L'omicidio Codecà | Premessa | Via Poma: Cesaroni |
Una morte “spettacolare”
Anche questa storia si snoda nei primi anni ’50, questa volta a Roma, vicino alla Salaria, dove la famiglia Montesi, padre madre e due figlie, vivono una vita normale, fatta delle cose che la maggior parte degli italiani fanno giorno dopo giorno. Ma il 9 aprile del 1953, la figlia Wilma, esce di casa e da allora non si saprà più nulla di lei, fino a due giorni dopo, quando il suo cadavere viene trovato sulla spiaggia di Torvaianica.É un delitto che, come vedremo, scuote profondamente la nazione. Al fatto, grave di per sé, si aggiunge la spettacolarizzazione dell’evento, pompato dalla stampa e diventato, non più solo il dramma di una famiglia, ma elemento di gossip di cui discutere al bar.
M. De Luca scrive nel suo libro “Storia d’Italia”:
“Da allora l’Italia non sarebbe più stata la stessa. Avrebbe conosciuto per la prima volta l’intrecciarsi spregiudicato di squassanti scontri all’interno del potere politico col procedere sussultorio di un’inchiesta di polizia e di magistratura. Si sarebbe morbosamente divisa in un crescendo di emozioni ben guidate in innocentisti e colpevolisti e sarebbe stata investita da autentiche slavine di menzogne e rivelazioni, da angeliche intransigenze e da demoniache invenzioni, in un rumoroso viluppo di intrighi capaci di far salire le tirature di molti quotidiani ma, contemporaneamente, di minarne in maniera forte irrimediabile una cospicua dose di credibilità”.
Nonostante questa prosopopea, tipica del periodo, nessuno sarà mai in grado di capirci qualcosa in questo delitto. In compenso verranno a galla comportamenti imbarazzanti di persone molto importanti, come politici e giornalisti. É così quando si pensa di avere il diritto di affermare verità (a favore o contro i protagonisti della vicenda) senza avere uno straccio di una prova, seguendo solo ideologie o simpatie per questo o quel personaggio.
Questo è un articolo introduttivo, che serve da premessa ad alcuni altri che trattano di delitti perfetti o imperfetti, assassinii premeditati dagli autori o da altri per addossare la colpa a innocenti. La conclusione più frequente è che non abbiamo la più pallida idea di quale sia la verità. Ecco lo schema:
- Premessa
- Il caso Fenaroli
- L'omicidio Codecà
- L'omicidio di Wilma Montesi
- L'omicidio di via Poma: Nicoletta Cesaroni
- Vino e metanolo
Avvertimento
Questo articolo è stato scritto nel gennaio 2019 ed è quindi antecedente sia la pandemia che la guerra in Ucraina.Introduzione
Gli anni ’70 e ’80 sono conosciuti, nel nostro paese, come gli anni di piombo, ma anche gli anni degli scandali. Oggi vorrei raccontarvi la storia di uno di questi, lo scandalo Italcasse. Detta così potrebbe sembrare che quella vicenda sia a sè stante, mentre in realtà è solo una costola di un comportamento generalizzato, di una piaga di corruzione e di mazzette, di gente disonesta, che non è neanche il loro male maggiore, dal momento che si tratta di elementi rappresentativi della nazione, banchieri, industriali e, ovviamente, politici.In questa vicenda entreranno un sacco di personaggi di quel periodo che, solo apparentemente, non hanno molto a che fare con lo scandalo, mentre sono tutti importanti, a volte importantissimi, per capire come sono andate le cose. Sono Mino Pecorelli, il giornalista ucciso nel 1979 perché ne sapeva troppo di troppe cose, Aldo Moro che coi suoi memoriali ha detto a tutti quello che già pensavano dei suoi colleghi di partito a cominciare da Giulio Andreotti e poi Sindona, Calvi, i Caltagirone, il giudice Vitalone, Cesare Previti in una anticipazione delle malefatte all’ombra di Berlusconi, e tanti altri.
Dunque lo scandalo Italcasse si incastra in un periodo che di scandali ne vede parecchi, molti evidenti fin da subito, altri ben nascosti e saltati fuori solo anni più tardi.
Adesso però, occupiamoci di questa nuova vicenda, che fa scrivere a Wikipedia: Nel 1977 l'Italcasse fu al centro di uno scandalo politico-giudiziario.
Introduzione
Oggi vorrei parlare di petrolio e più precisamente di come la gestione politica di questo bene così prezioso nella società dei consumi abbia finito per far commettere ogni genere di nefandezza a chi quella gestione aveva in mano. Quindi politici, industriali, criminali, soprattutto quelli delle grandi organizzazioni mafiose e, a volte, organi di controllo dello stato come la guardia di finanza.
Vorrei, insomma raccontarvi la storia di due scandali legati al petrolio. Ce ne sono parecchi, conclamati o solo vociferati, scoperti e nascosti. Farò due esempi, uno lontano negli anni, ma che ha prodotto terremoti sociali, perdita di fiducia nelle istituzioni di controllo, perché quella nella politica non c’è mai stata. Ci sono casi anche recentissimi, come quello della cantante Ana Bettz, che proprio in questi giorni la stampa ha sottolineato, e quello di cui vi parlerò alla fine dell’articolo, che ha visto coinvolto, anche se indirettamente, un ministro del governo di quel birichino di Matteo Renzi. Uno scandalo che ha mostrato come grandi aziende di stato abbiano inquinato vasti territori della Basilicata. E, a proposito di inquinamenti e contaminazioni, vi racconterò anche quello che in quella regione, da sempre considerata la cenerentola delle regioni italiane, è successo quando il nostro paese ha cominciato a dismettere le centrali nucleari. Insomma, un po’ di tutto, ma con la dicitura comune di “scandalo”.
Andiamo, però, con ordine e cominciamo, come è sempre meglio fare, dall’inizio.
Vorrei, insomma raccontarvi la storia di due scandali legati al petrolio. Ce ne sono parecchi, conclamati o solo vociferati, scoperti e nascosti. Farò due esempi, uno lontano negli anni, ma che ha prodotto terremoti sociali, perdita di fiducia nelle istituzioni di controllo, perché quella nella politica non c’è mai stata. Ci sono casi anche recentissimi, come quello della cantante Ana Bettz, che proprio in questi giorni la stampa ha sottolineato, e quello di cui vi parlerò alla fine dell’articolo, che ha visto coinvolto, anche se indirettamente, un ministro del governo di quel birichino di Matteo Renzi. Uno scandalo che ha mostrato come grandi aziende di stato abbiano inquinato vasti territori della Basilicata. E, a proposito di inquinamenti e contaminazioni, vi racconterò anche quello che in quella regione, da sempre considerata la cenerentola delle regioni italiane, è successo quando il nostro paese ha cominciato a dismettere le centrali nucleari. Insomma, un po’ di tutto, ma con la dicitura comune di “scandalo”.
