anarchQuesto è il testo della puntata che ho realizzato in radio e che contiene, come parte, quello usato per il video di Nova Lectio.

Introduzione


Carissimi amici di NSSI, benvenuti a questa puntata della trasmissione, l’ultima prima della sosta estiva. Credo sia abbastanza chiaro quale sia il tema di oggi. La canzone introduttiva è uno dei canti più famosi dell’anarchismo e ricorda l’espulsione di un gruppo di anarchici dalla Svizzera. Tra questi c’era l’autore del testo che abbiamo appena ascoltato, Pietro Gori. Si era rifugiato in Svizzera perché accusato di complicità nell’omicidio del presidente francese Sadi Carnot nel 1894, ad opera di un altro anarchico, amico di Gori, Sante Caserio.
Da questa introduzione può sembrare che gli anarchici siano tutti bombaroli, per usare un’espressione cara a Fabrizio De Andrè, anche lui anarchico. Questa puntata vuol dimostrare che le cose sono enormemente più complesse e che parlare per sentito dire fa, sempre, fare brutte figure.
Avviso subito che la puntata è bella tosta, piena di riferimenti storici, spesso poco conosciuti dal grande pubblico.
Dunque parliamo di anarchia e anarchismo, cercando di capire la differenza dei termini e analizziamo la storia di questo movimento. Prima di cominciare è però necessario avvertire che le vicende dell’anarchismo sono talmente varie e hanno le loro radici addirittura nell’antichità, per cui è impossibile parlare di tutto. Prendete pertanto questa puntata come un riassunto, con degli esempi, certo non tutti, e come l’occasione per conoscere un po’ meglio questo argomento così tenuto in disparte dalla nostra cultura e, infine, come occasione per approfondire un tema che è estremamente interessante e vario.
Forse a questo punto ci avrete già riflettuto. Di anarchici non si parla mai. Lo si fa solo in alcune rare occasioni, di solito negative. Il caso più recente è la discussione che è avvenuta attorno al detenuto Alfredo Cospito, condannato ad oltre 30 anni e confinato al 41bis, come parte dei boss mafiosi. Non mi interessa cosa ne pensate, riporto solo i fatti. Ha ferito una dirigente dell’Ansaldo e messo due bombe davanti ad una scuola di allievi ufficiali dei carabinieri. Nessuno è morto, nessuno è stato ferito, eppure l’accusa è di terrorismo e di tentata strage politica. Il 41 bis a me sembra eccessivo.
Quella di Cospito, tuttavia, è solo una scusa, per poter entrare nei meandri delle teorie anarchiche, rileggendo la lunghissima storia del movimento.
Cominciamo dalle parole, che sono importanti, perché quando le usiamo male creiamo sempre dei fraintendimenti. E va distinto subito l’anarchismo dall’anarchia.
Nel nostro linguaggio quotidiano alla parola “anarchia” assegniamo di solito un significato negativo, di qualcosa di disordinato, confuso, senza regole, il caos. Il termine deriva dal greco antico ed è composto dalla particella an (non, senza) e árkhō (dominio). Dunque l’anarchia è la teoria che prevede una società senza comando, senza gerarchia, senza dominio. Vedremo di seguito cos’è questo “dominio”, ma possiamo anticipare che i centri di potere in generale e lo Stato in particolare, c’entrano moltissimo.
L’anarchismo è il movimento politico che alle dottrine dell’anarchia si ispira.
 La sua storia è lunga, molto lunga, faremo addirittura fatica a stabilire dove è cominciata. E non è nemmeno un movimento unitario, semplice, ma ricco di correnti, modi di pensiero, attività. L’anarchismo invece raccoglie tutti i movimenti politici e sociali che hanno lottato e lottano per raggiungere una società anarchica. Semplificando al massimo, a costo di essere banale, anarchia è la teoria, anarchismo la sua espressione pratica.
Quando nasce l’anarchismo, chi ne parla per primo, dove si è sviluppato? É tremendamente complicato rispondere a questa domanda, fissare una data o una situazione di partenza.
Concetti anarchici compaiono nell’antichità. Ne parla Antigone, il protagonista della tragedia di Sofocle attorno al 450 avanti Cristo. La stessa democrazia diretta ateniese voluta, da Pericle e sviluppatasi nel quinto secolo avanti Cristo, contiene forme anarchiche, con il popolo, o larga parte di esso, riunito in assemblea che decide le leggi. Le grandi rivoluzioni, l’inglese, la francese e l’americana presentano esperienze anarchiche nel loro interno. Ad esempio gli anabattisti (1525), volevano una chiesa priva di clero e quindi di strutture gerarchiche. I Sanculotti, conquistatori della Bastiglia (1789), erano sostenitori della democrazia diretta. E, ancora, i diggers inglesi, zappatori di terre gestite comunitariamente (1650). E poi ci sono esperienze tribali in Africa, e tra i nativi americani. Anzi, la prima volta che la parola anarchia viene usata in un testo, si riferisce proprio a queste tribù.
Si capisce quindi che scegliere un anno come origine dell’anarchismo organizzato è impossibile: le teorie filosofiche e sociali si sviluppano nel tempo.
E allora invece di fornire delle date, raccontiamo degli uomini che queste idee hanno messo in circolo con i loro scritti. Possiamo partire dall’inglese William Godwin, che, pur senza usare il termine, costruisce quello che oggi è chiamato l’anarchismo filosofico, nel quale sono ben presenti le regole di base: lo stato ha sempre un’influenza negativa sul popolo e diventa inutile se le masse popolari fanno uso della ragione. Inutili anche le leggi, il concetto di proprietà e perfino l’istituzione del matrimonio. Non c’è alcuna intenzione violenta nelle sue parole: il governo va abolito pacificamente, confidando sulla presa di coscienza progressiva della popolazione.
Un altro capostipite dell’anarchismo è Pierre-Joseph Proudhon, autore della teoria dell'"ordine spontaneo nella società". Secondo lui non serve che ci sia qualcuno che imponga un’organizzazione. Questa nasce se il popolo ne sente l’esigenza.
E poi c’è Max Stirner, tedesco, a cui si deve l’anarchismo individualista. Secondo lui, l’individuo può esigere tutto quello che gli serve, senza badare a preconcetti come dio, la morale, lo stato. Da qui usciranno gli elementi più radicali dell’anarchismo.
Da queste poche, incomplete, superficiali citazioni, si capisce però quanto la “teoria anarchica” sia costituita di correnti, modi di pensare e di agire, distanti tra loro, a volte persino opposti. Non esiste, insomma, una “bibbia” dell’anarchismo, come esiste, invece, una bibbia del comunismo, raccolta nei testi di Karl Marx. Correnti, che si moltiplicheranno nel tempo e nello spazio del mondo intero, fino a diventare complicato seguirle tutte.
Il primo anarchico italiano riconosciuto è Carlo Pisacane, uno dei patrioti del nostro Risorgimento, mazziniano secondo i testi scolastici, ma intimamente legato alle idee di Proudhon. Adesso però dobbiamo per forza definire i confini del nostro racconto.

