assangeOggi dedico questo spazio ad un uomo incarcerato in un carcere di massima sicurezza dal governo britannico, il carcere Belmarsh, non a caso chiamato la Guantanamo d’Inghilterra e il riferimento è a come era il carcere americano, non come è adesso che è stato rimodernato. Ci sono 900 detenuti, tra i più pericolosi, 100 condannati all’ergastolo. Chi vi hanno rinchiuso? Un leader talebano? Un terrorista di Hamas? Un mormone impazzito? Niente di tutto questo. Si tratta di un giornalista, un giornalista famoso, che ha rappresentato con la sua opera e rappresenta tuttora una delle poche voci libere dell’Occidente.

def3Eccoci arrivati all’ultima puntata sulla deforestazione in questa miniserie. Nella prima abbiamo cercato di capire quanto gli incendi, quasi sempre prodotti dall’uomo, incidano sulla deforestazione. Nella seconda invece ci siamo occupati di studiare il fenomeno del cosiddetto illegal logging, vale a dire il commercio illegale di legname, soprattutto quello di pregio, il teak e il palissandro, in varie regioni del mondo. Abbiamo visto che questa pratica truffaldina, sempre coperta da controllori e quasi sempre dalle amministrazioni pubbliche, è diffusa in ogni parte del globo, dalle regioni africane a quelle asiatiche, e anche in Europa, segnatamente nei Carpazi, in Romania.
Oggi il discorso si allarga, perché vogliamo studiare il fenomeno più diffuso di tutti legato alla deforestazione. Ci chiediamo infatti cosa succede alle zone boschive devastate dalle ruspe e dalle motoseghe. A cosa servono i terreni liberati dagli alberi?

legnoCari amici eccoci alla seconda puntata sulla deforestazione. Questa volta parleremo di un argomento davvero poco diffuso, perché siamo abituati a pensare che le cause di questo disastro ambientale siano sostanzialmente due: gli incendi di cui abbiamo parlato l’ultima volta e la creazione di zone verdi adatte al pascolo alla coltivazione, di cui parleremo nella prossima e ultima puntata.
C’è un altro motivo per cui gli alberi vengono tagliati e questo è direttamente legato al tipo di legno con cui sono fatti. Se ci pensate, quante cose fatte in legno avete in casa vostra? Possiamo cominciare dai pavimenti per passare a molti mobili, soprattutto se questi hanno qualche decina d’anni alle spalle da quando sono stati costruiti. E poi librerie, tavoli, sedie e chi più ne ha ….

incendiVoglio affrontare nelle prossime tre puntate un argomento che credo sia importante e vorrei proporvelo sotto vari punti di vista. Si tratta della deforestazione, che è responsabile di una larga fetta del cambiamento del clima, un’opera criminosa che è cominciata molti decenni fa senza smettere mai.
Prima però vorrei sottolineare un concetto che penso debba essere chiarito.
Le dichiarazioni dei potenti (lo faranno anche a Dubai non c’è dubbio) parlano da molto tempo di “ridurre” la deforestazione. In questo verbo, “ridurre”, c’è tutta la truffa della situazione. Cosa significa, infatti “ridurre”? Significa tagliare meno alberi, vale a dire che invece di eliminarne mille al giorno, ne elimineremo 750. Qual è il risultato? La deforestazione diminuisce? Per niente. Aumenta ancora, anche se ad un ritmo più lento. Altre foreste vengono distrutte, il contenuto di gas serra nell’atmosfera cresce ancora, così come la temperatura media del pianeta, con tutte le conseguenze che ben conosciamo … ma il solito idiota che si informa su Tik Tok sarà felice e contento di aver sentito che la deforestazione viene ridotta.
A chi conviene che le foreste diminuiscano, che si facciano grandi spazi liberi in Amazzonia, in Congo o nel Borneo? E perché?

navi 501Nelle ultime quattro puntate abbiamo analizzato alcuni aspetti che riguardano il commercio di armi e rifiuti tossici provenienti o comunque passati per il nostro paese.
Abbiamo cominciato dalle navi che trasportano rifiuti ed armi verso paesi stranieri. Paesi che accoglievano volentieri rifiuti anche molto pericolosi, spesso radioattivi, in cambio di forniture di armi oppure di denaro. Lo smaltimento, se possiamo usare questo termine, avveniva spesso in maniera approssimativa, a volte semplicemente gettando le merci sulla riva dei fiumi o sulle spiagge. In Somalia questo è successo e nel paese africano cercavamo di capire cosa era successo Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Probabilmente avevano capito molto, collegando anche l’utilizzo delle navi della cooperazione, con i loro carichi di vestiario, medicinali e cibo, per trasportare armi e rifiuti tossici. E per questo sono stati assassinati il 20 marzo del 1994. Da allora sono passati quasi trent’anni, ma degli assassini e, soprattutto dei mandanti, ci sono solo indizi, ma nessuna certezza.

Premessa

alpi01Siamo arrivati alla quarta puntata di questa storia incredibile che si svolge tra Italia e Africa, con le navi che arrivano per depositare rifiuti tossici, che industrie, organizzazioni e amministrazioni dei paesi ricchi non vogliono tenere per sé né vogliono pagare lo smaltimento secondo le normative vigenti.
Abbiamo seguito, nelle scorse puntate camion che interravano rifiuti tossici e radioattivi ovunque, in Italia ma anche all’estero, ad esempio nei paesi dell’Est europeo grazie all’intervento di Cosa Nostra. Abbiamo seguito le rotte così strane di quelle navi che improvvisamente si inabissavano: un sacco di navi forse 40 o forse 100 che ancora oggi riempiono i fondali marini lungo le coste della Calabria e della Basilicata, e anche della Sicilia e della Puglia. Abbiamo saputo, grazie alle indagini di molte procure, grazie alle investigazioni fatte eseguire da alcune commissioni parlamentari, che dietro quegli affari c’erano potenti coperture politiche e militari. Secondo il pentito Francesco Fonti i vertici del partito socialista di Bettino Craxi avevano in mano la situazione, che però lasciavano gestire ai Servizi Segreti, usando come manovalanza gli uomini della ‘ndrangheta, specie quella della famiglia di San Luca e del clan Iamonte.
In mezzo a questo andirivieni di rifiuti compaiono anche le armi, altro grande affare italiano. E armi e rifiuti tossici viaggiano spesso assieme su quelle navi della cooperazione che dovrebbero essere cariche solo di cibo e vestiti per le popolazioni più povere e disgraziate del pianeta.
Nella nostra storia manca un anello importante, che è forse quello che più ha suscitato clamore e sdegno nel paese, o meglio in una piccola parte del paese che sapeva di essere vivo. Gli altri erano troppo impegnati a seguire le gag di Drive In e la pubblicità nascosta di Berlusconi nelle sue televisioni.
L’anello che manca riguarda una giornalista del TG3, Ilaria Alpi, e il suo operatore, Miran Hrovatin, morti ammazzati il 20 marzo 1994 a Mogadiscio, in Somalia. Oggi voglio raccontare la loro storia.