Andiamo, però, con ordine e cominciamo, come è sempre meglio fare, dall’inizio.
Introduzione
La storia che sto per raccontarvi fa parte della cronaca nera, anche se qualcuno ha sussurrato che dietro i protagonisti della vicenda poteva esserci la mafia e che le indagini sono state un tantino strane.La vicenda è quella di una banda di criminali che ha terrorizzato l’Italia, in particolare l’Emilia Romagna, con un centinaio di rapine e decine di morti ammazzati. L’hanno chiamata la banda della Uno bianca, perché questa è l’automobile usata per la maggior parte delle azioni criminose.
Le fonti sono, anche qui, molte e alcune particolarmente interessanti. Ad esempio la puntata di Blu notte che Lucarelli ha dedicato alla vicenda e, voglio sottolinearlo in particolare, perché è quello che ho seguito di più, “Gli infedeli”, il libro di Carmelo Pecora, un poliziotto in pensione, che, proprio per questo e per essere stato in servizio nella stessa zona della banda, ha vissuto in maniera sentita tutta la storia. Un libro che forse non merita il premio Bancarella, ma che racconta con precisione quasi maniacale i fatti, i retroscena e tutto il resto. Da leggere!
La Uno bianca in realtà appare in alcune delle rapine. E' una macchina molto diffusa negli anni in cui la nostra storia si sviluppa, il decennio a cavallo del 1990. Quindi facile da rubare e difficile da identificare. Nei primi tempi, però, viene utilizzata una Regata con targa falsa, di proprietà di uno dei componenti la banda. Questi sono, all’inizio, tre fratelli, i fratelli Savi: Roberto, Fabio e Alberto.
A tutto gas
Cerchiamo di capire come, da chi e quanto gas arriva oggi, si intende prima del conflitto in Ucraina, in Italia per il nostro consumo.Userò i dati forniti dal Ministero dello sviluppo economico, riferiti al 2020, l’ultimo anno di cui possiedo i valori completi.
Proviamo a cominciare dall’inizio. Quanto gas ci serve per tutte le cose che abbiamo?
Nel 2020 ne abbiamo consumato circa 70 miliardi di metri cubi: 4,1 sono stati estratti in Italia, il resto proviene dall’estero. Dunque dipendiamo per il 94% dalle forniture che compriamo da altri paesi.
Non deve stupire questa cifra così alta. Non siamo un paese che abbonda di materie prime nemmeno in molti altri settori.
La maggior parte dell’importazione arriva dalla Russia, poco più del 40%. É anche vero che nel 2021 questa quota è diminuita, essendo aumentata quella proveniente dal Nord Africa, soprattutto dall’Algeria e dall’Azerbabaijan, con la messa in funzione del TAP, il gasdotto trans-adriatico.
Ricapitoliamo
Eccoci alla terza ed ultima puntata sul Vaticano.Nelle prime due abbiamo seguito le vicissitudini dello IOR di Marcinkus, legato a molti dei tragici avvenimenti italiani da metà anni 70 alla fine degli anni ’80.
Ciò che emerge da questo racconto sono, soprattutto, gli intrecci che parte del Vaticano ha avuto con personaggi e organizzazioni, come dire?, poco raccomandabili della nostra Repubblica. Si comincia con Michele Sindona, chiamato al capezzale delle finanze vaticane da Paolo VI e, di fatto, inserito nei maneggi che la banca del papa, l’Istituto Opere Religiose, per tutti semplicemente IOR, nei maneggi di una finanza “spensierata” e decisamente malavitosa. Dai documenti, di cui parlerò tra poco, emerge una visione orripilante di un istituto che dovrebbe dedicarsi al bene degli altri, alle opere pie, al sostegno delle persone in difficoltà.
Questo è un video postato da Greta Thunberg nella primavera scorsa sulla sua pagina Facebook. Si può essere d'accordo o meno con le sue azioni e i suoi pensieri (io lo sono), ma quanto affermato è interessante e merita di essere visto. A seguire il filmato e la traduzione di quanto Greta dice.
Oggi vi voglio raccontare una di quelle storie, storie di uomini e donne, che hanno saputo prendere quello che di buono il pianeta è ancora in grado di offrire e di aumentarne la portata, condividendolo con tutto il popolo della zona in cui queste persone, queste associazioni e queste aziende operano. É, per farla breve, in questo periodo di incertezza sanitaria causata dal Corona Virus, una boccata di aria buona, in un clima così triste.
Di azioni positive in questo senso possiamo contarne moltissime. Spesso però non arrivano alle orecchie della gente comune o perché è meglio non si sappia che ci sono modi alternativi a quello delle multinazionali di far girare l’economia o perché sono confinate in zone del mondo che non hanno lo stesso appeal degli stati che ci sono vicini. Ed è sicuramente più semplice parlare delle partite di calcio che dei vantaggi che un’idea, per geniale che sia, sa produrre.
Di azioni positive in questo senso possiamo contarne moltissime. Spesso però non arrivano alle orecchie della gente comune o perché è meglio non si sappia che ci sono modi alternativi a quello delle multinazionali di far girare l’economia o perché sono confinate in zone del mondo che non hanno lo stesso appeal degli stati che ci sono vicini. Ed è sicuramente più semplice parlare delle partite di calcio che dei vantaggi che un’idea, per geniale che sia, sa produrre.
Funghi shiitake e flusso a cascata
Mi piacciono i funghi. Mi piace preparare con essi un buon sugo per il risotto o anche solo cucinarli come contorno o usarli per una succulenta frittata.Dunque, al supermercato o dal verduraio mi piace comprarli. L’altro giorno, per puro caso, trovo una confezione di funghi che assomigliano come colore e forma ai porcini, ma porcini proprio non sono. Leggo sulla confezione … Shiitake e sobbalzo. È la prima volta che incontro questo prodotto in Italia. Ora, uno potrà darmi dello sciocco: sono solo funghi cosa ci sarà mai di tanto strano?
Il fatto è che quella specie di funghi, la più diffusa nel mondo grazie alla quantità enorme venduta in Oriente, è stata resa famosissima da un libro che, proprio qui a Noncicredo, ho raccontato diverse volte. Il libro si chiama “Blue Economy”, è stato scritto da Gunter Pauli e mostra centinaia di esempi di come, imparando dalla natura sia possibile costruire processi produttivi a impatto zero. Il trucco, se così si può chiamare, è semplice: sta nei cosiddetti flussi a cascata. Troppo complicato? Cercherò di fare un esempio, proprio coi funghi di cui sopra.
