Collaudi e monitoraggio

Quando la diga fu terminata nel 1960 iniziarono le attività di collaudo con le prove d’invaso per il controllo della tenuta della diga. Nello stesso tempo iniziò lo studio dei movimenti delle masse rocciose rilevando, con metodi topografici, lo spostamento di capisaldi infissi nel terreno.

Gli invasi e i livelli raggiunti

Furono effettuate tre prove di invaso:

Prima prova d’invaso

Seconda prova d’invaso Terza prova d’invaso
Livello dell’acqua nell’invaso (modificata da D. Petley, 1996)



Il monitoraggio e le osservazioni del tempo

Il monitoraggio dei movimenti delle masse rocciose,iniziati in concomitanza con il primo invaso e i primi movimenti franosi, vennero effettuati rilevando, con metodi topografici, lo spostamento di capisaldi infissi nel terreno.
Quando nel marzo del 1960 l’acqua, salendo a 590 m arrivò a lambire la paleofrana si staccò una prima massa terrosa, il fenomeno si ripetè nel giugno dello stesso anno quando l’acqua raggiunse quota 600 m. In questa occasione si osservò nel versante una fessura continua lunga oltre 2 km. Nel novembre del 1960 con l’acqua nell’invaso a 650 m, si staccò una terza frana che scivolò nel lago senza però creare grossi danni.


posizione dei 4 capisaldi nella valle del Vajont


L’analisi dello spostamento del caposaldo 1 è abbastanza indicativa dei movimenti verificatisi dal luglio 1960 al momento della tragedia.


All’inizio del 1961 si constatò che, avendo ribassato il livello dell’acqua a quota 600 m circa, i movimenti della massa instabile erano dapprima rallentati e poi divenuti costanti. Ciò portò a pensare, in accordo con quanto ipotizzato in precedenza dagli esperti, che il movimento della frana potesse essere guidato o perlomeno controllato attraverso un opportuno gioco di svasi e invasi del bacino. Si decise quindi di procedere a prudenti invasi sperimentali in modo da raggiungere una maggior conoscenza del fenomeno.
Si evidenziò in tal modo che la velocità del movimento della massa veniva influenzata soprattutto in corrispondenza della prima bagnatura di zone mai interessate prima dall’invaso. Il fenomeno poi si arrestava all’abbassarsi dell’invaso stesso, e non si ripeteva alle bagnature successive in quanto le velocità di spostamento risultavano di molto inferiori a quelle registrate nell’autunno del 1960. Anche le registrazioni sismografiche compiute alla stazione sismica istallata alla diga confermavano la presenza di periodi di calma alternati a periodi di attività prevalentemente durante le fasi di invaso.
Tali constatazioni confermavano la diagnosi fatta in precedenza circa la natura lenta a graduale del fenomeno conducendo gli esperti ad ipotizzare che si potesse tenere sotto controllo la massa in movimento e che questa potesse assestarsi con movimenti di piccola entità.
Le operazioni di invaso e svaso, effettuate durante il collaudo della diga, in realtà, determinarono delle fessure nelle rocce, un effetto di lavaggio e di esportazione del materiale più fine, peggiorandone la coesione ed alterandone la permeabilità.
Inoltre l'acqua ha esercitato una sottotensione tra i grani interstiziali della roccia fino a permettene il "il galleggiamento". Questo spiegherebbe come la massa franante sia precipitata tutta in blocco ed in tempi rapidissimi.

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