Puntata 3: riassuntopuntata3 02

Vi stavo raccontando l’incredibile storia di Francesco Fonti, affiliato alla ’ndrangheta nella famiglia di San Luca e poi pentito. Ha raccontato tutto, prima di morire nel 2012, lasciando memoriali ai procuratori antimafia, dai quali è possibile risalire ai nomi di tutti i coinvolti. Quelli che appartengono alle varie famiglie della mafia calabrese, quelli che hanno coperto il traffico illecito di rifiuti tossici e di armi, quelli che li hanno forniti, i politici e gli appartenenti ai Servizi Segreti che, chiudendo tutti e due gli occhi hanno intascato un po’ di denaro e, forse di potere.
So che avete già indovinato, ma la sua testimonianza è servita davvero a poco. Molte inchieste sono state frettolosamente chiuse, la quasi totalità dei documenti dichiarati segreti di stato e desecretati solo di recente (di questo parleremo alla fine del nostro racconto) e insomma la cosa si è protratta, segno evidente che le coperture del malaffare arrivavano in alto, molto in alto.
Fonti ha raccontato di decine e decine di navi (secondo i suoi calcoli circa 40, anche se più avanti scopriremo che sono state più del doppio) che vengono affondate lungo le coste italiane, dove i fondali sono abbastanza profondi da evitare indagini imbarazzanti negli anni a venire. Si verificano tuttavia alcuni episodi che, diversi anni dopo (siamo nel 2009) mettono in allarme gli inquirenti, le associazioni ambientaliste e gli abitanti delle zone colpite, segnatamente la Calabria e la Basilicata.
Da un lato, infatti si assiste, ad un inspiegabile aumento di malattie come leucemie e tumori, dovute con ogni probabilità, e questo è l'altro lato, alla strana presenza di livelli molto alti di radioattività nella zona, specie lungo le coste.
Poi c’è la scomparsa della Rigel, assicurata con i Lloyds di Londra, i quali non vogliono pagare e si rivolgono alla magistratura di La Spezia, chiedendo come mai una nave che imbarca acqua non mandi un segnale di pericolo, un SOS. Sarà l’unico caso di una nave scomparsa che andrà sotto processo con condanna finale dell’armatore e delle ditte che avevano provveduto ad un carico completamente diverso da quello che era stato dichiarato. Ed infine la storia della Jolly Rosso (o se preferite della Rosso, secondo la denominazione ufficiale dopo essere stata spedita in Libano a riportare a casa una parte delle schifezze che la ditta Jelly Wax aveva fatto interrare e seppellire in mare in quel lontano stato orientale. La Rosso deve essere affondata, come tutte le altre, ma succede qualcosa, forse un errore nelle manovre di autoaffondamento, e la nave se ne va galleggiando ancora per ore, fino a inclinarsi su un fianco sulla spiaggia di Amantea, rimanendo là come uno strano e inquietante monumento.
L’equipaggio, 16 uomini più il comandante, è tratto in salvo qualche ora prima dagli elicotteri della marina militare.
puntata3 04Ma le cose più strane accadono dopo lo spiaggiamento. Perché non si riesce a trovare il buco da cui sarebbe entrata l’acqua. L’armatore, di fronte alle domande della Guardia di Finanza, sostiene che un muletto fissato male ha urtato le pareti della stiva facendo il buco, solo che non si vede perché è sotto la sabbia. In realtà un buco si trova, ma è un buco squadrato, ben definito, non un buco da carrello o da effetti delle onde marine, più un buco da cannello con fiamma ossidrica. Un buco che con ogni probabilità è servito per togliere in tutta fretta quello che non si doveva vedere. Un’operazione eseguita con la velocità del fulmine. Gli abitanti della zona hanno visto per molti giorni i camion scortati dai vigili del fuoco e dalla finanza portare i resti della Rosso in discarica: scatolette scadute, tabacco avariato, porzioni della nave. Ma hanno visto anche i camion che arrivavano di notte, stavolta senza scorta, portare “altre cose” nella discarica. C’è poi un testimone che dice di aver visto altri camion che partivano dalla Rosso e andavano fino a Foresta, una sperduta località del comune Serra D’Aiello (Cosenza) dove c’è un fiume. Un altro dice di aver visto in quei posti dei bidoni strani, gialli e molto arrugginiti. Interviene allora il nucleo operativo ecologico dei Carabinieri (NOE). Non c’è radioattività, ma ci sono migliaia di metri cubi di fanghi industriali che non appartengono alle attività locali. Troppi indizi.
E così proprio dalla Rosso cominciano le inchieste, che coinvolgono molte procure: Reggio Calabria, Paola, Catanzaro, Roma, Matera, La Spezia, Padova, Asti.
A Reggio Calabria c’è un giovane capitano di corvetta che dà impulso alle ricerche. Il suo nome è Natale De Grazia. La matassa si comincia a dipanare e vengono a galla i legami che tengono assieme tutti quegli affondamenti: la ‘ndrangheta, la massoneria, la mala politica, gli affari illeciti, le connivenze e le complicità dei servizi e di parte delle istituzioni di controllo.
Ecco: questa è la situazione come l’ho raccontata nelle due puntate precedenti, puntate che, se avete voglia potete leggere o ascoltare visitando il mio sito noncicredo.org.
Ed è qui che si inserisce la storia di un militare, coraggioso ed eroico, ma non nel senso idiota che viene usato troppo spesso dai media americani, un eroe vero, di quelli che ci ha lasciato la pelle per una giusta causa, di cui poteva tranquillamente fregarsene come la stragrande maggioranza dei suoi colleghi e superiori. Lui si chiamava Natale De Grazia e questa è la sua triste storia. Prendiamo un respiro, ascoltiamo un breve brano musicale e poi ve la racconto.

