Voglio affrontare nelle prossime tre puntate un argomento che credo sia importante e vorrei proporvelo sotto vari punti di vista. Si tratta della deforestazione, che è responsabile di una larga fetta del cambiamento del clima, un’opera criminosa che è cominciata molti decenni fa senza smettere mai.
Prima però vorrei sottolineare un concetto che penso debba essere chiarito.
Le dichiarazioni dei potenti (lo faranno anche a Dubai non c’è dubbio) parlano da molto tempo di “ridurre” la deforestazione. In questo verbo, “ridurre”, c’è tutta la truffa della situazione. Cosa significa, infatti “ridurre”? Significa tagliare meno alberi, vale a dire che invece di eliminarne mille al giorno, ne elimineremo 750. Qual è il risultato? La deforestazione diminuisce? Per niente. Aumenta ancora, anche se ad un ritmo più lento. Altre foreste vengono distrutte, il contenuto di gas serra nell’atmosfera cresce ancora, così come la temperatura media del pianeta, con tutte le conseguenze che ben conosciamo … ma il solito idiota che si informa su Tik Tok sarà felice e contento di aver sentito che la deforestazione viene ridotta.
A chi conviene che le foreste diminuiscano, che si facciano grandi spazi liberi in Amazzonia, in Congo o nel Borneo? E perché?
E allora, cominciamo. Dividiamo in tre parti questa nostra storia sulla deforestazione perché possiamo individuare tre cause diverse per cui il numero di alberi sulla terra è drasticamente diminuito rispetto al passato. Cominceremo, dopo una introduzione sull’utilità di boschi e foreste, con la causa numericamente meno importante, anche se è forse quella più visibile e di impatto: gli incendi. Cercheremo di capire quanti sono, dove avvengono e perché.
Nella seconda parte cercheremo di indagare sul commercio di legname, molto spesso illegale che abbatte soprattutto alberi di grande pregio, come il palissandro, l’ebano, il teak, scoprendo che questo disastro non avviene solo in Africa o in Asia, ma anche in regioni a noi vicine, in Europa.
L’ultima parte, quella, per così dire più politica, riguarderà le cause legate alla produzione di beni e merci tipici della società dei consume. In altre parole ci chiederemo perché c’è tanto disboscamento in Brasile, in Costa d’Avorio, nel Myanmar e come queste attività siano responsabili anche delle sofferenze delle popolazioni locali. Questo il programma, dunque. Adesso possiamo finalmente cominciare la puntata di NSSI.
Il primo è il fuoco. Secondo la mitologia classica, questo potere era di esclusiva proprietà di Zeus, non a caso raffigurato spesso coi fulmini in mano. Agli esseri umani toccava farne senza, mangiare la carne cruda e scaldarsi semplicemente col calore umano o sperando in un clima mite. Poi entra in gioco un titano, uno dei vecchi dei presenti nella storia prima degli dei dell’Olimpo. Si chiama Prometeo ed è una sorta di protettore degli umani, oggi diremmo che è un progressista. Così, ruba le scintille a Zeus e le consegna agli uomini. Zeus non la prende per niente bene e lega Prometeo ad una roccia, facendogli mangiare il fegato da un’aquila terribile. La cattiveria del capo dell’Olimpo ci dice quanto importante fosse il fuoco, un bene oltremodo prezioso e come tale da non spartire con la feccia degli umani. A pensarci bene, qualche ragione l’aveva, perché dalla consegna del fuoco la vita sulla terra cambia di colpo. Se non altro, la carne cotta sembrava più buona di quella cruda.