L'anarchia

E allora proviamo a fissare una data che segni l’inizio se non dell’anarchismo, almeno della nostra storia: 28 settembre 1864. É il giorno in cui Karl Marx fonda la Associazione Internazionale dei Lavoratori, che sarà poi battezzata “Prima Internazionale”. L’intenzione è di radunare tutti i movimenti, che oggi chiameremmo di sinistra. Ci finisce dentro, quasi per sbaglio, anche Giuseppe Mazzini, ma le due componenti più numerose e vivaci sono i marxisti e gli anarchici, i quali si portano dietro le idee di Proudhon, che muore l’anno successivo.
Nel 1869 alla I Internazionale arriva Michail Bakunin, un altro dei padri del moderno anarchismo. Con Marx non c’è un grande feeling, i due hanno idee piuttosto distanti. Un obiettivo comune, tuttavia, c’è: abbattere il sistema borghese. Inoltre tutti sono d’accordo sul come farlo. Ci sarà una rivoluzione decisiva, che manderà gambe all’aria la società capitalistica e libererà il proletariato. Fatto questo, i popoli avranno un terreno vergine sul quale edificare una nuova società socialista. Ma chi porterà avanti questa operazione? Chi è il proletariato? Per Marx è la classe operaia, sono i lavoratori delle fabbriche. Per Bakunin agli operai vanno aggiunti i contadini, i braccianti, i disoccupati, i vagabondi … tutti gli oppressi e diseredati. Se Marx vede nella rivoluzione lo strumento per sottrarre i mezzi di produzione ai padroni delle fabbriche, Bakunin guarda più lontano: gli avversari da combattere sono tutti i centri di potere, economici, culturali, religiosi e, soprattutto, lo Stato. Non gli importa quale stato, buono, cattivo, autoritario, democratico. Lo Stato, nella sua struttura, è il nemico numero uno e va eliminato. La rivoluzione porterà ad una fase per così dire intermedia, provvisoria, che i marxisti chiamano dittatura del proletariato; gli anarchici la chiamano fase di libera sperimentazione. Almeno in questo le correnti anarchiche sono tutte d’accordo: la nuova società deve essere basata sulla tolleranza, la convivenza, il pluralismo. In una parola sulla libertà dell’individuo. Per capire le intenzioni anarchiche, possiamo leggere la definizione che il fondatore dell’anarco-comunismo, Petr Kropotkin, scrive per l’Enciclopedia britannica nel 1910: “Anarchism: società decentralizzata, senza stato, fondata su una rete intrecciata, composta da un’infinita varietà di gruppi e federazioni di ogni dimensione e grado, locali, regionali, nazionali e internazionali – temporanee o più o meno permanenti – per ogni possibile scopo: produzione, consumo, così come scambio e comunicazioni”.
Le definizioni vanno anche bene, ma noi vorremmo capire meglio cos’è lo Stato per gli anarchici, cosa rappresenta. Solo così sappiamo contro chi o cosa va rivolta l’azione anarchica. Lo spiega con grande chiarezza, fin dal 1897, Errico Malatesta, amico di Bakunin, il più importante anarchico italiano.
Forse – dice Malatesta – parlare di abolizione dello stato non è facilmente comprensibile; è preferibile parlare di abolizione del governo, che è l’insieme degli uomini che decidono ogni cosa. E non c’è un modo buono di formare il governo. Non importa come quegli uomini vengono scelti. Se con la forza o per discendenza come nel caso delle monarchie o per elezione. Anche se a suffragio universale, i governanti rappresentano sempre gli interessi di una parte del popolo, l’altra parte ne diventa succube. Governo significa imporre alle masse di lavorare per gli interessi dei dominatori. Può avvenire con la violenza, cioè applicando il “privilegio politico” del potere oppure sottraendo alle masse i mezzi di produzione e questo “privilegio economico” è basato sulla proprietà. Che pertanto va eliminata. Del resto una delle frasi più famose e citate di Proudhon è proprio questa: “La proprietà è una rapina”.
Qualunque sia il movimento libertario al quale si può fare riferimento, la base di partenza è sempre la stessa: la libertà, libertà dell’individuo e libertà del popolo.
Anche frasi democratiche del tipo “la tua libertà finisce dove comincia quella di un altro” impongono la scelta di un limite. Dov’è questo limite? A metà strada? O spostato di qua o di là? E chi decide dove quel limite si trova? Bakunin scrive “La mia libertà è la libertà di tutti”, non ci sono limiti da tracciare. Il governo, il popolo, i garanti della libertà, lo stato sono gli individui, che decidono cosa è meglio fare per il loro benessere. Errico Malatesta conclude: “Abolito il governo, la società sarà quello che potrà essere. Se ci saranno medici e igienisti, potranno organizzare la sanità. Se ci saranno uomini istruiti organizzeranno le scuole.  La rivoluzione non creerà forze nuove che non esistono, ma lascerà libero campo alle forze, alle capacità esistenti, distruggerà ogni classe interessata a mantenere le masse nell’abbrutimento e schiavitù”.
Insomma, non servono leggi, organizzazioni, uomini al comando che ti dicono cosa fare. Se i cittadini sentono l’esigenza di quei servizi e li ritengono importanti per loro, li organizzeranno, scegliendo uomini saggi e competenti e non perché appartenenti ad un partito o a una casta.
É sicuramente una visione quasi utopica e se noi ragioniamo sulle nostre esperienze e sulla società dei consumi che abbiamo realizzato, ci sembra qualcosa di impossibile, perché alla base di tutto c’è un’enorme fiducia nell’uomo, un uomo saggio e altruista, che sappia liberarsi dai suoi impulsi negativi come l’invidia, la cupidigia, la prepotenza, …. ne conoscete abbastanza?
Ma torniamo alla storia. La Associazione Internazionale dei Lavoratori continua a organizzare un congresso ogni anno. Nel 1872 si riunisce in Olanda, a L’Aia. Gli anarchici italiani non ci stanno, a loro le teorie marxiste non piacciono, non sono convincenti. Così si trovano a Rimini e decidono di non partecipare. Di anarchici, a L’Aia, ce ne sono pochi e Marx può imporre le proprie tesi ed espellere Bakunin e il suo gruppo dalla Prima Internazionale. Gli anarchici reagiscono subito. A settembre 1872 in Svizzera, a Saint-Imier, arrivano le delegazioni di alcuni paesi, ai quali si aggiungeranno successivamente gli altri. É qui che nasce l’organizzazione anarchica, l’Internazionale antiautoritaria, parole d’ordine: abolizione dello stato e autogestione.
Entrambe le Internazionali si scioglieranno di là a non molto. Nel 1875 quella marxista e due anni più tardi quella anarchica per dissidi tra i movimenti nazionali.
La domanda che ci possiamo fare, adesso che abbiamo più o meno individuato di cosa stiamo parlando, è la seguente: ci sono mai stati momenti in cui si è passati dalla teoria alla pratica? Sono esistite società anarchiche o quanto meno ispirate ai principi dell’anarchismo?