Il capitano Natale de Grazia

puntata3 03Tra gli uomini che indagano sulle sparizioni delle navi c’è un capitano di corvetta di 37 anni. Si chiama Natale De Grazia. Il suo compito è quello di ricostruire le rotte di quelle navi. Da dove sono partite, dove hanno attraccato prima di sparire, seguendo rotte completamente diverse da quelle dichiarate. Ricordate? La Nicos I doveva andare in Togo ed invece è finita a Cipro, in Libano, per poi inabissarsi da qualche parte tra Grecia e Italia.
De Grazia si occupa in particolare della Rigel per i motivi già detti anche questa sera: è l’unica nave la cui vicenda entra nei documenti di un dibattimento in aula.
La procura prende possesso degli atti del processo contro gli armatori di cui ho già detto e che porteranno alla condanna per affondamento doloso mentre l’associazione a delinquere cadrà nel corso del dibattimento. Leggendo quella documentazione salta subito all’occhio che, nonostante il processo riguardi una nave soltanto, di navi affondate in maniera dolosa e sospetta ce ne sono state parecchie. Ecco la pista che De Grazia vuole seguire: quante navi? cosa trasportavano? chi ha organizzato l’affondamento?
Certo non è un gioco da ragazzini. E’ evidente che un traffico del genere non può averlo messo in piedi la banda bassotti. A La Spezia ci sono basi della NATO, della Marina Militare, c’è il centro di addestramento dei reparti speciali, ci sono fabbriche di armi. La Rigel trasporta presumibilmente uranio, comunque materiali radioattivi: non possono certo venire dal furto di qualche supermercato.
In quel periodo nel porto di La Spezia c’è una nave particolare. Si chiama Latvia, una motonave della ex Unione Sovietica, appartenuta ai servizi segreti, al KGB insomma. 
Il corpo forestale dello stato sente puzza di bruciato e, già il 26 ottobre del 1986, invita la polizia a fare un’indagine, perché quell’imbarcazione potrebbe venire usata per trasportare rifiuti tossici e perfino radioattivi.
Di chi è quella nave? Era stata acquistata da una società liberiana con sede in Monrovia, attraverso un ufficio legale di La Spezia. Monrovia è un porto sulla costa Ovest dell’Africa poco più su di dove comincia il golfo di Guinea. La stranezza tuttavia è il prezzo pagato, che risulta superiore al valore reale e questo fa supporre che potrebbe essere utilizzata come “bagnarola” per traffici illeciti.
Qualche settimana più tardi la Latvia entra di nuovo in una annotazione di polizia giudiziaria. Il brigadiere Gianni Podestà comunica alle procure di Reggio Calabria e Napoli che una fonte attendibile ha riferito che famiglie camorristiche e logge massoniche sarebbero implicate nei traffici di rifiuti radioattivi e tossici interessanti la zona di La Spezia e l’hinterland napoletano.
La Latvia, secondo questa fonte, avrebbe seguito la stessa sorte della Rigel, dovendo salpare entro 4 giorni (entro il 14 novembre 95) da La Spezia per Napoli, dove avrebbe ritirato un altro carico per poi muovere attraverso lo Stretto di Messina per Malta. Di ritorno sulle coste joniche sarebbe stata affondata.
Queste informazioni arrivano da un informatore, del quale vi ho parlato l’ultima volta. Si tratta di quel “Pinocchio” (di cui si tace il nome vero) che aveva raccontato molto di quello che succedeva a La Spezia e nel suo porto. La deferenza o la soggezione con cui Pinocchio viene trattato, lascia capire che si tratta di un personaggio di rilievo, forse un agente dei servizi segreti, più che un pentito, con grande probabilità un agente infiltrato nelle cosche del malaffare. Come vado dicendo fin dall’inizio ci sono sempre gli stessi aggettivi a seguire le vicende: “strano” è uno di questi. É tutto troppo strano: ci sono indizi dappertutto ma gli affondamenti continuano indisturbati e nessuno sa mai niente.
A Reggio Calabria lavora un piccolo pool di investigatori. Tra loro il più impegnato e anche quello con maggiore conoscenza del problema è il capitano Natale De Luca, sposato con due figli di 8 e 10 anni. É un esperto di qualunque cosa riguardi il mare: inquinamento, correnti soprattutto dello stretto di Messina, ovviamente la questione delle navi scomparse.
Ad un certo punto arriva in Calabria il pubblico ministero reggino Francesco Neri, dell’antimafia, una presenza che fa capire quanto importante la magistratura ritenga l’intera vicenda.
E la Latvia cade sotto la lente del pool e di Neri, perché si tratta di un’occasione unica e davvero grande. Contrariamente a tutti gli altri casi, qui si può monitorare la faccenda in diretta, osservare e studiare la nave, prendere contatto diretto con gli occupanti.
Per questo il 12 dicembre Natale De Grazia sale in macchina alla volta di La Spezia. Non si sa chi lo abbia deciso: non risulta da nessun documento ufficiale. Nelle indagini della commissione sulla gestione dei rifiuti questo fatto risulterà confermato dalla la deposizione di un soggetto il cui nome è stato segretato. In effetti la decisione viene presa nel più grande segreto, cercando di non farlo sapere praticamente a nessuno. Il suo comandante addirittura firma una delega in bianco perché non venga diffuso il vero obiettivo della missione, nel caso cadesse in mani sbagliate.
Partono di sera, con il buio che a dicembre arriva presto, sotto un diluvio e con una macchina certo non all’altezza per un tragitto tanto lungo, che attraversa l’intera penisola, una Tipo.
Arrivati a Nocera si fermano per la cena. Tutti mangiano le stesse cose; solo Natale ordina un limoncello. Ripartono e, dopo poco, il capitano si accascia e muore.  Non si sa perché. Nel suo corpo non vengono trovate tracce di alcool. É un mistero che getta nel dramma la famiglia, sbigottita e l’intero pool con cui lavora.
I sospetti su questo improvviso decesso si fanno ancora più fitti dopo la sua morte. Il 15 dicembre, due giorni dopo la tragica fine di Natale, l’ispettore Tassi manda un fax alla procura di Reggio Calabria. Eccone il testo:
"In data odierna è stata accertata la partenza della Motonave Latvia, avvenuta all'incirca verso la terza decina del Novembre per raggiungere il porto di Ariga (Turchia)".
