Premessa

serra01In questi giorni è arrivata una notizia importante, anche se dubito che la maggior parte delle persone ne sia a conoscenza. La NOAA, Amministrazione nazionale atmosferica e oceanica, con dati raccolti all’osservatorio Mauna Loa nelle Hawaii, ha comunicato il 3 giugno che la quantità di anidride carbonica in atmosfera è di 421 parti per milione, un valore che ha oltrepassato, per la prima volta, quello che veniva considerato il limite estremo da non superare assolutamente. Questa notizia mi ha indotto a proporre una riflessione su come il nostro pianeta si è venuto sviluppando e popolando. Su quali guasti la popolazione ha combinato e perché oggi questa notizia è così drammatica.

Introduzione (poi veniamo al tema)

L’estate si sta avvicinando a grandi passi, la temperatura ha raggiunto valori molto elevati e, almeno dalle mie parti, un’umidità molto grande ci fa soffrire ancor di più per via della scarsa traspirazione e quindi del raffrescamento naturale che la sudorazione ci regala.
Scusate ma sono caduto, senza volerlo, in vecchie nozioni di fisica, che appartengono all’altra mia vita, ormai terminata da un pezzo.

Introduzione

cerro01Questo articolo ci porta in America Latina e precisamente in Perù. Siamo nella seconda città più alta al mondo, a circa 4500 metri sul livello del mare. Si chiama Cerro de Pasco, 70 mila abitanti, e la sua caratteristica principale è di essere letteralmente appoggiata ad una enorme miniera a cielo aperto, dalla quale vengono estratti metalli. É lunga 3 km e profonda 500 metri e la sua estensione rischia letteralmente di mangiarsi la città, facendola sprofondare. Ma non c’è solo questo.
In rete ci sono innumerevoli filmati, interviste, commenti sulla situazione di Cerro de Pasco. Ho cercato quelle dirette, quelle pubblicate dai telegiornali peruviani o da commentatori indipendenti. Il risultato è quanto segue.
Vorrei cominciare con il notiziario di una televisione peruviana che risale al 2019, prima quindi della pandemia, così da avere il polso della situazione in condizioni, passatemi il termine, “normali”. La traduzione è mia ed è piuttosto libera, ma riflette perfettamente il senso del servizio.
A quasi 4500 metri sul livello del mare sopravvive una città che per quattro secoli imprese private e pubbliche hanno estratto minerali senza standard ambientali adeguati. Qui un’enorme miniera a cielo aperto sembra divorare la città e inquinare l’ambiente circostante. I contaminanti prodotti dall’attività mineraria sembrano ergersi come muraglie insuperabili.

Consumare gas senza inquinare: si può?

ccs1In questi anni diventa sempre più evidente che l’abbandono delle fonti fossili sia un passaggio obbligato nella lotta all’emergenza climatica. Il fatto è che le decisioni in merito sono state prese così tardi che quella che tutti oggi chiamano transizione energetica appare sempre più come una bella favola, senza alcun supporto realistico.
In sostanza, se togliamo le attività supportate dalle fonti fossili, sostenere l’economia mondiale attuale è impresa impossibile. Se, per di più, consideriamo che enormi paesi emergenti (Cina e India su tutti) stanno crescendo come consumi interni in maniera davvero importante, si capisce che abbandonare il petrolio, il gas e, proprio nel caso dei due paesi asiatici citati, il carbone, è impossibile.
Come fare allora, per mantenere validi i principi della lotta all’emergenza climatica e, contemporaneamente, continuare ad usare, magari in misura minore rispetto a prima, le fonti fossili?
É un bel problema, la cui soluzione sembra non esistere. In effetti da un lato sappiamo che i problemi climatici sono legati alla presenza troppo massiccia di gas serra, soprattutto anidride carbonica, nell’atmosfera. Ormai si sono raggiunte le 420 parti per milione, un valore che non si osservava da migliaia di anni. La crescita della concentrazione di CO2 corrisponde alla crescita della produzione e, di conseguenza, del consumo, in ogni angolo del pianeta. Dall’altro, per mantenere un’economia come quella attuale, occorre bruciare combustibili fossili. Così, il risultato è una sempre maggiore emissione di gas serra. Insomma si tratta di due eventi incompatibili.

