
Vedremo, ma solo alla fine, che un filo conduttore queste vicende ce l’hanno o, quanto meno, potrebbero averlo, perché, ancora una volta, il mistero è piuttosto fitto.
Argo 16
La prima storia che voglio raccontarvi è un’altra questione misteriosa, una di quelle in cui ci sono morti, pochi per fortune, anche se potevano essere molti, molti di più e, ancora una volta ci sono indagini poco affidabili e processi che non portano a nessuna verità. Del resto, credo che chi mi segue sia abituato a sentirsi raccontare casi di questo tipo e comunque fa parte della storia del nostro paese il fatto che avvenimenti di enorme portata sono ancora avvolti nella nebbia del dubbio e del mistero.
Se cercate in rete questo nome, Argo 16, trovate che si tratta di una Associazione Culturale di Marghera, che ha preso il nome proprio da quell’aereo e dalla disgrazia che lo ha coinvolto.
Come sempre dobbiamo rispondere, o cercare di farlo, alle classiche domande: come è potuto accadere? É stato un incidente o c’è dell’altro? E in questo caso chi è stato? Ma la prima domanda da farsi è quella che riguarda quell’aereo. A chi appartiene? Perché, come vedremo subito, conoscere il proprietario di Argo 16 è decisamente importante.
Ma cominciamo dai fatti.
Sul terreno del polo Montedison ci sono quattro cadaveri. Non è un bello spettacolo, perché i corpi sono dilaniati e smembrati. Si tratta dell’equipaggio: il colonnello Anano Borreo, il tenente colonnello Mario Grande, il maresciallo motorista Aldo Schiavone e il maresciallo marconista Francesco Bernardini.
Sono tutti militari, in forza all’Aeronaurtica. Già perché Argo 16 appartiene proprio allo stato maggiore dell’Aeronautica Militare Italiana. Quattro morti, ma potevano essere molti di più, centinaia o migliaia se l’impatto fosse avvenuto un poco più in là, dove ci sono diversi serbatori pieni di fosgene, un gas tossico letale. Nonostante la pietà per i morti, è il caso di dire che “tutto sommato, è andata bene”.

Le stranezze non tardano ad arrivare. Sul posto si recano molto presto due poliziotti per constatare cosa è successo e restano di stucco. La scena è da film dell’orrore. A parte quei morti dilaniati, c’è una ecatombe di macchine che erano parcheggiate là, le auto dei lavoratori del polo. Ci sono rottami ovunque, ma poi saltano fuori strani biglietti: sono soldi, cartamoneta, sporchi di carburante che svolazzano trasportati dal vento un po’ dappertutto. Cos’è quel denaro? Da dove viene, di chi è?
L’inchiesta dell’Aeronautica
Viene subito aperta un’inchiesta. Ci pensa la stessa Aeronautica. É correttissimo, in fondo l’aereo è loro e lo sono anche i morti. Vuole fare in fretta, non ha tempo da perdere. Forse anche troppo in fretta. Così la conclusione è la prima che viene in mente. É stato un incidente, forse un’avaria, forse un errore del pilota, non si può proprio saperlo. Chiudiamola qui e buonanotte al secchio.A me non piace chi cerca il complotto a tutti i costi dietro una vicenda semplice come questa, ma ci sono stati troppi casi simili, in cui una rapida inchiesta copre malefatte o protegge qualcuno. E quindi è il caso di andare un pochino più a fondo, di scoprire se negli anni seguenti è successo qualcosa che possa aiutarci a capire meglio.
Di fatti ce ne sono, ma per capire meglio dobbiamo tornare un pochino indietro, prima di quel 23 novembre 1973.
L’Italia degli anni ‘70
Cerchiamo adesso di fare il punto della situazione. Sono gli anni di piombo nel nostro paese. Ne abbiamo parlato così tante volte da diventare quasi inutile tornarci su. Siamo in piena strategia della tensione cominciata a Milano il 12 dicembre 1969 con la bomba in piazza Fontana e proseguita poi in altre città, come Gioia Tauro, Peteano, Brescia e così via. Ma il clima è teso anche per altri motivi, come il tentato colpo di stato di Junio Valerio Borghese, la nascita di gruppi armati di destra e di sinistra, e così via. Un clima infuocato, mentre la politica, sotto la guida di Aldo Moro, sta cercando di coinvolgere i partiti di sinistra nel governo del paese, in una situazione così ricca di scandali da far venire il voltastomaco.Anni complicati insomma. Il telegiornale racconta le gesta di questi commandos, che un giorno sì e l’altro pure si alternano con sparatorie, gambizzazioni, ammazzamenti. Un clima di guerra o di guerriglia, da cui sarà difficile uscire e ci vorrà un bel po’ di tempo.
