UraniniteImmaginate di voler preparare una grigliata. Oltre alla carne e alla polenta vi serve un po’ di carbone o di legna da ardere, insomma vi serve un combustibile.
La proprietà di queste sostanze è quella di reagire chimicamente con un comburente, quasi sempre l’ossigeno dell’aria (ossidazione), producendo una certa quantità di energia termica.
C’è anche un “combustibile nucleare”, solitamente Uranio e Plutonio, che fornisce energia attraverso una reazione nucleare di fissione del nucleo.
La domanda che qui ci poniamo è la seguente. Dove andiamo a prendere i combustibili? Come vengono prodotti e cosa occorre fare per poterli utilizzare? E cosa fa di un combustibile una “fonte rinnovabile”? E come partecipa alla produzione dell’effetto serra?
Prendiamo il legno: si ottiene dagli alberi, che devono crescere sfruttando il meccanismo della fotosintesi clorofilliana per “alimentarsi”; poi vengono abbattuti, fatti a pezzi e messi nel caminetto. Mentre cresce, l’albero immagazzina CO2 e restituisce all’ambiente ossigeno; quando “muore” la pianta rimette quella CO2 nell’atmosfera. Se viene bruciato, la CO2 prodotta è uguale a quella immagazzinata e quindi il bilancio è pari a zero. Non c’è alcun aggravio dell’effetto serra. (1)
Qual è allora il problema? Il problema sta nei tempi!
Per immagazzinare la CO2 (cioè per “crescere” fino all’età di taglio) un albero impiega anni, per venire bruciato ore. Ciò significa che il rapporto tra CO2 liberata in atmosfera e quella fissata nel legno è di 1 a 4000, quando va molto bene.
Pur essendo quindi il legno una fonte rinnovabile (basta far crescere un albero per ognuno che si “consuma”), se tagliando il bosco si supera la capacità di una foresta di rigenerarsi, in pochi decenni si arriva all''estinzione della stessa, condizione già verificatasi in diverse epoche storiche la più famosa delle quali è probabilmente quella di Rapa Nui (2). Ad esempio se una foresta "coltivata per il legname" ha alberi che crescono ad una dimensione sfruttabile in 25 anni, non si può tagliare più del 4% della foresta ogni anno, ed allo stesso modo bisogna ripiantare con alberi della stessa qualità un''area di pari estensione. Non esistono alberi “pronti all’uso” in una giornata.
Non molto diversamente vanno le cose per il carbone fossile. Esso si forma quando grandi foreste (specialmente in zone paludose) sprofondano sotto il terreno in un ambiente con poco ossigeno; ciò rende difficile la sua decomposizione e le piante subiscono il processo di carbonizzazione, che dura milioni di anni. Il carbone prodotto viene estratto “tal quale” da miniere sotterranee o a cielo aperto. E’ evidentemente una fonte non rinnovabile. Si stima che le riserve con la situazione e le tecnologie attuali siano sfruttabili per altri 300 anni.
C’è anche il carbone vegetale che si ottiene in pochi giorni nelle carbonaie utilizzando legna da ardere con un rendimento in peso di circa il 20%, cioè si ottiene 1 kg di carbone da circa 5 kg di legna, ma la legna da qualche parte deve provenire e quindi siamo da capo.
Poi c’è il petrolio, che deriva da depositi di Carbonio e Idrogeno, sottoposti a pressioni e temperature elevate. Sia in fase liquida (petrolio) che gassosa (gas naturale) questi depositi si muovono verso l’alto attraverso rocce porose, fino ad incontrare delle “sacche” impermeabili dove si raccolgono. Da qui vengono poi estratte. Anche in questo caso il processo è molto, molto lungo e la fonte non può certo essere considerata rinnovabile.
Questi sono i principali combustibili che l’umanità adopera per produrre energia.
E per l’energia nucleare?
Le centrali nucleari utilizzano due elementi come combustibili: l’Uranio e il Plutonio. Dove si trovano? Come si ricavano?
Cominciamo subito a dire che il Plutonio naturale è rarissimo (anche se le esplosioni nucleari dal 1945 ad oggi ne hanno rilasciato oltre 10 tonnellate in atmosfera). Esso si ottiene dall’Uranio 238, che viene bombardato con neutroni, diventando U239. Questo effettua due rapidi decadimenti: il primo lo converte in Np239 e il secondo in Pu239. La produzione avviene proprio nei reattori nucleari, gli stessi che usano le centrali per ottenere energia.