La nostra società si è sviluppata proprio attorno a questo fenomeno curioso, durante il quale un combustibile, come il legno o il carbone o il gas o liquidi di vario genere, reagisce con un comburente (di solito l’ossigeno) e produce energia. L’industrializzazione, nata dalla geniale idea di Thomas Newcomen e dalla abilità pratica di James Watt, parte proprio da qui; con le macchine a vapore inizia infatti la nuova era per la produzione. Le fabbriche cominciano a diventare industrie, basate sul fatto che, bruciando combustibili, si poteva produrre energia meccanica che muoveva le macchine per fabbricare maglioni e poi tanta altra merce sempre più sofisticata e importante. Dunque il fuoco è fondamentale, utile, direi “buono”, anche se il fatto che possa produrre ustioni e bruciarti la casa, qualche fastidio lo dà. Solo più tardi gli uomini si accorgeranno che una delle conseguenze del fuoco è anche la produzione di gas che bene non fanno al pianeta, ma questa è un’altra storia.
Il secondo attore protagonista di questa nostra storia è l’albero. La domanda che cominciamo a farci è importante: a cosa serve? Anzi, a dirla tutta, dobbiamo cominciare a chiederci a cosa è servito nell’evoluzione di questo nostro pianeta e dei suoi abitanti. Credo tutti sappiano che la vita è nata nei mari e negli oceani, dove alcune alghe si sono inventate un’idea meravigliosa, quella di trasformare l’anidride carbonica presente in natura in ossigeno, grazie ad un meccanismo straordinario come la fotosintesi clorofilliana. Ma sulla terraferma le condizioni di vita non erano adatte a tutti quegli organismi che respiravano, quello che fanno tutti i mammiferi, compresi noi stessi. Noi abbiamo bisogno di ossigeno come un’automobile della benzina. Ci serve per produrre energia che mantenga vivo il nostro corpo.
Allora, molto tempo fa, non c’eraniente sulla terra che producesse ossigeno. Piani piano sono cresciuti aberi, boschi e foreste, che hanno reso possible il passaggio dall’acqua alla terraferma dei primi esseri viventi, che poi sis ono evoluti piano piano fino a noi. Dunque la respirtazione esiste perché le piante hanno prodotto ossigeno. L’effetto negativo di questa respirazione è il prodotto di scarto che buttiamo fuori: anidride carbonica. Ecco scoperto il trucco: fino a che il consumo di ossigeno da parte nostra e il consumo di anidride carbonica da parte degli alberi è in equlibrio tutto va a meraviglia. Se questo equilibrio si rompe, cominciano i problem. Come si rompe? Con troppi che respirano, con l’immissione in atmosfera di CO2 grazie ai cicli di produzione o riducendo le foreste. Queste cose sono cussesse tuttee tre contemporaneamente e in modo molto massiccio.
Ecco a servono gli alberi, i boschi, le foreste. C’è una differenza tra boschi e foreste, ma qui, nei nostri discorsi, non facciamo differenze, non adesso almeno, avremo modo di parlarne nelle prossime puntate.
Che l’albero sia un elemento decisivo per la vita sul pianeta, non è il solo pregio. I boschi sono anche elementi di mantenimento di condizioni importanti. Con la loro ombra mitigano le temperature, aiutano la precipitazione di piogge, proteggono il suolo: le radici, infatti, trattengono il terreno evitando frane e cedimenti; le loro chiome proteggono le piante più piccole, ma anche gli animali, da insolazioni e precipitazioni; inoltre trattengono l'acqua ed evitano alluvioni a valle. Nelle foreste viene preservata quella biodiversità così preziosa per il nostro vivere su questo pianeta. E poi volete mettere una passeggiata in un fresco bosco d’estate?
Dovremmo tutti amare i boschi ed essere loro eternamente riconoscenti. Ci sono casi, come a Las Gaviotas, in Colombia, dove la testardaggine di un uomo ha trasformato un deserto in un’enorme area boschiva straordinaria … e grazie al bosco ha, letteralmente, “creato” la vita.
C’è un terzo attore in questo nostro film. É colui che appicca gli incendi. Su di lui ci sono un sacco di cose da chiarire. Chi è? Come agisce? E, soprattutto, perché? E ancora: cosa comporta la sua azione per la vita delle persone e per l‘ambiente?
Quante domande. Quello che ci serve, per cominciare, è un inventario. Quante foreste ci sono nel mondo? e in Italia? Quante ne abbiamo avute in passato e quante ne restano oggi? Ancora domande. Per le risposte un po’ di pazienza.