La comune di Parigi

Ci eravamo lasciati con la domanda se sono esistite società anarchiche o, quanto meno, basate sugli ideali anarchici. La risposta è sì, ce ne sono state parecchie. Qui escludiamo quelle meno conosciute e ci riferiamo solo a quelle storicamente più rilevanti, ma sono solo degli esempi e molti altri si potrebbero fare.
Forse il primo esempio di autogoverno del popolo si ha con la Comune di Parigi, tra il 18 marzo e il 28 maggio 1871. In un periodo disastroso per la Francia, reduce dalla disfatta nella guerra con la Prussia di Bismark, a Parigi nasce un Comitato di Vigilanza in ciascuno dei 20 arrondissements e una loro Delegazione comunale. I principi sono quelli libertari: soppressione dei privilegi, scomparsa della borghesia come classe dirigente, ruolo politico dei lavoratori, uguaglianza sociale. Il lavoro è il solo punto centrale della Costituzione e il suo prodotto deve appartenere interamente al lavoratore. L’insurrezione avviene all’alba del 18 marzo e porta in piazza il popolo, donne e bambini compresi. I militari schierati per fermarli si rifiutano di sparare e passano dalla loro parte. I pochi fedeli al governo centrale fuggono a Versailles: Parigi è in mano al popolo. É una cosa meravigliosa, ma ci sono errori che saranno pagati cari. Non aver preso possesso della banca di Francia, che è un organo del governo e non aver attaccato l’esercito a Versailles, disperdendo così i vertici del potere francese.
La politica della Comune è in perfetta sintonia con le idee anarchiche. Si cerca di riorganizzare il credito, di aprire al commercio attraverso lo scambio, di assicurare al lavoratore il valore complessivo del suo lavoro. L’istruzione è gratuita, laica e integrale. Tutte le libertà sociali e civili sono garantite al massimo.
É una rivolta popolare, senza un indirizzo preciso, nel mare dei movimenti libertari, ma, tra le varie fazioni, anche se minoritaria, c’è quella dei proudhoniani, che concepiscono quella comune come una delle tante che devono sorgere in Francia, per poi unirsi in una federazione e diventare la società anarchica francese. La Comune ha vita breve: il 21 maggio l’esercito di Versailles entra in città e comincia quella che sarà chiamata la “settimana sanguinosa”: il 28 maggio è tutto finito. Difficile fare i conti, ma almeno 20 mila parigini vengono uccisi, decine di migliaia condannati e incarcerati o deportati, altrettanti fuggono all’estero.

Anarchici statunitensi

Nel frattempo negli Stati Uniti si afferma una corrente individualista, che prende spunto da Max Stirner ed è elaborata da altri americani, come Benjamin Tucker. Vengono evidenziati contenuti nuovi, come l’amore libero, la contraccezione e il controllo delle nascite, tutti temi che confluiscono nel più generale, i diritti delle donne, fortemente discriminate da una società maschilista e bigotta. Tenete presente che siamo alla fine dell’800, inizio ‘900.
Centro delle nuove tendenze è il Greenwich Village di New York, dove la sessualità viene vissuta senza troppi problemi. Si distingue, per importanza, Emma Goldman, la quale non solo promuove queste tendenze, ma difende in pubblico, prima americana, i diritti omosessuali. Anche questo è spirito libertario, quindi anarchico. E parliamo di un secolo e mezzo fa.
L’anarco-comunismo di Kropotkin non impiega molto ad arrivare dall’altra parte dell’oceano. La situazione dei lavoratori degli USA è drammatica. C’è una forte spinta per avere una giornata di sole otto ore lavorative (a quel tempo 12, a volte fino a 16 ore, era la norma) e per questo si mobilitano le masse e scendono in piazza. A Chicago si svolge uno sciopero generale. Nei giorni seguenti gli operai si radunano davanti alla fabbrica McCormick, dove vengono attaccati dalla polizia. Il giorno dopo altri manifestanti si uniscono a Haymarket Square. Qualcuno lancia un ordigno esplosivo e un poliziotto muore. A quel punto la polizia spara sulla folla e succede il disastro. Alla fine di quella che è ricordata come la rivolta di Haymarket si contano 11 morti, 7 sono poliziotti. Vengono arrestate otto persone, sette sono condannate, 4 sono uccise, una si suicida in carcere. Secondo la polizia, a lanciare quella bomba è stato un anarchico. Questo episodio blocca le rivendicazioni operaie, che rifioriranno qualche anno dopo, nel 1890, anche a livello internazionale. Quel primo maggio a Chicago viene ricordato con una festa speciale, la festa del lavoro.
Nelle battaglie per i diritti dei lavoratori, gli anarchici sono sempre presenti, spesso in modo massiccio. Il loro rapporto con il sindacato è però variegato. Se ne discute nel congresso di Amsterdam del 1907, presenti alcuni dei massimi esponenti dell’anarchismo, tra cui Errico Malatesta. Secondo lui il sindacato non ha a che fare con l’anarchia, non è un organismo rivoluzionario, è uno strumento borghese che tende a mantenere lo status quo.
Nonostante ciò, in Spagna, gli anarchici contribuiscono a costituire il CNT, la Confederacion National del Trabajo, che sarà attiva fino al 1940 e sarà presente nella rivoluzione iberica contro Francisco Franco. Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, l’anarco-sindacalismo è un movimento importante, che raccoglie milioni di persone e si diffonde in ogni parte del mondo, in Sud America, in Ucraina, perfino in Cina. 
Tutto bene, fin qui. Ma e le bombe? E gli attentati? E gli omicidi fatti dagli anarchici? Un po’ di pazienza e ci arriviamo.

