido e credibile”, anche se parecchi ritardi si hanno soprattutto negli stati del Sud.
Accanto alle decisioni su Brown, un’altra sentenza, meno conosciuta ma forse più importante, ha un effetto maggiore. Si tratta di Bolling contro Sharpe, per un episodio di segregazione avvenuto a Washington D.C. In sostanza questa è una decisione - come dire? - federale e quindi valida per tutti gli stati dell’Unione. Ci vorranno altri dieci anni di lotte serrate da parte delle associazioni per i diritti civili perché venga approvato e firmato dal presidente Lyndon Johnson il nuovo Civil Rights Act, che elimina la segregazione da ogni struttura pubblica degli States. É il 1964: la segregazione è morta, ma solo sulla carta.
Infatti a queste decisioni ci sono reazioni spesso violente e comunque di disobbedienza. A volte spinte dalle più alte cariche dello stato, come il governatore dell’Arkansas, Orval Faulus. E proprio in questo stato, a Little Rock si ha uno degli episodi più conosciuti. A sei studenti neri viene impedito di entrare nel liceo della città. Il presidente Eisenhower non la prende bene per niente e invia mille militari a gestire la questione, facendo scortare i ragazzi nelle aule. Tutto questo (sentenze, leggi, reazioni) favorisce la crescita per adesioni e potere contrattuale dei movimenti per i diritti civili, che vedono partecipare personalità importanti come Martin Luther King, ma anche molti bianchi.
E il KKK? É in una situazione nuova: per la prima volta si trova di fronte a leggi e azioni che lo vedono come obiettivo. Non è possibile quindi agire come i vecchi Klan, quello di Simmons in particolare, bisogna operare in modo differente. Oltre alle leggi anti razziste, nascono, anche tra i neri, organizzazioni più radicali e “decise”, come la Nazione dell’Islam e le Pantere nere. Il Klan, insomma, non sa cosa fare, si riduce a qualche migliaio di adepti, si divide, ci sono scissioni a non finire. L’FBI stima che nel 1965 ci siano almeno 14 Klan, tutti in competizione tra loro. Ma il metodo è univoco e, secondo i klanisti, l’unico possibile: la dinamite e i linciaggi. Vengono piazzate bombe nelle chiese protestanti nere, ci sono attentati alle residenze dei neri, linciaggi, omicidi di attivisti politici, coperti spesso dalle istituzioni locali. Per capire le dimensioni del fenomeno, a Birmingham (Alabama) il terzo impero compie ben 50 attentati dinamitardi. L’elenco degli uccisi è lunghissimo e coinvolge anche bianchi, come due di quelli ricordati dal film “Mississipi burning”, che racconta l’uccisione di tre attivisti dei diritti civili nel Mississippi nel 1964. I responsabili subiscono pene ridicole ed è solo nel 2005, quarant’anni più tardi, che lo sceriffo Edgard Killan, capo del Klan locale, viene condannato a 60 anni di carcere.
Le violenze reciproche inducono la Casa Bianca ad intervenire pesantemente, infiltrando poliziotti nelle associazioni e dando vita alla maxi operazione Cointelpro, attiva fino al 1971. In questa operazione di “spionaggio”, il Klan è solo una delle moltissime associazioni controllate. Lo sono tutte quelle di sinistra, gli avversari della guerra in Vietnam, le femministe, gli ambientalisti, le organizzazioni dei nativi, dei portoricani e così via. Ad ogni modo, alla fine, il KKK, dopo il Cointelpro, si riduce a poca cosa e i suprematisti bianchi devono cercare altrove i loro punti di riferimento.