Resta dunque da cercare l’Uranio: ce n’è in natura? La risposta è “Sì, ma ...”.
In effetti non esiste in natura Uranio allo stato libero, ma solo aggregato ad altri elementi. Non è molto diffuso e le concentrazioni alle quali si trova sono molto basse. Ci sono molti minerali che contengono Uranio, tra cui la pechblenda (uraninite) e la carnotite sono i più comuni (ma anche autunite, uranofano, torbenite, coffinite, lignite, la sabbia di monazite, ed altri).
Quello che serve è l’ossido di Uranio U3O8. I minerali dai quali estrarlo devono tuttavia contenerne una percentuale che renda vantaggioso il lavoro di estrazione, diciamo almeno lo 0,2%. Una volta trovato il giacimento, occorre “scavare”. Non differentemente dal carbone, quindi, anche per ottenere Uranio è necessario aprire delle miniere.
YellowcakeIl concentrato di uranio in polvere che si estrae viene detto Yellowcake. Il nome deriva dal suo colore giallo e dalla granulosità delle superfici. Lo yellowcake contiene in genere dal 70% al 90% in peso di ossido di uranio (U3O8). Dai minerali occorre poi estrarre l’uranio che vi è intrappolato. Il procedimento è piuttosto complesso e si compone di varie fasi, fino ad ottenere il metallo.
Ma, come sappiamo, là dentro ci sono almeno due tipi di Uranio: il 238 che costituisce quasi l’intera massa e che non è utile per far funzionare i reattori nucleari e il 235, che è quello “buono”, ma è anche quello presente in tracce davvero minime (attorno allo 0,7%). L’uranio estratto dunque non è in grado di far funzionare il reattore della centrale e quindi è necessario che venga arricchito. Ciò significa che nella “miscela” la quota di U235 deve essere molto maggiore di quella naturale. E’ un processo costoso che può avvenire in diversi modi, tra i quali i più utilizzati sono la diffusione gassosa attraverso dei filtri che “trattengono” il più pesante U238, oppure la più economica centrifugazione ultraveloce, che “spara via” l’elemento pesante U238.
L''uranio 235 al 3-7% è destinato all''utilizzo come combustibile delle centrali nucleari a fissione, l''uranio 235 all''80% è invece utilizzato per fini militari, in particolar modo per la costruzione delle bombe. La dismissione delle armi nucleari obsolete fornisce una grande quantità di combustibile alle centrali nucleari, proprio per la differenza di “purezza” (si stima attorno al 10%).
Ci sono giacimenti di Uranio un po’ ovunque nel mondo (anche in Italia come vedremo), ma gli stati che ne garantiscono una quantità considerevole non sono molti.
La maggior parte delle miniere di estrazione di Uranio sono concentrate in Australia, Canada, Kazakistan. Da questi tre paesi proviene il 60% dell’Uranio usato nel mondo. Il Kazakistan ha aumentato moltissimo la produzione negli ultimi anni e si avvia a diventare probabilmente il primo della lista.
Poi ci sono altri stati che ne producono quantità relativamente modeste (meno del 5%) tra queste anche Russia, Stati Uniti e Niger (2%) che è salito alla ribalta per le proteste dei tuareg che vivono in quelle terre nei confronti di chi da 40 anni ne sfrutta le risorse minerarie (in particolare la francese Areva). Le proteste sono contro le malformazioni che si riscontrano sempre più numerose nei neonati e l’aumento di vari tipi di cancro. Nonostante i pericoli legati all’estrazione da miniere a cielo aperto, il governo ha dato il suo consenso. Sarebbe strano il contrario visto che un terzo dei proventi va a finire proprio nelle casse dell’amministrazione statale.
