Introduzione

Ora non vorrei essere troppo drastico. É sicuramente un rito fantastico, che riunisce le famiglie, quando ci si scambiano i doni e si mangia il panettone con lo spumante. Tutto bellissimo, ma questo non è quello che mi interessa condividere con voi. Vorrei cercare di capire, grazie alle fonti storiche che abbiamo oggi, cosa è stato davvero il Natale, perché si festeggia il 25 dicembre, a cosa sono dovute le narrazioni collaterali, come la venuta dei tre re magi, che oggi sappiamo non erano tre e neppure re. Dico subito che non sempre si riesce a risalire a fonti attendibili o addirittura certe dei fatti, che ci sono molte stranezze, relative alle date e agli avvenimenti in quel pezzetto di Medio Oriente, di 2 millenni fa, anno più anno meno.
Ed un’ultima premessa. Non è mia intenzione, nel modo più assoluto, togliere a questa festa la sua naturale enfasi religiosa. Non lo faccio perché non serve. Ci ha già pensato la società in cui viviamo. Ormai questa è più che della nascita di Gesù di Nazareth, la festa delle pasticcerie, dei venditori di cibo e mettersi a tavola il 24 sera, per alzarsi, gonfi e stralunati il 26, non si capisce proprio che relazione abbia con una misera capanna dalle parti di Betlemme. Ma, forse, troveremo una spiegazione anche per questo.
Solstizio e calendari
Il fatto che il Natale si festeggi il 25 dicembre è sempre stato, almeno per me, oggetto di grande curiosità. Come diavolo fa la Chiesa a sapere che Gesù è nato proprio quel giorno? Da allora sono cambiati i calendari, sono passati migliaia di anni e volete dirmi che voi sapete con precisione quella data?Già sull’anno di quell’evento ci sono un sacco di dubbi. C’è chi colloca la nascita di Cristo tra l’anno zero e l’anno 4, anche se con ogni probabilità è precedente, probabilmente nell’anno 7 a. C., anche se questo sembra uno scherzo del destino: è nato prima di quando tutti pensano sia nato davvero. Vedremo in questa puntata di NSSI che motivi di confusione e mistero e non solo per le date ce ne sono in abbondanza.
Le fonti che abbiamo e che la chiesa prende per buone sono i quattro vangeli, che raccontano la storia di Gesù e dei suoi apostoli dalla nascita del bambino fino alla sua morte con successiva resurrezione. Anche sui vangeli ci sono molte incongruenze, nel senso che sono stati scritti quando almeno due di loro, Matteo e Giovanni, dovevano essere già morti. Ma di questo parleremo più avanti, in un capitolo dedicato proprio a queste scritture.
La prima domanda che ci poniamo è questa: cos’ha di speciale il 25 dicembre, rispetto agli altri giorni dell’anno?
Per capirlo dobbiamo tornare indietro nel tempo, all’epoca dei Romani, quelli ai quali Giulio Cesare, morto ammazzato circa 40 anni prima della nascita di Gesù, aveva regalato un calendario, il calendario giuliano che da lui prende il nome.
Ora, bisogna sapere che i calendari, soprattutto nell’antichità, non avevano riferimenti particolari, ma si affidavano solo all’andamento astronomico delle stagioni e ai fatti più eclatanti ad esse collegati. É proprio per questo che a stilare quel calendario era stato un astronomo greco, Sosigene di Alessandria, mentre il nostro Giulio Cesare ci aveva semplicemente messo il timbro sopra.

I romani non avevano una informazione così precisa, del resto i fusi orari vengono inventati verso la fine del 1800. Per loro il giorno più corto dell’anno cadeva il 25 dicembre, secondo il calendario in voga, quello giuliano, 25 dicembre che corrisponde al 21 del successivo calendario gregoriano. Una data da festeggiare, alla quale avevano dato un nome molto propiziatorio: Natalis Solis Invicti, che ci parla della rinascita del Sole e del dio che ad esso era legato, Apollo. Del resto il dio sole era comune a moltissime popolazioni dell’epoca. Gli Egizi, ad esempio avevano RA, i Celti Berenos, gli Incas Inti e così via.
Saturno e i saturniali
I romani erano molto legati e molto affezionati ai loro dei. A loro offrivano sacrifici, templi e manifestazioni solenni. E, avendo inventate uno stuolo di divinità, si può ben dire che le feste non mancavano certo nell’antica Urbe. Un aspetto importante dell’economia romana era l’agricoltura, organizzata nelle province sottomesse e, come ben sappiamo, ce n’erano decisamente tante dalla Sicilia fino al Nord Europa.
Ebbene, nella settimana che termina il 25 dicembre (sempre secondo il calendario giuliano) venivano celebrati i Saturnali, cioè le feste in onore di Saturno. La rinascita del sole voleva essere un buon auspicio per i futuri raccolti e così i romani scatenavano in quei sette giorni tutti i loro vizi mangerecci, ben conosciuti, ma non solo. Tralasciando le orge e tutte le altre esagerazioni, c’erano alcuni aspetti interessanti che avvenivano durante i Saturnali.