La rosa dei venti e l’attentato a Milano
Qualche giorno prima della caduta di Argo 16 ci sono degli arresti eccellenti. Si tratta degli aderenti ad un complotto, un’organizzazione segreta, che si sviluppa all’interno dei servizi segreti italiani, l’allora SID.In realtà l’idea nasce da lontano e precisamente da quel piano Solo, che negli anni ’60 era stato approntato dal comandante generale dell’Arma dei Carabinieri, Giovanni De Lorenzo su esplicita richiesta del presidente della Repubblica, Antonio Segni. L’idea del presidente era quella di predisporre un piano per controllare le manifestazioni di piazza che fossero degenerate in sommosse o simili. Ma De Lorenzo va oltre, molto oltre, immaginando di occupare le sedi dei partiti di sinistra, arrestare un buon numero di politici dello stesso orientamento, e altre quisquiglie del genere. Il casus belli sono le richieste di Pietro Nenni, segretario del partito socialista, per sostenere un governo Moro che fosse indirizzato verso un timido centro-sinistra.
Lo stesso Nenni parlerà in quel tempo del “tintinnio di sciabole”, sottintendendo che si stava preparando un vero colpo di stato contro le istituzioni democratiche. É Moro a chiedere a Nenni di fare un passo indietro, perché non succeda nulla di grave.

Questo intreccio, che non ha nulla a che vedere con l’aereo Argo 16, testimonia una situazione comune in quegli anni complicati. I rigurgiti fascisti, al di là delle bombe di Ordine Nuovo, telecomandato dalla CIA e le intenzioni dei servizi segreti della Repubblica democratica, sono tutti indirizzati alla lotta contro il comunismo.
Gli arresti degli aderenti alla “Rosa dei venti” avvengono pochi giorni prima della disastrosa caduta di Argo 16 a Marghera. Ma c’è di più.
In quel periodo accade anche un altro fatto grave. Avviene il 17 maggio 1973 a Milano. C’è un uomo, nato a Venezia, Gianfranco Bertoli, che si professa anarchico, dovremmo dire anarco-individualista, quegli anarchici che non si limitano a manifestazioni pacifiche ma usano le bombe per farsi sentire. Ma tra il dire e la verità ci sono di mezzo gli anarchici veneziani, nessuno dei quali conosce Bertoli, nessuno ne ha mai sentito parlare. Loro giurano che non ha nulla a che fare con il loro movimento.
Quel 17 maggio, Bertoli è a Milano, davanti alla Questura, da dove se ne è andato da poco il ministro degli interni, Mariano Rumor. Lancia una bomba e il risultato è un nuovo massacro. Restano sul terreno 4 persone e si contano 52 feriti.
L’indagine che segue scopre che Bertoli è un fascista di Ordine Nuovo, informatore dei Carabinieri e del SID, dei servizi segreti. Verrà condannato all’ergastolo. Muore nel 2000.
Ancora una storia simile alla precedente, ancora il tentativo di scaricare addosso alle formazioni di sinistra l’odio della nazione, usando la morte di persone innocenti che non hanno niente a che fare con queste vicende.
La strage di Peteano
Il 31 maggio 1972 i carabinieri vengono chiamati a controllare un’auto, una Cinquecento strana. Si trova nei pressi di Peteano, in provincia di Gorizia. Quando aprono lo sportello, il meccanismo si innesca, l’auto esplode e fa una strage. Ci sono tre morti e due feriti, tutti carabinieri.Questo attentato è fatto, ancora una volta da Ordine Nuovo. Il commando è guidato da Vincenzo Vinciguerra e rientra nella strategia della tensione.
Al di là dei morti, che meritano ogni rispetto e cordoglio, questa vicenda ha un’importanza enorme perché sarà quella, con le indagini che seguiranno a portare alla luce molti scheletri che la politica democristiana custodiva gelosamente. Ma, andiamo con ordine. Al di là della gravità del fatto in sé, la strage di Peteano mostra tentativi di insabbiamento fortissimi. Ed è strano perché il responsabile del massacro, Vinciguerra, confessa ogni cosa. Perché allora tutti quei depistaggi? Le indagini sono tutte dirette unicamente verso formazioni di sinistra, senza nemmeno pensare ad una matrice nera. Poi vengono coinvolte sei persone che è fin troppo evidente che non hanno nulla a che vedere con quel massacro. Ed infatti il tribunale le manda assolte con formula piena. Intanto però si perde del tempo.
Le indagini di Felice Casson e Gladio
Felice Casson di Chioggia, che lavora al palazzo di giustizia di Venezia, riceve l’incarico di indagare sulla strage di Peteano nel 1980, otto anni dopo i fatti. Lui è un giovane giudice istruttore, al primo incarico davvero importante. É comprensibile la sua voglia di far vedere quanto è bravo e di voler andare a fondo nella ricerca della verità, perché anche a lui tutta quella storia puzza da lontano di tentativi di depistaggi da parte un po’ di tutti: carabinieri, magistratura e, probabilmente, servizi segreti. L’aria attorno a lui, al palazzo di giustizia di Rialto a Venezia, è molto pesante. “Lascia perdere, è un caso morto e sepolto” si sente dire dai colleghi più esperti. Per fortuna Felice è testardo ed ha un senso della giustizia ben diverso da quello di chi gli fa capire che è meglio che lasci perdere.
Per questo fa arrestare alcuni uomini con l’accusa di depistaggio e di aver ostacolato le indagini. Sono uomini importanti della zona: l’ex prefetto di Gorizia, un vicequestore e due carabinieri; Mingarelli e Chirico, responsabili delle prime indagini.
