C’è un giornalista a Palermo, che scrive per un giornale della sera, L’Ora. É un giornale di sinistra, molto vicino al Partito Comunista Italiano. Nell’estate del 1970, a capo della redazione sportiva, c’è un professionista bravo, molto bravo, ammirato da tutti, anche dai colleghi della concorrenza.
Viene rapito il 16 settembre e di lui non si saprà più nulla. Si chiama Mauro De Mauro.
Che c’entri lo sport? No, Mauro non capisce molto di attività sportive. É stato messo là solo per tirare su una redazione che fa acqua, rispetto al resto del quotidiano. Lui è un giornalista d’inchiesta, come ce ne sono pochissimi in quel periodo. Si occupa di tutto, di cronaca quotidiana, fa inchieste di costume come quella sul delitto d’onore, scrive della banda dei cappuccini, quattro frati che gestivano truffatori e assassini, segue le questioni politiche locali. E poi … siamo in Sicilia: ovviamente si occupa anche di mafia.
Sul suo rapimento è stata realizzata una infinità di trasmissioni, di filmati, di documentari, di libri, per cui non c’è niente di nuovo da raccontare, ma proviamo a farlo lo stesso con la massima chiarezza possibile. La RAI ha scomodato due pezzi da novanta sul tema: Carlo Lucarelli con “Blu notte” e Giovanni Minoli con “La storia siamo noi”
La storia che stiamo per raccontare è davvero molto strana ed è tutta incentrata sui possibili motivi del rapimento del giornalista. In effetti gli elementi a disposizione, per capire come sono andate le cose, sono così pochi che occorre lavorare di immaginazione, riempiendo di contenuti le scarse informazioni che pochi testimoni, indagini avvelenate dai depistaggi, e qualche pentito, ci hanno consegnato. Le piste portano dritti dentro alcuni degli eventi più tragici dell’Italia di quegli anni.
Ma, prima, dobbiamo conoscere i protagonisti di questo caso, a cominciare proprio da Mauro De Mauro.
Nasce a Foggia nel 1921. Allo scoppio della guerra aderisce al partito fascista. Entra nella Decima MAS di Junio Valerio Borghese, un gruppo d’assalto che compie imprese militari ritenute impossibili.
Il 26 aprile 1945, Borghese si consegna al Comitato Nazionale di Liberazione. Ma i partigiani non fanno in tempo a catturarlo, perché viene portato via dai servizi segreti statunitensi, ansiosi di capire come erano organizzate le sue squadriglie di “maiali”, come venivano chiamate le sue piccole imbarcazioni. Verrà poi consegnato alla giustizia italiana, condannato a 12 anni di carcere, che non sconterà, per via della cosiddetta “amnistia Togliatti” del 1946. Nel 1951 è presidente del Movimento Sociale di Giorgio Almirante, una formazione, secondo lui, troppo poco rivoluzionaria. Così formerà, nel 1968, il Fronte Nazionale, allo scopo - secondo i servizi segreti - "di sovvertire le istituzioni dello Stato con disegni eversivi". Ma di questo avremo modo di parlare più avanti.
E De Mauro? Anche lui viene arrestato e spedito in un campo di concentramento vicino a Pisa. Da qui riesce a fuggire e finisce, siamo nel 1947, a Palermo, dove vive fino a quel tragico giorno di settembre del 1970.
Viene processato con accuse gravissime: collaborazione come spia delle SS hitleriane e partecipazione a stragi di civili come quella orribile delle Fosse Ardeatine. É assolto prima per insufficienza di prove e poi con formula piena. (link al documento nelle fonti).
Durante la guerra è corrispondente della Decima da Trieste, una specie di giornalista, lavoro che continua a Palermo, prima come freelance, come diremmo oggi, e dal 1959 in pianta stabile all’Ora. Può sembrare strano che uno come lui, che chiamerà la figlia minore Junia, in omaggio al suo vecchio comandante, finisca a lavorare in un giornale di sinistra. Ma è proprio qui che la straordinaria professionalità di Mauro trionfa. É il suo collega Bruno Carbone, futuro direttore del giornale, a dare di Mauro la definizione: “un uomo con la testa di destra, ma il cuore di sinistra.” Mai il suo passato incide sul lavoro, sempre puntuale, sempre di livello eccezionale. Dopo il rapimento, si moltiplicano gli aneddoti che lo dipingono come un giornalista fuori dal comune, dalle capacità straordinarie, come quando detta di getto un articolo intero a braccio, senza appunti, mettendo al posto giusto tutte le parole e la punteggiatura.
La sera del 16 settembre 1970, rientra a casa verso le 21,30 per la cena, una cena importante, durante la quale ci sono da definire gli ultimi dettagli per il matrimonio della figlia Franca con Salvo, previsto due giorni dopo.
É proprio Franca a vederlo per ultima. Lo saluta e lo precede nell’androne. Poi torna in strada perché il padre non arriva. Vede la sua BMW blu mentre un individuo lo spinge sui sedili posteriori. L’auto parte lungo via delle Magnolie. Percepisce una sola parola “Amuninne!” … andiamo … ma dove “andiamo”? e perché? A quell’ora e con quella ricorrenza così importante?
Il lavoro di un giornalista d’inchiesta assomiglia a volte a quello di un inviato di guerra. Può succedere che si assenti senza avvertire, che stia lontano da casa per molto tempo, anche per tutta la notte. Non c’è da preoccuparsi. Ma quella scena non promette niente di buono. La moglie Elda telefona ai giornali che Mauro frequenta, L’Ora e La Sicilia. Lo fa nuovamente la mattina dopo, molto presto. Nessuno l’ha visto, nessuno sa niente.
Dopo cinque giorni senza trovare una minima traccia, l’Ora esce con un titolo a tutta pagina; “AIUTATECI”, in cerca di qualche testimonianza. Non succede niente. Nessuno si fa avanti, eppure la sera del 16 settembre fa molto caldo, le finestre su via delle Magnolie sono tutte aperte, ma, come dirà amaramente la moglie Elda, nessuno ha notato niente, non si sa se per sfortuna, per paura o per omertà.
Nelle ricerche vengono coinvolti più di cento uomini delle forze dell’ordine; cercano dappertutto. La sola cosa che trovano è la BMW, parcheggiata nel centro di Palermo. C’è un suo maglione dentro, e un pacco con sigarette e una bottiglia di vino, destinata alla cena. Un cane annusa il maglione e parte di corsa, ma dopo pochi metri si ferma e non sa più dove andare.
Mauro De Mauro è svanito nel nulla. Ci sono le solite domande: Chi è stato? Perché?
Come detto, siamo in Sicilia e pensare alla mafia è la prima cosa che ogni investigatore fa. Forse ha scritto qualche articolo che ha urtato qualche boss del posto. Del resto L’Ora è un giornale che non è mai stato tenero con Cosa Nostra. Nel 1958 pubblica in prima pagina una foto del boss Luciano Liggio, con sopra una scritta a caratteri cubitali: “PERICOLOSO!”. Per tutta risposta una bomba esplode nella tipografia del quotidiano, che esce, il giorno dopo, con un grande titolo: “La mafia ci minaccia. L’inchiesta continua”.
Ma, controllando negli articoli di De Mauro dell’ultimo periodo, non si trova nulla che possa far reagire la mafia in maniera così violenta, anzi il suo spostamento nella redazione sportiva aumenta la convinzione che la causa del sequestro non sia quella. A questo punto, non c’è spazio per altre supposizioni: se non è per quello che ha già scritto, probabilmente è per quello che avrebbe potuto scrivere. Già … ma su che cosa? E chi, oltre a lui, poteva sapere di cosa si trattava?