La tradizione voleva che le famiglie si riunissero, per stare assieme, che si organizzassero banchetti e ci si scambiassero doni. Comincia qui l’assonanza con il Natale Cristiano e più tardi con quello consumistico attuale. Ma allora si faceva di più. In quella settimana gli schiavi godevano di giorni particolari in cui, se non proprio liberi, avevano meno pressione da parte dei loro padroni. Potevano addirittura fare a meno di lavorare. In alcuni casi si organizzavano banchetti per loro e a volte c’era uno scambio di vesti tra schiavi e padroni. Forse è da qui, lo dico come battuta, che arriva quell’assurda frase: “A Natale si è tutti più buoni.”
Dunque il 25 dicembre è stato, ben prima dell’avvento di Gesù, un giorno di festa. Ed è dunque assai probabile che, almeno all’inizio, quando cristiani e pagani erano mescolati, queste feste siano state usate per scopi diversi. Per i riti dei saturnali dai pagani e per commemorare la nascita di Gesù dai cristiani. Insomma le feste erano già pronte, perché non approfittarne? Questa tuttavia è una deduzione di cui non siamo molto sicuri.
Prima di passare al Natale attuale, voglio ricordare che altri popoli avevano scelto quella data per fare festa. Lo facevano gli ebrei, con l’Hannukkah, in cui viene ricordata la consacrazione del Secondo Tempio di Gerusalemme, ordinata da Giuda Maccabeo dopo la terribile occupazione ellenica del II secolo a.C. che voleva portare il popolo ebraico ad adottare alcune pratiche contrarie alla propria religione. Questa festa dura otto giorni a partire dal venticinquesimo giorno del mese di Kislev che, solitamente, coincide con il mese di dicembre.
E proprio per la coincidenza tra il 25 dicembre e il solstizio d’inverno, molti popoli adoratori del sole usavano quella data per festeggiare laicamente l’inizio dell’allungamento delle giornate. Oltre ai romani, lo facevano, ad esempio, i Celti e sicuramente altri popoli pagani, prima di Cristo e comunque senza alcun legame con la sua storia.
Dai saturnali alla nascita di Gesù
Adesso ci siamo. Quello che vogliamo sapere è come il 25 dicembre, festa pagana, diventa la data in cui si celebra la nascita di Cristo. Sarebbe inutile dirlo, ma è meglio essere chiari. La data con la nascita di Gesù non c’entra assolutamente nulla. Nessuno sa se quell’evento è avvenuto per davvero così come lo descrivono gli evangelisti e quando. Dunque la scelta ha altre motivazioni, sicuramente più laiche e di convenienza.Dobbiamo spostarci avanti nel tempo di almeno tre secoli per avere una conferma storica del fatto che i saturnali si trasformano nel Natale. Lo fa papa Giulio primo durante il suo pontificato ed è una mossa strategica importante. Lo fa soprattutto per cercare di convertire i pagani romani al cristianesimo, unendo la tradizione dei Saturnali con la nascita del bambino Gesù. Ma si tratta di una decisione puramente religiosa, che verrà però confermata, circa un secolo più tardi, da un altro importantissimo papa, Leone Magno. Si dovrà tuttavia aspettare il 529 d.C. quando uno dei più importanti imperatori romani, Giustiniano primo, dichiara il 25 dicembre festa dell’impero coincidente con la natività.
Come detto, nessuno sa in quale periodo dell’anno sia nato Gesù. Le scritture non ne parlano mai. Questo è tutto per quanto riguarda la data del Natale, fissata al 25 dicembre per non offendere i pagani romani ed entrata nel calendario solo 6 secoli dopo i fatti avvenuti a Betlemme.
L’albero di Natale

La domanda che faccio è un’altra: siamo proprio sicuri che l’albero di Natale, così come lo conosciamo, sia un simbolo cristiano? Che sia cioè legato, in qualche modo alla nascita di Cristo in quel di Betlemme molti anni fa?
Per saperlo dobbiamo tornare molto indietro nel tempo, fino al 7° secolo avanti Cristo, e leggere alcuni versetti del profeta Geremia. Può sembrarvi strano che la storia cominci assai prima del fatidico primo natale, quello probabilmente del 7 a. C., quando a Betlemme Maria e Giuseppe diventano genitori di un bimbo così straordinario.
Ma qui la nascita di Gesù non c’entra. C’entrano invece alcune usanze che venivano seguite da persone che per il profeta erano molto birichine e non andavano seguite per niente. Non che Geremia fosse molto amato dal suo popolo, perché le sue profezie erano piuttosto nefaste e parlavano di invasioni da parte dei babilonesi di Nabucodonosor se non avessero seguito le leggi di dio. Lui vive, nel regno di Giuda, una parte di Israele diventata autonoma dopo la morte di re Salomone. Scusate è il desiderio di conoscere luoghi, date e fatti che ogni tanto mi sovrasta.
Torniamo al nostro tema. Dunque Geremia scrive contro “costumi dei popoli che sono vanità, perché un pezzo di legno lo si adorna di argento ed oro, lo si fissa con dei chiodi e coi martelli perché non si muova”. Se traduciamo nel nostro linguaggio queste parole, Geremia ce l’ha con quelli che sono soliti adornare un albero o addirittura un pezzo di legno e usarlo come simbolo da venerare, invece che farlo con il solo vero dio.