Per i nostri scopi non occorre una precisione maniacale e possiamo dire che circa un terzo del pianeta è coperto da foreste, più o meno 4 miliardi di ettari. Le foreste molto grandi non seguono i confini statali, basta pensare che quella amazzonica si estende in nove stati, anche se la maggior parte si trova in Brasile. Grandi foreste si trovano in Russia, Stati Uniti, Canada e Cina. Ma non tutte le foreste sono uguali. Beninteso tutte servono agli stessi scopi che sono quelli che abbiamo citato prima. Ma un conto è entrare in una foresta incontaminata, in cui l’uomo non ha mai messo mano, l’ha, insomma, lasciata a se stessa. Si tratta delle foreste primarie, che noi, nel nostro linguaggio comune, siamo abituati a chiamare vergini, nome che dà proprio l’idea del loro essere incontaminate. E poi ci sono le altre foreste, quelle in cui l’uomo è intervenuto sia in modo negativo, per tagliare alberi a rotta di collo, sia in modo positivo, per sistemare le cose, togliere gli alberi morti o secchi controllare le distanze tra i vari elementi in modo che ognuno possa vivere il meglio possibile e così via. Tra le foreste più imponenti ci sono quelle pluviali, solitamente legate ad un clima particolare, quello dei tropici, caldo e umido. La più imponente è la foresta Amazzonica, seguita dalla foresta del Congo, che si estende su sei paesi dell’Africa centrale. Altre foreste pluviali si estendono in Sud America (ad esempio quella valdiviana tra Cile e Argentina), in Asia, la grande foresta pluviale del Borneo e altre ancora.
Credo sia chiaro che in queste foreste troviamo le piante più vecchie, quelle, per seguire il nostro ragionamento iniziale, che hanno immagazzinato più anidride carbonica. L’eliminazione di questi alberi è quindi più dannosa che mai.
Dunque, di foreste nel mondo ce ne sono tante. Sembra una buona notizia, ma in realtà non lo è affatto, perché si tratta comunque di una parte di quelle che erano presenti in origine. Secondo alcuni metà delle foreste sono andate distrutte.
L’Italia non è messa male: ci sono 11,4 milioni di ettari di foreste, corrispondenti al 38% del territorio nazionale. Del resto la conformazione della nostra nazione con così tante montagne tra Alpi e Appennini, sembra un luogo perfetto per la presenza di vaste aree boschive.
Gli alberi crescono, grazie all’impollinazione, e muoiono per cause naturali, ad esempio per stress ambientali, per attacco di parassiti, alcuni vengono sradicati da tempeste di vento, come noi ben ricordiamo nel 2018 con la tempesta Vaia sulle Dolomiti. L’ideale sarebbe avere un pareggio tra morti e nuovi nati, cosicché l’equilibrio si mantenga inalterato. Purtroppo alle cause citate ne va aggiunta un’altra: l’azione dell’uomo, che si dimostra, in questo senso, il peggior nemico delle foreste e dei boschi.
Il documento della FAO, citato prima, fornisce molte informazioni interessanti. Ad esempio ragguaglia, decade per decade, su quanti alberi sono morti e quanti sono nati. In entrambi i casi ci sono quelli nati o morti per cause naturali e quelli nati o morti a causa dell’azione umana. Si nota, dai dati, che la deforestazione è sempre maggiore della ricrescita e che quest’ultima è dovuta molto più alla natura che all’uomo, che così non ci fa una bellissima figura.
Entreremo progressivamente nei dettagli del motivo per cui l’uomo ce l’ha tanto con gli alberi, ma, in linea di principio, possiamo dire che alla base c’è sempre un interesse economico, anche se, a volte, a muovere i distruttori sono problemi psicologici e mentali dell’individuo.
Se pensiamo all’era pre-industriale, il legno era il combustibile principale. Credo che quelli che hanno qualche anno in più ricorderanno come le case di una volta venissero riscaldate da una stufa a legna. E le attività vitali, come la cottura del cibo e, appunto, il riscaldarsi, erano legate sempre alla presenza di legno. Certo, c’erano meno individui sul pianeta e quindi il consumo era ridotto rispetto ad oggi. Basta pensare che negli ultimi 60 anni la popolazione mondiale è cresciuta di quasi quattro volte.