C’è puzza di marcio lontano chilometri. La Commissione parlamentare che indaga sugli illeciti legati allo smaltimento dei rifiuti, presieduta dall’on Gaetano Pecorella, ne prende atto e lo scrive in un italiano giudiziario incomprensibile. Eccolo però tradotto in un linguaggio da bar dello sport.
Non possiamo che sottolineare che questa vicenda è molto particolare. Mentre si sta indagando sull’uso di navi per trasportare rifiuti tossici, c’è la possibilità di controllare una nave, la Latvia, che si sospetta essere una di quelle. Nonostante questo la polizia giudiziaria non fa alcuna verifica approfondita, nessuno interroga gli occupanti della nave, nessuno segue la nave nei suoi spostamenti.
puntata3 05In effetti, durante l’inchiesta per la morte di Natale De Grazia, il pm Francesco Neri dichiara che all’epoca dei fatti lui e un suo collega scrivono al presidente della repubblica, Luigi Scalfaro, comunicando che le indagini sulle navi possono coinvolgere la sicurezza nazionale. E siccome il SISMI non può non essere a conoscenza di questi traffici, il pm richiede tutti i documenti che riguardino il traffico clandestino di rifiuti radioattivi con navi. L’informativa arriva puntualmente tra gli incartamenti dell’inchiesta. I servizi segreti dunque conoscono certamente l’indagine sulle navi.
Forse non serve dire che dopo la morte di Natale le indagini sulle navi dei veleni si arenano e non se ne sa più molto fino agli sviluppi più recenti.
Per chiudere il capitolo sulle indagini vi leggo la chiusura di un articolo pubblicato dal Manifesto e ripreso dal comitato Natale De Grazia, che si occupa non solo di questa vicenda, ma di tutte quelle che hanno a che fare con i rifiuti e con l’ambiente più in generale. www.comitatodegrazia.org.
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Un tragico dicembre
Natale De Grazia era sul punto di chiudere le indagini. Aveva già programmato di utilizzare le festività di fine anno per preparare un rapporto finale, con le conclusioni della lunga inchiesta. Il sei dicembre a Reggio Calabria viene sentito – per la seconda volta – il teste “alfa alfa”, ovvero Aldo Anghessa. Oscuro trafficante, fortemente sospettato di agire spesso per interessi non chiari o come agente provocatore, due giorni prima del ponte dell’immacolata depone davanti a Natale De Grazia. E introduce un nuovo nome, che sarà fondamentale per l’inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi, Giampiero Sebri. «È disposto a collaborare», spiega Anghessa. Sebri qualche anno più tardi – nel 1997 – deporrà a lungo davanti ai magistrati della Dda di Milano, raccontando di una organizzazione internazionale specializzata nel traffico dei rifiuti nucleari. Indicherà anche Giancarlo Marocchino e l’ufficiale del Sisde presente in Somalia nel marzo del 1994, Luca Rajola Pescarini, come personaggi coinvolti, a suo dire, nel traffico. Per quelle dichiarazioni venne condannato per calunnia, condanna penale poi revocata qualche mese fa dalla Corte di Cassazione.
Quattro giorni dopo l’interrogatorio Natale De Grazia, insieme al maresciallo dei carabinieri Nicolò Moschitta, riceve sei deleghe dal procuratore Neri, per compiere indagini a La Spezia e a Como. Chi doveva incontrare De Grazia non lo sappiamo. Il 12 dicembre parte e a mezzanotte viene stroncato da un arresto cardiaco, in circostanze mai chiarite.
I servizi segreti
Il documento arrivato nei mesi scorsi negli uffici della commissione Pecorella che dimostrerebbe l’erogazione di fondi ai servizi segreti per la gestione dei rifiuti nucleari e di armi ha la data – secondo quanto riportato dal quotidiano Terra – dell’11 dicembre 1995, ovvero il giorno prima del viaggio di De Grazia. Il capitano di corvetta sentiva il pericolo come vicino, vicinissimo. Lo raccontava al cognato, mentre da qualche mese – dopo una perquisizione decisamente anomala a Roma – aveva il timore di entrare in contrasto con pezzi importanti dello stato. Sapeva di essere vicino alla verità, e questo lo preoccupava. Quello che probabilmente non sapeva era che quello stesso stato che gli pagava lo stipendio per bloccare i traffici criminali di rifiuti e di armi, finanziava – segretamente – chi quei traffici li copriva o, addirittura, li organizzava.
A ben vedere di misteri misteriosi questa storia è già abbastanza piena. Del resto gli anni ’80 e ’90 sono così ricchi di fatti accaduti che ancora oggi lasciano con l’amaro in bocca perché di essi non si riesce a dare una spiegazione piena e univoca. E sono fatti che si intrecciano in un groviglio incredibile. Tanto per fare un esempio, il pentito Fonti sostiene di aver saputo perfettamente dove si trovava rinchiuso Aldo Moro nell’appartamento in via Gradoli. Il suo capo, Sebastiano Romeo, gli ordina di trovare l’indirizzo. Richiesta poi confermata da Benigno Zaccagnini, allora segretario della DC. Fonti si rivolge al suo contatto per i rifiuti, Pino. Ma è il Cinese della banda della Magliana ad indicargli l’appartamento di via Gradoli. Alcuni contatti della ‘ndrangheta gli danno conferma e anche Giuseppe Sansovito, generale del SISMI e appartenente alla loggia massonica P2 di Licio Gelli. Ma quando torna a S. Luca con l’informazione il suo boss gli dice che i politici non hanno più interesse nella ricerca di Aldo Moro.
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Verità? Fantasie? Non lo so. Tuttavia gli intrecci tra politica, malavita organizzata, servizi segreti, massoneria deviata, perfino frange estremistiche di paesi stranieri non sono certo una novità di quel periodo. Potremmo scorrere un elenco lunghissimo di fatti non accertati come alcune stragi (quella di Bologna e di Ustica su tutte), omicidi eccellenti come quello di Pecorella, dei giornalisti De Palo e Toni in Libano e, ovviamente di Ilaria Alpi e Miran Hrovatim in Somalia. Molti protagonisti dei fatti, da Moro a Cossiga, dai generali dei servizi segreti ad Andreotti se ne sono andati per sempre e con loro una buona fetta di possibilità di arrivare alla verità vera. Cosa c’entra tutto questo con natale De Grazia? Il semplice fatto che lui è ben consapevole in quale fanghiglia si sta cacciando, eppure continua il suo lavoro e muore. Continueremo dopo una pausa musicale.f