Quello che qui ci interessa di più è l’abitudine pagana di usare degli alberi e di adornarli. Sotto di essi venivano lasciati i regali da fare ad amici e parenti. L’usanza, a quanto pare, era tipica del popolo babilonese.
Anche molti secoli più tardi, il filosofo romano Tertulliano, che vive grossomodo tra il 150 e il 230 d.C., critica fortemente i pagani romani, ma anche parte dei cristiani, i quali durante le feste invernali usavano addobbare le porte di casa con rami di alloro e accendere lumi, oltre che rendere piacevoli anche le strade con rami e fronde varie. Erano queste tra le pratiche previste durante i Saturnali di cui ho parlato prima.
Anche tra i Celti c’era l’usanza di decorare le querce con frutta e candele durante il solstizio di inverno. Non avevano certo le palle colorate che usiamo noi adesso, ma si davano da fare comunque con mele rosse e gialle. Il significato di queste decorazioni degli alberi era quello tipico dei saturnali, di una rinascita della natura con l’allungarsi delle ore di luce. Del resto proprio l’albero veniva considerato un simbolo di fertilità e di rigenerazione per eccellenza.
Ecco dunque che la tradizione di alberi e doni è antichissima e non è affatto legata alla natività o a qualsiasi altro messaggio cristiano.
Possiamo capire facilmente come fosse complicato per i cristiani eliminare di colpo le tradizioni pagane di persone con le quali dividevano il resto della loro vita. Così, quasi senza accorgersene, quelle tradizioni vengono inglobate nella cultura cristiana, traducendoli furbescamente e rendendoli adatti alla propria dottrina.
L’abete e le decorazioni
C’è una leggenda attorno all’albero di Natale che ci porta, siamo nel 700, nella regione dell’Assia, lungo il Reno nel centro della Germania, dove esisteva una grande quercia dedicata al dio Thor. E qui, durante il solstizio di inverno, veniva offerto un sacrificio. Un giorno un missionario cristiano, sotto gli sguardi sgomenti degli abitanti abbatte l’albero e, dopo aver letto dei versi dal vangelo, offre in cambio un abete, simbolo di pace che rappresenta la vita eterna perché le sue foglie sono sempre verdi e perché la sua cima indica il cielo. E questa è la svolta. Naturalmente si parla di leggenda quindi anche qui le certezze non ci sono.Quello che conta comunque è che da allora si prende l’abitudine di mettere degli abeti tagliati dal bosco sulle case, ma, e questo è davvero curioso, a testa in giù. É poi Martin Lutero, il teologo che avvia la riforma protestante, ad iniziare l’abitudine di accendere delle candele sui rami di quegli abeti, perché si illuminassero come le stelle. Siamo nella prima metà del 1500.
Quando una novità così importante dal punto di vista sociale prende piede, ecco saltar fuori i primatisti. A contendersi il primato di aver posto il primo albero di Natale nella piazza del paese ci sono due città baltiche: Tallin in Estonia che lo avrebbe realizzato nel 1441 e Riga in Lettonia 70 anni più tardi. Ed è curioso pensare che in 70 anni nessuno abbia viaggiato da Tallin a Riga a portare la notizia di quella nuova usanza. A Riga, tuttavia, fanno una scelta ancora più fantasiosa, aggiungendo sui rami dell’abete delle rose artificiali. Gli autori di questa novità sono un gruppo di commercianti che mettono quell’albero nella piazza del mercato, dove passa un sacco di gente. Così l’abitudine si estende anche nelle singole case e diventa quello che oggi noi consideriamo un simbolo irrinunciabile del Natale cristiano.
Il presepe

Così le prime raffigurazioni della natività vengono fatte nelle catacombe, disegnando la nascita del bambino Gesù, un evento raccontato anche nei vangeli, soprattutto quelli di Luca e Matteo, vangeli dei quali parlerò più avanti. Là venivano descritte, anche senza dare un eccessivo risalto alla questione, le modalità con le quali Maria e Giuseppe erano arrivati a Betlemme, dove era nato il figlio di dio. Siamo tuttavia ben lontani dal presepe come oggi noi lo conosciamo. É San Francesco il primo a realizzarne uno moderno nel 1223. Il luogo scelto è una grotta nell’attuale Lazio e precisamente nel paese di Greccio. Trattandosi di una novità assoluta non è che Francesco, che, per la precisione, era soltanto un frate, non un santo come oggi lo chiamiamo, non è che Francesco potesse fare quello che voleva con le sacre scritture, perché si trattava di replicare la natività e magari a qualcuno questo poteva sembrare una blasfemia. Così Francesco si rivolge al papa, che in quell’epoca era Onofrio Terzo. C’era un po’ di apprensione, perché l’idea di Francesco era quella di usare delle persone vere che rappresentassero la Madonna, Giuseppe, il bambinello e tutto il resto della compagnia che era stata presente, secondo la tradizione, in quel di Betlemme. Insomma quello che oggi siamo soliti chiamare un presepe vivente.