A tutto gas

Cerchiamo di capire come, da chi e quanto gas arriva oggi, si intende prima del conflitto in Ucraina, in Italia per il nostro consumo.
Userò i dati forniti dal Ministero dello sviluppo economico, riferiti al 2020, l’ultimo anno di cui possiedo i valori completi.
Proviamo a cominciare dall’inizio. Quanto gas ci serve per tutte le cose che abbiamo?
Nel 2020 ne abbiamo consumato circa 70 miliardi di metri cubi: 4,1 sono stati estratti in Italia, il resto proviene dall’estero. Dunque dipendiamo per il 94% dalle forniture che compriamo da altri paesi.
Non deve stupire questa cifra così alta. Non siamo un paese che abbonda di materie prime nemmeno in molti altri settori.
La maggior parte dell’importazione arriva dalla Russia, poco più del 40%. É anche vero che nel 2021 questa quota è diminuita, essendo aumentata quella proveniente dal Nord Africa, soprattutto dall’Algeria e dall’Azerbabaijan, con la messa in funzione del TAP, il gasdotto trans-adriatico.

gretaQuesto è un video postato da Greta Thunberg nella primavera scorsa sulla sua pagina Facebook. Si può essere d'accordo o meno con le sue azioni e i suoi pensieri (io lo sono), ma quanto affermato è interessante e merita di essere visto. A seguire il filmato e la traduzione di quanto Greta dice.

Oggi vi voglio raccontare una di quelle storie, storie di uomini e donne, che hanno saputo prendere quello che di buono il pianeta è ancora in grado di offrire e di aumentarne la portata, condividendolo con tutto il popolo della zona in cui queste persone, queste associazioni e queste aziende operano. É, per farla breve, in questo periodo di incertezza sanitaria causata dal Corona Virus, una boccata di aria buona, in un clima così triste.
Di azioni positive in questo senso possiamo contarne moltissime. Spesso però non arrivano alle orecchie della gente comune o perché è meglio non si sappia che ci sono modi alternativi a quello delle multinazionali di far girare l’economia o perché sono confinate in zone del mondo che non hanno lo stesso appeal degli stati che ci sono vicini. Ed è sicuramente più semplice parlare delle partite di calcio che dei vantaggi che un’idea, per geniale che sia, sa produrre.
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Funghi shiitake e flusso a cascata

Mi piacciono i funghi. Mi piace preparare con essi un buon sugo per il risotto o anche solo cucinarli come contorno o usarli per una succulenta frittata.
Dunque, al supermercato o dal verduraio mi piace comprarli. L’altro giorno, per puro caso, trovo una confezione di funghi che assomigliano come colore e forma ai porcini, ma porcini proprio non sono. Leggo sulla confezione … Shiitake e sobbalzo. È la prima volta che incontro questo prodotto in Italia. Ora, uno potrà darmi dello sciocco: sono solo funghi cosa ci sarà mai di tanto strano?Shiitake
Il fatto è che quella specie di funghi, la più diffusa nel mondo grazie alla quantità enorme venduta in Oriente, è stata resa famosissima da un libro che, proprio qui a Noncicredo, ho raccontato diverse volte. Il libro si chiama “Blue Economy”, è stato scritto da Gunter Pauli e mostra centinaia di esempi di come, imparando dalla natura sia possibile costruire processi produttivi a impatto zero. Il trucco, se così si può chiamare, è semplice: sta nei cosiddetti flussi a cascata. Troppo complicato? Cercherò di fare un esempio, proprio coi funghi di cui sopra.