Di cosa è morto Natale De Grazia?

Dicevo che di tutti questi intrecci è probabilmente consapevole il capitano reggino, il cui lavoro investigativo (meno quello che aveva in testa ovviamente) è contenuto nei fascicoli dell’inchiesta giudiziaria sull’affondamento della Rigel.
Abbiamo usato l’aggettivo “strano” tante e tante volte. Va tirato fuori anche quando si decide di guardare dentro la casa di Giorgio Comerio. Comerio è uno dei nomi chiave delle inchieste sul traffico dei rifiuti, delle scorie radioattive e delle armi. É fuggito in Tunisia e ha rilasciato interviste in cui ha attaccato tutti i suoi accusatori.
Giorgio ComerioDi lui è arcinoto il progetto ODM (Oceanic Disposal Management) col quale pretendeva di eliminare le scorie radioattive delle centrali nucleari, infilandole dentro dei siluri lungi 16 m, sparati poi in mare per farli inabissare in fondali fangosi e lasciarle là. Progetto rigettato da tutte le nazioni per motivi che credo sia inutile spiegare.
La commissione ecomafie ha preteso la declassificazione dei documenti riguardanti Comerio, dai quali sembrerebbe che l’ingegnere italiano sia uno dei fornitori della Corea del Nord di materiali radioattivi. Insomma un bel personaggino.
A noi qui interessa il fatto che nei documenti trovati durante quella perquisizione si scopre che nella casa di Giorgio Comerio, Natale trova un’agenda con questa notazione “Lost the ship” (La nave è persa) il giorno 21 settembre 1987, lo stesso giorno in cui affonda la Rigel. E quel giorno nessuna altra nave risulta dispersa in mare, secondo l’Organizzazione Marittima Internazionale. De Grazia trova anche una copia del certificato di morte di Ilaria Alpi. Perché mai uno come Comerio dovrebbe tenersela in casa? Soprattutto se si considera che nessun altro, neppure i genitori di Ilaria l’anno mai avuta?
Giorgio Comerio tratta l’acquisto della Jolly Rosso, la motonave che deve affondare al largo del Golfo di S. Eufemia, ma che per un errore finisce spiaggiata sulla sabbia di Amantea. Questa storia la racconterò tra non molto con tutti i suoi risvolti misteriosi.
L’ultima parte di questo racconto riguarda ancora la morte del capitano di corvetta Natale De Grazia. Riguarda quello che è stato fatto dopo quel 13 dicembre per scoprire se davvero è deceduto per cause naturali come riporta il referto oppure no.
La diagnosi del medico legale che ne constata il decesso è arresto cardio-circolatorio. Eccolo di nuovo: “strano”! Aveva 37 anni e il suo fisico era integro e in perfetto stato.
Viene ordinata l’autopsia. A questo punto nei romanzi gialli il mistero si dirada e i colpevoli saltano fuori. Ma non è questo il caso perché l’autopsia non rivela nulla di particolare, anche se immagino che il sospetto di un avvelenamento durante quella cena sia forte in chiunque abbia seguito il racconto fino ad ora.
Vediamo come sono andate le cose.
Il primo esame viene svolto il 19 dicembre 1995, sei giorni dopo la morte del capitano. E’ il sostituto procuratore Cinzia Apicella a disporlo e la dottoressa Del Vecchio ad eseguirlo. Ed è lei che traccia la prima sentenza: morte naturale, probabilmente dovuta ad un arresto cardiaco improvviso, dovuto ad una ischemia del miocardio con conseguenti gravi turbe cardiache. Insomma una morte improvvisa tipica di persona adulta. Ma Natale De Grazia è un uomo giovane, per di più militare e come tale soggetto a frequenti visite mediche, durante le quali mai era stata riscontrata una qualsiasi patologia cardiaca.
Anche la famiglia vuole vederci chiaro e affida ad un altro medico legale, il dott. Asmundo, una verifica. Ma il risultato non cambia di molto. La causa remota supposta potrebbe essere stata un superlavoro conclusosi con un accidente cardiaco.
Proprio le riserve della famiglia portano ad una seconda perizia, svolta un anno e mezzo dopo la prima, nell’aprile del 1997, una equipe di medici, tra i quali ancora la dottoressa Del Vecchio, sono incaricati di indagare sulla presenza di agenti chimico-tossici nell’organismo del capitano. Anche in questo caso, le considerazioni medico-legali escluderanno "la presenza di sostanze tossiche di natura esogena nei campioni esaminati". Negativa risulterà anche la ricerca di arsenico nei capelli e nel fegato. La conclusione è la medesima di un anno e mezzo prima: "Si ritiene, anche alla luce delle ulteriori indagini di laboratorio eseguite che la causa della morte del Capitano De Grazia Natale sia da ricondurre ad un evento naturale tipo ‘morte improvvisa dell'adulto’, come già ci esprimemmo in merito nella precedente relazione di consulenza tecnica medico-legale affidataci".
E il discorso sembra chiuso qui.
puntata3 07Noi facciamo solo una timida domanda: come mai un secondo esame che dovrebbe controllare la bontà del precedente, viene affidato alla stessa dottoressa Del Vecchio?
Quindici anni dopo, siamo alla fine del 2012, la Commissione Parlamentare che indaga sulle attività illecite collegate al ciclo dei rifiuti, richiede una ulteriore perizia. La commissione è presieduta da Gaetano Pecorella, ex PDL poi passato al gruppo che fa riferimento a Mario Monti.
Il perito incaricato è Giovanni Arcudi, 67 anni, titolare della cattedra di Medicina legale all'università' romana di Tor Vergata e docente alla Scuola ufficiali dei carabinieri. Ovviamente non è nemmeno il caso di riesumare la salma che non darebbe ulteriori apporti, per cui si può solo ripercorrere il lavoro dei medici di allora e riesaminare i reperti istologici.
Una lunga relazione viene fornita alla commissione. Si può trovare in rete facilmente. In essa si dichiara l’impotenza del medico nei confronti di conclusioni sul presunto avvelenamento del capitano, ma si traggono alcune conclusioni davvero inquietanti.
Primo. L'indagine medico legale condotta dalla Dott.ssa Del Vecchio si è conclusa con una diagnosi di morte improvvisa dell'adulto, facendo intendere che vi fossero in quel quadro anatomico ed istopatologico elementi concreti che potevano ben sostenere detta diagnosi. Ma non c’è nulla nella relazione delle precedenti autopsie che possa validare la conclusione di una morte improvvisa dell’adulto. La conclusione della dottoressa Del Vecchio dunque non corrisponde alla verità scientifica. Diciamolo meglio: la conclusione dell’autopsia è in contrasto con quanto la stessa dottoressa scrive nelle pagine precedenti.
Secondo. Ci sono le testimonianze dei suoi compagni di viaggio. De Grazia si era addormentato subito dopo essere risalito in macchina e russava in modo strano. Ad un certo punto reclina la testa sulla spalla e per questo viene scosso. Lui reagisce sollevando il capo senza svegliarsi e senza dire niente se non un suono indefinito. Poco dopo reclina ancora la testa e non risponde più alle sollecitazioni.
E questo modo di morire, conclude il professor Arcudi, non ha nulla a che fare con una questione cardiaca: mancano infatti i segni e le reazioni (come il dolore) che normalmente accompagnano un attacco cardiaco.
Tutte le manifestazioni osservate invece si accordano bene con una progressiva crisi delle funzioni del sistema nervoso centrale. Questa può avvenire in caso di incidenti cerebrovascolari, esclusi però dalle autopsie precedenti. L’unica causa che rimane è quella tossica. Quale essa potrà essere stata, se c’è stata, ormai non lo si può più accertare.
E’ chiaro che, anche se questo referto non conclude il giallo, porta però elementi inquietanti e toglie quella sicurezza sulla morte naturale di Natale che fino ad allora era data per assodata.
Nel febbraio 2013 la commissione Pecorella arriva alla conclusione. Su questo argomento scrive:
Non è compito di questa Commissione pronunciare sentenze né sciogliere nodi di competenza dell'autorità giudiziaria, tuttavia non si può non segnalare che la morte del capitano De Grazia si inscrive tra i misteri irrisolti del nostro Paese.”
Già, una morte misteriosa, un caso irrisolto, come per altri morti violente: Graziella De Palo e Italo Toni, in Libano nel 1980; Ilaria Alpi e Miran Hrovatin a Mogadiscio nel 1994, Mino Pecorelli nel 1979, come Antonio Russo nel 2000, e tanti altri, troppi altri che se ne sono andati in modo misterioso avendo come unica colpa quella di cercare la verità.