Queste sue mosse scatenano il finimondo e non solo a Venezia, perché arrivano continue telefonate da Roma per sapere cosa sta combinando quel giovane giudice chioggiotto. Tutto questo interesse delle alte sfere è una conferma, per Casson, che sta lavorando bene, che è nella direzione giusta e che quella vicenda merita un approfondimento, altro che lasciar perdere. Certo la sua insistenza qualche cosa da pagare la presenta. Si trova isolato a palazzo di giustizia. Improvvisamente la scorta dei carabinieri che lo accompagna di solito in ufficio sparisce. Sembra uno di quei film del poliziotto che indaga su colleghi corrotti. L’isolamento passi, ma arrivano, da parte dei vertici giudiziari veneziani, diverse proposte di azioni disciplinari ai suoi danni, addirittura una richiesta di trasferimento d’ufficio così da toglierselo dai piedi. Fortunatamente tutte queste richieste vengono respinte dal Consiglio Superiore della Magistratura. E cresce in lui la convinzione che ci sia sotto qualcosa di importante da tutelare, qualcosa o qualcuno che non può essere toccato, ne va della credibilità dello stato, addirittura.
Poi ecco il colpo di scena. Di mezzo ci sono anche i servizi segreti. Il collegamento che Casson riesce a fare è tra l’esplosivo usato nell’auto bomba e quello trovato alcuni mesi prima in un nascondiglio ad Aurisina, paese a poco più di 10 km a Nord di Trieste.
Ad Aurisina salta fuori, quasi per caso, un Nasco. Cos’è un Nasco? É uno dei tanti depositi segreti dell’organizzazione clandestina Gladio, di cui abbiamo discusso qui dentro ormai un sacco di volte. Per riassumere brevemente. Gladio è la costola di una organizzazione segreta, chiamata Stay Behind, che avrebbe dovuto agire nel caso di una invasione dell’Armata Rossa in Occidente. Dal momento che questo non è avvenuto, gli organizzatori di questo esercito ombra danno disposizioni che ogni azione deve essere compiuta per limitare l’influenza dei partiti comunisti e socialisti in Europa. In Italia Stay Behind si chiama Gladio, è orchestrata direttamente dalla CIA e dai nostri servizi segreti. A livello politico non sono in molti a sapere di Gladio. Addirittura la maggior parte dei parlamentari non ne sa nulla. Ne sanno invece molto alcuni dirigenti del partito di maggioranza, in particolare Francesco Cossiga, ritenuto da molti il vero padre dell’organizzazione.
Ecco il punto: la copertura dei responsabili della strage di Peteano non serve tanto a proteggere Vinciguerra e soci o Ordine Nuovo, quanto a non far trapelare nulla su Gladio. Oggi siamo convinti che sia proprio Gladio, assieme ad alcune organizzazioni neofasciste come Ordine Nuovo, responsabile della strategia della tensione e delle molte bombe che hanno fatto un sacco di vittime innocenti nel nostro paese. I mandanti sono i servizi segreti statunitensi, la CIA, con addestramento, materiali e finanziamenti Ma torniamo a Casson. Le sue indagini lo portano verso Gladio, sulla soglia di un segreto, che lui definisce “il meglio conservato d’Italia”.
Vincenzo Vinciguerra, che quella bomba ha piazzato nella ‘500 a Peteano, confessa ogni cosa. La sua appartenenza a Ordine Nuovo, il collegamento con i servizi segreti italiani e soprattutto è il primo a parlare in un tribunale di Gladio, raccontando le trame e i collegamenti con le altre organizzazioni nazionali e internazionali.
Vinciguerra viene condannato all’ergastolo ed è il solo a non fare alcun ricorso, anzi vorrà restare in carcere, dove si trova ancora oggi, considerandosi un prigioniero di guerra. Confessioni fatte, evidentemente, non per avere dei benefici, come uno sconto della pena, e per questo tanto più credibili.
Felice Casson fiuta il grande bubbone che ha davanti e vorrebbe saperne di più, ma si rende conto che è di fronte ad un muro altissimo e così si rivolge direttamente al primo ministro, che in quell’occasione, siamo nel 1990, è Giulio Andreotti. L’incontro con il divo Giulio è descritto da Casson in un suo libro, intitolato “La strage di Peteano”, edito da RCS.

Tra le tante cose che emergono da questa nuova indagine c’è anche quella che porta al segretario del MSI, Giorgio Almirante, sotto processo per favoreggiamento aggravato, per aver fornito una certa somma per cambiare i connotati di uno degli esecutori della strage. L’unico motivo per cui non viene condannato è l’uso dell’immunità parlamentare e successivamente di un’amnistia, proprio lui che tuonava dai banchi dei neofascisti contro l’uso quasi quotidiano di quella immunità parlamentare che gli ha permesso di evitare il carcere.
Gli esecutori materiali sono Vincenzo Vinciguerra e Carlo Cicuttini. Il primo è reo confesso. Entrambi prendono l’ergastolo. Ci sono anche condanne minori, ma non è questo che ora ci interessa. Ci interessa di più capire cosa sta succedendo a livello internazionale.