Ecco: è qui che la nostra storia prende forma, perché, dai pochi elementi che abbiamo, possiamo individuare in quali vicende Mauro De Mauro ha ficcato il naso, vicende, che possono aver “disturbato” qualcuno.
…
Per entrare in queste vicende, dobbiamo fare la conoscenza con alcuni personaggi che attorno al rapimento di Mauro De Mauro si muovono, con ruoli diversi, spesso misteriosi.
Il più strano di tutti è un ragioniere di Palermo, uomo di vecchio stampo, commercialista della famiglia De Mauro, il cavaliere Nino Buttafuoco.
Le informazioni più precise del ruolo di questo personaggio, si trovano non in documenti ufficiali o in reportage televisivi, ma nel diario della figlia minore del giornalista, Junia De Mauro. (link nelle fonti)
Il 17, il giorno dopo il rapimento, quando di questo nessuno sa nulla e i mezzi di comunicazione ancora non ne hanno parlato, arriva una telefonata di Buttafuoco alla famiglia. “Ci sono novità?” chiede. Richiama, con la stessa domanda, due giorni dopo e il 20 si presenta a casa per parlare con la mamma di Junia, Elda e con lo zio Tullio, professore universitario e futuro ministro della Pubblica Istruzione nel governo Amato. É insistente Buttafuoco, vuole sapere come stanno procedendo le indagini, quali documenti sono stati prelevati dalla polizia. In particolare chiede se sia stata trovata una busta arancione … attenzione a questo particolare che diventerà decisivo più avanti.
Poi garantisce che tutto finirà bene al 98, 99%. Dalle telefonate e dagli incontri con la famiglia sembra che lui la sappia lunga sul rapimento. Ad un certo punto comincia ad elencare possibili moventi e dice: “Agrigento, no. Droga, no. Mafia, no. Caso Tandoj, no. ENI …”. Su quest’ultima ipotesi non aggiunge nulla. “Cavaliere, perché dice Eni?” chiede Tullio. “Così l’ho letto sui giornali” conclude il ragioniere come per chiudere un discorso che gli era sfuggito.
Insiste con Elda, che si faccia dare dagli inquirenti i nomi dei sospettati. Elda allora si rivolge in questura, dove i commissari che seguono il caso, Bruno Contrada e Boris Giuliano, concordano di consegnare nomi di nessuna importanza per l’indagine. Una frase, detta alla famiglia, aveva fatto chiaramente capire che il ragioniere sapeva sul sequestro molto più di quello che raccontava. Usando una specie di codice segreto aveva detto che le cose stavano proprio come lui aveva previsto, aggiungendo che un ‘medico’ sarebbe venuto da fuori per visitare il ‘malato’, e soltanto dopo la visita si sarebbe potuto concludere l’affare. Dunque ecco la pista: il rapimento di Mauro è avvenuto per sapere quello che il giornalista aveva scoperto e valutare, solo dopo, il da farsi. Già, ma scoperto di cosa?
Il 26 settembre arriva una busta con un nastro magnetico. Una voce decisamente contraffatta dice: “Il De Mauro è vivo, non gli facciamo del male, vogliamo solo ‘chiacchierargli’ bene”. A mezzanotte Buttafuoco chiama e vuol sapere se è arrivato qualche messaggio orale, una registrazione, un nastro. Come fa a saperlo se nessuno, tranne la famiglia e i commissari, ne sono al corrente?
Infine si decide di intercettarlo. É difficile ascoltarlo, perché Buttafuoco chiama sempre da telefoni pubblici. Ma una frase viene registrata. Il diario di Junia riporta quella frase: “no, dica agli amici di Trapani di stare tranquilli: non ci fu ammazzata per il giornalista” e commenta “… in una telefonata intercettata dalla polizia, Buttafuoco, placando i timori di un misterioso interlocutore gli aveva annunciato per martedì un incontro importante riguardo ‘all’affare’ di mio padre.”
Insomma, secondo il vice questore di Palermo, Angelo Mangano, Buttafuoco i suoi bravi legami con la mafia li ha e, a testimonianza di questo, ci sono le numerose visite fatte ad un ricoverato sotto falso nome in ospedale a Roma. Quel ricoverato è nientemeno che il boss Luciano Liggio.
Un altro personaggio che compare sulla scena è Vito Guarrasi, già amministratore dell’ORA, ufficiale dell’esercito, spia dei servizi segreti, confidente della CIA, imprenditore … un uomo pieno di misteri e di segreti.
Negli anni che qui ci interessano, Guarrasi gestisce decine di società con interessi praticamente ovunque. Nel 1960 diventa consigliere di Enrico Mattei, il capo dell’ENI, in un progetto che prevede la costruzione di un metanodotto tra Sicilia e Nord Africa, poi però esce dall’ENI. Vi torna quando Mattei muore e subentra Eugenio Cefis, del quale Guarrasi diventa il braccio destro.
Di tutti questi personaggi avremo modo di parlare ancora.
A proposito di quella busta arancione, c’è un testimone che se ne ricorda bene. É il barbiere di Mauro De Mauro, il quale è andato proprio il pomeriggio del 16 settembre a mettersi in ordine, in previsione delle nozze della figlia. Quella busta, Mauro l’aveva con sé e non la lasciava neppure mentre si sedeva sulla sedia della barberia. Evidentemente ci teneva moltissimo e conteneva documenti davvero molto importanti. Nella BMW blu, ritrovata nel centro di Palermo, quella busta arancione non c’è.
Ad ottobre Buttafuoco viene arrestato per concorso nel rapimento di Mauro De Mauro. Sono sicuri, in procura, che questo porterà a grosse novità e lo dichiarano apertamente. C’è anche un misterioso signor X, tra i responsabili del sequestro, un uomo che Buttafuoco cerca con insistenza a Parigi. Secondo la stampa si tratta proprio dell’avvocato Guarrasi. Scatta anche per lui il mandato di arresto. La polizia è pronta ad emettere un comunicato il 14 novembre, un comunicato giudicato sconvolgente. La pista porterebbe a personalità di altissimo livello nell’economia e nella politica del paese. Ma quel giorno non succede nulla. Anzi si ferma tutto. Il comunicato arriva qualche giorno dopo, ma è di tutt’altro tenore. Buttafuoco esce di prigione. Le indagini si interrompono. Chi o cosa è intervenuto per mettere tutto a tacere? Lo vedremo tra poco.
É dunque tutto finito? No, perché sulle ipotesi si può ancora lavorare e cercare di capirci qualcosa.
Indagano anche i Carabinieri, guidati dal colonnello Alberto Dalla Chiesa. La loro ipotesi è che il giornalista abbia avuto informazioni particolari sul traffico di droga gestita dalla mafia. É lo stesso colonnello a portare in procura un grosso plico, chiedendo decine di mandati di arresto. Secondo gli inquirenti questa pista è troppo debole e poco realistica. L’allora capo della mobile di Palermo, Bruno Contrada, dirà: “Mi sembrava assolutamente non aderente alla realtà investigativa che De Mauro avesse potuto scoprire qualcosa di mafia talmente grave da indurre l’organizzazione ad eliminarlo. Non era infatti emerso alcun elemento che facesse ritenere valida l’ipotesi dei carabinieri. In particolare, quanto alla presunta scoperta di De Mauro di traffici di droga ad opera di famiglie di mafia, voglio precisare che i veri traffici di mafia in Sicilia, con sbarchi sulla costa, sono iniziati soltanto in epoca successiva.”
Loro, Contrada, Giuliano, Scaglione, hanno un’altra idea, legata ad un fatto avvenuto parecchi anni prima, il 27 ottobre 1962, la morte di Enrico Mattei.