A proposito di nomi. Presepe è un termine latino che si può tradurre con “mangiatoia” o meglio ancora il “recinto chiuso” dove venivano rinchiuse capre e pecore. Il nome dunque riprende proprio la tradizione che vuole come location, come si direbbe oggi, una stalla, facendo nascere Gesù nella mangiatoia destinata agli animali presenti, secondo la narrazione un asino e un bue. Ovviamente, di questi particolare non c’è alcuna verifica, anche perché, come vedremo successivamente, i vangeli vengono scritti molti decenni dopo quei fatti e l’esatta situazione può essere stata condita con una buona dose di fantasia, adatta a mostrare il re dei cieli in tutta la sua umiltà.
É proprio Francesco d’Assisi a Greccio a predisporre la scena. C’è un piccolo recinto riempito di paglia, con un bue e un asinello accanto. Ci vorranno molti anni perché la scena si completi. Ci penserà uno scultore toscano, Arnolfo di Cambio, a farlo introducendo i vari personaggi principali.
Ma il primo storico presepe è quello di San Francesco, ed è conservato a Roma nella basilica di Santa Maria Maggiore.
Credo sappiate che, oggi, depositari della più sfrenata fantasia sui personaggi del presepe sono i napoletani, i quali realizzano meravigliose statuette di chiunque diventi famoso in città. Ed è chiaro che la statuetta di Maradona è decisamente poco liturgica e non ci azzecca niente (come direbbe un napoletano) con la natività cristiana.
Ad ogni modo è proprio a Napoli, tra il 1600 e il 1700, che cominciano ad aggiungersi varianti sul tema, con personaggi tratti dalla vita quotidiana. Così compaiono i pastori, i venditori e i loro negozi e tutto il resto che ancora oggi troviamo in ogni presepe che si rispetti. Dal 1800 il presepe diventa uno standard popolare.

Si potrebbe chiedere come mai tutto parta dal bue e dall’asinello. In realtà i due animali non sono là per riscaldare il bambino, come una tradizione vorrebbe. Essi sono dei simboli, che rappresentano rispettivamente il popolo ebreo e quello dei pagani. Successivamente arrivano i Magi, ma di questi avremo nodo di parlare a lungo nella prossima parte di questo articolo.
Nel presepe essi rappresentano per alcuni le tre età dell’uomo, giovinezza, età matura e vecchiaia, per altri le popolazioni del mondo allora conosciuto, Europa, Africa e Asia, mentre i tre doni rappresenterebbero: la mirra la natura umana di Cristo, l’incenso quella divina e l’oro un dono riservato ai re.
Vedremo che queste interpretazioni recenti non hanno alcun supporto storico, ma, come già detto di questo avremo modo di parlare tra poco.
Chi e quando ha scritto i vangeli?
Ed eccoci all’ultimo argomento dedicato al natale: i tre re magi, che non erano tre, non erano re e per di più non sappiamo chi o cosa fossero i magi e perché viene data tanta importanza al loro arrivo a Betlemme.
Come certo tutti sanno, accettare la verità storica dei vangeli è più un atto di fede che altro, perché ci sono molti punti oscuri e diverse incoerenze. Quello che è certo è che i vangeli non sono certo stati scritti durante la vita di Cristo e nemmeno subito dopo la sua morte.
Per chiarire la posizione di chi vi parla voglio dire solo che i racconti contenuti in essi sono di grande importanza morale, perché sono un inno alla saggezza e alla sensibilità. Insegnano insomma a vivere in modo sempre corretto, anche se alla base pongono un dogma impossibile da dimostrare e cioè l’esistenza di un regno dei cieli, di un dio padrone, il cui figlio sarebbe arrivato sulla terra a mondare i peccati. Poi sappiamo come il mondo è andato a finire e si può certo dire che l’impresa di Gesù, di regalare all’umanità una situazione migliore, è stata un clamoroso flop.
La dottrina cristiana e cattolica in particolare sostiene che quelle scritture sarebbero sacre e quindi ispirate nientemeno che da dio in persona, cosa che per me è tremendamente difficile da accettare. Quindi non voglio entrare in questo tipo di discussione. Gli storici hanno litigato per secoli sui vangeli: chi li ha scritti davvero? Quando sono stati scritti? Con quale scopo?
Ancora oggi le posizioni, anche quelle dei critici, non sono per niente univoche. Dunque saltiamo tutta questa parte e lasciamo che i credenti la pensino in un modo e i non credenti in un altro. A me non fa alcuna differenza rispetto al tema che sto trattando.
C’è tuttavia una questione che, se non altro, è molto curiosa. La nascita di Gesù, che mi sembra centrale in tutta la vicenda, non è che trovi grandissimo spazio e sicuramente non grandissima enfasi nei testi degli evangelisti. Eppure tutto il movimento cristiano con le sue varie ramificazioni successive parte proprio da là. Quell’evento avrebbe dovuto, insomma, avere un posto di primissimo piano ed essere descritto nei minimi particolari, cosa che invece non avviene.