Propaganda del fatto - Gaetano Bresci

Vorrei ricordare che stiamo parlando di un periodo storico abbastanza lontano dal nostro. Alla fine dell’800 le condizioni di vita erano assai complicate, molto difficili soprattutto per la grande massa dei proletari, i cui diritti erano praticamente uguali a zero.
E certe prese di posizioni possono far venire in mente espressioni come “me l’ha proprio strappato dalle mani”, legato all’esasperazione che certe situazioni inducono.
Torniamo però agli anarchici.
Far conoscere le proprie idee è fondamentale, ma si può fare in modi diversi. C’è un modo di dire che dovremo interpretare. Cosa intende l’anarchismo quando parla di “propaganda del (o col) fatto”? É la convinzione che talvolta non basta la comunicazione verbale, il tentativo di convincere, a volte occorre fare qualcosa di più.
Sappiamo che il nostro paese è stato caratterizzato, attorno al 1900 da una fortissima emigrazione. Milioni di nostri connazionali sono stati costretti a cercare di sopravvivere viaggiando verso le Americhe, l’Argentina, il Brasile, gli Stati Uniti. Tra questi gli anarchici sono numerosissimi. Se ne vanno via perché la reazione del potere alle loro manifestazioni è sempre violenta, fatta di retate, di morti, di carcere. E poi manca il lavoro, c’è la fame, si parte in cerca di una situazione migliore. La città americana di Paterson in New Jersey, sede di una fiorente industria tessile della seta, vede arrivare decine di migliaia di italiani. Tra loro si stima ci siano dieci mila anarchici, uno dei quali avrà un ruolo importante nella “propaganda del fatto”, Gaetano Bresci. Nasce a Prato, Gaetano, e comincia a lavorare presto, da ragazzino, per 14 ore al giorno dal lunedì al sabato. La domenica va a scuola: impara a decorare la seta. Insulta una guardia e finisce in galera per 15 giorni, partecipa ad uno sciopero anarchico e lo spediscono a Lampedusa per 1 anno. Parte per Paterson nel 1898, in cerca di fortuna.
Il re di quell’Italia è Umberto primo, definito dalla stampa il “re buono” per via dell’atteggiamento avuto durante un’epidemia di colera a Napoli. Subisce un primo attentato a Napoli, nel 1873, piuttosto innocuo visto che l’anarchico Giovanni Passanante è armato di un temperino con lama di 8 cm. Reazione? Tutta la famiglia in manicomio criminale, l’attentatore in catene in una cella minuscola, dove impazzisce e finisce i suoi giorni in manicomio. Nove anni più tardi un altro anarchico, Pietro Acciarito, prova di nuovo, ma l’esito non cambia. Il pugnale che usa non ferisce il re. La giustificazione che adduce è un emblema della situazione del paese: campagne lasciate incolte, case lasciate vuote, mentre il popolo non ha da mangiare e dorme per strada. Anche in questo caso la reazione è imponente e non solo nei confronti di Acciarito, che viene condannato ai lavori forzati a vita, ma anche contro tutte le organizzazioni “sovversive”, alla ricerca di un complotto, che in realtà non esiste. Acciarito ha agito da solo, come fanno gli anarchici individualisti.
Poi c’è “la protesta dello stomaco”, a Milano tra il 6 e il 9 maggio 1898. La protesta è contro l’aumento del prezzo del pane, legato alla tassa sul macinato. La gente scende in piazza, non ne può più. Della repressione delle manifestazioni viene incaricato il generale Fiorenzo Bava Beccaris, che ha la splendida idea di usare i cannoni contro la folla. Ci sono cento morti e 500 feriti (questo il dato della polizia, altri sostengono che si tratti di una stima di gran lunga sottovalutata). Il colmo si raggiunge quando il “re buono” premia con un’onorificenza il generale per il massacro compiuto. Un gesto inaccettabile. Gli anarchici ribattezzano Umberto primo “re mitraglia”. Appena appresa la notizia, Gaetano Bresci non ci pensa un attimo. Parte dal New Jersey e arriva a Milano. Il 29 luglio 1900 è a Monza, sede del palazzo reale, uccide il re Umberto primo con tre colpi di pistola. Viene condannato all’ergastolo, ma la sua pena dura solo un anno. Viene trovato morto in cella. Si è suicidato, dice la perizia. Addosso aveva solo un fazzoletto. Quello dei suicidi strani degli anarchici è una storia che si ripeterà, come vedremo più tardi.
La storia di Bresci è solo una delle molte che mettono in pratica la “propaganda del fatto”. Tra il 1881 e il 1913 cadono le teste di altri regnanti e presidenti, dalla Russia agli Stati Uniti, dalla Francia alla Grecia e al Portogallo, due di questi eseguiti da anarchici italiani. E poi ci sono i tentativi di insurrezione, come quello, fallito, guidato da Malatesta a Bologna. Questi episodi potrebbero dare dell’anarchico la fama del bombarolo, cosa che negli uffici di polizia si pensa da tempo. Qui però ci chiediamo se la violenza, in generale, faccia parte del bagaglio dell’anarchismo o se questi episodi non si possano considerare come degli atti individuali, sporadici ed eccezionali, pur se inseriti in una visione rivoluzionaria. Ci sono state figure di anarchici che hanno compiuto atti violenti impossibili da condividere, ma l’uso delle bombe non è una caratteristica strategica dell’anarchismo. Del resto bombe ne hanno usate i nazionalisti, i fascisti, i cattolici irlandesi, praticamente tutti i rivoluzionari. I fatti vanno contestualizzati al periodo storico in cui sono avvenuti; dilatarlo fino ad oggi è scorretto, anche se non sorprendente. Insomma forse possiamo pensare che gli insurrezionalisti, gli squatters o i black bloc rappresentino la parte più radicale e violenta del movimento anarchico, ma dire che “quelli sono gli anarchici”, è un modo davvero superficiale di raccontare la storia.
Quello che resta, tuttavia, di questa fase, è l’immagine che si è creata e che ha avuto nella storia, anche recente, conseguenze importanti, come il fatto che dove c’è stato un qualche attentato, il primo sospettato sia stato un anarchico. La cosiddetta “propaganda del fatto” viene abbandonata dalla stragrande maggioranza del movimento a partire dalla fine della prima guerra mondiale e con l’inizio di un altro sconvolgente accadimento: la rivoluzione russa. )