I palestinesi e il Mossad
In effetti, anche a livello internazionale, le cose non vanno bene. L’anno prima, nel 1972, a Monaco di Baviera, un commando di “Settembre Nero”, organizzazione terroristica palestinese, fa una strage durante le Olimpiadi di Monaco. Ci sono 17 morti tra atleti e allenatori israeliani, terroristi e un poliziotto tedesco.Per capire che cosa c’entrano le spie, gli attentati, i terroristi palestinesi e gli israeliani con Argo 16, dobbiamo tornare indietro di alcuni anni, perché la risposta non è delle più semplici.
Tutto comincia il 5 giugno 1967, quando l’esercito israeliano, in sei giorni, occupa alcuni territori, dalla Cisgiordania a Gaza, dal Sinai al Golan. I palestinesi non hanno un esercito costituito e possono rispondere solo con azioni di guerriglia o, se preferite, di terrorismo. Ci sono varie formazioni che vogliono vendicarsi, riconquistare il proprio diritto a rimanere nelle loro terre e possono farlo solo indebolendo Israele con attentati. George Habash, capo del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), lancia l’idea che non basta farla pagare a Israele, bisogna che il mondo intero capisca le condizioni che si stanno vivendo in quel pezzo di terra e le ragioni dei palestinesi. Per questo propone di agire fuori dallo stato, rendendo internazionali le ritorsioni. E queste ritorsioni riguardano, nel piano di Habash, i voli, gli aerei, gli aeroporti di tutta Europa, dove siano presenti voli da o verso Israele. É una svolta, che viene apprezzata da diversi paesi arabi, primo fra tutti la Libia e il suo “Comandante” Mu’ammar Gheddafi.

L’attentato alle Olimpiadi di Monaco, lascia capire che le organizzazioni arabo-palestinesi hanno stabilito sedi ben organizzate un po’ dappertutto, compresa l’Italia, che anzi risulta essere un comodo corridoio per il trasporto di armi e persone verso il resto d’Europa.
Le sigle palestinesi sono parecchie, ma l’organizzazione di riferimento per i nostri politici è OLP, Organizzazione per la Liberazione della Palestina, guidata da Yasser Arafat. OLP ha al suo interno varie fazioni, come al Fatah, che forse, anche se su questo non c’è accordo, gestisce Settembre Nero.
In quel periodo il servizio segreto italiano è il SID (Servizio Informazioni Difesa). É guidato da due personaggi che hanno un ruolo importante nella nostra storia. Si tratta di due generali, Gianadelio Maletti, un democristiano della corrente di destra, legato al mondo arabo, e Vito Miceli, uomo decisamente di destra e fortemente legato a Israele. Al SID arrivano continue informative e segnalazioni da parte dei colleghi israeliani del Mossad di possibili attività terroristiche palestinesi e arabe sul nostro territorio.
Ed in effetti qualcosa succede. A Perugia viene arrestato un cittadino giordano in possesso di quattro bombe; a Roma e Parma vengono scoperti alcuni gruppi di sostegno al terrorismo palestinese. Il governo e i servizi sono sempre allertati, ma non succede niente di particolarmente grave.
Nel 1972 muore Giandomenico Feltrinelli, ufficialmente esploso dopo aver tentato di piazzare una carica su un traliccio a Segrate, provincia di Milano. Lui era responsabile della costituzione della prima banda armata di sinistra, i Gruppi d’Azione Partigiana ed era legato da amicizia con George Habash. In quel periodo circolano voci su un tentativo da parte del SID di chiedere a Feltrinelli di intervenire presso il suo amico, chiedendogli di lasciar fuori l’Italia dagli attentati. Questa voce non è mai stata confermata e, tra l’altro, non si sa bene cosa avrebbe promesso il SID in cambio ad Habash. Ma, vera o falsa che sia questa voce, l’aria che si respira è questa. É il tentativo di un approccio amichevole verso il movimento arabo-palestinese, destinato a tutelare il territorio e la sua popolazione. Che poi è quello che avviene nella realtà e non solo con l’intervento del SID, ma dello stesso governo, che non può non preoccuparsi per i fatti che accadono, nel mondo, in quel fatidico 1973
Il 1973: attentati e politica
Dunque siamo nell’anno 1973, quando accadono alcuni fatti eclatanti.Il 1° marzo a Karthoum in Sudan, un commando palestinese entra, armi in pugno, nell’ambasciata saudita, e sequestra i diplomatici presenti. La richiesta è la liberazione di alcuni prigionieri arabi, in particolare di Abu Daud, ritenuto la mente dell’attentato di Monaco. Il rifiuto di trattare porta ad una strage, nella quale perdono la vita alcuni diplomatici americani e belgi. Qualche mese dopo, a settembre, la scena si ripete a Parigi. Stessa ambasciata e stessa richiesta. Qui, per fortuna, non ci sono morti. Negli stessi giorni un treno di esuli ebrei fuggiti dalla Unione Sovietica viene dirottato da un commando palestinese, mentre sta entrando in Austria. La politica austriaca è molto aperta verso questi esuli e ha costruito, per loro, campi di accoglienza. Il commando chiede la chiusura di questi campi e la fine di una politica così morbida nei loro confronti. Il cancelliere Bruno Kreisky non vuole rogne, cede su alcuni punti delle richieste e lascia che i palestinesi passino tranquillamente e svaniscano nel nulla. Tel Aviv si lamenta con energia per quella che definisce “un’incitazione alle azioni dei terroristi”. Può sembrare una politica vergognosa, quasi vigliacca, ma chi può giudicare? Può farlo l’Italia?