Poi però il mondo è cambiato arrivando, piano piano, all’attuale società basata su un consumismo sempre più sfrenato. Le aree boschive sono diventate preziose per altre ragioni. Ad esempio per soddisfare un popolo con qualche soldo in più, aumentando i pascoli per produrre più carne, o per piantare cereali con cui fare mangimi o per ottenere combustibile per le automobili, o per aprire strade o costruire città, o per sostituire una “improduttiva” foresta pluviale con rachitiche palme da olio, come gli abitanti di Malesia e Indonesia hanno potuto constatare di persona.
Oh, intendiamoci, il termine improduttiva associato alla foresta pluviale è sarcastico. Di sicuro gli oranghi del Borneo, a cui è stato sottratto l’habitat in cui risiedono da un sacco di secoli, la prenderebbero molto a male se così non fosse. Per non parlare della quantità enorme di CO2 finita in atmosfera grazie a queste diverse destinazioni.
Comunque la si pensi sui cambiamenti climatici, non c’è dubbio che questa frenetica attività di distruzione delle foreste, abbia inciso non poco sull’effetto serra, con tutto quello che ne consegue. Quanta foresta è andata perduta?
Senza tornare tanto indietro nel tempo, negli ultimi 30 anni è andata perduta un’area di foreste uguale all’Unione Europea. Certo, sotto la spinta delle associazioni ambientaliste e di alcuni politici saggi, si è provveduto a ridurre la deforestazione. Ma voi, visto che seguite NSSI, non potete cadere nel trucchetto che ho spiegato all’inizio sul verbo “ridurre”. Nonostante tutte le riduzioni del mondo, la quantità di copertura arborea continua a diminuire. Uno dice: “Povera natura!”. Ma a rimetterci non è la natura, che avrà qualche miliardo di anni per riprendersi, ma quello che si è autodefinito homo sapiens, la cui immagine è, oggi, quella di un imbecille che sta tagliando il ramo sul quale è seduto.
Tutto questo ci fa arrabbiare e avremo modo di approfondire questo discorso, ma, per adesso, ci limitiamo a vedere come incidono gli incendi sull’intera vicenda.
Già, gli incendi. Anche se adesso qui da noi è inverno, sappiamo bene cosa succede in estate. Lo abbiamo provato anche quest’anno (nel 2023) soprattutto in Italia meridionale, con città circondate da fiamme, come se fossero finite all’inferno. E quest’anno è solo uno dei tanti, perché gli incendi boschivi sono sempre presenti da molti decenni nel nostro paese e anche in tutti gli altri.
Uno può dire: “Cosa vuoi farci? Capita che il legno bruci, perché non dovrebbe succedere agli alberi delle foreste?”.
Calma! Un incendio ogni tanto può capitare, ma pensare che succeda tutto per puro caso o perché sono atterrati dei cattivissimi alieni freddolosi, può essere suggestivo, ma decisamente poco credibile.
Non ci crede nessuno, tanto meno quelli che con gli incendi hanno a che fare per lavoro o per servizio civico: i vigili del fuoco, i carabinieri delle sezioni forestali, tutti i volontari che si mettono a disposizione per tutelare boschi e foreste.
All’arrivo della bella stagione i telegiornali si riempiono, letteralmente, di fuoco e fiamme nei loro servizi. Non si salva nessuno: la Russia, il Canada, l’Europa, l’Africa, tutti coinvolti. Vediamo ormai da così tanto tempo quelle immagini drammatiche di alberi bruciati, di case distrutte, di persone costrette alla fuga, da essere diventate routine. Alziamo le spalle e al massimo diciamo “toh, un altro incendio!” La notizia non colpisce più come un cazzotto nello stomaco, come invece dovrebbe essere.
Gli incendi sono un carico da novanta, aggiunto alle attività di deforestazione per profitto.