Rivoluzione russa, anarchici e bolscevichi

Anche se gli anarchici non hanno avuto un ruolo preminente nella rivolta di febbraio 1917, quella che ha rimosso la monarchia zarista, essi possono vedere realizzato finalmente il sogno di Bakunin e Kropotkin. La rivoluzione del proletariato, nata spontaneamente, è l’occasione per fare piazza pulita, rimuovere lo stato ed instaurare una nuova società libertaria e socialista. Nascono federazioni anarchiche nelle grandi città, Pietroburgo e Mosca, al grido di “Viva l’anarchia! Fate tremare i parassiti, i governanti e i preti – tutti i traditori!” Il modello, idealizzato, è quello della comune di Parigi, entrata ormai nella mitologia anarchica.
In Russia sono presenti tre correnti anarchiche. La prima è quella storica degli anarco-comunisti, seguaci delle teorie di Kropotkin. Loro immaginano che tutte le comunità anarchiche sparse nel paese creino una federazione libera.  Ci sono poi gli anarco-sindacalisti più orientati alla conquista dei mezzi di produzioni industriali da parte degli operai. Questa mossa non ha mai avuto un grande successo, anche dove è stata applicata. I motivi sono di due tipi: il primo per la difficile gestione delle condizioni esterne: caro prezzi delle risorse, del carburante, dei trasporti e così via e poi, anzi soprattutto, per l’incompetenza degli operai in termini produttivi e amministrativi. La terza corrente è quella degli anarco individualisti, di cui abbiamo già parlato, e che sono una minoranza rispetto alle altre due.
É chiaro che c’è molto entusiasmo, ma le cose non vanno per niente come sperato. La rivoluzione di febbraio non cambia niente: restano gli stessi problemi e, soprattutto, resta lo Stato come punto di riferimento. Così tutti gli anarchici vedono nei bolscevichi un possibile alleato. I bolscevichi sono la costola dei marxisti che si rifanno a Lenin, e che sono stati avversari degli anarchici, ma in questo caso si fa di necessità virtù. Quello che induce a questa alleanza sono anche le tesi di Aprile di Lenin. Al rientro in Russia infatti ecco le proposte più radicali del leader bolscevico: abolizione dell’esercito, della polizia, della burocrazia, livellamento dei redditi, sostituzione dello Stato centrale con i soviet sul modello della Comune di Parigi. Un modello anarchico bello e buono. I dissidi nascono sui tempi di intervento. I bolscevichi predicano la calma e la necessità di organizzarsi politicamente, gli anarchici hanno fretta, sostenendo che non serve alcun partito strutturato, in fondo anche la rivoluzione di febbraio è scoppiata senza che qualche organismo politico ne assumesse la guida. Provocatori, infiltrati, convincenti, gli anarchici riescono a fomentare una rivolta in luglio, alla quale partecipano soldati, marinai, operai, chiedendo che il potere venga trasferito al soviet di Pietroburgo. Questo però rifiuta e la rivolta termina in brevissimo tempo.
Poi arriva ottobre secondo il calendario giuliano, ma è la prima settimana di novembre secondo il nostro calendario gregoriano e finalmente ecco la tanto attesa Rivoluzione Proletaria, attesa da bolscevichi e anarchici. Questi ultimi hanno 4 rappresentanti nel comitato militare e si sentono pertanto artefici della vittoria tanto quanto i marxisti leninisti.
Ma il cambio della guardia è una nuova delusione per gli anarchici, che vedono i bolscevichi non solo prendersi tutto, ma instaurare un nuovo governo dei soviet, da cui gli anarchici vengono esclusi. Tornano in mente le parole di Bakunin e Kropotkin: la “dittatura del proletariato” avrebbe in realtà significato dittatura del partito marxista. E così è stato da allora e per tutta la durata del governo dei soviet. Tutte le scelte dei nuovi padroni vanno contro le teorie e le speranze anarchiche. Su una rivista anarchica del 1918 viene scritto: “Giorno per giorno, passo per passo, il bolscevismo dimostra che il potere dello Stato possiede caratteristiche inalienabili; può cambiare veste, ‘teoria’ e servitori, ma in sostanza rimane pur sempre potere dispotico sotto nuova forma”. Che è poi quello che l’URSS ha dimostrato durante tutta la propria esistenza. Nessuno dei concetti libertari anarchici compaiono nella gestione sovietica della Russia.
Ma non basta, perché gli anarchici danno fastidio, specie quando cominciano a formarsi gruppi armati a tutela dei loro circoli, le guardie nere. La reazione è molto forte. In una notte a Mosca, una retata in 26 circoli provoca quaranta tra morti e feriti e 500 arresti.
La Rivoluzione d’Ottobre non passa così, senza lasciare strascichi. C’è una controffensiva dei cosiddetti “bianchi”, sostenitori dello zar, aderenti alla repubblica di febbraio e, dietro di loro, sono schierati importanti paesi come Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, perfino l’Italia si schiera. É una situazione strana per gli anarchici che vedono nemici da entrambe le parti e non sanno con chi schierarsi. Alla fine sono costretti a scegliere il male minore, nella circostanza rappresentato dal regime dei soviet, almeno si dichiarano socialisti. Si assiste anche ad alcune esagerazioni come anarchici che entrano a far parte dei soviet, uno, Bill Shatov, addirittura come ministro
La guerra civile dura tre anni, viene vinta dai “rossi” bolscevichi e per gli anarchici si pone di nuovo il problema da che parte stare.
Ci sono quelli che cercano di convincere gli anarchici che la società dei soviet è proprio quella che Bakunin e Kropotkin avevano in mente. Sono una minoranza, la maggior parte degli anarchici non sopportano i marxisti e i loro soviet. Si organizzano, nascono gruppi di guerriglieri un po’ ovunque in Russia, ci sono attentati anche pesanti con morti e feriti. Sono gli individualisti, mentre la maggior parte del movimento non usa mai le bombe, usa le parole, la voce, gli scritti. Escono pubblicazioni durissime contro i soviet, che vengono indicati come dei dittatori, che non hanno fatto altro che rimuovere molti capitalisti per sostituirli con uno solo, lo Stato. Per contadini e operai cambia solo il nome del loro padrone.
La reazione dei bolscevichi è dura. A Mosca e Pietroburgo vengono chiusi i circoli anarchici, soppressi i loro giornali, costrette alla clandestinità le loro organizzazioni. Un’epurazione giustificata dalle difficili condizioni della rivoluzione, il cui destino è appeso ad un filo. Tutto questo porta ad una vera e propria migrazione degli anarchici verso l’Ucraina, e qui comincia una nuova affascinante stori.