Andar per boschi in una giornata di sole, gustare il fresco che l’ombra di quel luogo sa regalarci, assorbire profondamente l’odore della resina, percepire qua e là l’odore dei funghi spuntati la notte. Ascoltare il tintinnio di quel torrentello nascosto dalle larghe foglie delle piante acquatiche che indicano all’acqua il percorso da seguire. Chi mai potrebbe non provare un senso di gratitudine alla natura per tutto questo?
BoscoSe poi ci soffermiamo a pensare anche all’utilità sociale che quel che ci circonda offre, emergono altri pregi: il legname, che, responsabilmente, può essere usato per mille ragioni; il rifugio offerto a molte specie animali e vegetali, le quali tutte assieme costituiscono quella biodiversità di cui oggi cominciamo a sentire la carenza. E poi, ma solo ce pensiamo bene, tutte quelle piante sono responsabili della nostra sopravvivenza. Sono quelle che ci offrono l’ossigeno che, per loro è una schifezza da buttare, per noi è invece il solo motivo a tenerci vivi su questo pianeta.
E torna, quella stessa domanda: “Chi mai potrebbe voler male ad un bosco!”.
In questo blog ho raccontato una storia incredibile, accaduta molti anni fa (addirittura secoli fa) ma che è istruttiva di come una società che si basi su principi sbagliati possa fare una brutta fine. È la storia di Rapa Nui, l’Isola di Pasqua, che non ripeterò, perché la trovate qui (link).

Questa è una storia vera, una storia storica insomma, scritta sui libri di testo … beh non quelli che ci hanno propinato a scuola, ma comunque su altri libri.
La storia riguarda un’isola, Rapa Nui, che nel dialetto del luogo significa “grande roccia”, probabilmente perché è il solo enorme scoglio circondato da migliaia di miglia di oceano. Gli spagnoli, i primi occidentali a visitarla la chiamarono Isla de Pascua e noi oggi la conosciamo come Isola di Pasqua
Rapa Nui Rapa Nui è un’isola sperduta in mezzo all’Oceano Pacifico. Oggi è territorio cileno, anche se la terra madre è distante 3600 km, un po’ come se l’Italia avesse un possedimento nell’estrema punta Nord della Norvegia o in Nigeria.
L’isola viene colonizzata attorno al 400 d. C. da una popolazione proveniente dalla Polinesia. Può sembrare incredibile il viaggio intrapreso da questi navigatori dal momento che la Polinesia si trova ad oltre 4000 km di distanza. Ma le ricerche effettuate sui reperti, sul modo di costruire le grandi zattere che potevano affrontare i pericoli del mare, sul DNA tratto dalle ossa dei cadaveri, trovate nel sottosuolo (e non solo come vedremo), le informazioni sul linguaggio, non lasciano dubbi. Negli ultimi 100 anni sono state raccolte informazioni sufficienti per essere ragionevolmente sicuri che gli abitanti di Rapa Nui sono di origine polinesiana. E così, non si sa certo per quale motivo, probabilmente perché in fuga dal loro paese, questi incredibili marinai attraversano 4 mila km di oceano per approdare all’isola più isolata del mondo. Qualcuno ha scritto che la terra più vicina a Rapa Nui è la Luna.

Ma che freddo fa

Con questo intervento, cerco di chiarire alcune questioni riguardanti il clima che è cambiato e sta sempre più cambiando. Cercherò anche di sfatare alcune leggende, che qualcuno cavalca, usando frasi ad effetto per i poveri di spirito, abituati alle informazioni social che non si sa bene da dove arrivino.
Ho già spiegato come mai, durante il lockdown la quantità di CO2 presente in atmosfera non è diminuita, ma è anzi aumentata. Non voglio ripetere tutto il discorso, ma mi sembra piuttosto chiaro che la quantità enorme di questo gas nella nostra aria non può essere spazzato via da una riduzione delle attività inquinanti (uso questo termine forse non precisissimo per semplificare il discorso). Ridurre infatti non vuol dire affatto togliere dall’atmosfera la CO2, significa solo che ne abbiamo immessa un po’ di meno. Secondo gli esperti, se l’uomo smettesse oggi di immettere gas serra in atmosfera, ci vorranno un sacco di secoli, forse mille anni per avere l’aria pulita. E con questo credo che il discorso sia chiuso.