Cari amici, oggi non è una giornata qualsiasi, oggi è il 9 ottobre e sono passati 55 anni da quell’immane tragedia che è avvenuta nei comuni di Longarone, Erto e Casso, che conosciamo come la sciagura del Vajont.
Voglio cominciare con i termini della questione.
Se andate in rete e cercate Vajont, ad esempio su Wikipedia, trovate scritto: “Disastro del Vajont”. Ora, che sia stato un disastro non c’è dubbio: si contano migliaia di morti e alcuni paesi sono stati letteralmente spazzati via, sommersi dal fango. Ma non è che il tutto sia accaduto per una sfiga pazzesca, qualcosa che è capitato senza che nessuno avesse potuto farci niente, un brutto scherzo del destino o, peggio, una punizione divina. Per questo parlare di disgrazia mi sembra francamente fuori luogo.
Come vedremo stasera, e come sicuramente i più sanno, non si è trattato di questo. Assai prima della tragedia molti, moltissimi, sapevano come la storia sarebbe andata a finire. E allora lasciatemi usare il termine strage, la strage del Vajont, anche se ci rammarichiamo di non aver potuto, per una serie di motivi, punire adeguatamente i molti colpevoli che se la sono cavata.
Ripercorrere tutta la storia, tutte le sfaccettature di questa vicenda in una puntata è impossibile. Analizzeremo allora alcuni aspetti, scusandoci se altri verranno ignorati. Concluderò con quello che è successo dopo la strage, quando una nuova strage è avvenuta, questa volta fatta di carte bollate, tribunali, decisioni strane e oscuri e perfidi personaggi che, tanto per cambiare, hanno imbrogliato i superstiti, rintronati e certamente poco lucidi per il dolore che stringeva i loro cuori.
Voglio cominciare con i termini della questione.
Se andate in rete e cercate Vajont, ad esempio su Wikipedia, trovate scritto: “Disastro del Vajont”. Ora, che sia stato un disastro non c’è dubbio: si contano migliaia di morti e alcuni paesi sono stati letteralmente spazzati via, sommersi dal fango. Ma non è che il tutto sia accaduto per una sfiga pazzesca, qualcosa che è capitato senza che nessuno avesse potuto farci niente, un brutto scherzo del destino o, peggio, una punizione divina. Per questo parlare di disgrazia mi sembra francamente fuori luogo.
Come vedremo stasera, e come sicuramente i più sanno, non si è trattato di questo. Assai prima della tragedia molti, moltissimi, sapevano come la storia sarebbe andata a finire. E allora lasciatemi usare il termine strage, la strage del Vajont, anche se ci rammarichiamo di non aver potuto, per una serie di motivi, punire adeguatamente i molti colpevoli che se la sono cavata.
Ripercorrere tutta la storia, tutte le sfaccettature di questa vicenda in una puntata è impossibile. Analizzeremo allora alcuni aspetti, scusandoci se altri verranno ignorati. Concluderò con quello che è successo dopo la strage, quando una nuova strage è avvenuta, questa volta fatta di carte bollate, tribunali, decisioni strane e oscuri e perfidi personaggi che, tanto per cambiare, hanno imbrogliato i superstiti, rintronati e certamente poco lucidi per il dolore che stringeva i loro cuori.
Andar per boschi in una giornata di sole, gustare il fresco che l’ombra di quel luogo sa regalarci, assorbire profondamente l’odore della resina, percepire qua e là l’odore dei funghi spuntati la notte. Ascoltare il tintinnio di quel torrentello nascosto dalle larghe foglie delle piante acquatiche che indicano all’acqua il percorso da seguire. Chi mai potrebbe non provare un senso di gratitudine alla natura per tutto questo?
Se poi ci soffermiamo a pensare anche all’utilità sociale che quel che ci circonda offre, emergono altri pregi: il legname, che, responsabilmente, può essere usato per mille ragioni; il rifugio offerto a molte specie animali e vegetali, le quali tutte assieme costituiscono quella biodiversità di cui oggi cominciamo a sentire la carenza. E poi, ma solo ce pensiamo bene, tutte quelle piante sono responsabili della nostra sopravvivenza. Sono quelle che ci offrono l’ossigeno che, per loro è una schifezza da buttare, per noi è invece il solo motivo a tenerci vivi su questo pianeta.
E torna, quella stessa domanda: “Chi mai potrebbe voler male ad un bosco!”.
In questo blog ho raccontato una storia incredibile, accaduta molti anni fa (addirittura secoli fa) ma che è istruttiva di come una società che si basi su principi sbagliati possa fare una brutta fine. È la storia di Rapa Nui, l’Isola di Pasqua, che non ripeterò, perché la trovate qui (link).
Se poi ci soffermiamo a pensare anche all’utilità sociale che quel che ci circonda offre, emergono altri pregi: il legname, che, responsabilmente, può essere usato per mille ragioni; il rifugio offerto a molte specie animali e vegetali, le quali tutte assieme costituiscono quella biodiversità di cui oggi cominciamo a sentire la carenza. E poi, ma solo ce pensiamo bene, tutte quelle piante sono responsabili della nostra sopravvivenza. Sono quelle che ci offrono l’ossigeno che, per loro è una schifezza da buttare, per noi è invece il solo motivo a tenerci vivi su questo pianeta.
E torna, quella stessa domanda: “Chi mai potrebbe voler male ad un bosco!”.
In questo blog ho raccontato una storia incredibile, accaduta molti anni fa (addirittura secoli fa) ma che è istruttiva di come una società che si basi su principi sbagliati possa fare una brutta fine. È la storia di Rapa Nui, l’Isola di Pasqua, che non ripeterò, perché la trovate qui (link).
Questa è una storia vera, una storia storica insomma, scritta sui libri di testo … beh non quelli che ci hanno propinato a scuola, ma comunque su altri libri.
La storia riguarda un’isola, Rapa Nui, che nel dialetto del luogo significa “grande roccia”, probabilmente perché è il solo enorme scoglio circondato da migliaia di miglia di oceano. Gli spagnoli, i primi occidentali a visitarla la chiamarono Isla de Pascua e noi oggi la conosciamo come Isola di Pasqua
Rapa Nui è un’isola sperduta in mezzo all’Oceano Pacifico. Oggi è territorio cileno, anche se la terra madre è distante 3600 km, un po’ come se l’Italia avesse un possedimento nell’estrema punta Nord della Norvegia o in Nigeria.