Nestor Machno

Dunque gli anarchici russi sono costretti, dalla repressione bolscevica, a scappare in Ucraina. Il paese era stato ceduto alla Germania dopo il trattato di Brest-Litovsk. Qui incontriamo un eroe dell’anarchismo, Nestor Machno, contadino, guerrigliero, condannato ai lavori forzati a vita da un tribunale zarista e liberato con la rivoluzione d’ottobre. In carcere diventa anarchico e, quando torna al suo paese, comincia un’opera straordinaria fatta di restituzione al popolo dei mezzi di produzione, delle terre e dei latifondi ai contadini, nello spirito puro dell’anarchismo.
Va tenuto presente che quella Ucraina era basata quasi esclusivamente sull’agricoltura e la popolazione da una enormità di anni era costituita da contadini che lavoravano per conto terzi o in mezzadria. In quella repubblica anarchica, che è conosciuta come Machnovščyna, i prodotti del lavoro nei campi viene assegnato direttamente a chi li lavora. Machno fa appendere manifesti ovunque nei territori che controlla. Ecco un esempio:
«La libertà dei contadini e degli operai appartiene a loro stessi e non può subire restrizione alcuna. Tocca ai contadini e agli operai stessi agire, organizzarsi, intendersi fra di loro, in tutti i campi della loro vita, come essi stessi ritengono e desiderano [...]. I machnovisti possono solo aiutarli dando loro questo o quel parere o consiglio [...]. Ma non possono, e non vogliono, in nessun caso, governarli.»
E questo è proprio quello che Kropotkin voleva intendere con le sue idee.
Così quella porzione di Ucraina diventa un laboratorio vivente di anarchismo: i contadini si organizzano autonomamente in comuni o soviet se preferite, gestendo collettivamente le terre e i prodotti. Lo stesso avviene nelle poche fabbriche.
C’è ovviamente da fare i conti con gli eserciti invasori prussiano e austriaco. Machno è un genio militare e con azioni apparentemente impossibili, riesce a sconfiggere l’esercito del Kaiser più volte. Quando i tedeschi se ne vanno, ecco la guerra civile: i bianchi attaccano i soviet. Machno è un eroe, una specie di Emiliano Zapata, un precursore di Che Guevara. Lenin e Trotsky, che guida l’armata rossa, lo sanno bene e sfruttano la sua forza, militare e di convincimento, per battere i controrivoluzionari. Gli ucraini stringono un patto con i rossi di Mosca. Li appoggiano, ma pongono una condizione:
«Nella regione in cui opererà l'esercito machnovista, la popolazione operaia e contadina creerà le proprie istituzioni libere per l'autoamministrazione economica e politica; queste istituzioni saranno autonome e collegate federativamente - per mezzo di patti - agli organi governativi delle Repubbliche Sovietiche.»
Insomma uno stato anarchico dentro uno stato marxista. É chiaro che ai bolscevichi questa condizione non può andare bene: voglio tutto il territorio gestito a modo loro.
Quando però il destino della guerra civile è segnato, a favore dei bolscevichi, Machno non serve più. Nonostante le promesse, l’armata rossa fa piazza pulita dell’esercito dell’eroe ucraino. Lui riesce a fuggire, va a Parigi, dove la tubercolosi se lo porta via nel 1934.
Il Machnismo è una delle grandi realizzazioni concrete dell’utopia anarchica: fatta di comunità, condivisione, federalismo, antiautoritarismo. La caduta di Machno e il potere dittatoriale dei soviet la fine per l’anarchismo in Russia.

Nicola Sacco e Barth Vanzetti

Gli anni tra il 20 e il 40 sono quelli in cui l’anarchismo soffre una crisi profonda, comprensibile, da un lato per l’avvento di regimi autoritari in Italia, Germania e Spagna, dall’altro per la fine della speranza riposta nella rivoluzione russa. Ma non è solo questo. Il XX secolo è quello degli scioperi, ispirati dal sindacalismo rivoluzionario, delle occupazioni delle fabbriche, della nascita dei consigli di fabbrica. Ci sono anche attentati, e gli anarchici sono sempre i primi ad esserne sospettati. Accade, siamo nel 1920, a due emigranti italiani negli Stati Uniti, Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, arrestati e accusati di un duplice omicidio. Una politica, quella americana, piena di paure e pregiudizi. Contro i comunisti visto quanto accaduto in Russia, contro gli italiani, che arrivano in numero impressionante, e contro i sovversivi in generale, non necessariamente anarchici. Uno spietato governatore del Massachusetts, un giudice prevenuto, che definisce i due “bastardi anarchici”, prove inesistenti, un processo frettoloso e incompleto, portano alla condanna a morte. Si capisce subito che qualcosa non torna. Si mobilitano in moltissimi: politici, intellettuali, attivisti di ogni colore politico, perfino Mussolini in persona chiede la revisione del processo e la sospensione dell’esecuzione. Niente da fare: il 23 agosto 1927, Sacco e Vanzetti finiscono la loro vita sulla sedia elettrica. Negli anni successivi sono nati spettacoli, film, un sacco di libri, fino alla celeberrima canzone di Joan Baez ed Ennio Morricone “Here’s to you”. Devono però passare 50 anni perché il governatore democratico del Massachusetts, Michael Dukakis, riabiliti completamente la loro memoria.

La grande avventura anarchica spagnola

Siamo negli anni ’30 e i tempi cambiano anche in Europa: il fascismo e il nazismo, come avvenuto in Russia, non possono sopportare movimenti libertari di nessun genere. Ma è la Spagna a diventare, per gli anarchici, il centro del mondo. C’è la guerra civile contro Francisco Franco, alla quale partecipano molte centinaia di anarchici.
Ma nel 1936 in Spagna accade qualcosa che non ha uguali nella storia mondiale. In una vasta area del Sud della penisola, compresa Barcellona, viene realizzata dagli anarchici una società libertaria. I lavori sono gestiti da un’assemblea pubblica, i processi produttivi dei campi sono gestiti dai contadini, in modo del tutto paritario. Percentuali elevatissime di terreni (70% in Catalogna e Aragona) vengono espropriati e collettivizzati: è una riforma agraria che non ha bisogno di leggi, parte dal basso, da chi ne ha bisogno. In alcune collettività viene abolito il denaro, per evitare di creare eventuali disuguaglianze. Vi partecipano anche marxisti dissidenti e socialisti rivoluzionari.
É un risultato esaltante. Dietro il successo c’è una capacità organizzativa straordinaria di due organizzazioni: la Federazione anarchica iberica e il sindacato CNT, la già ricordata Confederacion National del Trabajo, che riesce a raggruppare un milione e mezzo di iscritti. É l’evento che, più di ogni altro, si avvicina a quella società libertaria di cui avevano parlato Bakunin, Kropotkin, Malatesta e tutti gli altri.
La fine di questa esperienza è dovuta a molti fattori. Gli anarchici spagnoli, fin dalla prima internazionale avevano assunto posizioni autonome rispetto non solo ai rivoluzionari marxisti, ma anche a buona parte dello stesso movimento anarchico. E, nella realizzazione pratica qualche differenza all’interno dello schieramento spagnolo si sentivano.
E tuttavia non c’è alcun dubbio che il colpo di spugna di questa esaltante esperienza ha ben altre cause. A parte i franchisti, in Spagna ci sono i marxisti, sostenuti dall’Unione Sovietica, e i repubblicani, quelli al potere prima dell’avvento di Francisco Franco. A nessuno dei due andava bene la nascita di quella repubblica anarchica. Ai primi perché volevano avere l’egemonia su tutto il territorio, proprio come in Ucraina con il Machnismo. Ai secondi le idee anarchiche non potevano andare bene perché erano nettamente contrarie allo sconvolgimento economiche che poteva derivarne.
Dunque, a chiudere questo sogno non sono le truppe di Franco, ma quelle comuniste sostenute dall’Unione Sovietica di Stalin. Come detto nel caso dell’Ucraina, il comunismo sovietico e l’anarchismo non possono proprio stare assieme.
É curioso quello che qualcuno ha certificato, che siano morti molti più anarchici per mano comunista che per mano di fascisti, nazisti e franchisti messi assieme. Muore anche un importante rappresentante italiano, Camillo Berneri, giustiziato dai comunisti. (34)