La storia di Mattei è raccontata da Nova Lectio in un video apposito. Qui riassumiamo solo i punti essenziali. Enrico Mattei è presidente dell’ENI, probabilmente la sola compagnia in grado di gareggiare, grazie a contratti con i paesi Nord Africani e del Medio Oriente, con le famose sette sorelle, che riuniscono i marchi petroliferi più ricchi dell’Occidente. Mattei è un uomo potente: secondo i rapporti dei servizi americani è l‘uomo più potente d’Italia. Ha molti nemici, oltre ai petrolieri concorrenti. La Francia non lo sopporta per i legami che ha stabilito con i movimenti per l’indipendenza algerina. Anche da noi ha dei problemi. Occorre sapere che Mattei è uno dei grandi sostenitori della Democrazia Cristiana, ma è anche uno che ha elevato la corruzione al rango di strategia politica. All’inizio degli anni ’60, Mattei comincia a non finanziare più alcuni settori della DC, segnatamente le correnti più tradizionaliste, come quella di Amintore Fanfani.
Quel 27 ottobre l’aereo che sta per arrivare a Milano, proveniente da Catania, cade. Ci sono tre persone a bordo: il pilota, Irnerio Bertuzzi, il giornalista americano William McHale ed Enrico Mattei, che muore a 56 anni.
Viene istituita da Giulio Andreotti una Commissione Parlamentare, la cui conclusione è chiara. Si è trattato di un incidente, probabilmente dovuto ad un errore del pilota, uomo peraltro di grandissima esperienza.
Bisogna aspettare molti anni, fino al 1995 perché il sostituto procuratore di Pavia, Vincenzo Calia, riapra l’inchiesta, con mezzi e strumenti migliori, ma soprattutto con la mente più sgombra e meno pressioni politiche di trent’anni prima. Le nuove verifiche portano ad una verità ben diversa. C’era una bomba a bordo di quell’aereo, una bomba che è esplosa quando il carrello del velivolo è stato abbassato. Enrico Mattei è stato ammazzato.
Ovviamente vorremmo sapere da chi, ma adesso quello che ci interessa sapere è cosa c’entra De Mauro con la vicenda Mattei.
Nei giorni precedenti il suo sequestro, il giornalista de L’Ora aveva confidato quello che stava facendo a pochissime persone, la moglie e il collega Carbone, dicendo: “Ho qualcosa di grosso per le mani, qualcosa che può far saltare per aria mezza Italia”. Di cosa si tratta non lo dice, ma si reca dal procuratore Pietro Scaglione a riferire tutto, anche per avere un consiglio su come comportarsi. Di quel colloquio non c’è traccia: non viene verbalizzato e Scaglione non avrà modo di ricordarlo. Verrà ammazzato da un commando, guidato da Luciano Liggio, l’anno seguente.
De Mauro, come ricordato, segue la cronaca sportiva, che gli lascia molto tempo libero, durante il quale svolge altre attività. Tra queste fa ricerche sulle ultime giornate siciliane di Enrico Mattei, per conto del regista Francesco Rosi, che sta preparando un film sul presidente dell’ENI. Mauro è un cronista meticoloso e un investigatore attento. Non lascia nulla al caso: chiede, si informa, legge, bussa alle porte. Non sappiamo cosa scopre, ma sembra chiaro che si è imbattuto in uno scoop eccezionale. Forse ha capito, molto prima del procuratore Scalia, che la morte di Enrico Mattei non è avvenuta per un incidente, come viene ribadito dai mezzi di comunicazione, anche se sono davvero in pochi a crederci.
Divulgare dubbi sulle verità ufficiali, scatenerebbe un terremoto nel paese, per una serie di motivi. Ci sono, a breve, i rinnovi di due cariche importanti: quella del presidente della Repubblica e quella del presidente dell’ENI. Non è proprio il caso di agitare le acque con un processo in cui si rischia che saltino fuori verità che è meglio nessuno sappia. Secondo il blog “Mafie” di Attilio Bolzoni, le cose sono andate più o meno così. (https://mafie.blogautore.repubblica.it/2020/10/01/4830/)
Il timore più grande è che venga coinvolto un personaggio che abbiamo conosciuto poco fa, Vito Guarrasi. Lo avevamo lasciato nel momento in cui viene arrestato Nino Buttafuoco e in cui lui stesso sta per finire dentro. Ma questo non succede. C’è una riunione tra i responsabili della polizia di Palermo e i vertici dei servizi segreti. C’è anche il capo del servizio segreto militare, Vito Miceli, uomo che sarà accostato a momenti cupi della repubblica, come l’adesione alla loggia massonica P2 di Licio Gelli, all’organizzazione militare Gladio, ad azioni eversive di estrema destra, come la Rosa dei Venti di Amos Spiazzi.
In quella riunione si comunica una decisione, … meglio, un “ordine” che arriva da molto in alto, che suona così: “Le indagini vanno annacquate e il caso De Mauro va lasciato spegnersi senza più intervenire.”
L’arresto di Guarrasi non fa paura per un suo eventuale coinvolgimento nel rapimento di De Mauro, quanto nella morte di Mattei. Cosa sarebbe successo infatti se si fosse venuti a sapere che Mattei era stato vittima di un attentato premeditato? A Palermo le ipotesi che circolano sono queste: Guarrasi, coinvolto nell’assassinio di Mattei, è legato agli interessi politici e imprenditoriali di Amintore Fanfani e del vice presidente dell’ENI, Eugenio Cefis, subentrato nella carica di Mattei alla morte di questi. De Mauro ha scoperto tutto e per questo va eliminato.
Ci sono testimonianze agghiaccianti sulla vicenda, come quella, riportata dalla nipote di Enrico Mattei, Rosangela, secondo cui il guardasigilli Oronzo Reale, del partito repubblicano, avrebbe detto che l’uccisione di Mattei ad opera di Fanfani e Cefis era stata un peccato, anche perché si erano vanificati accordi molto importanti per il petrolio algerino. Ma, non avendo riscontri oggettivi, qui ci dobbiamo fermare. Certo però che i giornalisti palermitani, all’epoca del rapimento di De Mauro, non parlano d’altro. Quello che rimane è che Mauro passa gli ultimi giorni della sua vita, cercando di capire cosa abbia fatto e detto Mattei prima di salire sull’aereo che lo doveva riportare a Milano. Ha ottenuto e letto il suo ultimo discorso e si è incontrato con un altro personaggio della nostra storia: Graziano Verzotto.
Padovano, ex dirigente dell’ENI, sostenuto nella sua carriera politica da Fanfani, Verzotto è nel 1970 presidente dell’Ente Minerario Siciliano. Confessa di aver incontrato De Mauro con il quale ha un lungo colloquio. Gli racconta un sacco di cose, ma per saperne di più – gli dice – deve fare visita ad un’altra persona, Vito Guarrasi. Il giornalista ha in mano una busta arancione, quella famosa busta arancione scomparsa con lui, dentro la quale, dice, c’è quanto ha raccolto in quei giorni, tutte le sue scoperte sul caso Mattei. Se poi si sia recato o meno da Guarrasi non lo sappiamo.
Sulla sua scrivania gli inquirenti trovano il libro di Bellini e Previdi, appena uscito, dal titolo “L’assassinio di Enrico Mattei”, con sottolineate le parti che si riferiscono alla partenza da Catania. Di fianco De Mauro ha messo un punto interrogativo. Lo spiega a Junia, che annota diligentemente sul suo diario il 14 settembre. “Ci sono solo due persone che sanno l’orario di partenza dell’aereo di Mattei. Una di queste è Eugenio Cefis.” (in realtà questo è il senso della frase, quella vera non l’ho trovata)
Abbiamo dunque capito perché Mauro De Mauro è stato rapito e ucciso. Ma non abbiamo le prove.