L’isola viene colonizzata attorno al 400 d. C. da una popolazione proveniente dalla Polinesia. Può sembrare incredibile il viaggio intrapreso da questi navigatori dal momento che la Polinesia si trova ad oltre 4000 km di distanza. Ma le ricerche effettuate sui reperti, sul modo di costruire le grandi zattere che potevano affrontare i pericoli del mare, sul DNA tratto dalle ossa dei cadaveri, trovate nel sottosuolo (e non solo come vedremo), le informazioni sul linguaggio, non lasciano dubbi. Negli ultimi 100 anni sono state raccolte informazioni sufficienti per essere ragionevolmente sicuri che gli abitanti di Rapa Nui sono di origine polinesiana. E così, non si sa certo per quale motivo, probabilmente perché in fuga dal loro paese, questi incredibili marinai attraversano 4 mila km di oceano per approdare all’isola più isolata del mondo. Qualcuno ha scritto che la terra più vicina a Rapa Nui è la Luna.
La storia riguarda un’isola, Rapa Nui, che nel dialetto del luogo significa “grande roccia”, probabilmente perché è il solo enorme scoglio circondato da migliaia di miglia di oceano. Gli spagnoli, i primi occidentali a visitarla la chiamarono Isla de Pascua e noi oggi la conosciamo come Isola di Pasqua
Rapa Nui è un’isola sperduta in mezzo all’Oceano Pacifico. Oggi è territorio cileno, anche se la terra madre è distante 3600 km, un po’ come se l’Italia avesse un possedimento nell’estrema punta Nord della Norvegia o in Nigeria.
L’isola viene colonizzata attorno al 400 d. C. da una popolazione proveniente dalla Polinesia. Può sembrare incredibile il viaggio intrapreso da questi navigatori dal momento che la Polinesia si trova ad oltre 4000 km di distanza. Ma le ricerche effettuate sui reperti, sul modo di costruire le grandi zattere che potevano affrontare i pericoli del mare, sul DNA tratto dalle ossa dei cadaveri, trovate nel sottosuolo (e non solo come vedremo), le informazioni sul linguaggio, non lasciano dubbi. Negli ultimi 100 anni sono state raccolte informazioni sufficienti per essere ragionevolmente sicuri che gli abitanti di Rapa Nui sono di origine polinesiana. E così, non si sa certo per quale motivo, probabilmente perché in fuga dal loro paese, questi incredibili marinai attraversano 4 mila km di oceano per approdare all’isola più isolata del mondo. Qualcuno ha scritto che la terra più vicina a Rapa Nui è la Luna.
Il caso Fenaroli | Premessa | L'omicidio di WIlma Montesi |
L’omicidio
La storia che sto per raccontare ci porta a Torino nel 1952, in via Villa della Regina, una strada di quelle aristocratiche, piene di villette singole, a volte decorate in stile liberty. Qui abita Erio Codecà. É un ingegnere, uno degli alti dirigenti della FIAT.É il 16 aprile. Codecà è appena tornato da qualche giorno di riposo a Rapallo. É tornato da solo: la moglie Elena Piasescki e la figlia Gaby sono rimaste in riviera. Passa la giornata nel suo ufficio, dove ha funzioni di marketing (anche se questo termine è molto più recente dei fatti che sto raccontando). Dunque non maneggia denaro, non ha niente a che fare con la produzione o con le politiche dell’azienda, non ha alcun rapporto con i sindacati. Inoltre è un uomo tranquillo, descritto da tutti quelli che lo conoscono come mite e sempre disponibile. Una pasta d’uomo.
In passato ha diretto la fabbrica in Romania ed è là che ha conosciuto Elena, che diventa sua moglie. Durante la guerra e fino al 1950 dirige il laboratorio sperimentale della FIAT, per poi passare a direttore della S.P.A.
Quella sera, uscito dall’ufficio, torna a casa, verso le sette di sera, saluta la domestica e innaffia il giardino. Cena e, attorno alle 21, esce a fumare una sigaretta. Non c’è niente di strano in questo. Sono tutte cose che fa praticamente ogni giorno, un’abitudine. Poi, senza avvisare la domestica, prende il cane e lo porta a passeggio.
Sono passate da poco le nove, quando in strada si sente uno sparo, un solo sparo, secco a rompere il silenzio di quel quartiere residenziale.
Quasi subito, alcune persone vanno a vedere, si avvicinano alla 1100 di servizio dell’ingegnere. La portiera è socchiusa, dentro c’è il cane, un cocker, terrorizzato. Accanto all’automobile il corpo senza vita di Erio Codecà.
Premessa | Premessa | Il delitto Codecà |
Il caso Fenaroli
Il primo caso di cui ci occupiamo, avviene nel 1958 a Roma.La mattina dell’11 settembre (che sembra una data destinata a fatti di sangue eclatanti) verso le 8,30, la domestica di casa Fenaroli suona alla porta dell’appartamento signorile, di via Monaci 21, vicino a piazza Bologna. Lo occupano il geometra Giovanni Fenaroli, originario di Como e la moglie Maria Martirano, che invece proviene dalla provincia di Lecce. La donna ha 47 anni.
Un vicino di casa aiuta la domestica ed entrare nell’appartamento dove trova Maria distesa a terra, morta, strangolata. Le prime indagini notano che mancano gioielli di valore e si pensa quindi ad una rapina finita male. Il marito è a Milano a cena con degli amici, che gli forniscono pertanto un alibi di ferro. La donna era molto guardinga e difficilmente avrebbe fatto entrare di notte qualcuno che non conosceva. Si scopre che quel qualcuno è arrivato verso le 23,20, mentre la morte risale all’incirca all’una di notte. Nel posacenere ci sono molte sigarette, il che testimonia di una permanenza lunga dell’ospite e probabile assassino in compagnia di Maria.
In questi casi, pensare a una responsabilità del marito non è certo peccato. Nonostante l’alibi milanese, si scopre che la sua azienda versa in cattive acque e che, poco prima e senza dire nulla alla moglie, il geometra aveva acceso una polizza sulla vita di entrambi. Il coniuge avrebbe incassato 150 milioni di lire, che, in quel periodo, sono una cifra molto importante.
Nonostante questo e nonostante la richiesta di arresto da parte della polizia, la magistratura non procede nei confronti di Fenaroli, perché non ci sono prove a giustificare l’atto.