Politica italiana e “lodo Moro”
E in Italia, non succede niente? Non abbiamo nulla da temere dai terroristi palestinesi? Qualcosa, in verità, succede. In agosto 1972 saltano in aria quattro cisterne dell’oleodotto Trieste - Monaco. Sempre in agosto due turiste inglesi conoscono a Roma due giovanotti arabi, con cui passano un po’ di tempo. Questi regalano loro un mangianastri. Le due turiste prendono un aereo israeliano. Nel mangianastri c’è una carica di tritolo. Per fortuna esplode troppo presto, quando l’aereo è ancora in fase di decollo, e non muore nessuno. Entrambi gli attentati vengono rivendicati da Settembre Nero. Niente di irreparabile, ma sono segnali che spaventano il governo italiano, che decide che bisogna fare qualcosa. Ahmed Zaid e Adnan Hashem, i due del mangianastri, vengono arrestati, ma subito messi in libertà vigilata, ma, evidentemente, non vigilata abbastanza, perché dei due, poco dopo, non c’è più traccia. L’Italia come l’Austria dunque? Ma la storia non finisce qui, anzi … A Fiumicino, in due occasioni, tra novembre 72 e marzo 73, si trovano armi e bombe in alcune valigie. L’attenzione sale, anche perché è proprio dallo scalo romano che erano partiti i terroristi giapponesi, in appoggio ai palestinesi, che avevano fatto una strage all’aeroporto di Tel Aviv il 30 maggio del 1972.Ed infine ci sono i cinque terroristi arabi arrestati a Ostia e poi rilasciati, ma questo è il punto centrale della nostra storia e ci torneremo tra poco.
Sembra che la paura di trattenere in arresto terroristi arabi sia un rischio che il nostro governo non è disposto a correre. La paura di ritorsioni e attentati è grande: abbiamo già quelli di casa nostra, sembrano pensare i politici, che ci bastano e avanzano. Le decisioni in merito al rilascio di questi personaggi non sono prese dal ministero degli esteri, cioè da Aldo Moro. Sono condivise dai colleghi di governo e dai servizi, perché è questo che deve essere chiaro. Si tratta di una strategia politica, non della vicinanza di un nostro governante a qualche pezzo grosso del mondo arabo, come potrebbe essere Yasser Arafat. Ci sono anche altri stati che condividono questo atteggiamento, come la Francia. Insomma il nome che comunemente viene assegnato a questo stato di cose, “Lodo Moro”, è solo un modo per abbreviare la sua definizione. Forse sarebbe più corretto chiamarlo “Lodo Italia”. In realtà anche le sue origini non sono chiare. Sappiamo di una riunione di Moro con il sottosegretario Pennacchini (Grazia e Giustizia), al quale viene chiesto di dare un’accelerata all’accordo, intervenendo nei confronti di alcuni arabi arrestati e da rimettere in libertà. Tutto questo avviene nel 1974, dopo l’attentato di Fiumicino, quando un commando arabo-palestinese assalta un aereo statunitense, fa 32 morti e 15 feriti. C’è tuttavia una fase precedente, che inizia addirittura nel 1969, gestita dai servizi segreti su mandato del Ministero degli Esteri. Ci sono documenti che confermano i contatti tra Moro e l’ambiente arabo-palestinese fin dal 1970. Il momento clou dell’accordo è il 26 ottobre 1973, quando una riunione di politici, militari, servizi, decide la linea da seguire proprio nel caso degli attentatori di Ostia.
Nei documenti di quella riunione si parla esplicitamente del fatto che “L’Organizzazione Liberazione della Palestina (OLP) avrebbe assicurato che, in caso di liberazione, non saranno più tentate azioni terroristiche in Italia.” Questa frase è citata da nel saggio di Giacomo Pacini, dal titolo “Il lodo Moro” Dunque il lodo (Moro o Italia) è inserito in una politica filo-araba, di cui i partiti di maggioranza sono ben consapevoli e favorevoli. Lo storico Aldo Giannuli dice: “Da quel momento inizia una diplomazia parallela, nella quale c'è una diplomazia ufficiale di quasi completo allineamento all'Alleanza Atlantica, ma c'è anche una diplomazia coperta, svolta essenzialmente dai servizi e protesa a mantenere rapporti privilegiati con il mondo arabo, palestinese in particolare, ma arabo in generale. Inizia quello che verrà definito la politica della moglie americana e dell'amante araba e di crescenti dissensi, crescenti attriti fra l'Italia e gli Stati Uniti.” Il nome “Lodo Moro” è probabilmente attribuito a questa strategia perché è lo statista pugliese, durante la sua prigionia nel carcere del popolo delle BR, a ricordare, in alcune lettere, la posizione dello stato di fronte ai terroristi, cosa che non si vuole fare nel suo caso personale. Siamo quasi pronti per tornare a concentrare la nostra attenzione su Argo 16. Lo facciamo tra pochissimo.