Possiamo concludere questa parte con le parole del procuratore Ugo Saito, quando nel 1998 le indagini sulla morte di De Mauro vengono riaperte. “Noi, con la polizia, ritenevamo, con assoluta certezza, che De Mauro era stato eliminato perché aveva scoperto qualcosa di eccezionalmente rilevante relativamente alla morte di Enrico Mattei. Ritenevamo inoltre che il ragionier Buttafuoco non era altro che l’ultimo anello di una catena che faceva capo ad Amintore Fanfani e alla sua corrente.” Tutto chiaro dunque?
…
In verità, c’è un’altra ipotesi intrigante. Riguarda quello che accade nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970. Gruppi armati si dislocano di fronte ad edifici sensibili come il ministero degli interni, la sede della RAI e le abitazioni di numerosi politici di sinistra, in attesa di un ordine per realizzare un colpo di stato. A guidarli è una vecchia conoscenza di De Mauro, il principe nero Junio Valerio Borghese. La storia racconta che, all’ultimo momento, arriva il controdine: tutti a casa, non se ne fa nulla. Anche questa è una storia interessante da raccontare (non ho trovato tuoi video su questo, se mai correggi la frase), ma, ancora una volta, a noi interessa sapere che relazione possa esserci tra il cosiddetto “golpe Borghese” e il rapimento di De Mauro.
La ricostruzione che segue è dedotta dalle confessioni, durante il processo Andreotti, di Tommaso Buscetta, Giuseppe Caldeorne e anche, seppure in termini leggermente diversi, da Luciano Liggio durante il maxiprocesso di Palermo. Le registrazioni sono facilmente reperibili in rete.
Borghese, per il suo golpe, ha bisogno di molti uomini, perché vuole occuparsi dei centri sensibili e dei politici da arrestare in molti luoghi d’Italia, anche in Sicilia. Buscetta, Liggio e Calderone, assieme a Salvatore Greco, uomo di spicco di Cosa Nostra, nell’estate del 1970, si incontrano a Catania con esponenti di Borghese. Viene chiesto loro di fornire l’elenco dei mafiosi partecipanti al golpe o, in alternativa, di portare, durante l’operazione, una fascia verde al braccio per essere riconosciuti. La risposta di Greco è un no deciso. Tuttavia l’offerta dei golpisti è molto allettante: liberazione degli arrestati, annullamento delle pene, riduzione delle leggi sulla detenzione. Decidono che è meglio sentire Gaetano Badalamenti, in soggiorno obbligato in un paesino vicino a Milano, particolarmente interessato alla liberazione dei mafiosi, tra i quali c’è anche suo cognato, Natale Rimi, che verrà riconosciuto innocente in un processo, - come dire? - “pilotato dall’alto”. Alla riunione ci sono molte persone, tra cui anche Salvatore Riina, boss dei corleonesi. La risposta è sempre no. Questo non esclude che qualche mafioso, come Filippo Rimi, che aveva il padre e il fratello in carcere, non abbia partecipato, di sua iniziativa, al tentato golpe.
E De Mauro? Il giornalista frequenta un circolo, dove trova Emanuele D’Agostino, uomo di Stefano Bontate, importante boss della cosca palermitana di S. Maria del Gesù. É possibile che là, tra una granita e l’altra, qualche confidenza sul golpe sia sfuggita al mafioso. Il giornalista de L’Ora potrebbe aver saputo ben prima dell’8 dicembre cosa stava per succedere e anche questa è una notizia che poteva far saltare in aria mezza Italia, visti i legami politici e non solo che Borghese aveva allacciato per la sua avventura.
Questa pista non ha però molta presa sugli inquirenti e viene presto abbandonata.
Poi entrano in scena i pentiti. Nel 1994 l’inchiesta viene riaperta e gli incartamenti arrivano a Palermo. Il telegiornale si apre così:
Molte delle storie che raccontiamo hanno a che fare con le confessioni dei pentiti. Anche questa e, come sempre, è bene ricordare che spesso, non ci sono prove a sostegno di quello che viene confessato. Ma la cronaca è cronaca e le parole dette devono essere riportate.
In questo caso le indicazioni di due importanti pentiti confermano due delle ipotesi che abbiamo proposto, due ipotesi differenti. É perciò evidente che, almeno una di queste, è falsa.
Il boss Francesco Di Carlo riferisce di una confidenza avuta direttamente da Tano Badalamenti e Stefano Bontate, secondo la quale De Mauro è stato ucciso per quello che sapeva sul golpe Borghese.
Nel 2011 si tiene il processo contro Totò Riina per l’uccisione di De Mauro. Il boss corleonese verrà assolto per incompletezza di prove. Tuttavia, nella sentenza del tribunale si leggono queste parole: “De Mauro è stato eliminato perché si era spinto troppo oltre nella sua ricerca sulla verità delle ultime ore di Enrico Mattei.”
Eliminato da chi? Dalla mafia, racconta un altro pentito, Francesco Marino Mannoia, anch’egli uomo di Stefano Bontate e collaboratore di giustizia con il giudice Falcone. A prelevare De Mauro è proprio D’Agostino. Il giornalista viene ucciso e sepolto in un cimitero della mafia, ma da qui deve essere spostato, assieme agli altri corpi, perché si sta per costruire una strada nelle vicinanze. Viene quindi sciolto nell’acido ed è per questo che di lui non si trova alcuna traccia.
Questo racconta il pentito Mannoia. Tuttavia, ogni tanto il ritrovamento di un cadavere riaccende la speranza, come nel caso recente del novembre scorso (2021). Franca De Mauro chiede l’esame del DNA, ma gli oggetti trovati addosso alla povera salma non lasciano alcuna speranza, essendo di diversi anni successivi al 1970.
Siamo alla fine di questo racconto e non sappiamo come concludere una vicenda che ci dice che con ogni probabilità è stata la mafia a rapire ed eliminare il giornalista de L’Ora, ma il movente è ancora sconosciuto.
Ci sono forti indizi che indirizzano verso l’ipotesi Mattei, con l’intervento del deputato Verzotto, implicato nell’uccisione del presidente dell’ENI e vicino agli ambienti mafiosi di Palermo e a quelli politici romani. Neppure la pista del golpe Borghese può essere esclusa, come abbiamo visto. A ciò aggiungiamo l’attività giornalistica portata avanti contro la mafia che aveva portato alla condanna all’ergastolo dei Rimi, soprattutto Filippo, che aveva sposato una sorella della moglie di don Tano Badalamenti. E ancora, De Mauro aveva incontrato il deputato missino Angelo Nicosia, con l’intenzione di saperne di più sulle attività illegali nell’edilizia delle cosche gestite da Giuseppe Di Cristina e Stefano Bontate. Tutti buoni motivi …
Quale di queste piste sia quella giusta non lo sappiamo. Rimane il mistero a oltre mezzo secolo dai fatti, un mistero come quello che avvolge molte storie della nostra repubblica.
Nel 2014 nel giardino della memoria, alla periferia di Palermo, un terreno pieno di mandarini, confiscato alla famiglia mafiosa di Ciaculli, viene piantato un albero in memoria di De Mauro. É vicino a quelli dedicati a Borsellino, a Falcone, alle loro scorte, a Pietro Scaglione, a Libero Grassi, a Peppino Impastato e a molte altre vittime della mafia, troppe altre.