Introduzione
Ho già raccontato la storia dello IOR e dei personaggi che attorno ad esso hanno ruotato, arrivando a suicidare un banchiere che sapeva troppe cose, Roberto Calvi. Personaggi che non sono tutti malavitosi incalliti come Pippo Calò, ma sono banchieri importanti come Michele Sindona, alti prelati come Paul Marcinkus e di sicuro le alte sfere della Santa Sede non erano all’oscuro di tutte le schifezze che avvenivano nel piccolo stato. È Paolo VI a chiamare il suo buon amico Sindona, con il quale lo IOR diventa una banca che cura gli interessi di assassini come quelli della banda della Magliana, di sporche figure politiche e di importanti famiglie mafiose. Diventa una lavanderia di soldi da riciclare, perché derivano da affari che più sporchi non si può. È Giovanni Paolo II ad imbastire, assieme a Marcinkus, il sovvenzionamento di Solidarność, usando quegli stessi soldi, che arrivano sì alla formazione di Lech Wałęsa, ma anche ai regimi totalitari dell’America Latina, che con la supposta filosifia religiosa del cristianesimo non si capisce proprio cosa abbiano in comune.
Siamo alla vigilia di una data importante, quella del 9 maggio. É il giorno del ritrovamento del cadavere di Aldo Moro, ucciso (forse) dalle Brigate Rosse. Tutti lo sanno e se ne ricordano.
Sfugge però alla memoria che quella notte, tra l’8 e il 9 maggio, viene ritrovato un altro cadavere, meno conosciuto, anche meno ricordato, il cadavere di un ragazzo di trent’anni, uno dei tanti cadaveri sparsi dalla mafia nel nostro paese. É Giuseppe Impastato, per tutti Peppino, proprietario, redattore e anima di Radio AUT, che a Cinisi invita la popolazione a capire cosa sta succedendo.
L’anno prima era morto suo padre, uno dei luogotenenti del boss mafioso della città. Ed è straordinario il solo pensare che, uscendo da una simile famiglia, quel ragazzo si sarebbe iscritto a Democrazia Proletaria, e avrebbe inondato di parole e di prove l’ambiente mafioso di Cinisi.
Il boss è Gaetano Badalamenti, detto Tano, uno di quelli che ha contato davvero nella storia della malavita siciliana e poi statunitense, paese dove ha finito la sua vita in un carcere del Massachusetts nel 2004.
Sfugge però alla memoria che quella notte, tra l’8 e il 9 maggio, viene ritrovato un altro cadavere, meno conosciuto, anche meno ricordato, il cadavere di un ragazzo di trent’anni, uno dei tanti cadaveri sparsi dalla mafia nel nostro paese. É Giuseppe Impastato, per tutti Peppino, proprietario, redattore e anima di Radio AUT, che a Cinisi invita la popolazione a capire cosa sta succedendo.
L’anno prima era morto suo padre, uno dei luogotenenti del boss mafioso della città. Ed è straordinario il solo pensare che, uscendo da una simile famiglia, quel ragazzo si sarebbe iscritto a Democrazia Proletaria, e avrebbe inondato di parole e di prove l’ambiente mafioso di Cinisi.
Il boss è Gaetano Badalamenti, detto Tano, uno di quelli che ha contato davvero nella storia della malavita siciliana e poi statunitense, paese dove ha finito la sua vita in un carcere del Massachusetts nel 2004.
Introduzione
Questa sera vi voglio raccontare una storia molto interessante che riguarda uno stato a noi molto vicino, il Vaticano. Meglio chiarire subito: non parleremo di religione, ma di cose molto più terra terra, come le finanze, le banche, le sovvenzioni a partiti stranieri e, come spesso ci capita, parleremo anche di morti ammazzati.Le fonti, più che mai doverose in questo contesto sono alcuni libri, pubblicati negli ultimi anni, come “Vaticano SpA” di Gianluigi Nuzzi, edito da Chiarelettere; “Vaticano rosso sangue” di Vittorio di Cesare e Sandro Provvisionato, edito da Olimpia; “Mai ci fu pietà” di Angela Camuso, edito da Castelvecchi, quest’ultimo sulla storia della banda della Magliana, che ci servirà soprattutto nella prossima puntata sul Vaticano, quando parleremo del sequestro di Emanuela Orlandi. Ed inoltre tutta la letteratura che si può trovare in rete (articoli di giornali dell’epoca, dossier, interrogatori e quant’altro).
Cominciamo subito.
Introduzione
Abbiamo già affrontato la questione della strage alla stazione di Bologna, avvenuta il 2 agosto del 1980. Pur essendo uno dei pochi misteri italiani formalmente chiariti, con tanto di condanne, abbiamo visto che restano moltissimi dubbi sui reali responsabili di quell’orrendo eccidio, in particolare sui mandanti e sulle motivazioni. In particolare la storia è piena zeppa di tentativi, spesso perfettamente riusciti, di depistare le indagini e ostacolare così la comprensione di quanto avvenuto. Questa tecnica è stata piuttosto comune nelle storie che trovate in questa sezione del sito. Le stragi della strategia della tensione da Piazza Fontana in poi, e fatti gravissimi come il rapimento di Aldo Moro, sono stati soggetti a depistaggi e inquinamenti di prove che hanno allontanato la verità e, come detto, lasciato nella testa di chi si avvicina a queste vicende il dubbio che non tutto sia stato detto, per coprire persone, istituzioni o azioni. Per coprire anche il comportamento di paesi stranieri ai quali allora e oggi non si vogliono attribuire responsabilità per convenienze politiche, commerciali o strategiche o, più squallidamente per il proprio quieto vivere.Premessa
Vi sto raccontando in queste pagine le storie che hanno riempito di mistero la nostra storia recente. Alcune di queste sono conosciutissime, come quella relativa ad Ilaria Alpi, allo scandalo Lockheed, l’incendio della Moby Prince e così via. Altre invece sono poco conosciute, spesso del tutto sconosciute al grande pubblico, perfino a quello nella cui zona le vicende si sono verificate. Un esempio è l’abbattimento dell’elicottero della Guardia di Finanza Volpe 132 e un altro esempio è il fatto di cui vi voglio parlare adesso. É conosciuto come la strage di Alcamo Marina. Ci sono stati due morti, due carabinieri, ma il caso è estremamente intricato e quindi vi consiglio di seguire tutta la puntata con attenzione. In ogni caso potrete riascoltarla con calma visitando il mio sito noncicredo.org, dove trovate tutte le puntate trasmesse negli ultimi anni da questa emittente. E adesso possiamo cominciare.Alcamo è un paese a metà strada tra Trapani e Palermo. Si affaccia sul mar Tirreno. Oggi parleremo di un fatto avvenuto il 27 gennaio 1976 nella frazione Alcamo Marina, località balneare grazie ad una bella spiaggia sabbiosa sul golfo di Castellamare, quella in provincia di Trapani.