L’osservazione che forse diventa più importante è però un’altra. I vangeli non sono stati scritti per noi, uomini e donne vissute duemila anni dopo quel periodo. Sono stati scritti per la gente dell’epoca, del primo periodo cristiano, quando c’era da ribaltare un modo di vivere e di pensare che andava corretto in quanto ad abitudini, etica e così via. Ecco dunque nascere una narrazione in cui la bontà d’animo, la comprensione, l’inclusione, ma anche la giustizia trovano grande spazio. I primi lettori dei vangeli, tanto per dire, non erano in grado di distinguere tra un fenomeno naturale ed uno soprannaturale. Dunque si tratta di testi scritti per una popolazione in cui il termine cultura praticamente non esiste, mentre è ben presente una dose molto forte di superstizione. Per questo le scritture sono ricchissime di metafore e allegorie. Ricordiamo questo fatto che è importante per il discorso che farò tra poco.
Gli storici fissano come date probabili per la scrittura dei vangeli gli anni tra il 65 e il 110 d.C. Quello di Matteo tra l’85 e il 90, quindi più di mezzo secolo dopo la morte di Gesù. La cosa più curiosa è che la morte di Matteo è fissata dagli storici attorno al 70 d.C., quindi ben prima della realizzazione del suo vangelo. Ma tant’è. Di simili misteri la storia e non solo quella religiosa è piena zeppa.
Quelli che studiano i sacri testi cristiani, sostengono da almeno 200 anni che Matteo quel testo non l’ha mai scritto, ma che l’autore vero è stato un anonimo. Dubbi ci sono anche su altri due vangeli (Luca e Giovanni) mentre è più probabile che solo il primo vangelo, quello di Marco, sia originale, vale a dire che raccolga i fatti avendone avuta testimonianza diretta. Addirittura si parla di una “fonte Q”, usata anche da Matteo che sarebbe poi l’originale di Marco, addirittura precedente a quello poi arrivato fino a noi. Curiosamente quella Q sta per il tedesco Quelle, che significa fonte. Come vedete di certezze non ce ne sono nemmeno un po’ e quindi dobbiamo accettare quello che abbiamo. Usiamo il vangelo di Matteo, semplicemente perché è l’unico a parlare della visita dei magi a Betlemme. Quello che segue è un miscuglio tra quello che la tradizione, meglio le varie tradizioni, ci hanno trasmesso e la poca documentazione storica che si è potuta raccogliere. Del resto, trattandosi di tempi così lontani, è chiaro che le notizie sono sempre molto sfumate e ricche di dubbi. Ma cominciamo dall’inizio.
Arrivano i Magi, ma chi sono?
Dunque il vangelo di Matteo ci parla dei magi, ma non è che ci spieghi più di tanto chi sono. L’unica cosa che sappiamo da lui è che provengono da Oriente e seguono le tracce di una stella. Oggi noi siamo abituati ad associare al termine stella, quello di cometa, tanto che nei presepi questo astro sopra la capanna non può mai mancare.
Cominciamo dal nome: magi. Che significa? Chi erano i magi in quei lontani anni?
Il vangelo di Matteo ci è arrivato scritto in greco e quei personaggi vengono chiamati “magoi”, che è il plurale di Magos. Dunque lui ci racconta che alcuni “magoi” provenienti da oriente si incamminano verso Gerusalemme seguendo un’”aspera”, che è il termine greco per dire astro e dunque stella, perché là, in Israele, era nato il re dei Giudei.
Qui ci sono due osservazioni da fare: come facevano a sapere i magoi di questa nascita? E poi il fatto che quel titolo, re dei giudei, era appannaggio di chi governava quella regione romana e cioè un uomo piuttosto spregevole come Erode il Grande. Molto spregevole, perché oltre alla famosa strage degli innocenti, di cui tuttavia narra il solo Matteo e nessuno degli altri evangelisti e sulla quale torneremo brevemente più avanti, oltre a questo – dicevo – aveva fatto ammazzare una moglie, alcuni figli e centinaia di presunti oppositori, temendo un complotto ai suoi danni.
Matteo, ma anche Luca, indicano senza alcun dubbio che la nascita di Gesù avviene durante il regno di Erode il Grande e qui le cose si complicano un bel po’ con le date che conosciamo con certezza perché i romani segnavano tutto e ci hanno tramandato annali completi di quel periodo in Palestina. Infatti Erode muore nell’anno 4 a.C., quindi quattro anni prima di quella che noi riteniamo la data della natività. Come poteva nascere sotto il regno di Erode se questi era già morto da un pezzo? Ci sono solo due spiegazioni possibili: o la data della nascita è sbagliata o si tratta di un altro Erode. In effetti l’erede al trono di Erode il Grande è un altro Erode e quindi può essere nata un po’ di confusione coi nomi e con le date. Anche se molti testi sostengono che la nascita di Gesù sia avvenuta qualche anno dopo l’anno uno (attenzione: l’anno zero non esiste è una bestemmia matematica oltre che storica), la data più gettonata dagli storici per la nascita di Gesù di Nazareth, l’uomo Gesù, non il figlio di dio, è il 7 a.C. e questo permetterebbe una buona soluzione perché i tempi, con il regno di Erode, potrebbero coincidere.