In via delle Magnolie viene posta una targa che ricorda quella tragica sera … è il 16 settembre 2015, sono passati 45 anni dal rapimento di Mauro De Mauro … occorre aggiungere altro?
Viene rapito il 16 settembre e di lui non si saprà più nulla. Si chiama Mauro De Mauro.
Che c’entri lo sport? No, Mauro non capisce molto di attività sportive. É stato messo là solo per tirare su una redazione che fa acqua, rispetto al resto del quotidiano. Lui è un giornalista d’inchiesta, come ce ne sono pochissimi in quel periodo. Si occupa di tutto, di cronaca quotidiana, fa inchieste di costume come quella sul delitto d’onore, scrive della banda dei cappuccini, quattro frati che gestivano truffatori e assassini, segue le questioni politiche locali. E poi … siamo in Sicilia: ovviamente si occupa anche di mafia.
Sul suo rapimento è stata realizzata una infinità di trasmissioni, di filmati, di documentari, di libri, per cui non c’è niente di nuovo da raccontare, ma proviamo a farlo lo stesso con la massima chiarezza possibile. La RAI ha scomodato due pezzi da novanta sul tema: Carlo Lucarelli con “Blu notte” e Giovanni Minoli con “La storia siamo noi”
La storia che stiamo per raccontare è davvero molto strana ed è tutta incentrata sui possibili motivi del rapimento del giornalista. In effetti gli elementi a disposizione, per capire come sono andate le cose, sono così pochi che occorre lavorare di immaginazione, riempiendo di contenuti le scarse informazioni che pochi testimoni, indagini avvelenate dai depistaggi, e qualche pentito, ci hanno consegnato. Le piste portano dritti dentro alcuni degli eventi più tragici dell’Italia di quegli anni.
Ma, prima, dobbiamo conoscere i protagonisti di questo caso, a cominciare proprio da Mauro De Mauro.
Nasce a Foggia nel 1921. Allo scoppio della guerra aderisce al partito fascista. Entra nella Decima MAS di Junio Valerio Borghese, un gruppo d’assalto che compie imprese militari ritenute impossibili.
Il 26 aprile 1945, Borghese si consegna al Comitato Nazionale di Liberazione. Ma i partigiani non fanno in tempo a catturarlo, perché viene portato via dai servizi segreti statunitensi, ansiosi di capire come erano organizzate le sue squadriglie di “maiali”, come venivano chiamate le sue piccole imbarcazioni. Verrà poi consegnato alla giustizia italiana, condannato a 12 anni di carcere, che non sconterà, per via della cosiddetta “amnistia Togliatti” del 1946. Nel 1951 è presidente del Movimento Sociale di Giorgio Almirante, una formazione, secondo lui, troppo poco rivoluzionaria. Così formerà, nel 1968, il Fronte Nazionale, allo scopo - secondo i servizi segreti - "di sovvertire le istituzioni dello Stato con disegni eversivi". Ma di questo avremo modo di parlare più avanti.
E De Mauro? Anche lui viene arrestato e spedito in un campo di concentramento vicino a Pisa. Da qui riesce a fuggire e finisce, siamo nel 1947, a Palermo, dove vive fino a quel tragico giorno di settembre del 1970.
Viene processato con accuse gravissime: collaborazione come spia delle SS hitleriane e partecipazione a stragi di civili come quella orribile delle Fosse Ardeatine. É assolto prima per insufficienza di prove e poi con formula piena. (link al documento nelle fonti).
Durante la guerra è corrispondente della Decima da Trieste, una specie di giornalista, lavoro che continua a Palermo, prima come freelance, come diremmo oggi, e dal 1959 in pianta stabile all’Ora. Può sembrare strano che uno come lui, che chiamerà la figlia minore Junia, in omaggio al suo vecchio comandante, finisca a lavorare in un giornale di sinistra. Ma è proprio qui che la straordinaria professionalità di Mauro trionfa. É il suo collega Bruno Carbone, futuro direttore del giornale, a dare di Mauro la definizione: “un uomo con la testa di destra, ma il cuore di sinistra.” Mai il suo passato incide sul lavoro, sempre puntuale, sempre di livello eccezionale. Dopo il rapimento, si moltiplicano gli aneddoti che lo dipingono come un giornalista fuori dal comune, dalle capacità straordinarie, come quando detta di getto un articolo intero a braccio, senza appunti, mettendo al posto giusto tutte le parole e la punteggiatura.
La sera del 16 settembre 1970, rientra a casa verso le 21,30 per la cena, una cena importante, durante la quale ci sono da definire gli ultimi dettagli per il matrimonio della figlia Franca con Salvo, previsto due giorni dopo.
É proprio Franca a vederlo per ultima. Lo saluta e lo precede nell’androne. Poi torna in strada perché il padre non arriva. Vede la sua BMW blu mentre un individuo lo spinge sui sedili posteriori. L’auto parte lungo via delle Magnolie. Percepisce una sola parola “Amuninne!” … andiamo … ma dove “andiamo”? e perché? A quell’ora e con quella ricorrenza così importante?
Il lavoro di un giornalista d’inchiesta assomiglia a volte a quello di un inviato di guerra. Può succedere che si assenti senza avvertire, che stia lontano da casa per molto tempo, anche per tutta la notte. Non c’è da preoccuparsi. Ma quella scena non promette niente di buono. La moglie Elda telefona ai giornali che Mauro frequenta, L’Ora e La Sicilia. Lo fa nuovamente la mattina dopo, molto presto. Nessuno l’ha visto, nessuno sa niente.
Dopo cinque giorni senza trovare una minima traccia, l’Ora esce con un titolo a tutta pagina; “AIUTATECI”, in cerca di qualche testimonianza. Non succede niente. Nessuno si fa avanti, eppure la sera del 16 settembre fa molto caldo, le finestre su via delle Magnolie sono tutte aperte, ma, come dirà amaramente la moglie Elda, nessuno ha notato niente, non si sa se per sfortuna, per paura o per omertà.
Nelle ricerche vengono coinvolti più di cento uomini delle forze dell’ordine; cercano dappertutto. La sola cosa che trovano è la BMW, parcheggiata nel centro di Palermo. C’è un suo maglione dentro, e un pacco con sigarette e una bottiglia di vino, destinata alla cena. Un cane annusa il maglione e parte di corsa, ma dopo pochi metri si ferma e non sa più dove andare.
Mauro De Mauro è svanito nel nulla. Ci sono le solite domande: Chi è stato? Perché?
Come detto, siamo in Sicilia e pensare alla mafia è la prima cosa che ogni investigatore fa. Forse ha scritto qualche articolo che ha urtato qualche boss del posto. Del resto L’Ora è un giornale che non è mai stato tenero con Cosa Nostra. Nel 1958 pubblica in prima pagina una foto del boss Luciano Liggio, con sopra una scritta a caratteri cubitali: “PERICOLOSO!”. Per tutta risposta una bomba esplode nella tipografia del quotidiano, che esce, il giorno dopo, con un grande titolo: “La mafia ci minaccia. L’inchiesta continua”.
Ma, controllando negli articoli di De Mauro dell’ultimo periodo, non si trova nulla che possa far reagire la mafia in maniera così violenta, anzi il suo spostamento nella redazione sportiva aumenta la convinzione che la causa del sequestro non sia quella. A questo punto, non c’è spazio per altre supposizioni: se non è per quello che ha già scritto, probabilmente è per quello che avrebbe potuto scrivere. Già … ma su che cosa? E chi, oltre a lui, poteva sapere di cosa si trattava?
Ecco: è qui che la nostra storia prende forma, perché, dai pochi elementi che abbiamo, possiamo individuare in quali vicende Mauro De Mauro ha ficcato il naso, vicende, che possono aver “disturbato” qualcuno.