Nella caserma dell’arma, la Alkamar, quella notte stanno dormendo due militari, l’appuntato Salvatore Falcetta di Castelvetrano (TP) e un ragazzo di 19 anni, il carabiniere Carmine Apuzzo, di Castellamare di Stabia (NA). É una notte di temporale con tuoni e molta pioggia. Del resto siamo in pieno inverno e la località balneare è praticamente deserta di turisti.
Ma che freddo fa
Con questo intervento, cerco di chiarire alcune questioni riguardanti il clima che è cambiato e sta sempre più cambiando. Cercherò anche di sfatare alcune leggende, che qualcuno cavalca, usando frasi ad effetto per i poveri di spirito, abituati alle informazioni social che non si sa bene da dove arrivino.Ho già spiegato come mai, durante il lockdown la quantità di CO2 presente in atmosfera non è diminuita, ma è anzi aumentata. Non voglio ripetere tutto il discorso, ma mi sembra piuttosto chiaro che la quantità enorme di questo gas nella nostra aria non può essere spazzato via da una riduzione delle attività inquinanti (uso questo termine forse non precisissimo per semplificare il discorso). Ridurre infatti non vuol dire affatto togliere dall’atmosfera la CO2, significa solo che ne abbiamo immessa un po’ di meno. Secondo gli esperti, se l’uomo smettesse oggi di immettere gas serra in atmosfera, ci vorranno un sacco di secoli, forse mille anni per avere l’aria pulita. E con questo credo che il discorso sia chiuso.
E adesso parliamo di mangiare. No, non voglio darvi le ricette dello stufato o della torta di carote, ma di dieta e di come una dieta possa incidere sulla quantità di emissioni inviate in atmosfera. Dunque, attenzione, perché siamo tutti coinvolti, attenzione a quello che abbiamo sulla nostra tavola ogni volta che ci sediamo per un pasto.
Voglio subito dire che qui non ho alcuna intenzione di entrare nel mondo dei vegetariani e tanto meno dei vegani, i quali professano una specie di religione fatta di regole molto rigide. Niente di tutto questo. Seguitemi e capirete.
Come sempre, mi affido ad uno studio recente, condotto da un team di studiosi dell’Università Statale dell’Oregon negli Stati Uniti. Vi hanno collaborato anche scienziati e ricercatori della New York University e di Harvard, uno dei centri universitari più conosciuti e famosi degli Stati Uniti, che si trova in Massacchussets. Insomma una ricerca seria. É stata pubblicata il 7 settembre 2020 dalla rivista Nature, un altro totem dell’ambientalismo moderno.
Le credenziali per dare un’occhiata interessata a questo documento ci sono tutte. Cercherò di riassumere le tre fitte pagine, in inglese, presenti nel dossier.
Voglio subito dire che qui non ho alcuna intenzione di entrare nel mondo dei vegetariani e tanto meno dei vegani, i quali professano una specie di religione fatta di regole molto rigide. Niente di tutto questo. Seguitemi e capirete.
Come sempre, mi affido ad uno studio recente, condotto da un team di studiosi dell’Università Statale dell’Oregon negli Stati Uniti. Vi hanno collaborato anche scienziati e ricercatori della New York University e di Harvard, uno dei centri universitari più conosciuti e famosi degli Stati Uniti, che si trova in Massacchussets. Insomma una ricerca seria. É stata pubblicata il 7 settembre 2020 dalla rivista Nature, un altro totem dell’ambientalismo moderno.
Le credenziali per dare un’occhiata interessata a questo documento ci sono tutte. Cercherò di riassumere le tre fitte pagine, in inglese, presenti nel dossier.
Non so se qualcuno di voi ha già sentito il termine “event attribution science”. Non vi preoccupate, si tratta di un ramo della scienza piuttosto recente e molto interessante. Mi scuso se sarò un pochino pedante, ribadendo alcuni concetti che, chi mi segue, avrà letto ormai molte volte, ma qui serve proprio, per poi capire meglio di cosa sto parlando.
Cominciamo dunque con il dire che clima e tempo (o meteo se preferite) non sono affatto la stessa cosa. Certo sono collegati o correlati come dicono quelli che sanno. Il clima descrive i modelli meteorologici per lunghi periodi di tempo e quindi riguarda anche quello che succede oltre le nuvole: le grandi correnti d’aria come “el Ninho”, che riscalda le acque degli oceani e le correnti marine come quella del golfo, che trasporta calore dal golfo del Messico fino alle regioni nordiche verso l’Artico.
Il tempo si riferisce, invece, ad eventi specifici, come giornate calde o temporali. Insomma se volete fare un picnic il prossimo weekend, dovrete preoccuparvi del meteo, del tempo, non del clima in generale, anche se, come vedremo, quest’ultimo influenza, eccome, la nostra possibilità di starcene tranquilli in mezzo ad un prato.
Questa sera parliamo di condizioni climatiche estreme. Di cosa si tratta?
Cominciamo dunque con il dire che clima e tempo (o meteo se preferite) non sono affatto la stessa cosa. Certo sono collegati o correlati come dicono quelli che sanno. Il clima descrive i modelli meteorologici per lunghi periodi di tempo e quindi riguarda anche quello che succede oltre le nuvole: le grandi correnti d’aria come “el Ninho”, che riscalda le acque degli oceani e le correnti marine come quella del golfo, che trasporta calore dal golfo del Messico fino alle regioni nordiche verso l’Artico.
Il tempo si riferisce, invece, ad eventi specifici, come giornate calde o temporali. Insomma se volete fare un picnic il prossimo weekend, dovrete preoccuparvi del meteo, del tempo, non del clima in generale, anche se, come vedremo, quest’ultimo influenza, eccome, la nostra possibilità di starcene tranquilli in mezzo ad un prato.
Questa sera parliamo di condizioni climatiche estreme. Di cosa si tratta?
É il 20 marzo 1979, quando Mino Pecorelli viene brutalmente assassinato in via Orazio, a Roma, di fronte alla sede della sua rivista, O.P. verso le nove di sera.
Nella scorsa puntata ho cercato di raccontare come sono andate le cose, quali contatti aveva avuto Mino nell’ultima giornata della sua vita e come erano procedute le indagini, subito dopo.