I cinque palestinesi e Argo 16
Tutte queste premesse ci consentono, finalmente di tornare a parlare di quell’aereo caduto a Marghera, di Argo 16. Per farlo dobbiamo però partire dai cinque terroristi palestinesi, arrestati a Ostia.Nonostante l’occhio di riguardo nei confronti dei palestinesi, i servizi italiani sono in continuo contatto con il Mossad. É così che al generale Ambrogio Viviani, capo del controspionaggio, nel settembre 1973, arriva un “suggerimento” relativo a cinque arabi, raccomandando di seguirli per capire cos’hanno in mente.
Si organizzano pedinamenti e intercettazioni. Quando i cinque affittano un appartamento ad Ostia si decide di intervenire. Quell’appartamento ha una terrazza che si affaccia sulle piste di decollo dell’aeroporto di Fiumicino. Gli agenti entrano in casa e vi trovano, tra le altre cose, due missili terra-aria autocercanti di fabbricazione sovietica e gli orari delle linee aeree El-Al, la compagnia di bandiera israeliana. Non ci vuole molta fantasia per concludere che stanno preparando un attentato per colpire un aereo. Qualcuno sussurra che potrebbe essere quello che trasporta il primo ministro Golda Meir, in visita in Italia. I cinque vengono arrestati: c’è un algerino, un giordano, un siriano. Gli altri due hanno entrambi passaporto libico, anche se uno è iracheno.
Il resto della storia ha particolari non chiarissimi, ma la sostanza è che, nonostante le richieste, i terroristi non vengono consegnati al Mossad, che pure aveva innescato, con la sua informazione, l’intera vicenda. Non solo, ma Settembre Nero, di cui i cinque sono membri, minaccia ritorsioni pesanti se non verranno liberati e pone un ultimatum: il 25 settembre. Una contrattazione sposta poi il termine alla fine di ottobre. C’è anche la Libia di Mu’ammar Gheddafi che rivendica per lo meno i terroristi con passaporto libico. Se si muove uno stato con cui l’Italia ha buoni rapporti, il governo non può far finta di niente e così invia a Tripoli il colonnello Giovan Battista Minerva, che riesce a trovare un accordo sia con il governo libico che con l’OLP. “Dateli a noi e li processeremo” dicono, garantendo in cambio di non fare altri attentati sul suolo italiano. Il 30 ottobre l’iracheno Ahmed Ghassan al-Hadithi e il libico Ali al-Tayeb al-Fergani vengono liberati e consegnati al capitano Antonio La Bruna, perché organizzi il loro trasferimento. Non si possono far salire su un aereo di linea dell’Alitalia. Si preferisce usare un velivolo di proprietà dell’Aeronautica militare, anzi uno dei servizi segreti. L’aereo scelto è proprio Argo 16: l’equipaggio è lo stesso che cadrà a Marghera qualche settimana più tardi.
Prima di entrare nel merito del viaggio Roma-Tripoli, due parole su quello che succede agli altri tre terroristi di Ostia. C’è un processo che si tiene il 17 dicembre 1973. I tre sono ritenuti colpevoli di vari reati e condannati ad oltre 5 anni di reclusione: è il 27 febbraio 1974. Pochi giorni dopo vengono rimessi in libertà e di loro non si saprà più nulla.

Ecco: tutto questo è il “prima” dello schianto di Argo 16 a Marghera il 23 novembre 1973. Adesso ci occupiamo di quello che succede “dopo”. Ma prima facciamo una pausa brevissima.
Argo 16: incidente o attentato?
Come avvenuto in altre circostanze, penso ad esempio a Volpe 132, c’è fretta, una fretta maledetta di chiudere l’indagine e non pensarci più. Che non sarebbe neanche una cattiva idea, se l’inchiesta fosse condotta bene e senza depistaggi. Invece la relazione finale dell’Aeronautica lascia aperti un sacco di dubbi e così è ovvio che viene da pensare che ci sia sotto qualcosa, che ci sia qualcosa o qualcuno da proteggere, qualcosa che non si deve sapere. Già, ma cosa? Facendo due conti o il problema è il modo in cui è avvenuto il disastro, oppure è l’uso che di quell’aereo si faceva prima di cadere a Marghera. E, in questo senso, che i servizi segreti c’entrino in un modo o nell’altro sembra piuttosto evidente.Ho già detto che i due boss del SID, Gianadelio Maletti e Vito Miceli, non si amano follemente. Così, una settimana dopo la caduta di Argo 16, c’è una riunione, durante la quale Maletti si lascia scappare una frase che manda su tutte le furie Miceli, che lo zittisce come se fosse uno scolaretto discolo.