C’è dell’altro?

Certo questa vicenda è uno scandalo enorme, perché coinvolge un po’ tutti e, soprattutto, perché l’affondamento delle navi procura danni alle popolazioni locali, che vedono aumentare il rischio di tumori e altre malattie, oltre che rendere il mare una vera e propria pattumiera.
Ma c’è molto altro che succede in quegli anni e che fa dell’Italia il ricettacolo delle schifezze di organizzazioni nazionali e internazionali, di aziende che trattano materiali radioattivi o comunque sostanze pericolose e tossiche.
Vorrei riprendere le deposizioni del pentito Fonti, di cui vi ho parlato a lungo all’inizio di questa puntata. Lo faccio non perché non basti quello che ho già detto, ma perché si capisca la vastità degli interessi in gioco.
Ed inoltre, ricordiamo che racconto qui solo le vicende che Fonti conosce, che sono poi quelle della ‘ndrina di San Luca. E dunque le vicende vanno moltiplicate per tutte le famiglie attive sul territorio. Insomma questo racconto è decisamente all’acqua di rose, come volume d’affari (chiamiamoli così).
puntata3 08La scorsa volta avevamo incontrato un personaggio curioso, il dottor Tommaso Candelieri dell'Enea di Rotondella. Si tratta di un comune in provincia di Matera, in Basilicata. Qui sorge uno dei centri nucleari italiani, che all’epoca era destinato alla ricerca di nuove tecnologie nucleari, in particolare alla conservazione e al ritrattamento del combustibile nucleare derivato da un ciclo torio-uranio. Oggi il centro è affidato alla SOGIN, l’azienda incaricata della dismissione di tutti i residui nucleari italiani.
Dunque il dottor Tommaso stocca in quel periodo rifiuti decisamente pericolosi, che però provengono da ogni parte e non solo dall’Italia. Arrivano, da Svizzera, Francia, Germania e Stati Uniti. In quel preciso momento ha l'esigenza di far sparire una certa quantità di materiale.
Nel 1992, Fonti si presenta a Candelieri chiedendo se c’è del lavoro. “Il lavoro in questo settore non manca mai” risponde il dottore dell’ENEA.
Questa volta si tratta di mille bidoni di rifiuti tossici e radioattivi. Ci sono fanghi e rifiuti ospedalieri, ossido di uranio, cesio e stronzio, il tutto contenuto in fusti che a loro volta sono sistemati in 20 container lunghi 25 metri e alti 6 di proprietà della società Merzario Marittima, che tra l'altro controllava per conto delle autorità somale l'ingresso delle navi nel porto nuovo di Mogadiscio.
Ho già sottolineato nelle precedenti puntate di fare mente locale alle dimensioni dei container. La stanza in cui siete probabilmente misura 4x4x2,70 e contiene quindi un volume circa 10 volte inferiore a quello di uno solo di quei container.
Uno dei personaggi che entrano nell’affare è il sedicente conte di Piacenza Mirko Martini.  Questo si rivelerà essere un uomo dei servizi segreti italiani, ammanicato con la CIA e intimo del presidente ad interim della Somalia Ali Mahdi, per il quale ha in ballo un grosso affare per la consegna di una notevole quantità di armi. Si tratta di 75 casse di kalashnikov, 25 casse di munizioni e 30 casse di mitragliette Uzi. Arrivano dall’Ucraina sulla nave Jadran Express a Trieste, qui caricate su camion e portate a La Spezia da Fonti, parcheggiate in un capannone dal quale devono poi proseguire per l’imbarcazione, la Mohamuud Harbi.
Nel frattempo Fonti organizza il trasporto dei rifiuti; oltre ai container ci sono i rifiuti dell’ENEA, che arrivano al porto di Livorno su 20 camion. La nave che deve portarli in Somalia è la Osman Raghe. Le due navi partono e arrivano assieme a Mogadiscio.  E’ l’inizio di febbraio 1993.
In Somalia, lo abbiamo già incontrato in precedenza, c’è Giancarlo Marocchino, factotum e uomo molto potente nel paese africano. É un amico di Mirko Martini e, come si saprà più avanti, sostenuto nelle sue azioni dai Servizi segreti italiani (come lui stesso affermerà più avanti, ma questa è storia che scopriremo leggendo le pagine desecretate tra qualche puntata).
Ricorderete che ne abbiamo parlato come il referente del gruppo Bizzio in Somalia, quello che ha denunciato il pentito Sebri facendolo condannare per calunnia.
E, mentre le armi viaggiano verso Ali Mahdi, i rifiuti vengono trasferiti in diversi punti, ma sempre nella regione attorno alla città di Bosaso, che si trova all’estremo nord del paese. Un’altra parte finisce invece a Sud, vicino al confine con il Kenia. L’operazione fila liscia e costa a Candelieri:
  • 1,2 miliardi di lire per l’organizzazione somala
  • 8,8 miliardi vanno a Fonti che li distribuisce ai suoi contatti (Martini ne prende 350 milioni, Marocchino 400). Il resto alla famiglia Romeo di San Luca.
C’è da sottolineare che questa operazione costa all’organizzatore Candelieri 10 miliardi di lire, più o meno cinque milioni di euro. Si può immaginare facilmente quanto denaro uscisse dalle casse delle società e delle amministrazioni che quei rifiuti avevano prodotto e dovevano smaltire.
Come detto, questo racconto va moltiplicato per un numero abbastanza grande. Negli anni 80 molti governi affidavano a faccendieri più o meno disonesti lo smaltimento dei rifiuti pericolosi perché non sapevano dove metterli. Uno dei personaggi ricordati da Fonti nel suo memoriale è l’ingegner Giorgio Comerio, di cui ho detto poco fa. Comerio, nella zona dei Balcani, traffica in armi di qualunque tipo. Fonti lo incontra nel Montenegro in un ristorante nel 1993. Con lui fa alcuni affari riguardanti le armi, che, grazie a lui, compra dalla tedesca Thyssen per rivenderla agli ustascia jugoslavi. Per capire chi è Comerio a Fonti vengono offerti 75 aerei russi da rivendere.  Quegli aerei sarebbero finiti poi in Liberia, passando da un faccendiere ukraino.
Gli affari con Comerio continuano.
Nel 1995 una grossa partita di niobio, materiale usato nella costruzione dei reattori nucleari, viene portato in Sierra Leone per 250 milioni di lire.