Ma torniamo ai nostri magoi e cerchiamo di rispondere all’altra domanda: che ne sapevano loro di una nascita importante in un paese straniero e lontano? Perché mai avevano questo desiderio irrefrenabile di andare ad adorare un re che non comandava nulla, essendo un infante appena nato? Il fatto è che la nascita di Gesù viene presentata dalle scritture come un evento profetizzato e chiunque abbia letto o visto qualche film su quel periodo storico sa bene che le profezie erano qualcosa di estremamente importante e seguito. Il vecchio testamento e gli scritti di altre popolazioni sono ricchi di profeti che preannunciano eventi, che poi raramente si realizzano, ma la fiducia nelle capacità divinatorie di questi personaggi è davvero incrollabile. E non parlo solo dei cristiani: tutti i popoli, dai Celti ai Maia, avevano i loro stregoni e le loro enormi superstizioni.
L’arrivo dei magoi giunge all’orecchio di Erode e con esso la profezia. Dobbiamo capirlo il povero Erode: a nessun regnante piace sapere che c’è la possibilità che nasca qualcuno pronto a mandarti in pensione. Le parole, contenute nel libro del profeta Michea erano chiare e lapidarie: “E tu, Betlemme di Efrata, così piccola per essere tra i capoluoghi di Giuda, da te uscirà colui che deve essere il dominatore in Israele”.
Che più chiaro di così … Quando viene a sapere di questa profezia, Erode sta al gioco e convoca i Magoi, fingendo di non sapere cosa lo aspetta. Tratta i Magoi con grande dignità e deferenza e li indirizza verso Betlemme, chiedendo loro, una volta finito il viaggio, di tornare a Gerusalemme per riferire il luogo esatto dove trovare il bambino da omaggiare. I Magoi dunque partono e ricompare a stella, che si era spenta durante la sosta a Gerusalemme, e questa li guida fin dove trovano il bambino e la sua famiglia. Porgono i loro doni, oro, incenso e mirra e poi se ne tornano a casa loro, perché avvertiti in sogno che farsi rivedere a Gerusalemme da quel sadico di Erode, non era consigliabile.
La storia narrata dai vangeli sui re magi è tutta qui. Dunque Matteo non parla di re, non cita il numero, non dice da dove vengono né tantomeno come si chiamano. Ne segue che la terminologia “I tre re magi” è successiva e inventata di sana pianta da qualcuno vissuto dopo, molto dopo l’evangelista Matteo.
Adesso proviamo ad entrare un pochino più dentro la faccenda.
Cominciamo con lo scritto, il vangelo. L’autore, chiunque sia, lo scrive probabilmente in greco e il termine Magoi è il plurale di Magos, che deriva dal persiano Magu. Ci sono diverse parole con la radice MAGU che compaiono spesso nei documenti dell’età persiana.
Probabilmente ha a che fare con MAGAVAN, usato nel testo sacro dello zoroastrismo, la Vesta. MAGAVAN indica la purezza sacerdotale. Altri ancora riferiscono di termini simili in sanscrito, che hanno sempre a che fare con la religione, i sacrifici e quindi i sacerdoti.
Dunque, per assonanza il mago dovrebbe essere un personaggio importante, che abbia un ruolo sia in campo amministrativo che religioso. Ne parlano vari testi molto antichi addirittura del 522 a.C. e lo fa anche Erodoto, secondo Cicerone “il padre della storia”. Vissuto nel 5* secolo a.C., Erodoto racconta di un colpo di stato in Persia tentato da un Magu, che in greco diventa Magos, che, come detto, è il singolare di magoi.
Erodoto però va più a fondo. Ci spiega che questi magos sono figure persiane con importanti valenze sacerdotali. Sono presenti ad altissimi livelli, come guide spirituali dei re persiani, perfino nelle campagne di guerra. Sono i responsabili dei sacrifici propiziatori, dell’interpretazioni dei sogni e delle visioni.
Anche Diogene Laerzio, che scrive la sua Vita dei filosofi 700 anni dopo Erodoto, parla dei Magoi, addirittura nel primo paragrafo del suo volume. E arriva a dire che i Magoi persiani sono i progenitori, addirittura, dei filosofi greci. Sicuramente sono dediti all’astronomia e, come allora era inevitabile, all’astrologia. Dunque questi sono i Magoi, che vengono ripresi anche dalla letteratura latina, dove i Magi diventano i sacerdoti seguaci della dottrina di Zoroastro. Zoroastro è forse più conosciuto col nome di Zaratustra, probabilmente per l’opera di Friedrich Nietzsche verso la fine del 1800.
Il legame con Zaratustra è importante, perché secondo molti, essendo una rarissima religione monoteista, potrebbe aver influenzato quella ebraica. Vedremo tra poco altri legami tra la vicenda dei magi e lo zoroastrismo.
Sacerdoti dello zoroastrismo?
Dunque probabilmente i magi sono dei sacerdoti chiamati da una profezia a mettersi in viaggio verso Israele.Ma delle notizie antiche, sapete come funziona, la storia fa perdere tracce e il termine Magi diventa quello di chi professa la magia, lasciando per strada le nobili origini persiane di questi straordinari personaggi.