…
Per entrare in queste vicende, dobbiamo fare la conoscenza con alcuni personaggi che attorno al rapimento di Mauro De Mauro si muovono, con ruoli diversi, spesso misteriosi.
Il più strano di tutti è un ragioniere di Palermo, uomo di vecchio stampo, commercialista della famiglia De Mauro, il cavaliere Nino Buttafuoco.
Le informazioni più precise del ruolo di questo personaggio, si trovano non in documenti ufficiali o in reportage televisivi, ma nel diario della figlia minore del giornalista, Junia De Mauro. (link nelle fonti)
Il 17, il giorno dopo il rapimento, quando di questo nessuno sa nulla e i mezzi di comunicazione ancora non ne hanno parlato, arriva una telefonata di Buttafuoco alla famiglia. “Ci sono novità?” chiede. Richiama, con la stessa domanda, due giorni dopo e il 20 si presenta a casa per parlare con la mamma di Junia, Elda e con lo zio Tullio, professore universitario e futuro ministro della Pubblica Istruzione nel governo Amato. É insistente Buttafuoco, vuole sapere come stanno procedendo le indagini, quali documenti sono stati prelevati dalla polizia. In particolare chiede se sia stata trovata una busta arancione … attenzione a questo particolare che diventerà decisivo più avanti.
Poi garantisce che tutto finirà bene al 98, 99%. Dalle telefonate e dagli incontri con la famiglia sembra che lui la sappia lunga sul rapimento. Ad un certo punto comincia ad elencare possibili moventi e dice: “Agrigento, no. Droga, no. Mafia, no. Caso Tandoj, no. ENI …”. Su quest’ultima ipotesi non aggiunge nulla. “Cavaliere, perché dice Eni?” chiede Tullio. “Così l’ho letto sui giornali” conclude il ragioniere come per chiudere un discorso che gli era sfuggito.
Insiste con Elda, che si faccia dare dagli inquirenti i nomi dei sospettati. Elda allora si rivolge in questura, dove i commissari che seguono il caso, Bruno Contrada e Boris Giuliano, concordano di consegnare nomi di nessuna importanza per l’indagine. Una frase, detta alla famiglia, aveva fatto chiaramente capire che il ragioniere sapeva sul sequestro molto più di quello che raccontava. Usando una specie di codice segreto aveva detto che le cose stavano proprio come lui aveva previsto, aggiungendo che un ‘medico’ sarebbe venuto da fuori per visitare il ‘malato’, e soltanto dopo la visita si sarebbe potuto concludere l’affare. Dunque ecco la pista: il rapimento di Mauro è avvenuto per sapere quello che il giornalista aveva scoperto e valutare, solo dopo, il da farsi. Già, ma scoperto di cosa?
Il 26 settembre arriva una busta con un nastro magnetico. Una voce decisamente contraffatta dice: “Il De Mauro è vivo, non gli facciamo del male, vogliamo solo ‘chiacchierargli’ bene”. A mezzanotte Buttafuoco chiama e vuol sapere se è arrivato qualche messaggio orale, una registrazione, un nastro. Come fa a saperlo se nessuno, tranne la famiglia e i commissari, ne sono al corrente?
Infine si decide di intercettarlo. É difficile ascoltarlo, perché Buttafuoco chiama sempre da telefoni pubblici. Ma una frase viene registrata. Il diario di Junia riporta quella frase: “no, dica agli amici di Trapani di stare tranquilli: non ci fu ammazzata per il giornalista” e commenta “… in una telefonata intercettata dalla polizia, Buttafuoco, placando i timori di un misterioso interlocutore gli aveva annunciato per martedì un incontro importante riguardo ‘all’affare’ di mio padre.”
Insomma, secondo il vice questore di Palermo, Angelo Mangano, Buttafuoco i suoi bravi legami con la mafia li ha e, a testimonianza di questo, ci sono le numerose visite fatte ad un ricoverato sotto falso nome in ospedale a Roma. Quel ricoverato è nientemeno che il boss Luciano Liggio.
Un altro personaggio che compare sulla scena è Vito Guarrasi, già amministratore dell’ORA, ufficiale dell’esercito, spia dei servizi segreti, confidente della CIA, imprenditore … un uomo pieno di misteri e di segreti.
Negli anni che qui ci interessano, Guarrasi gestisce decine di società con interessi praticamente ovunque. Nel 1960 diventa consigliere di Enrico Mattei, il capo dell’ENI, in un progetto che prevede la costruzione di un metanodotto tra Sicilia e Nord Africa, poi però esce dall’ENI. Vi torna quando Mattei muore e subentra Eugenio Cefis, del quale Guarrasi diventa il braccio destro.
Di tutti questi personaggi avremo modo di parlare ancora.
A proposito di quella busta arancione, c’è un testimone che se ne ricorda bene. É il barbiere di Mauro De Mauro, il quale è andato proprio il pomeriggio del 16 settembre a mettersi in ordine, in previsione delle nozze della figlia. Quella busta, Mauro l’aveva con sé e non la lasciava neppure mentre si sedeva sulla sedia della barberia. Evidentemente ci teneva moltissimo e conteneva documenti davvero molto importanti. Nella BMW blu, ritrovata nel centro di Palermo, quella busta arancione non c’è.
Ad ottobre Buttafuoco viene arrestato per concorso nel rapimento di Mauro De Mauro. Sono sicuri, in procura, che questo porterà a grosse novità e lo dichiarano apertamente. C’è anche un misterioso signor X, tra i responsabili del sequestro, un uomo che Buttafuoco cerca con insistenza a Parigi. Secondo la stampa si tratta proprio dell’avvocato Guarrasi. Scatta anche per lui il mandato di arresto. La polizia è pronta ad emettere un comunicato il 14 novembre, un comunicato giudicato sconvolgente. La pista porterebbe a personalità di altissimo livello nell’economia e nella politica del paese. Ma quel giorno non succede nulla. Anzi si ferma tutto. Il comunicato arriva qualche giorno dopo, ma è di tutt’altro tenore. Buttafuoco esce di prigione. Le indagini si interrompono. Chi o cosa è intervenuto per mettere tutto a tacere? Lo vedremo tra poco.
É dunque tutto finito? No, perché sulle ipotesi si può ancora lavorare e cercare di capirci qualcosa.
Indagano anche i Carabinieri, guidati dal colonnello Alberto Dalla Chiesa. La loro ipotesi è che il giornalista abbia avuto informazioni particolari sul traffico di droga gestita dalla mafia. É lo stesso colonnello a portare in procura un grosso plico, chiedendo decine di mandati di arresto. Secondo gli inquirenti questa pista è troppo debole e poco realistica. L’allora capo della mobile di Palermo, Bruno Contrada, dirà: “Mi sembrava assolutamente non aderente alla realtà investigativa che De Mauro avesse potuto scoprire qualcosa di mafia talmente grave da indurre l’organizzazione ad eliminarlo. Non era infatti emerso alcun elemento che facesse ritenere valida l’ipotesi dei carabinieri. In particolare, quanto alla presunta scoperta di De Mauro di traffici di droga ad opera di famiglie di mafia, voglio precisare che i veri traffici di mafia in Sicilia, con sbarchi sulla costa, sono iniziati soltanto in epoca successiva.”
Loro, Contrada, Giuliano, Scaglione, hanno un’altra idea, legata ad un fatto avvenuto parecchi anni prima, il 27 ottobre 1962, la morte di Enrico Mattei.