Comerio racconta a Fonti dei suoi buoni rapporti con la famiglia Iamonte di Melito Porto Salvo, che lo aveva aiutato, dagli anni 80 in poi, nell'affondamento di navi cariche di rifiuti tossici e radioattivi in acque internazionali davanti alla costa ionica calabrese.
In particolare Fonti riferisce il caso della nave Rigel. Leggiamo dal suo memoriale ...
“Comerio mi spiegò che affondava navi cariche di rifiuti pericolosi per ottenere un doppio guadagno, sia da parte di chi commissionava il trasporto, sia da parte dell'assicurazione che veniva frodata. Le sue parole mi sono state poi confermate dallo stesso Iamonte, il quale mi ha spiegato come Comerio gli avesse chiesto di fornirgli il personale di bordo per l'affondamento della Riegel, la nave della società May Fair Shipping di Malta, noleggiata dalla Fjord Tanker Shipping, a sua volta noleggiata a un'altra ditta di cui non ricordo il nome, mandata a picco nel settembre del 1987 davanti a Capo Spartivento. Iamonte mi disse che l'affondamento era avvenuto 25 miglia fuori dalle acque territoriali. La 'ndrangheta aveva fornito il capitano e il suo aiuto italiano, mentre il resto dell'equipaggio veniva da varie nazioni. Sempre Iamonte ha fatto partire un motoscafo dalla costa con i candelotti di dinamite per mandare a picco la Riegel, dopodiché il capitano e l'aiuto sono stati riportati sulla costa di Capo Spartivento, mentre l'equipaggio è stato prelevato dalla nave jugoslava Karpen collocata in zona, che l'ha portato in Tunisia".
Ma anche la famiglia di San Luca è attiva nel settore. Si accordano con la società di navigazione Ignazio Messina. Fonti organizza l’affondamento della Yvonne A, della Voriais Sporadais e della Cunski, da cui tutto il nostro discorso è cominciato.
Le operazioni sono semplicissime; le navi al largo della costa vengono raggiunte da motoscafi che piazzano l’esplosivo, caricano l’equipaggio e se ne vanno. Gli uomini vengono poi spediti in treno al Nord e chi s’è visto s’è visto. L’incasso è di 150 milioni per nave. Il carico della Cunski sono 120 bidoni di scorie radioattive!
Fonti fornisce l’esatta ubicazione dell’affondamento, che coincide al centimetro con il luogo in cui è stato localizzato il relitto. Già, le navi inabissate e i rifiuti. E poi le armi e tutto il resto. Sembra fin troppo facile che un simile sistema malavitoso se la cavi sempre e comunque e che le condanne riguardino solo persone coinvolte marginalmente: armatori, fornitori, guardie di controllo nei porti. Mai e poi mai saltano fuori gli esecutori o, peggio ancora, i mandanti. E quando qualcuno si avvicina abbastanza alla verità, come Natale De Grazia, farlo fuori è questione di un attimo, grazie ad una organizzazione incredibilmente estesa ed efficiente.
puntata3 09Quello che sappiamo sulla vicenda è basata, almeno per ora, sulle parole dei pentiti, in particolare di Francesco Fonti. É interessante leggere i documenti della camera dei deputati che riportano le inchieste, gli interrogatori, anche le considerazioni di esperti. Questi documenti sono pubblici; ognuno vi può accedere basta cercare all’interno dei siti delle nostre istituzioni. Perché quasi nessuno lo fa? In parte perché la gente non sa di questa possibilità, in larga parte perché se ne frega, ritenendo inutile scoprire quanto marcio sia piovuto sulla popolazione italiana e continui a piovere. L’organizzazione sociale è fatta apposta per dare concretezza alla famosa frase: ti tirano merda e dicono che piove.
Ma torniamo ai documenti. In alcuni di questi le dichiarazioni di Fonti sembrano confuse.  Ma la storia, nel suo insieme sembra reggere e non è un caso se quelle affermazioni sono state messe alla base di numerose indagini.
Io continuo ad insistere sul fatto che sto raccontando una storia e che le testimonianze dei pentiti nel fanno parte, così come la documentazione desecretata qualche anno fa, di cui parleremo a lungo in una delle prossime puntate.
Ho già raccontato molto delle dichiarazioni di Fonti, ma qualcosa da aggiungere c’è ancora. Ad esempio il fatto che le famiglie camorriste avevano le coperture necessarie, anche politiche, per non avere fastidi. In particolare la famiglia di San Luca (quella cui appartiene Fonti) aveva rapporti diretti con i Servizi Segreti. Il boss Giuseppe Nirta, fin dagli anni ’80 era in contatto con collaboratori del SISMI (il servizio segreto militare). I nomi coinvolti, secondo il pentito, sono quelli di Giorgio Giovannini e Giovanni Di Stefano. Sono questi due a chiedere alla famiglia di San Luca se erano disposti a fornire manodopera per trasportare rifiuti tossici e radioattivi in Somalia per conto di aziende italiane. Ecco dunque il giro. Le aziende non si rivolgono direttamente alla ‘ndrangheta, ma fanno intervenire le istituzioni dello stato. Secondo Fonti anche Craxi era al corrente della cosa, ma non la seguiva personalmente, lasciando mano libera ai Servizi.
Per l’affare con l’Enea di Rotondella, la famiglia Romeo (che guidava la ‘ndrina di San Luca) ha l’appoggio di Francesco Corneli, uomo vicino al Sisde (il servizio civile), che garantisce le opportune coperture al porto di Livorno e La Spezia. Nel 1993 Corneli chiede a Fonti di caricare sulla nave, in partenza da La Spezia per la Somalia, alcune casse di armi che dovevano essere consegnate a Giancarlo Marocchino.
Altre informazioni piovono su uno dei politici più discussi dell’epoca, il veneziano Gianni De Michelis. Fonti racconta di aver parlato di armi e rifiuti con l’onorevole, il quale sostiene che la ‘ndrangheta è solo un aiuto per comodità, ma che avrebbero potuto fare il tutto per proprio conto. Insomma, secondo questa versione, De Michelis muoveva le fila, mettendo direttamente in contatti Pilitteri con la famiglia di San Luca. Ancora una pausa e poi concludiamo.