Se la magia è vista, soprattutto dalla Chiesa, come una pratica deprecabile, guai associarla ai sacerdoti che hanno portato i doni al bambino Gesù. In soccorso ecco dunque la distinzione tra maghi e magi, per salvare Melchiorre e compagni da una indegna campagna denigratoria. I Magi del vangelo di Matteo sono dunque ben lontani da quella magia che anche il vecchio testamento condanna senza mezzi termini. Sono proprio quei Magoi, Magu o, appunto, Magi che arrivano alla capanna, a questo punto forse si può azzardare dalle regioni persiane dell’Asia.
C’è anche da dire che non tutti si fidano di questa interpretazione. Così, ad esempio, le traduzioni in inglese del termine Magi diventa “Wise men”, cioè uomini saggi, che, tutto sommato, sta molto meglio, da quello che abbiamo visto finora, del nostro “re magi”.
Il legame tra i magi e l’astronomia può forse aiutarci a dare una interpretazione del motivo del loro viaggio. Può darsi che provenissero da quello che era stato l’impero persiano, forse dalla Mesopotamia e che fossero esperti di astronomia. La comparsa di una stella nel cielo non necessariamente deve essere stata una cometa, ma magari uno di quei fenomeni straordinari come una nova o una supernova, vale a dire l’esplosione violenta di una grande stella alla fine della sua vita. Keplero avanzerà ipotesi diverse, parlando di un fenomeno legato all’allineamento dei due grandi pianeti Giove e Saturno, ma al tempo di Keplero c’erano tante strane teorie, come quella degli angeli che spingevano i pianeti nel cielo.
Sia come sia, la comparsa di questi strani e inspiegabili fenomeni combinata con la conoscenza della profezia, potrebbe aver indotto alcuni magi, alcuni sacerdoti-astronomi ad intraprendere il viaggio verso la Palestina. A chi ha scritto il vangelo deve essere sembrato bello che simili figure, presenti nella storia e non solo nella fantasia, abbiano faticato tanto per rendere omaggio ad un nascituro re, che per loro era solo, si fa per dire, un futuro dominatore di Israele, ma per gli evangelisti era molto di più, era il figlio del padreterno.
Anche sui doni si è aperta una discussione durata secoli. Che in effetti, a seguire le vicende raccontate dal vangelo, al posto della mirra, che per sapere cosa sia bisogna aprire le pagine di Wikipedia, al posto della mirra - dicevo - era forse meglio portare una spessa coperta di lana.
Ma quei doni sono una ulteriore testimonianza della vicinanza dei giudei alle tradizioni, anche religiose, asiatiche, in particolare dello zoroastrismo.
Se, come ho detto prima, l’interpretazione più sempliciotta dei doni è quella delle varie forme che nel contesto religioso assume Gesù, come uomo, come divinità e come re, possiamo però cercare di approfondire la questione senza lasciarci coinvolgere da simili interpretazioni un pochino superficiali.
E partiamo proprio dalla mirra, una gomma ricavata da un albero, di cui tutti, dall’antichità ad oggi ne hanno fatto grande uso. Tra i suoi poteri anche quello curativo, tanto che oggi compare in numerosi farmaci, ad esempio unguenti per curare lacerazioni nella bocca. E questo potrebbe significare il potere salvifico di Gesù di Nazareth per il popolo ebraico. Se Matteo aveva queste conoscenze, la scelta della mirra è addirittura geniale.
Nel racconto del vangelo ci sono episodi che non hanno alcun fondamento storico, altri che vengono presentati come simboli di qualche virtù. Per fare un esempio, la strage degli innocenti, citata solo nel testo di Matteo, non ha riscontri storici in nessun altro documento dell’epoca. Eppure la storia di Erode, chiunque fosse sul trono all’epoca, è ben documentata negli annali romani e sappiamo bene della sua ferocia e dei suoi omicidi, ma di una strage di infanti non c’è alcun riferimento.
Dunque la vicenda dei magi può assumere un ruolo decisamente simbolico. I Magoi non sono né cristiani né giudei, appartengono non solo ad altra nazione, altra cultura, ma addirittura ad altra religione. Ecco quindi che la loro visita si configura come le prime autorità religiose a riconoscere la regalità di Gesù, anche se per loro non ha nulla a che fare con Dio. L’allegoria è molto forte, perché significa che il messaggio di Cristo non è limitato ai suoi seguaci in Palestina, ma è universale ed è esteso a chiunque sia in grado di cogliere i segni, come nel caso della stella. Una sottolineatura importante anche per la Chiesa che la userà a piene mani nei secoli successivi.
C’è anche da dire che l’episodio dei magi serve a confermare numerose profezie, trasmesse attraverso libri ben precedenti alla nascita di Gesù. Vi si parla di stelle che compaiono nel cielo, di re che attraversano molte regioni per porgere omaggio ad “uno scettro che sorge da Israele”, parole di un’antica profezia.
E adesso torniamo ai nostri tre re magi del vangelo.