Ci sono alcune cose strane, come del resto in quasi tutte le storie di questo tipo. Come l’avviso alla pattuglia che arriva per prima sul posto. Si sono sentiti quattro colpi di arma da fuoco, viene detto. La stranezza è che l’arma che spara è dotata di silenziatore. La stessa arma, secondo alcuni pentiti, è in possesso di Enrico De Pedis, il super boss della banda della Magliana, che la tiene come un trofeo. Le armi di questa banda, che entra in ogni losca vicende del periodo che va dal 1975 in poi, vengono trovate dagli investigatori in uno scantinato del Ministero della Sanità. Qui ci sono anche proiettili, abbastanza rari e esattamente dello stesso tipo, di quelli trovati a terra vicino all’auto di Pecorelli il 20 marzo del 1979. Un omicidio da parte della malavita? Difficile da credere, anche perché in quel deposito entrano, con la massima libertà, uomini dei NAR, come Massimo Carminati, e uomini legati alla mafia siciliana come Danilo Abbruciati. Terrorismo, cosa nostra, che a sua volta richiama la politica che conta in quel periodo, come Franco Evangelisti, che confesserà prima di morire la sua vicinanza con i boss siciliani. Ma Franco Evangelisti è il braccio destro di Giulio Andreotti … ecco dunque che tutto è possibile: chiunque può aver deciso che Mino Pecorelli deve morire.
Nella scorsa puntata ho cercato di raccontare come sono andate le cose, quali contatti aveva avuto Mino nell’ultima giornata della sua vita e come erano procedute le indagini, subito dopo.
Ci sono alcune cose strane, come del resto in quasi tutte le storie di questo tipo. Come l’avviso alla pattuglia che arriva per prima sul posto. Si sono sentiti quattro colpi di arma da fuoco, viene detto. La stranezza è che l’arma che spara è dotata di silenziatore. La stessa arma, secondo alcuni pentiti, è in possesso di Enrico De Pedis, il super boss della banda della Magliana, che la tiene come un trofeo. Le armi di questa banda, che entra in ogni losca vicende del periodo che va dal 1975 in poi, vengono trovate dagli investigatori in uno scantinato del Ministero della Sanità. Qui ci sono anche proiettili, abbastanza rari e esattamente dello stesso tipo, di quelli trovati a terra vicino all’auto di Pecorelli il 20 marzo del 1979. Un omicidio da parte della malavita? Difficile da credere, anche perché in quel deposito entrano, con la massima libertà, uomini dei NAR, come Massimo Carminati, e uomini legati alla mafia siciliana come Danilo Abbruciati. Terrorismo, cosa nostra, che a sua volta richiama la politica che conta in quel periodo, come Franco Evangelisti, che confesserà prima di morire la sua vicinanza con i boss siciliani. Ma Franco Evangelisti è il braccio destro di Giulio Andreotti … ecco dunque che tutto è possibile: chiunque può aver deciso che Mino Pecorelli deve morire.
Premessa
In questi ultimi mesi abbiamo esplorato alcune vicende tristi e sanguinose dell’Italia degli anni che vanno dal ’70 alla fine della prima repubblica. Ho raccontato la storia dell’assassinio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, le vicende delle navi dei veleni, del capitano di corvetta Natale De Grazia, dell’abbattimento dell’elicottero della finanza Volpe 132, dello scandalo Lockheed, storie con le quali si potrebbe riempire un contenitore molto, molto grande.Pensate alle stragi, da quella di piazza Fontana del 1969 in poi, agli assassini impuniti di giornalisti e comunicatori, come Mauro Rostagno, Mauro De Mauro, Giovanni Spampinato, Pippo Impastato e la lettura della lista potrebbe scorrere come un fiume. E poi personaggi dello stato come il generale Della Chiesa, i magistrati Borsellino e Falcone e tantissimi altri. Una ecatombe, come se vivere nel nostro paese da protagonisti, fosse una guerra. Una guerra tra chi vuole cercare e far conoscere la verità e quelli che vogliono impedirlo.
Introduzione
La storia che vi racconto qui è basata sulle inchieste che giornalisti coraggiosi e preparati hanno condotto, spulciando tra documenti di ogni tipo. Si tratta prevalentemente di quanto raccolto da Repubblica e l’Espresso, almeno nella prima parte della trasmissione.Cominciamo dal quadro d’insieme.
Il 2 marzo del 1994, quattro testimoni vedono o sentono una esplosione nel cielo di Capo Ferrato (Sardegna). Come conseguenza sparisce dalla vista un elicottero: è un Agusta A-109 della Guardia di Finanza che sta sorvolando una nave mercantile a poca distanza dalla costa. L'elicottero porta il nome in codice di Volpe 132, ai comandi c'è il brigadiere Fabrizio Sedda; con lui il maresciallo Gianfranco Deriu. L'indagine della Procura di Cagliari non porta a nessuna conclusione. Una nave presente sul luogo della tragedia (il cargo "Lucina") si dilegua subito dopo l’esplosione, per riapparire mesi dopo nel porto algerino di Djendjen ed essere teatro dell'eccidio di sette marinai italiani ad opera, così si dice, di un gruppo di estremisti islamici. A un certo punto, sulla relazione interna della Gdf viene persino opposto il segreto di Stato che i magistrati, insistendo, riescono a far togliere. Il documento risulta, però di una banalità disarmante: la conclusione è che, forse, si è trattato di un incidente ma che, senza relitto, è impossibile dire di più. Perché allora il segreto di stato?
Introduzione
Oggi ci occupiamo dell’assassinio di Mino Pecorelli, ammazzato il giorno prima che cominci la primavera del 1979.Avviene alla fine di una decade, che di delitti e di sangue ne ha visti a non finire. Alcuni di questi fatti li ho raccontati qui a Noncicredo, tra tutti la prigionia e l’uccisione di Aldo Moro e quella, purtroppo troppo spesso dimenticata, della sua scorta in via Fani nel 1978.
Sono gli anni di piombo che si racchiudono, come dentro due parentesi, tra la strage di Piazza Fontana nel 1969 e quelle di Ustica e di Bologna del 1980. In mezzo ce ne sono altre, con un numero di morti più o meno importante, la bomba in piazza della Loggia a Brescia, quella sull’Italicus, le stragi di Peteano, Gioia Tauro, Questura di Milano.
Anni complicati, difficili, durante i quali la dialettica politica lascia spazio a soluzioni più estreme, quelle definite terrorismo. Terrorismo da entrambe le parti in lizza. Quella di destra e quella di sinistra: i NAR, le BR e tutti gli altri gruppi aderenti ad associazioni più o meno vicine alle estremità delle ideologie delle formazioni politiche presenti in parlamento. Questa almeno è la versione ufficiale. Ma non è solo questo, perché ci sono altri avvenimenti cruciali in quel periodo.
Se le nostre strade sono piene di puttane è perché ci sono i puttanieri. Se la società è piena di spacciatori di droga è perché ci sono i drogati. Vale lo stesso discorso per qualunque relazione tra domanda ed offerta. Se la domanda cala, deve per forza calare anche l'offerta e quindi la produzione. Vale anche per la carne, come dice questo breve filmato di Milena Gabanelli.