La storia di Mattei è raccontata da Nova Lectio in un video apposito. Qui riassumiamo solo i punti essenziali. Enrico Mattei è presidente dell’ENI, probabilmente la sola compagnia in grado di gareggiare, grazie a contratti con i paesi Nord Africani e del Medio Oriente, con le famose sette sorelle, che riuniscono i marchi petroliferi più ricchi dell’Occidente. Mattei è un uomo potente: secondo i rapporti dei servizi americani è l‘uomo più potente d’Italia. Ha molti nemici, oltre ai petrolieri concorrenti. La Francia non lo sopporta per i legami che ha stabilito con i movimenti per l’indipendenza algerina. Anche da noi ha dei problemi. Occorre sapere che Mattei è uno dei grandi sostenitori della Democrazia Cristiana, ma è anche uno che ha elevato la corruzione al rango di strategia politica. All’inizio degli anni ’60, Mattei comincia a non finanziare più alcuni settori della DC, segnatamente le correnti più tradizionaliste, come quella di Amintore Fanfani.
Quel 27 ottobre l’aereo che sta per arrivare a Milano, proveniente da Catania, cade. Ci sono tre persone a bordo: il pilota, Irnerio Bertuzzi, il giornalista americano William McHale ed Enrico Mattei, che muore a 56 anni.
Viene istituita da Giulio Andreotti una Commissione Parlamentare, la cui conclusione è chiara. Si è trattato di un incidente, probabilmente dovuto ad un errore del pilota, uomo peraltro di grandissima esperienza.
Bisogna aspettare molti anni, fino al 1995 perché il sostituto procuratore di Pavia, Vincenzo Calia, riapra l’inchiesta, con mezzi e strumenti migliori, ma soprattutto con la mente più sgombra e meno pressioni politiche di trent’anni prima. Le nuove verifiche portano ad una verità ben diversa. C’era una bomba a bordo di quell’aereo, una bomba che è esplosa quando il carrello del velivolo è stato abbassato. Enrico Mattei è stato ammazzato.
Ovviamente vorremmo sapere da chi, ma adesso quello che ci interessa sapere è cosa c’entra De Mauro con la vicenda Mattei.
Nei giorni precedenti il suo sequestro, il giornalista de L’Ora aveva confidato quello che stava facendo a pochissime persone, la moglie e il collega Carbone, dicendo: “Ho qualcosa di grosso per le mani, qualcosa che può far saltare per aria mezza Italia”. Di cosa si tratta non lo dice, ma si reca dal procuratore Pietro Scaglione a riferire tutto, anche per avere un consiglio su come comportarsi. Di quel colloquio non c’è traccia: non viene verbalizzato e Scaglione non avrà modo di ricordarlo. Verrà ammazzato da un commando, guidato da Luciano Liggio, l’anno seguente.
De Mauro, come ricordato, segue la cronaca sportiva, che gli lascia molto tempo libero, durante il quale svolge altre attività. Tra queste fa ricerche sulle ultime giornate siciliane di Enrico Mattei, per conto del regista Francesco Rosi, che sta preparando un film sul presidente dell’ENI. Mauro è un cronista meticoloso e un investigatore attento. Non lascia nulla al caso: chiede, si informa, legge, bussa alle porte. Non sappiamo cosa scopre, ma sembra chiaro che si è imbattuto in uno scoop eccezionale. Forse ha capito, molto prima del procuratore Scalia, che la morte di Enrico Mattei non è avvenuta per un incidente, come viene ribadito dai mezzi di comunicazione, anche se sono davvero in pochi a crederci.
Divulgare dubbi sulle verità ufficiali, scatenerebbe un terremoto nel paese, per una serie di motivi. Ci sono, a breve, i rinnovi di due cariche importanti: quella del presidente della Repubblica e quella del presidente dell’ENI. Non è proprio il caso di agitare le acque con un processo in cui si rischia che saltino fuori verità che è meglio nessuno sappia. Secondo il blog “Mafie” di Attilio Bolzoni, le cose sono andate più o meno così. (https://mafie.blogautore.repubblica.it/2020/10/01/4830/)
Il timore più grande è che venga coinvolto un personaggio che abbiamo conosciuto poco fa, Vito Guarrasi. Lo avevamo lasciato nel momento in cui viene arrestato Nino Buttafuoco e in cui lui stesso sta per finire dentro. Ma questo non succede. C’è una riunione tra i responsabili della polizia di Palermo e i vertici dei servizi segreti. C’è anche il capo del servizio segreto militare, Vito Miceli, uomo che sarà accostato a momenti cupi della repubblica, come l’adesione alla loggia massonica P2 di Licio Gelli, all’organizzazione militare Gladio, ad azioni eversive di estrema destra, come la Rosa dei Venti di Amos Spiazzi.
In quella riunione si comunica una decisione, … meglio, un “ordine” che arriva da molto in alto, che suona così: “Le indagini vanno annacquate e il caso De Mauro va lasciato spegnersi senza più intervenire.”
L’arresto di Guarrasi non fa paura per un suo eventuale coinvolgimento nel rapimento di De Mauro, quanto nella morte di Mattei. Cosa sarebbe successo infatti se si fosse venuti a sapere che Mattei era stato vittima di un attentato premeditato? A Palermo le ipotesi che circolano sono queste: Guarrasi, coinvolto nell’assassinio di Mattei, è legato agli interessi politici e imprenditoriali di Amintore Fanfani e del vice presidente dell’ENI, Eugenio Cefis, subentrato nella carica di Mattei alla morte di questi. De Mauro ha scoperto tutto e per questo va eliminato.
Ci sono testimonianze agghiaccianti sulla vicenda, come quella, riportata dalla nipote di Enrico Mattei, Rosangela, secondo cui il guardasigilli Oronzo Reale, del partito repubblicano, avrebbe detto che l’uccisione di Mattei ad opera di Fanfani e Cefis era stata un peccato, anche perché si erano vanificati accordi molto importanti per il petrolio algerino. Ma, non avendo riscontri oggettivi, qui ci dobbiamo fermare. Certo però che i giornalisti palermitani, all’epoca del rapimento di De Mauro, non parlano d’altro. Quello che rimane è che Mauro passa gli ultimi giorni della sua vita, cercando di capire cosa abbia fatto e detto Mattei prima di salire sull’aereo che lo doveva riportare a Milano. Ha ottenuto e letto il suo ultimo discorso e si è incontrato con un altro personaggio della nostra storia: Graziano Verzotto.
Padovano, ex dirigente dell’ENI, sostenuto nella sua carriera politica da Fanfani, Verzotto è nel 1970 presidente dell’Ente Minerario Siciliano. Confessa di aver incontrato De Mauro con il quale ha un lungo colloquio. Gli racconta un sacco di cose, ma per saperne di più – gli dice – deve fare visita ad un’altra persona, Vito Guarrasi. Il giornalista ha in mano una busta arancione, quella famosa busta arancione scomparsa con lui, dentro la quale, dice, c’è quanto ha raccolto in quei giorni, tutte le sue scoperte sul caso Mattei. Se poi si sia recato o meno da Guarrasi non lo sappiamo.
Sulla sua scrivania gli inquirenti trovano il libro di Bellini e Previdi, appena uscito, dal titolo “L’assassinio di Enrico Mattei”, con sottolineate le parti che si riferiscono alla partenza da Catania. Di fianco De Mauro ha messo un punto interrogativo. Lo spiega a Junia, che annota diligentemente sul suo diario il 14 settembre. “Ci sono solo due persone che sanno l’orario di partenza dell’aereo di Mattei. Una di queste è Eugenio Cefis.” (in realtà questo è il senso della frase, quella vera non l’ho trovata)
Abbiamo dunque capito perché Mauro De Mauro è stato rapito e ucciso. Ma non abbiamo le prove.