A questo punto dobbiamo contare le perdite. La FAO ci comunica che nel periodo 1990-2020 se ne sono andati, tutto compreso, 178 milioni di ettari, area grande come la somma di Italia, Francia, Germania e Penisola iberica. Il triste record di deforestazione spetta all’Africa, seguita dal Sud America. Che il problema sia molto serio se ne è accorta anche la politica, che ha avviato programmi di monitoraggio delle foreste, anche se questo avviene soprattutto in Europa e molto meno là dove servirebbe di più, come in Sud America e in Asia.
Al macello, fatto con ruspe e dinamite, si aggiunge quello col fuoco. In che misura? E poi, come avviene? E perché?
Faccio notare che in quel documento non ci sono i dati del 2023, quindi si tratta delle ultime statistiche disponibili.
Restiamo, comunque, intesi che il clima secco, da solo non può fare nulla se non c’è un innesco di qualche genere. Potrebbe essere un fulmine, per restare in ambito meteorologico, ma ci vigliamo proprio credere che centinaia di incendi siano dovuti a fulmini che casualmente fungano da miccia? Più frequentemente … lasciate che mi sbilanci … quasi sempre, la miccia è accesa da una persona, più o meno consapevole di quello che fa.
Quando parliamo di America latina, non c’è dubbio che ci venga in mente subito la foresta amazzonica, considerata un polmone eccezionale per il pianeta, una delle rare zone del mondo in cui viene assorbita più CO2 di quanta ne venga prodotta. A questo proposito una recente indagine, pubblicata nel luglio 2022 dalla prestigiosa rivista scientifica Nature ci fa sapere che questo vantaggio potrebbe presto sparire, arrivando al punto che nemmeno quella enorme foresta sia in grado di eliminare più CO2 di quanto ossigeno produce. Pensate un po’ a cosa siamo ridotti. É come se ad una persona venisse eliminato l’apparato respiratorio … da non credere!
Ma il dato forse più preoccupante è il trend, la tendenza di questa iattura. Negli ultimi 25 anni, infatti, l’incidenza del fuoco nella distruzione delle foreste è raddoppiata a livello mondiale. Uno dice: è tutta colpa dei cambiamenti climatici!
Può darsi: in effetti tra le conseguenze delle modificazioni del clima, ci sono sicuramente elementi che favoriscono l’insorgere e il propagarsi di incendi, ma vale lo stesso discorso già fatto. Possiamo mai credere che siano la causa diretta del fuoco?
Certo, l’aumento delle temperature, i lunghi periodi senza piogge, la siccità e l’incipiente desertificazione non aiutano, ma ci sono altre cause, ben più drammatiche, per quanto riguarda gli incendi boschivi. Così il clima secco e caldo è più un aiuto che una causa diretta.
L’EFFIS, il Sistema europeo di informazione sugli incendi boschivi, ha calcolato che nei primi 7 mesi del 2022, sono stati bruciati 700 mila ettari di foreste nella sola UE.
Global Forest Watch è un’applicazione per monitorare in tempo quasi reale la situazione delle foreste nel mondo. Ma fa anche di più, perché riesce a distinguere tra gli alberi distrutti per cause diverse. Quelli da disboscamento per l’agricoltura o l’allevamento e quelli invece dovuti ad incendio.
Gli stessi tecnici dell’associazione sono rimasti stupiti dai dati. “È sbalorditivo”, ha detto alla Bbc, James MacCarthy, analista dell’associazione, “ed è sorprendente quanto l’azione del fuoco sia aumentata in così poco tempo”.
Questo documento è estremamente interessante, perché riporta i dati delle coperture boschive tra il 1990 e il 2021 per i singoli paesi. Tra questi c’è anche l’Italia che presenta una situazione meno drammatica di quella che potremmo pensare. Ovviamente si tratta di solo di numeri e come tali sono freddi e non coinvolgono le emozioni della gente. Altra cosa sono i drammi che possiamo seguire in televisione di gente disperata che ha perso terreni coltivati, case, a volte perfino la vita. Ma, tant’è, questo abbiamo e dunque seguiamo questi dati.