Introduzione
Oggi vorrei parlarvi di un personaggio storico, morto nel gennaio del 2000 e responsabile delle sorti del nostro paese prima della fragorosa caduta della prima repubblica all’inizio degli anni ’90.Vorrei parlare, lo avrete certo capito, di Bettino Craxi.
Prima di cominciare tuttavia sono necessarie alcune premesse fondamentali per togliere di torno eventuali antipatici fraintendimenti.
Personalmente detesto quando si trasforma un delinquente, lo dico in generale non necessariamente nel caso di cui sto per parlarvi, in un santo, semplicemente perché è morto. Capisco perfettamente l’affetto dei suoi cari e dei suoi amici, che cercano sempre di valorizzare gli aspetti positivi del caro estinto. É comprensibile e pienamente giustificabile, ci mancherebbe altro.
Quando però il caro estinto è un personaggio pubblico, magari di quelli importanti, il giochino non può più funzionare, perché esiste una realtà storica alla quale non si può sfuggire.
Nel caso di un politico, le cose diventano più complicate, perché il giudizio sull’operato dei politici non è mai obiettivo, è sempre di parte … per questo l’aggregazione di uomini e donne che seguono un progetto politico si chiama “partito”.
Provate a pensarci e a farvi venire in mente un quesito qualsiasi che riguardi la vita del nostro paese: che so … le riforme scolastiche, le leggi finanziarie, l’atteggiamento verso gli immigrati, le scelte in tema di politica estera, … uno qualsiasi va benissimo. In questa situazione ci sono i seguaci del partito A che pensano bianco, quelli del partito B pensano nero e magari ci sono anche altre posizioni con varie sfumature di grigio. La domanda che uno si deve fare è questa: “siccome il quesito è unico, non possono avere tutti ragione, qualcuno deve per forza avere torto.” Sì, è vero: c’è anche la possibilità che tutti abbiano torto, ma di certo è impossibile che abbiano tutti ragione.
Introduzione
Nella prima parte di questa “storia” (che ripercorriamo super-velocemente) abbiamo visto, tra l’altro, come la Democrazia Cristiana, il partito di cui è presidente Aldo Moro, adotti la politica di non trattare con le Brigate Rosse, come a dire che un morto solo si poteva anche immolare pur di non compromettere lo stato in una trattativa con dei banditi.T utto questo sarebbe comprensibile e forse anche condivisibile se le motivazioni profonde fossero proprio queste. Nelle lettere che scrive dal carcere a varie personalità della politica, Moro affronta più volte questo tema, affermando che uno scambio di prigionieri si potrebbe fare. E non lo dice solo perché la vita in gioco questa volta è la sua. Già in altre occasioni (ad esempio nel caso Sossi, il magistrato di destra rapito dalle Brigate Rosse e poi liberato) Moro si era dichiarato favorevole ad uno scambio di prigionieri pur di salvare la vita delle personalità rapite. Queste lettere sono dirette ai vertici della DC, segnatamente al segretario Zaccagnini e al ministro degli interni Cossiga, oltre che all’onorevole Taviani, sempre contrario ad ogni possibile trattativa.
Ma, in questo caso, non si tratta di una presa di posizione per principio, per difendere l’autorevolezza dello stato o la sua verginità. Moro è tra i pochi, assieme ad Andreotti, Cossiga e qualche altro, a conoscere tutti i segreti della politica italiana, che, a dirla tutta, non è stata certo irreprensibile fino ad allora.
Nelle lettere dal carcere, le accuse rivolte al partito per la sua condotta sono molte e precise. Leggere quel memoriale, o quel che ne rimane, facilmente reperibile in rete, è interessante ed istruttivo, altroché se lo è. E’ una lezione di storia vista da dietro le quinte.
Oggi parleremo di uno degli aspetti più controversi del rapimento di Aldo Moro nella primavera del 1978, ma prima di arrivarci facciamo il punto della situazione.
Il 1978, come anno intendo, comincia malissimo. Il 1° gennaio un aereo dell’AIR India esplode in volo non lasciando alcuno scampo ai 213 sfortunati che si trovano a bordo.
Il 7 gennaio vengono uccisi due militanti missini (un terzo lo ucciderà poco dopo la polizia durante le manifestazioni di piazza) il che innesca una sorta di faida che porterà alla morte di Franco e Iaio, militanti di sinistra e frequentatori del Leoncavallo a Milano.
Intanto continuano scelte decisamente poco democratiche (scusate l’eufemismo) da un lato da parte di Pinochet che nega ogni interferenza ONU e blocca ogni tipo di elezione per almeno altri otto anni e dall’altro in Cina, dove il partito comunista proibisce la lettura dei testi di Aristotele, Shakespeare e Charles Dickens.
É l’anno in cui la Francia continua imperterrita le prove di esplosione di ordigni nucleari a Mururoa, quello in cui la guerra tra gli irlandesi dell’IRA e gli inglesi continua a fare stragi, come nel caso delle 12 persone uccise da una bomba a Belfast.
É l’anno dei mondiali di calcio in Argentina, vergognosamente organizzati in un paese preda di una terribile e feroce dittatura, che si porterà via tra i 30 e i 40 mila oppositori o presunti tali, scomparsi nel nulla, appunto desaparecidos.
Il 1978, come anno intendo, comincia malissimo. Il 1° gennaio un aereo dell’AIR India esplode in volo non lasciando alcuno scampo ai 213 sfortunati che si trovano a bordo.
Il 7 gennaio vengono uccisi due militanti missini (un terzo lo ucciderà poco dopo la polizia durante le manifestazioni di piazza) il che innesca una sorta di faida che porterà alla morte di Franco e Iaio, militanti di sinistra e frequentatori del Leoncavallo a Milano.
Intanto continuano scelte decisamente poco democratiche (scusate l’eufemismo) da un lato da parte di Pinochet che nega ogni interferenza ONU e blocca ogni tipo di elezione per almeno altri otto anni e dall’altro in Cina, dove il partito comunista proibisce la lettura dei testi di Aristotele, Shakespeare e Charles Dickens.
É l’anno in cui la Francia continua imperterrita le prove di esplosione di ordigni nucleari a Mururoa, quello in cui la guerra tra gli irlandesi dell’IRA e gli inglesi continua a fare stragi, come nel caso delle 12 persone uccise da una bomba a Belfast.
É l’anno dei mondiali di calcio in Argentina, vergognosamente organizzati in un paese preda di una terribile e feroce dittatura, che si porterà via tra i 30 e i 40 mila oppositori o presunti tali, scomparsi nel nulla, appunto desaparecidos.
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