A raccontare come sono andate le cose è il generale Ambrogio Viviani, responsabile del controspionaggio del SID e presente alla riunione. Maletti avrebbe lasciato intendere che la caduta dell’aereo potrebbe essere stata una ritorsione del Mossad per la questione dei cinque palestinesi di Ostia, lasciati andare liberi invece di consegnarli a loro. E quale mezzo migliore ci poteva essere se non far cadere proprio l’aereo che ne aveva portati due in Libia? Come mai al numero due del SID viene in mente una cosa simile? É solo una boutade tanto per dire qualcosa o ha in mano qualche elemento che provi la sua ipotesi? Proviamo a capirci qualcosa di più, analizzando non solo i fatti ma anche la situazione.

Che sia questa l’origine del fastidio che prova il Mossad e la causa che li scatena al punto da provocare un attentato? Del resto i servizi segreti israeliani non sono certo mammolette e si si tratta di far fuori gente scomoda o avversaria non ci pensano due volte. Non sappiamo, a questo punto, come stanno le cose. Di concreto c’è solo un’inchiesta dell’Aeronautica che conclude sicura: nessun attentato, è stato un incidente.
Tutto qui? Nemmeno per sogno, le sorprese in questa storia non sono mai finite. (44)
Le ultime inchieste su Argo 16
Arriviamo agli anni ’80. Due generali del SID rilasciano interviste alla stampa che fanno grande scalpore. Comincia Miceli, che aveva zittito il collega anni prima, dicendo “L’aereo fu fatto esplodere”, che è già una dichiarazione shockante, quando ormai tutti pensano che la verità sia quella della inchiesta dell’Aeronautica. Il generale Viviani ci mette un carico da 90, ribadendo la sua convinzione che dietro la caduta di Argo 16 ci sia stato il Mossad. Se frasi del genere le diciamo noi non succede niente, ma qui parlano i vertici dei servizi segreti, vale a dire persone che sanno così tante cose che non possiamo nemmeno immaginare. La cosa non può passare inosservata e, nel 1986, il caso viene riaperto. Lo fa il giudice Carlo Mastelloni, della procura di Venezia. Vuole ascoltarli tutti quelli coinvolti, in un modo o nell’altro, nella vicenda. Il risultato non è un granché: qualcuno non ricorda, qualcuno non parla, qualcuno è reticente e per questo viene messo in carcere, come il generale Viviani che vi passa quattro giorni. Alla fine, Mastelloni non cava un ragno dal buco e quindi ordina una nuova perizia su Argo 16. Le conclusioni hanno alcune significative differenze rispetto a quella del 1974 dell’Aeronautica. Per questa si è trattato di un incidente senza ombra di dubbio. Ma quell’ombra, per la nuova perizia, non può essere esclusa. L’aereo è precipitato perché c’è stato un guasto all’impianto che gestisce il timone di coda. Può essere stata un’avaria, ma il sabotaggio non si può escludere. Ci sono altri particolari che non coincidono, come il luogo e le modalità dell’impatto, il tipo di volo, dichiarato “a vista” dall’Aeronautica, mentre era “strumentale” e l’ora esatta dell’impatto leggermente diversa.É un periodo in cui ai giudici non manca certo lavoro e le faccende di cui si occupano, tra stragi, attentati, società segrete, terrorismo e scandali, si intersecano spesso.
Così un altro magistrato veneto, Felice Casson, che abbiamo ben conosciuto per la strage di Peteano, interroga, nel 1986, a Johannesburg, dove si è rifugiato, il generale Maletti.
Documenti che spariscono e segreti di stato
Da questa intervista emergono nuove conoscenze e, di conseguenza, nuovi dubbi, molti nuovi dubbi. Maletti non sa se il Mossad sia intervenuto, ma, dice, è un’ipotesi del tutto ragionevole per la questione dei palestinesi. Quello che è certo è che il velivolo era stato manomesso. C’è stato, dice Maletti, uno studio apposito che lo ha confermato senza dubbi. Si è lavorato sui “resti residui della fusoliera”. I risultati vengono consegnati al vicecapo del SID, generale Francesco Terzani, vicecapo del SID. Lui li porta a Roma … da quel momento non se ne sa più nulla, sono spariti.Strano, no?.

Ma come? Un’organizzazione in grado di sovvertire un governo, perde un fascicolo di una inchiesta in cui sono morti dei loro colleghi? Infatti le cose non stanno così, perché ad un certo punto salta fuori il colonnello Antonio Viezzer. Lui sa bene dove si trova quel fascicolo e, se il giudice vuole, può andarlo a cercare. Poi però, stranamente, non se ne fa niente. Viezzer sarà uno dei collaboratori di Licio Gelli ed entra ed esce da numerose storie poco edificanti a proposito del potere occulto della P2.
Mastelloni deve rassegnarsi, ma, se non c’è il dossier, non può non esserci l’elenco delle missioni condotte dai servizi con Argo 16. Almeno sappiamo a cosa serviva quell’aereo. L’elenco c’è, si sa benissimo dov’è e anche cosa contiene. Lo si sa talmente bene che il governo, presieduto da Ciriaco De Mita, decreta il documento come riservato e sulla vicenda cala la grande ombra del segreto di stato.