Italia: fascismo e Badoglio

Adesso torniamo in Italia per vedere cosa succede da noi in questo periodo. Ci eravamo lasciati all’uccisione di Umberto primo da parte di Gaetano Bresci. Dopo la grande guerra, il movimento cresce, grazie anche all’ondata di scioperi e occupazioni delle fabbriche. Durante il fascismo gli anarchici sono, ovviamente, oppositori del regime, ma non c’è un fronte unitario e il dibattito antifascista è più che altro verbale, ospitato da varie riviste o clandestine o pubblicate all’estero. Nel 1926 Mussolini mette fuorilegge l’Unione Anarchica. Ci sono vari attentati individualisti, come quello di Gino Lucetti che tenterà di ammazzare il duce senza riuscirci. Non occorre avere molta fantasia per immaginare il tipo di reazione del regime: repressione, morti, incarcerati, confinati nelle piccole isole, come Ventotene, dove viene mandato anche Errico Malatesta. E proprio a Ventotene si capisce che aria tira per gli anarchici, anche dopo la fine della dittatura fascista.
Il governo Badoglio firma la grazia per gli antifascisti condannati dai tribunali speciali, ma non per tutti significa libertà. Comunisti e anarchici restano sull’isola. A Ventotene è confinato anche Sandro Pertini, uno dei vertici del partito socialista. Assieme ad altri compagni farà il diavolo a quattro perché tutti possano lasciare l’isola. Questo avverrà, ma, mentre i comunisti se ne vanno dove vogliono, gli anarchici hanno un altro destino. Vengono trasferiti al campo di concentramento ad Anghiari in provincia di Arezzo. La decisione del governo scatena una reazione sdegnata di partiti di sinistra, organi di stampa, liberi pensatori e cittadini. La vicenda termina, nella confusione della fuga nazista, con una evasione dei cinquemila detenuti nel campo, compresi tutti gli anarchici. Molti di loro confluiscono nella resistenza contro le truppe tedesche, ancora presenti nel territorio. Sullo spirito antifascista degli anarchici credo non ci sia niente da dire, viste le loro idee libertarie.
Dopo la guerra, la vita riprende e riprende anche l’attività anarchica in Italia, Nel 1945, al congresso di Carrara si presentano 390 gruppi, con moltissimi giovani. Ci sono, come al solito, correnti diverse, in particolare gli individualisti e gli anarco-comunisti. Ma la frattura strategicamente più rilevante è tra i gruppi del Sud e quelli del Nord, che hanno visioni differenti sull’approccio con le masse, più di propaganda i primi, di azione i secondi. Del resto, soprattutto al Nord, ci si rende conto che la caduta del fascismo non ha cambiato proprio niente: intatta è rimasta l’impalcatura capitalistica e monarchica. E non è che con gli anni seguenti le cose siano cambiate granché.
Ormai però l’abbiamo capito: le differenze e le divisioni sono nel DNA del movimento anarchico. Così, mentre si forma la FAI (Federazione Anarchica Italiana), sono numerosi i gruppi che si dissociano e vanno per proprio conto. La FAI esiste ancora ed è attiva, come si può vedere dalle iniziative descritte nel suo sito (https://federazioneanarchica.org/).

Hanno suicidato Giuseppe Pinelli

Arriviamo così ad un anno fatidico per la storia in generale, il 1968. C’è una rivoluzione prima di tutto sociale e culturale, che parte con il maggio francese, che inneggia alla libertà, e i libertari non si contano, specie tra i giovani. É una nuova spinta all’anarchismo: si formano molti gruppi, soprattutto giovanili, che partecipano alla contestazione, alle occupazioni delle facoltà universitarie, alle molte manifestazioni di quel periodo. Ma per gli anarchici, la fine degli anni ’60 riserva ben altre sorprese.
Oggi noi sappiamo come sono andate le cose. Sotto la direzione occulta dei servizi statunitensi (secondo le deposizioni di molti capi dei nostri servizi come Maletti), le forze eversive dei servizi segreti italiani e dei gruppi fascisti come, per fare un esempio, Ordine Nuovo, incomincia la strategia della tensione. E comincia, ufficialmente. il 12 dicembre 1969 a Milano, con la bomba alla banca dell’agricoltura di piazza Fontana, che fa 17 morti e 88 feriti. Chi è stato? La gente non si capacita di un crimine così orrendo, perpetrato contro cittadini del tutto innocenti e ignari. Ma un piano c’è ed è un piano, se mi passate l’espressione, diabolico.
Abbiamo già visto, con Sacco e Vanzetti, che addossare le colpe agli anarchici è quanto mai facile, a causa degli individualisti e delle loro missioni bombarole.
Il guaio davvero grosso dell’organizzazione anarchica è che presenta una quantità enorme di “buchi”, nei quali si infilano agitatori, poliziotti, agenti dei servizi e ogni altra sorta di gentaglia poco raccomandabile. La fama di bombaroli, specie tra il pubblico, è perfetta per farne dei capri espiatori per ogni malefatta che avvenga nel paese e la testimonianza più grande si ha proprio in occasione della strage di piazza Fontana.
Ma andiamo con ordine, perché quella non è l’unica esplosione del 1969.
Il 25 aprile due ordigni esplodono uno alla Fiera Campionaria e l’altro alla stazione centrale. Ci sono solo pochi feriti non gravi. Le hanno messe i fascisti di Ordine Nuovo, Franco Freda e Giovanni Ventura, ma il commissario incaricato delle indagini, Luigi Calabresi, non ha dubbi: sono stati gli anarchici e gli extraparlamentari comunisti. Quindici persone sono tenute in carcere per sette mesi senza uno straccio di indizio. In realtà il movimento anarchico del periodo non usa “la dimostrazione del fatto”. Ci sono solo alcuni atti dimostrativi di isolati individualisti, che non fanno vittime. Gli arrestati sono accusati da una testimone del tutto inaffidabile, tale Rosemma Zublena. Tra loro ci sono Paolo Braschi, giovane imbianchino livornese e il friulano Angelo Pietro Della Savia. Il fratello di questi e Paolo Braschi frequentano Pietro Valpreda, assieme al quale realizzano lampade liberty da mettere sul mercato per arrotondare. Quando arriva il 12 dicembre, sono ancora tutti in carcere in attesa del processo, durante il quale le imputazioni gravi cadono tutte.
In quegli anni a Milano, la casa di Giuseppe Pinelli, partigiano durante la guerra, è un luogo di incontro e di discussione, aperto a tutti: anarchici, marxisti, cattolici e soprattutto aderenti al movimento per l’obiezione di coscienza.
Fa il ferroviere, Pinelli, e viaggia gratis tenendo contatti con i vari gruppi di anarchici sparsi per l’Italia. Lo conoscono bene in questura e lui conosce bene Luigi Calabresi. Nel tardo pomeriggio del 12 dicembre, il commissario si presenta alla sua porta e lo invita a seguirlo. Pinelli non fa una piega, sale sul motorino e segue la volante della polizia. In questura, viene trattenuto oltre il limite consentito dalla legge, poi, intorno alla mezzanotte del 15 dicembre, precipita dalla finestra del quarto piano e muore poco dopo all’ospedale Fatebenefratelli. Si apre una frettolosa inchiesta: Calabresi in quel momento non era presente nella stanza. Si organizza, con sorprendente velocità, la conferenza stampa, che sentenzia: Pinelli si è suicidato, avendo saputo che quella bomba era di matrice anarchica. Chiuso il discorso.
C’è grande perplessità e non solo negli ambienti anarchici. Qualche anno dopo una nuova inchiesta cercherà di chiarire i fatti, senza riuscirvi. Ne esce una conclusione pasticciata: né suicidio né omicidio: un incidente. Pinelli si è sentito male mentre prendeva aria alla finestra ed è caduto di sotto. C’è un nuovo termine nella giurisprudenza, quello di “malore attivo”. Calabresi non c’è più; Lotta continua lo ha ucciso nel 1972.
Fino al 1974 è stato attivo l’Ufficio Affari Riservati, una specie di servizio segreto civile, voluto dal ministro Scelba (sempre lui) nel quale sono confluite le strutture dell’OVRA, la polizia politica di Mussolini. Un organismo il cui scopo è quello di “prevenire e reprimere delitti contro la sicurezza dello stato”. Il fatto che l’impostazione sia stata data da Paolo Emilio Taviani, fervente anticomunista, uno dei padri fondatori di Gladio, lascia capire l’orientamento di questo Ufficio. Vi si trova parecchio materiale, come documenti in cui si accusa Pinelli delle bombe del 25 aprile e di quelle dell’agosto successivo sui treni, nonostante ne fosse del tutto estraneo. Come sia morto Pinelli resta un mistero, ma è un’altra delle vittime dell’uso degli anarchici come capri espiatori, proprio come Sacco, Vanzetti e molti altri.