I politici socialisti

E gli altri politici? Ecco cosa scrive Fonti. Aperte virgolette.
"Anche nel 1993 il business con l'Enea coinvolse Corneli. Anche questa volta ci fornì la protezione, sia al porto di La Spezia sia a quello di Livorno. Inoltre Corneli mi chiese di caricare sulla nave che partiva da La Spezia per la Somalia alcune casse di armi che dovevano essere recapitate a Giancarlo Marocchino. In seguito sono stato arrestato, ma i rapporti tra servizi segreti e la mia famiglia della 'ndrangheta sono continuati, come d'altronde sono sempre stati costanti quelli con la politica. Cito per esempio l'incontro che ebbi nel dicembre 1992 al ristorante Villa Luppis a Pasiano di Pordenone con l'ex ministro degli Esteri Gianni De Michelis, che come ho spiegato alla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria già conoscevo bene. Io partii in auto da Milano con Consolato Ferraro, rappresentante della 'ndrangheta reggina per la Lombardia, e quando arrivammo ci sedemmo a tavola con De Michelis e Attilio Bressan, un imprenditore del luogo che avevo già conosciuto in precedenza ed era molto amico del ministro. De Michelis faceva lo spiritoso, diceva che senza i politici noi della mGianni De Michelisalavita non saremmo esistiti, e che se la politica avesse voluto spazzarci via lo avrebbe fatto senza problemi. Diceva così perché quell'anno c'erano stati gli omicidi di Falcone e Borsellino, ed era stata modificata la cosiddetta legge sui pentiti. Lui diceva che se anche questi pentiti avessero svelato fatti legati alla politica, sarebbe stato un boomerang, in quanto i politici si sarebbero comunque tirati fuori e si sarebbero vendicati. Inoltre parlai con De Michelis di Somalia, armi e rifiuti. Lui sosteneva che i politici avrebbero potuto trasportare qualunque cosa anche senza la collaborazione della 'ndrangheta, e che ci usavano per comodità. Io gli risposi che era vero quello che diceva, ma era vero anche che i politici si potevano sedere in Parlamento grazie ai nostri voti".
"In quell'incontro" - continua l'ex boss - "si è poi parlato di investimenti che la famiglia di San Luca voleva fare a Milano. De Michelis disse che se avevamo bisogno di comprare locali, potevamo rivolgerci a Paolo Pillitteri, e così facemmo. Fu deciso nel corso di una riunione tra vari boss che avvenne subito dopo a Milano nel ristorante 'Pierrot', in zona Ripamonti, alla quale partecipai anch'io. In quell'occasione Antonio Papalia, rappresentante della 'ndrangheta zona aspromontana in Lombardia, si offrì di presentarci Pillitteri, con cui aveva già concluso affari. La presentazione avvenne nel suo ufficio di piazza Duomo e oltre a Papalia c'eravamo io, Stefano Romeo e Giuseppe Giorgi. Grazie ai buoni uffici di Pillitteri, la famiglia di San Luca ha perfezionato l'acquisto di un bar in Galleria Vittorio Emanuele, che poi è stato sequestrato proprio perché comprato con soldi sporchi, quello di un altro bar in via Fabio Filzi e di altri locali dei quali ho sentito parlare ma che non ho seguito direttamente".
Arriviamo così al 1994, anno in cui Fonti comincia a collaborare con la giustizia, precisamente con la direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria; entra quindi nella protezione testimoni, da cui esce volontariamente nel 1999.
Nel 2009 viene interrogato di nuovo e Fonti fa il nome di un esponente della Democrazia Cristiana, Riccardo Misasi, il quale sarebbe stato quello che decideva se le scorie radioattive dovevano finire in territorio italiano o straniero. Così rientra nuovamente nella protezione testimoni. L’11 marzo 2010 viene trovata nel golfo di Lamezia una nuova nave affondata: è una di quelle di cui ha raccontato Fonti.
Muore di malattia nel dicembre 2012. In questo caso non si può certo dire che si è portato i segreti di cui era a conoscenza nella tomba.

Conclusione

Questa è la storia del boss Francesco Fonti. Come ho detto più volte, possiamo farci affidamento oppure no. Ma lui sembra essere presente sulla scena di un sacco di cose strane: i rifiuti e le armi, l’inabissamento delle navi dei veleni e l’esportazione di rifiuti pericolosi negli stati africani. Addirittura nell’affare Moro, scoprendo con facilità il luogo segreto in cui è detenuto, ma venendo poi a sapere che i politici quell’informazione non la vogliono più.
É un intreccio pazzesco, con protagonisti che non dovrebbero esserci, rappresentando spesso chi dovrebbe tutelare la popolazione.
Ancora una volta rimaniamo schifati dai connubi tra politica, amministrazioni, servizi e malavita. Ci sarebbe da dire: “speriamo che oggi non sia più così”, ma a leggere queste vicende per raccontarle in radio ci si crede sempre meno.