CarneE adesso parliamo di mangiare. No, non voglio darvi le ricette dello stufato o della torta di carote, ma di dieta e di come una dieta possa incidere sulla quantità di emissioni inviate in atmosfera. Dunque, attenzione, perché siamo tutti coinvolti, attenzione a quello che abbiamo sulla nostra tavola ogni volta che ci sediamo per un pasto.
Voglio subito dire che qui non ho alcuna intenzione di entrare nel mondo dei vegetariani e tanto meno dei vegani, i quali professano una specie di religione fatta di regole molto rigide. Niente di tutto questo. Seguitemi e capirete.
Come sempre, mi affido ad uno studio recente, condotto da un team di studiosi dell’Università Statale dell’Oregon negli Stati Uniti. Vi hanno collaborato anche scienziati e ricercatori della New York University e di Harvard, uno dei centri universitari più conosciuti e famosi degli Stati Uniti, che si trova in Massacchussets. Insomma una ricerca seria. É stata pubblicata il 7 settembre 2020 dalla rivista Nature, un altro totem dell’ambientalismo moderno.
Le credenziali per dare un’occhiata interessata a questo documento ci sono tutte. Cercherò di riassumere le tre fitte pagine, in inglese, presenti nel dossier.

Non so se qualcuno di voi ha già sentito il termine “event attribution science”. Non vi preoccupate, si tratta di un ramo della scienza piuttosto recente e molto interessante. Mi scuso se sarò un pochino pedante, ribadendo alcuni concetti che, chi mi segue, avrà letto ormai molte volte, ma qui serve proprio, per poi capire meglio di cosa sto parlando.
meteoclimaCominciamo dunque con il dire che clima e tempo (o meteo se preferite) non sono affatto la stessa cosa. Certo sono collegati o correlati come dicono quelli che sanno. Il clima descrive i modelli meteorologici per lunghi periodi di tempo e quindi riguarda anche quello che succede oltre le nuvole: le grandi correnti d’aria come “el Ninho”, che riscalda le acque degli oceani e le correnti marine come quella del golfo, che trasporta calore dal golfo del Messico fino alle regioni nordiche verso l’Artico.
Il tempo si riferisce, invece, ad eventi specifici, come giornate calde o temporali. Insomma se volete fare un picnic il prossimo weekend, dovrete preoccuparvi del meteo, del tempo, non del clima in generale, anche se, come vedremo, quest’ultimo influenza, eccome, la nostra possibilità di starcene tranquilli in mezzo ad un prato.
Questa sera parliamo di condizioni climatiche estreme. Di cosa si tratta?

Se le nostre strade sono piene di puttane è perché ci sono i puttanieri. Se la società è piena di spacciatori di droga è perché ci sono i drogati. Vale lo stesso discorso per qualunque relazione tra domanda ed offerta. Se la domanda cala, deve per forza calare anche l'offerta e quindi la produzione. Vale anche per la carne, come dice questo breve filmato di Milena Gabanelli.

Introduzione

Puntiamo l’attenzione sul paese che più di ogni altro ha fatto della produzione di energia elettrica da fissione una bandiera, gli Stati Uniti d’America. Nonostante la percentuale di tale energia non sia paragonabile, ad esempio, a quella francese, raccontare le vicende statunitensi ha senso in quanto si tratta del paese tecnologicamente più avanzato e anche più ricco, Cina permettendo, quindi quello che più di ogni altro sembra essere in grado di risolvere i problemi collegati al cosiddetto nucleare civile.
In fondo la questione assomiglia molto da vicino alla nostra, vale a dire al fatto che nessuno oggi sa come e dove realizzare quel deposito nazionale delle scorie radioattive che permettano di tenere al sicuro cesio, plutonio, stronzio e tutto il resto delle schifezze che restano dal processo di fissione dell’Uranio.
Gli americani avevano individuato alcune aree di stoccaggio, una per i materiali meno pericolosi (si fa per dire), a Carlsbad nel New Mexico, il secondo a Hanford (stato di Washington) e il terzo in Nevada, all'interno di una montagna, l'ormai celebre Yucca Mountain. Vediamo come sono andate le cose.