Il nostro paese, tra il 1990 e il 2021, ha perduto 220 mila ettari di foreste naturali, il 2,3% della copertura 1990. Ma, accanto a questo, c’è un dato che ci consola. Infatti, nello stesso periodo, le nostre foreste hanno avuto nuovi innesti, o perché si è provveduto ad una riforestazione, cioè si sono piantati dei nuovi alberi o semplicemente per aver lasciato in pace i boschi. Alla fine, la perdita netta negli ultimi 31 anni è limitata ad uno 0,3%. Certo, si può pensare che in fondo siamo messi benissimo. Proviamo però a ragionare con calma: se gli incendi non ci fossero non solo non avremmo perso degli alberi sul nostro suolo, ma ne avremmo guadagnati, in totale controtendenza rispetto al resto del mondo. E allora sì che potremmo gonfiare il petto ed essere orgogliosi di noi.
Il fatto è, però, che, nonostante questa buona notizia, anche da noi di incendi ce ne sono un sacco e la guerra tra chi brucia e chi cerca di spegnere è sempre più forte.
Voglio adesso fare riferimento ad uno studio che ha qualche anno, ma non moltissimi essendo della fine 2018. É stato realizzato dall’Università spagnola di Barcellona e viene descritto da un filmato Youtube. I termini sono un tantino controversi, perché si parla di un 25% di incendi di origine, diciamo così, naturale. Un quarto sarebbe di natura dolosa e il 50% è dovuto al singolo individuo e alla sua disattenzione o stupidità: il classico mozzicone di sigaretta ancora acceso buttato per terra o le sterpaglie bruciate in condizioni pessime (vicino ai boschi e col vento).
Ora, non c’è molto da fidarsi di queste percentuali, anche perché, leggendo altre documentazioni si trovano valori piuttosto distanti da questi. Quello che, tuttavia emerge piuttosto chiaramente è che la maggior parte delle responsabilità ricade, come abbiamo detto subito, sull’uomo e sui suoi comportamenti.
Del resto, come anticipato, cause naturali-naturali, cioè del tutto indipendenti da altri fattori, ne conosciamo davvero poche, se escludiamo i fulmini e forse un clima secco e caldissimo. Può però succedere. La letteratura sugli incendi boschivi è molto vasta. Personalmente mi ha colpito un tipo di incendio chiamato “zombie”. Una temperatura molto alta e la siccità può portare al punto di combustione la torba sotterranea. La “brace” … passatemi il termine non so come altro chiamarla … la brace si propaga sottoterra, fino a che non trova un pertugio, viene a contatto con l’ossigeno dell’aria e sviluppa la fiamma e da qui il gioco è fatto: il fuoco può attaccare tronchi e chiome.
Tra i cattivi distruttori di alberi, restano due categorie di persone: i piromani e i delinquenti. I primi sono, a detta delle autorità, molti più di quello che si potrebbe pensare. Sono solitamente individui che agiscono in solitario, appiccano il fuoco e poi magari chiamano i vigili del fuoco e se ne stanno là a guardare il risultato del loro gesto. Su di essi c’è una vasta letteratura che ne descrive i sintomi, le ansie, le voglie. E adesso parliamo dei delinquenti.
A queste domande è difficile rispondere, perché raramente i delinquenti vengono presi e, d’altra parte, i motivi che spingono qualcuno a bruciare una foresta sono tantissimi. C’è, però, sempre di mezzo un qualche interesse personale, un interesse economico prevalentemente.
Questo è vero anche per quei pastori (e qualcuno è stato beccato e punito) che bruciano le piante per avere zone di pascolo maggiori. O per certi contadini che vogliono un terreno più grande per allargare l’orto. Certo non è come la multinazionale che sradica ettari interi in Amazzonia, ma il principio è lo stesso. Quegli alberi danno fastidio al mio business e quindi li elimino.