Pietro Valpreda

Ma la storia di quella strage a Milano non finisce con Pinelli. C’è un altro protagonista, suo malgrado, il già citato Pietro Valpreda, ballerino senza troppa fortuna, iscritto in circoli anarchici nei quali si infiltra chiunque, soprattutto poliziotti. Il 15 dicembre viene arrestato a Milano e accusato della bomba di piazza Fontana. C’è un testimone, che dice di averlo visto in zona a quell’ora, il tassista Cornelio Rolandi: quanti altri erano presenti in quel momento? Quanti altri sospettati potevano esserci? Ma non erano anarchici. Comincia una vergognosa campagna di criminalizzazione su stampa e TV. Tutti mostrano il mostro in prima pagina, compresi i giornali dei partiti storici di sinistra, L’Unità e L’Avanti. La RAI con i suoi leccapiedi, famoso un reportage di Bruno Vespa, viscido come sempre, che parla di Valpreda, appena arrestato come del vero colpevole. Solo Lotta Continua prende le distanze da questo massacro mediatico. Il mostro Valpreda però ha un alibi, di cui non si tiene conto. Il testimone è stato indottrinato dai carabinieri: doveva riconoscere proprio quello della foto che gli stavano mostrando. Ma anche questo non conta. Pietro resta in carcere più di tre anni. La sua innocenza diventa sempre più evidente a mano a mano che il tempo passa. La storia giudiziaria di Valpreda è uno degli assurdi del nostro paese. Marco Pannella si espone fortemente per lui, per farlo uscire dal carcere. Fa un lunghissimo sciopero della fame, come ho raccontato nella puntata dedicata al capo radicale. Serve una legge apposita per ottenere la scarcerazione: la cosiddetta “legge Valpreda”. Ci vogliono 15 anni perché Pietro Valpreda venga definitivamente assolto. Di un crimine che tutti sanno da chi è stato commesso.
É così che gli anarchici sono trattati in quel periodo: servono a coprire la strategia della tensione, a coprire i fascisti di Ordine Nuovo, quelli che le bombe le hanno piazzate davvero, a coprire i servizi segreti, i padrini di Gladio, tutta la feccia che in quegli anni usa i morti delle bombe nel tentativo di far svoltare a destra il governo del paese.
Valpreda muore nel 2002.

Conclusioni

E così arriviamo ai nostri tempi, quelli che in molti abbiamo vissuto, che non sono storia, ma ricordi. Nel 1977, in Toscana nasce Azione Rivoluzionaria, un gruppo armato che si lega alla RAF tedesca e si rende responsabile di alcune decine di attacchi contro giornali, sedi di multinazionali, partiti. Niente di straordinario, nessun morto. Dal 1979 cominciano gli arresti e il gruppo si sfalda. Difficile sentirne parlare in un periodo in cui tutte le attenzioni sono rivolte alle Brigate Rosse.
E oggi?
Il riferimento anarchico di oggi è la FAI (Federazione Anarchica Italiana), che respinge ogni atto di violenza e lo fa da moltissimi anni. Le sue azioni politiche riguardano principalmente la contro informazione, gruppi di solidarietà ai carcerati e la discussione contro il sistema carcerario, così come altre attività culturali sul territorio. Il suo sito è ricchissimo di informazioni sul mondo anarchico.
Come concludere questo viaggio attraverso 200 anni di anarchismo? Abbiamo attraversato esperienze straordinarie come quelle in Ucraina e in Spagna, assistito ad attentati ma anche a elaborazioni filosofiche e sociali di altissimo interesse. Quello che è certo è che il nostro viaggio è parziale, dovuto alla durata di una puntata di questa trasmissione che è fisso. Sarebbe interessante scoprire cosa è successo altrove, ad esempio in Sud America, dove tentativi di anarchismo ci sono stati o anche in altre parti del mondo.
Non potendolo fare vi suggerisco di leggere qualche buon testo sull’argomento. Personalmente sono partito da un libro che si trova gratuitamente in rete ed è “L’Anarchia” di Errico Malatesta. Scritto nel 1897 e pubblicato online qualche anno fa. Per chi volesse poi entrare nel merito delle correnti, sia Bakunin che Kropotkin hanno scritto saggi notevolissimi, come “La morale anarchica” di Petr Kropotkin e altri testi ancora. E poi c’è l’archivio della RAI che potete consultare su Youtube con interessanti servizi.
Spero dunque che questa puntata di NSSI possa servire per una riflessione su un tema che resta troppo spesso nel sottosuolo dell’informazione. E spero che questa puntata sia servita a rimuovere qualche piccolo pregiudizio sul movimento anarchico e sull’anarchismo.