Anche gli USA hanno avuto una gatta da pelare, perché le loro miniere più ricche si trovano in territorio Navajo. Da queste è stato estratto gran parte dell’uranio usato durante la guerra fredda; milioni di tonnellate fino alla fine degli anni ''80. Poi, con la caduta dei regimi socialisti, le miniere sono state abbandonate. Nella zona si è determinato uno “strano” aumento dei casi di cancro al seno e al fegato mentre nel resto degli States diminuivano. Il fatto è che quando si estrae l’Uranio, questo emette Radon, un gas radioattivo e altri prodotti di decadimento altrettanto radioattivi. Tanto che le miniere sotterranee devono essere dotate di un impianto particolare di aerazione. Il problema non si presenta però solo per i minatori, ma anche per gli abitanti della zona che rischiano di bere acqua inquinata, mangiare prodotti della terra e carni inquinate, costruire le proprie case con materiali inquinati e così via. Nel 1979, scorie della lavorazione dell’uranio defluirono nel fiume Puerco, le cui acque scorrono a sud della riserva navajo. Acque che i nativi utilizzano per abbeverare il bestiame e per l’irrigazione: si è trattato della più grande contaminazione di materiale radioattivo nella storia degli Usa. Ora che il prezzo dell’Uranio è molto salito, quei giacimenti tornano di moda. Uno di questi si trova a meno di due chilometri da sei pozzi che forniscono acqua a circa 15.000 persone.
Nel caso dei Navajos una legge del 1990 ha riconosciuto il danno loro arrecato.
Anche nei pressi di Bergamo (in val Seriana, a Novazza) c’è una piccola miniera di Uranio che potrebbe produrre, secondo le stime, circa 1300 tonnellate di Ossido di uranio all’anno. Quando qualche tempo fa una ditta australiana ha prospettato di sfruttare la miniera, la risposta è stata decisa e negativa anche da parte delle autorità locali.
Oggi, con la bella pensata di questo governo di tornare al nucleare, i giochi si riaprono. I valligiani hanno già fatto sapere che si dovrà passare sui loro corpi, perché l’unica torta gialla (il riferimento è alla Yellowcake) di cui vogliono sentir parlare è la polenta!
Un altro argomento importante è capire “quanto ce n’è”. Essendo una fonte fossile è chiaro che occorre fare gli stessi conti del carbone e del petrolio.
Ma per l’Uranio le cose vanno ancora peggio, perché la sua concentrazione nei minerali estratti è davvero misera. Le miniere migliori da questo punto di vista sono in Canada, dove si arriva all’1%. Ciò significa che per ottenere 1 kg di ossido di uranio devo scavare 100 kg di roccia. Le miniere dell’Australia sono 10 volte peggiori: ci vuole una tonnellata di roccia per 1 kg di ossido di uranio. Se si considera che l’ossido di uranio è una quantità molto grande rispetto al “combustibile finito” si capisce quanta devastazione del suolo serva per alimentare le oltre 430 centrali nucleari in funzione attualmente. La World Nuclear Association (WNA: dati 2008) stima che il consumo annuo di uranio nel mondo sia di 67 mila tonnellate, mentre la produzione sia di 42 mila tonnellate. Ne mancano 25 mila. Queste si ricavano (per chi li ha) dagli arsenali militari e dall’uranio 235 (molto più arricchito come s’è visto) messo da parte durante la “corsa agli armamenti”. Quanto potrà durare ancora? Ci sono stime (che ovviamente non possono essere precise) che parlano di una decina d’anni.
E in natura? Quanto uranio rimane?
La domanda così è posta male, perché di uranio ce n’è tanto, ma se la sua concentrazione è inferiore a certi valori (0,1%) il costo di estrazione diventa insostenibile. Così la WNA parla di Risorse Ragionevolmente Sicure: 2 milioni di tonnellate a meno di 40$/kg, 640 mila tonnellate con un costo tra i 40 e gli 80$/kg. Secondo questi calcoli ne abbiamo ancora per 38 anni, sempre che non si provveda a costruire ulteriori centrali.
I dati sono pubblici e coloro i quali decidono di costruirne di nuove o le realizzano li conoscono benissimo. Ma, a prescindere dagli aspetti di utilità, di salvaguardia dell’ambiente e della salute dei cittadini, un affare è un affare ... e va fatto.
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(1) E’ vero anche che, contemporaneamente, si producono altri inquinanti: anidride solforosa, ossidi d''azoto, ossido di carbonio e polveri. Questi possono tuttavia essere ridotti da una post combustione nelle moderne stufe a legna. (torna)
(2) vedi articolo: Rapa Nui.(torna)