Perché? Cosa c’è da nascondere in quell’elenco? L’uso, per così dire, di routine di Argo 16 lo rivela il generale Viviani: serve alla cosiddetta guerra elettronica, vale a dire a disturbare i segnali radar della difesa jugoslava. Non sembra una verità innominabile, dunque perché il segreto?
Argo 16 e Gladio: ecco il legame
Ed ecco entrare nella nostra storia un nuovo personaggio, molto importante. Si tratta del generale Gerardo Serravalle, che viene convocato da Mastelloni. É la giornalista Sandra Bonsanti, che frequenta Serravalle, a pubblicare su Repubblica il resoconto di quell’incontro.Seduto di fronte a Mastelloni che lo interroga, il generale comincia così: “Dottor Mastelloni, lei mi chiede di Argo, io le racconto tutto su Stay-behind”.
Di Stay Behind e di Gladio ormai sappiamo tutto.
Serravalle è a capo dell’organizzazione segreta dal 1971 al 1974, quindi proprio nel periodo a cui la nostra storia si riferisce. Conosce ogni dettaglio delle attività di Gladio, anche dell’uso di quell’aereo.
Argo 16, racconta Serravalle, è l’aereo usato dai servizi segreti per trasportare i “gladiatori” (gli adepti di Gladio) dagli aeroporti nel Nord Est (Istrana, Aviano) verso la Sardegna, dove c’è un campo di addestramento nei pressi di Alghero. Serravalle si rende conto, ad un certo punto, che nel clima torrido dell’Italia, tra attentati, stragi, terrorismo, è meglio mettere da parte le armi nascoste nei posti più incredibili (sotto le chiese o nei cimiteri ad esempio) e ritirare quelle tenute in dotazione dai membri di Gladio.
Il generale, riferendosi ad Argo 16, sostiene che questa azione, quasi di smobilitazione, non era piaciuta ad alcuni gladiatori, che avevano reagito sabotando l’aereo caduto a Marghera. Ecco dunque una seconda ipotesi, che non trova alcuna conferma da parte degli alti gradi di Gladio o del SID, ed è francamente un tantino debole e poco credibile anche per noi.
Quello che conta è che quest’uso di Argo 16, giustifica perfettamente il segreto di stato, dal momento che il popolo italiano conoscerà l’esistenza dell’organizzazione paramilitare solo nel 1990.
Come si vede un caso intricato, tipico dei misteri della prima repubblica: indagini, interviste, documenti scomparsi, depistaggi, segreti di stato.
Nel 1995 Mastelloni chiede il sequestro delle bobine dell’aereo, ma non si trovano. L’ufficiale che le aveva ritirate dopo l’incidente non sa che fine possano aver fatto. C’è anche un sequestro in casa del capo di stato maggiore dell’Aeronautica. Si trovano i suoi diari: manca solo quello del 1973. Un caso? Nel 1998, Mastelloni rinvia a giudizio molte persone. Tra queste il capo del Mossad all’epoca del disastro, Zvi Zamir, accusato di strage e Asa Leven, responsabile del Mossad in Italia, ritenuto la mente del sabotaggio. Con loro finiscono sotto processo 6 alti ufficiali dei servizi italiani, tra cui Maletti e Viviani, accusati di aver occultato le prove. Zamir non si trova, nonostante la richiesta fatta alla DIGOS di verificarne la posizione. É decisamente grottesco quello che racconterà Mastelloni: mentre si tengono le udienze del processo, qualcuno vede Zvi Zamir fare la spesa al mercato di Rialto. Si capisce subito che aria tira. Il processo procede veloce, molti testimoni non vengono neppure ascoltati. La sentenza arriva il 16 dicembre 1999: tutti assolti, il fatto non sussiste. Del resto mancano completamente prove che ci sia stata una manomissione, i resti dell’aereo sono già stati smaltiti o venduti, una ulteriore perizia è impossibile. Non c’è nemmeno un appello, perché non si trovano punti deboli nella sentenza.
Il discorso su Argo 16 finisce qui.
Conclusione
Dunque si è trattato di un incidente, come ne accadono altri: ne sono convinti tutti. Lo è anche Giovanni Pellegrino, che presiede la commissione stragi fino al 2001. A continuare a nutrire sospetti sono i parenti delle vittime, in particolare Luigi, il figlio del colonnello Borreo, che pilotava Argo 16 in quella tragica mattina di novembre.
Il problema, sostiene il figlio del marconista di Argo 16, è l’incertezza: «Se lo Stato si prendesse la responsabilità di dirmi che è stato un incidente potrei andarmene sereno. Ma non è successo».
Oggi a Marghera c’è un locale dove i ragazzi vanno a ballare nel fine settimana. Si trova tra le fabbriche deserte, si chiama Argo 16. Chissà se qualcuno di quei ragazzi ha mai saputo a cosa si riferisce quel nome.
Nel punto di impatto dell’aereo Argo 16 c’è un cippo commemorativo. Vi si legge: “Montefibre, In memoria delle vittime della sciagura aerea del 23-11-1973”. Già … una sciagura.
In questo intreccio di incertezze, di sospetti, di mezze verità. si può concordare con John Le Carré quando afferma che "Solo Dio sa tutto, e lavora per il Mossad".