Sul numero tre ci si arriva per deduzione. Se i doni sono tre, è probabile che a portarli siano in tre, anche se questa conclusione non è per nulla certa: metti che di incenso ce ne fossero due …
Il fatto che fossero dei re è testimoniato solo molti secoli dopo, nel tardo medioevo, perché in tutte le immagini scolpite o dipinte in precedenza, l’abbigliamento dei magi non ha niente di regale, piuttosto di comune o forse di religioso. Del resto l’abbigliamento asiatico usava copricapi strani per gli ebrei ed era facile confonderli magari con delle corone.
Resta la faccenda della cometa. Una piccola pausa e poi ne parliamo.
La stella che guida i magi

Gli antichi avevano una attenzione spasmodica verso i fenomeni celesti, ai quali assegnavano spesso motivazioni soprannaturali. Ebbene, nessuno, nel periodo della fanciullezza di Gesù, a partire dall’anno 7 a.C., come detto la data più probabile della sua nascita, nessuno segnala strani fenomeni luminosi nei cieli della Palestina.
Ma possiamo pensare ancora una volta ad un espediente simbolico. La stella è una guida spirituale per i magi. In questo modo c’è l’unione tra quanto accade sulla terra e quello che avviene nel cielo, regno incontrastato della divinità cristiana. A farla diventare una cometa è nientemeno che Giotto, che la dipinge sopra la capanna, tra angeli e santi, proprio qui a Padova, nella cappella degli Scrovegni. Ma siamo agli inizi del 1'300, di tempo dai fatti di Betlemme ne è passato un bel po’.
Dettagli sui magi: da dove saltano fuori?
Ed è proprio così, perché i dettagli, sempre più precisi sui magi, sulla loro provenienza, addirittura sui loro nomi, saltano fuori proprio nel 14° secolo. Vengono indicate le regioni di partenza come le cosiddette “tre indie”. Melchiorre, che porta l’oro ed è il re della Nubia, che Giovanni colloca tra Egitto e penisola del Sinai; Baldassarre che porta l’incenso arriva invece dal regno di Saba, tra lo Yemen e il Corno d’Africa; e Gaspare, portatore della mirra, proviene dalla misteriosa e difficilmente collocabile Tarsis. Non si sa come si sia arrivati a questi nomi, ma, almeno di uno di questi, ci sono evidenze storiche. Gaspare è probabile traslazione latina del persiano Gundafarr e un simile re è effettivamente esistito in una regione vicina all’attuale Afghanistan.Ma di nomi assegnati ai magi ce ne sono un sacco, così che concludiamo che Melchiorre, Gaspare e Baldassarre, non hanno alcuna rilevanza storica, sono semplicemente tre nomi, che potevano anche essere completamente diversi.
Anche Marco Polo si sofferma nel suo Milione a raccontare di essere arrivato nell’attuale città di Saveh, in Iran, da dove i magi sarebbero partiti, tutti assieme, per Gerusalemme. Afferma anche di aver visitato le tombe di Melchior, Balthasar e Gaspar, dove fa molte domande ma senza ottenere risposte. Più avanti arriva in un posto curioso, Cala Ataperistan, dove c’è un tempio di “adoratori del fuoco”, con ogni probabilità sacerdoti zoroastrani, che avrebbero raccontato a Marco Polo, le vicende dei tre magi, riprendendo la versione del vangelo con il viaggio e i tre doni. Gesù li avrebbe compensati regalando loro una pietra. Questa, gettata in un pozzo, ne fa uscire un fuoco, che i sacerdoti prendono, portano nel tempio e cominciano a venerarlo. Che ci sia di mezzo il petrolio nessuno lo dice.
In realtà sulle tombe dei magi c’è una storia che riguarda la madre dell’imperatore Costantino, Sant’Elena, che ne avrebbe recuperato le spoglie sulle alture del monte Vaus, tra Iran e Azerbaijan, luogo sacro, guarda caso, proprio dei zoroastrani. Le reliquie rimangono a Costantinopoli per qualche secolo, fino a che vengono regalate a S. Eustorgio, vescovo di Milano, che le mette nella basilica che porta il suo nome. Quando le truppe di Federico Barbarossa invadono Milano, le reliquie finiscono in Germania, precisamente a Colonia, nel cui duomo si trovano ancora oggi. Solo nel 1903 una piccola parte di quelle ossa, di chiunque siano, sono tornate a Milano nella basilica da dove erano state prese.
Una storia, quella dei magi, ricca di mistero, in cui nessuno è autorizzato a mettere il timbro dell’autenticità. Non può farlo Matteo, il cui racconto è più allegorico che altro e serve, secondo molti, a rafforzare un messaggio di fede e di speranza, collegata con la nascita di Gesù. E non posso certo farlo io, che mi sono limitato a riportare stralci di indizi, presi qua e là.
Conclusione

Quello che resta è il fatto che si tratta di una storia affascinante e anche che le convinzioni personali, qualunque esse siano, vanno sempre difese e tutelate, ma con garbo e senza pensare che chi la pensa diversamente sia uno sciocco o peggio. Questo, ovviamente, vale nelle due direzioni.
E dunque la conclusione è molto semplice.
In qualsiasi modo la pensiate, possiamo festeggiare il Natale o come massima festività religiosa o, più laicamente, come occasione di incontro e serenità.