Documentario francese del 2015: giovani cineasti sono andati in giro per il mondo in cerca di buone pratiche che possano aiutare a salvaguardare l'ambiente e a migliorare le condizioni sociali in cui l'uomo vive.

FrackingParlando del gas di scisto, lo shale gas come lo chiamano gli anglofoni, ho sempre sottolineato due aspetti che ritengo essere i più importanti per capire di cosa stiamo parlando.
Il primo è il fatto che l’estrazione di questa fonte fossile non convenzionale è un modo per risolvere in parte la crisi delle risorse primarie di energia, specie in paesi, come gli USA, in cui è enormemente più forte la spinta a produrre e consumare che quella a conservare l’ambiente per le generazioni future.
Fanculo la sostenibilità dunque a favore di imprese, multinazionali e lobby varie.
Il secondo aspetto è invece quello legato agli effetti che il metodo di estrazione dello shale gas ha sull’ambiente e di conseguenza sulla salute dei cittadini. Ho spiegato molte volte come tutto questo avviene. Su questo sito trovate una meravigliosa animazione in 3D della Trial Exhibits Inc., che mostra perfettamente il funzionamento del fracking e quali danni esso possa provocare alle falde d’acqua con tutto quello che ne consegue in termini di allevamento di bestiame, coltivazione agricola, uso sanitario e personale.

Versione di Gasland con sottotitoli italiani realizzati da me.

Introduzione

ScistoScisto non è una parolaccia. Si tratta di una roccia metamorfica. Cosa significa? Si tratta di rocce che nel corso della loro vita molto molto lunga hanno subito dei cambiamenti (delle metamorfosi appunto) per cause esterne come cambiamenti di temperatura o di pressione. Ci sono tanti tipi di scisti ma tutti derivano dall’argilla che è stata appunto trasformata.
Tra questi ci sono gli scisti bituminosi, i quali, come del resto dice il loro nome, contengono percentuali significative di bitume, che può essere utilizzato al posto del petrolio o del gas per produrre energia.
Queste cose si sanno da duecento anni, ma solo nell’ultimo decennio (diciamo dal 2003 in poi) gli scisti sono entrati a far parte delle riserve energetiche di un paese. Questo è dovuto ad alcuni fattori: l’aumento del costo di estrazione del petrolio, il problema del riscaldamento globale e il fatto che prima i costi di estrazione dello scisto erano proibitivi.
Ma la cosa davvero interessante è la scoperta che lo scisto intrappola del gas naturale, chiamato gas di scisto (in inglese “shale gas”), composto in larga parte di metano. Anche questa è una notizia piuttosto vecchiotta. I tecnici lo sapevano da un sacco di tempo, ma le tecnologie per estrarre il gas dalla roccia non erano ancora pronte. Infatti queste conformazioni rocciose si trovano in profondità (diciamo ad almeno un km dal suolo) e quindi non basta una pala e un piccone per averlo a disposizione. Inoltre il gas è ancora intrappolato dentro la roccia perché non ha fatto in tempo (o non ha trovato le condizioni adatte) a scivolare via verso strati meno densi, ad esempio sabbiosi da dove possa essere estratto con i metodi tradizionali. Per questo è considerato un gas “non convenzionale”: non basta insomma fare un buco fino alla sacca che lo contiene e infilarci un tubo per estrarlo. Bisogna frantumare le rocce che lo imprigionano e quindi gli investimenti in questa direzione sono importanti e devono dare risultati al più presto.