Possiamo concludere questa parte con le parole del procuratore Ugo Saito, quando nel 1998 le indagini sulla morte di De Mauro vengono riaperte. “Noi, con la polizia, ritenevamo, con assoluta certezza, che De Mauro era stato eliminato perché aveva scoperto qualcosa di eccezionalmente rilevante relativamente alla morte di Enrico Mattei. Ritenevamo inoltre che il ragionier Buttafuoco non era altro che l’ultimo anello di una catena che faceva capo ad Amintore Fanfani e alla sua corrente.” Tutto chiaro dunque?
…
In verità, c’è un’altra ipotesi intrigante. Riguarda quello che accade nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970. Gruppi armati si dislocano di fronte ad edifici sensibili come il ministero degli interni, la sede della RAI e le abitazioni di numerosi politici di sinistra, in attesa di un ordine per realizzare un colpo di stato. A guidarli è una vecchia conoscenza di De Mauro, il principe nero Junio Valerio Borghese. La storia racconta che, all’ultimo momento, arriva il controdine: tutti a casa, non se ne fa nulla. Anche questa è una storia interessante da raccontare (non ho trovato tuoi video su questo, se mai correggi la frase), ma, ancora una volta, a noi interessa sapere che relazione possa esserci tra il cosiddetto “golpe Borghese” e il rapimento di De Mauro.
La ricostruzione che segue è dedotta dalle confessioni, durante il processo Andreotti, di Tommaso Buscetta, Giuseppe Caldeorne e anche, seppure in termini leggermente diversi, da Luciano Liggio durante il maxiprocesso di Palermo. Le registrazioni sono facilmente reperibili in rete.
Borghese, per il suo golpe, ha bisogno di molti uomini, perché vuole occuparsi dei centri sensibili e dei politici da arrestare in molti luoghi d’Italia, anche in Sicilia. Buscetta, Liggio e Calderone, assieme a Salvatore Greco, uomo di spicco di Cosa Nostra, nell’estate del 1970, si incontrano a Catania con esponenti di Borghese. Viene chiesto loro di fornire l’elenco dei mafiosi partecipanti al golpe o, in alternativa, di portare, durante l’operazione, una fascia verde al braccio per essere riconosciuti. La risposta di Greco è un no deciso. Tuttavia l’offerta dei golpisti è molto allettante: liberazione degli arrestati, annullamento delle pene, riduzione delle leggi sulla detenzione. Decidono che è meglio sentire Gaetano Badalamenti, in soggiorno obbligato in un paesino vicino a Milano, particolarmente interessato alla liberazione dei mafiosi, tra i quali c’è anche suo cognato, Natale Rimi, che verrà riconosciuto innocente in un processo, - come dire? - “pilotato dall’alto”. Alla riunione ci sono molte persone, tra cui anche Salvatore Riina, boss dei corleonesi. La risposta è sempre no. Questo non esclude che qualche mafioso, come Filippo Rimi, che aveva il padre e il fratello in carcere, non abbia partecipato, di sua iniziativa, al tentato golpe.
E De Mauro? Il giornalista frequenta un circolo, dove trova Emanuele D’Agostino, uomo di Stefano Bontate, importante boss della cosca palermitana di S. Maria del Gesù. É possibile che là, tra una granita e l’altra, qualche confidenza sul golpe sia sfuggita al mafioso. Il giornalista de L’Ora potrebbe aver saputo ben prima dell’8 dicembre cosa stava per succedere e anche questa è una notizia che poteva far saltare in aria mezza Italia, visti i legami politici e non solo che Borghese aveva allacciato per la sua avventura.
Questa pista non ha però molta presa sugli inquirenti e viene presto abbandonata.
Poi entrano in scena i pentiti. Nel 1994 l’inchiesta viene riaperta e gli incartamenti arrivano a Palermo. Il telegiornale si apre così:
Molte delle storie che raccontiamo hanno a che fare con le confessioni dei pentiti. Anche questa e, come sempre, è bene ricordare che spesso, non ci sono prove a sostegno di quello che viene confessato. Ma la cronaca è cronaca e le parole dette devono essere riportate.
In questo caso le indicazioni di due importanti pentiti confermano due delle ipotesi che abbiamo proposto, due ipotesi differenti. É perciò evidente che, almeno una di queste, è falsa.
Il boss Francesco Di Carlo riferisce di una confidenza avuta direttamente da Tano Badalamenti e Stefano Bontate, secondo la quale De Mauro è stato ucciso per quello che sapeva sul golpe Borghese.
Nel 2011 si tiene il processo contro Totò Riina per l’uccisione di De Mauro. Il boss corleonese verrà assolto per incompletezza di prove. Tuttavia, nella sentenza del tribunale si leggono queste parole: “De Mauro è stato eliminato perché si era spinto troppo oltre nella sua ricerca sulla verità delle ultime ore di Enrico Mattei.”
Eliminato da chi? Dalla mafia, racconta un altro pentito, Francesco Marino Mannoia, anch’egli uomo di Stefano Bontate e collaboratore di giustizia con il giudice Falcone. A prelevare De Mauro è proprio D’Agostino. Il giornalista viene ucciso e sepolto in un cimitero della mafia, ma da qui deve essere spostato, assieme agli altri corpi, perché si sta per costruire una strada nelle vicinanze. Viene quindi sciolto nell’acido ed è per questo che di lui non si trova alcuna traccia.
Questo racconta il pentito Mannoia. Tuttavia, ogni tanto il ritrovamento di un cadavere riaccende la speranza, come nel caso recente del novembre scorso (2021). Franca De Mauro chiede l’esame del DNA, ma gli oggetti trovati addosso alla povera salma non lasciano alcuna speranza, essendo di diversi anni successivi al 1970.
Siamo alla fine di questo racconto e non sappiamo come concludere una vicenda che ci dice che con ogni probabilità è stata la mafia a rapire ed eliminare il giornalista de L’Ora, ma il movente è ancora sconosciuto.
Ci sono forti indizi che indirizzano verso l’ipotesi Mattei, con l’intervento del deputato Verzotto, implicato nell’uccisione del presidente dell’ENI e vicino agli ambienti mafiosi di Palermo e a quelli politici romani. Neppure la pista del golpe Borghese può essere esclusa, come abbiamo visto. A ciò aggiungiamo l’attività giornalistica portata avanti contro la mafia che aveva portato alla condanna all’ergastolo dei Rimi, soprattutto Filippo, che aveva sposato una sorella della moglie di don Tano Badalamenti. E ancora, De Mauro aveva incontrato il deputato missino Angelo Nicosia, con l’intenzione di saperne di più sulle attività illegali nell’edilizia delle cosche gestite da Giuseppe Di Cristina e Stefano Bontate. Tutti buoni motivi …
Quale di queste piste sia quella giusta non lo sappiamo. Rimane il mistero a oltre mezzo secolo dai fatti, un mistero come quello che avvolge molte storie della nostra repubblica.
Nel 2014 nel giardino della memoria, alla periferia di Palermo, un terreno pieno di mandarini, confiscato alla famiglia mafiosa di Ciaculli, viene piantato un albero in memoria di De Mauro. É vicino a quelli dedicati a Borsellino, a Falcone, alle loro scorte, a Pietro Scaglione, a Libero Grassi, a Peppino Impastato e a molte altre vittime della mafia, troppe altre.
In via delle Magnolie viene posta una targa che ricorda quella tragica sera … è il 16 settembre 2015, sono passati 45 anni dal rapimento di Mauro De Mauro … occorre aggiungere altro?