Il disfacimento e nuove alleanze

kkk02Dopo il 1971, il Klan non ha una linea politica, può solo realizzare azioni di guerriglia, attentati dinamitardi, assassinii, linciaggi. Per avere più forza si allea con i movimenti di estrema destra, in particolare col partito nazista americano, nato nel 1959, che propugna, tra le molte idiozie, anche quella del segregazionismo. Gruppi KKK sono presenti negli anni ’70 e ’80 in molte università del Sud (Georgia, California, Tennessee, Louisiana, …). Nel 1971 a Pontiac (Michigan) vengono fatti esplodere dieci autobus scolastici. Nel 1979 cinque attivisti del Partito dei Lavoratori vengono assassinati a Greensboro. Durante una iniziazione nel 1980 tre Klansmen sparano a quattro donne, ferendole. Accusati di tentato omicidio, due vengono assolti, il terzo sconta due mesi di carcere. Sembra non essere cambiato niente, i delitti restano impuniti. Ma il linciaggio, orrendo e di popolo, di Michael Donald nel 1981 ha una conclusione molto diversa. I tre responsabili sono condannati per omicidio, uno di loro finisce sulla sedia elettrica. É il primo bianco, dal 1913, a pagare con la vita per l’uccisione di un uomo di colore. La madre di Michael vuole andare a fondo e cita in tribunale il KKK, che viene processato e condannato a pagare alla donna un indennizzo di 7 milioni di dollari. Il Klan non ha quei soldi ed è costretto, ancora una volta, a vendere la sua sede centrale a Tuscaloosa (Alabama).
Arrivando ai nostri giorni, la propaganda klanista si sposta sul web. C’è un sito, stormfront.org, che raccoglie alcune centinaia di migliaia di iscritti, creato dalla moglie di un ex Grande Mago, in cui si trattano i temi cari al Klan. Il sito è attualmente oscurato in diversi paesi europei, compresa l’Italia.
Oggi si calcola che non più di qualche migliaio di americani aderisca al Klan. Del resto, se si tratta semplicemente di fomentare l’odio, di opportunità se ne trovano ovunque, come i gruppi Three Percents, Atomwaffen, Proud Boys e altri ancora, i cui obiettivi non si discostano da quelli del Klan o del Nazismo.

Riassumiamo e diamo i numeri

Dovendo riassumere con dei numeri le attività del KKK, ci troviamo di fronte alla difficoltà delle cifre ufficiali, che non riescono a tenere conto di ogni azione compiuta. Ci sono però dati certi sui linciaggi eseguiti dal Klan: sono quasi 5 mila, il 72% dei quali ha avuto come vittima una persona di colore. Nel 1988 viene pubblicato il libro di Ralph Ginzburg, “100 anni di linciaggi”, in cui sono raccontati, con tutti i raccapriccianti particolari, centinaia di casi in cui una folla inferocita si accanisce su un nero, colpevole, forse, di aver profanato le sacre virtù dei bianchi. Il modo in cui questi atti vengono compiuti, torturando prima e bruciando vivi o impiccando poi le vittime designate, la soddisfazione dei presenti, che sembrano partecipare ad una festa paesana, piuttosto che ad un atto terribile, fa il pari con l’amputazione di orecchie e dita portate a casa come souvenir. Questa rabbia profondamente installata nell’animo di quelle persone, non può essere giustificata con i motivi ufficiali del KKK, quello politico di mantenere i propri privilegi, come prima della guerra di secessione. La cosa più triste di tutte le vicende raccontate da Ginzburg è il fatto che i politici democratici del Sud rabbrividiscono se un uomo nero violenta o uccide una donna bianca, ma è assolutamente indifferente alle torture e all’assassinio di un nero, di cui peraltro non è nemmeno accertata la colpa.
Questa partecipazione di popolo alle attività klaniste, è sottolineata dal fatto che non sono solo gli uomini a partecipare. Ci sono immagini e filmati in cui si vedono famiglie intere, genitori e figli, avvolti dalle divise bianche, sotto la luce delle croci incendiate. É negli anni ’20, su iniziativa di Simmons, che viene formata la sezione femminile del KKK, che arriverà ad avere fino ad un milione di iscritte. Il loro compito è importante, quello di propagandare l’ideologia razzista del movimento. Ma per molte donne diventa anche uno strumento di emancipazione, che consente loro di uscire di casa, avere un ruolo nello spazio pubblico e impegnarsi in politica. Una sorta di progressione sui diritti delle donne: donne, ovviamente, solo bianche e protestanti.
Ho cercato di percorrere la storia del movimento, che coinvolge, di fatto, la storia dell’America negli ultimi 160 anni. Una storia triste e violenta, fatta di sopraffazione e soprusi contro minoranze, per un tornaconto politico o per un odio irrazionale. Concludo con una riflessione di Edward Ball (Life of a Klansman, 2020), il quale scrive, riferendosi al cittadino statunitense: “[…] penso che tutti noi distogliamo lo sguardo da queste storie intenzionalmente, e penso erroneamente. Penso che un modo migliore per andare avanti sia cercare di fare i conti con questo tipo di storie che abbiamo in comune. Perché solo facendo i conti con loro, possiamo trovare una via per la guarigione.
Nascondere la testa nella sabbia non è utile a nessuno, non riconoscere gli errori della nostra storia non ci aiuta ad essere migliori nel presente e nel futuro. A questo mi piacerebbe servissero anche le storie che vi racconto.
kkk02