L’Università di Pisa ha fatto l’elenco delle motivazioni, alcune delle quali sono abbastanza sconcertanti. Eccole:
rinnovazione del pascolo, recuperare terreni agricoli, ottenere vantaggi economici, creare posti di lavoro, bracconaggio, criminalità organizzata, vendette-ritorsioni, gioco-divertimento, motivazioni politiche, finalità terroristiche, copertura di altri delitti, mitomania. Ce n’è insomma per tutti i gusti, compreso il fatto che a volte gli incendi derivano da chi li deve spegnere, per aumentare le possibilità di lavoro o da chi desidera entrare nei vigili del fuoco: più fuoco, più vigili. Purtroppo queste sono storie reali e documentate, non fantasie di qualche ricercatore.
Prima di proseguire occorre fare alcune precisazioni. L’incendio boschivo è un reato. Lo conferma il nostro codice penale all’art. 423bis. Ma distingue tra incendio doloso e colposo. Nel primo caso (quando si accerta la volontarietà del comportamento) la pena prevista è tra 4 e 10 an ni di carcere, che possono essere aumentati se ci sono le aggravanti di danni a edifici pubblici o privati, cantieri, imbarcazioni e così via, e, ovviamente, alle persone. Gli incendi colposi (cioè provocati dagli imbecilli che buttano mozziconi accesi sulla paglia o bruciano le sterpaglie a ridosso del bosco) sono puniti con pene da 1 a 5 anni di carcere. A questo va aggiunto il risarcimento dei danni provocati.
E ce ne sono di questi bravi personaggi che finiscono in manette? Pochi, pochissimi purtroppo. Eppure le cifre sono davvero enormi. Pensate che nel 2022 in Italia sono stati accertati 5.207 reati di cui 611 in Calabria e 544 in Sicilia. Nella sola Sicilia in cinque anni, dal 2018 al 2022, si sono registrati quasi tremila 2.938 reati con quasi 200 mila ettari di superficie boschiva andati in fumo. In Calabria si viaggia, nello stesso periodo su valori solo leggermente inferiori. Al terzo posto della triste classifica la Sardegna, che ha perduto 20 mila ettari di bosco nei cinque anni citati.
Tra i responsabili si trova di tutto: dai ragazzi giovani che vogliono provare un brivido, all’ottantenne di Enna che ha bruciato 30 ettari di uliveto e poi stava per attaccare un altro bosco e per farla franca non ha pensato di meglio che cercare di corrompere un carabiniere.
Ci sono storie allucinanti, che le telecamere sono riuscite a riprendere, come le micce legate ai gatti che vengono poi fatti scappare all’interno del bosco.
Ovviamente c’è di più. Perché avere terreno libero a disposizione per costruire qualcosa o per allevare del bestiame, o per coltivare un certo tipo di prodotto alimentare è spesso causa di interventi delinquenziali a danno degli alberi. Questo è reso molto più evidente in altre zone del pianeta, ma di questo parleremo in un’altra puntata sulla deforestazione.
In conclusione dunque, riassumendo, è terribilmente difficile che un incendio scoppi da solo. Certo, può succedere ma è un fenomeno estremamente raro. La maggior parte degli incendi sono provocati dalla mano dell’uomo. Dell’uomo imbecille che non si rende conto del suo strano modo di stare al mondo e dell’uomo delinquente che ha un qualche interesse a togliere di mezzo una parte del bosco.
Scopriremo, nella prossima puntata, che, parlando a livello mondiale, la deforestazione da incendi è solo una piccola, anzi piccolissima parte della deforestazione in generale, eppure provoca danni e preoccupazioni non indifferenti. E così l’ultima domanda alla quale dobbiamo rispondere è: “chi è chiamato a domare questi incendi? Come lo fa? Con quali strutture e armi? É un business anche lo spegnere il fuoco?
Per primi ad affrontare le fiamme sono le squadre a terra regionali. In caso di difficoltà vengono chiamati mezzi aerei, dislocati in Italia in modo tale che l’arrivo in qualunque punto della penisola è garantito – dicono alla Protezione civile – in 60, massimo 90 minuti. Ci sono sale operative regionali, le SOUP, coordinate 24 ore al giorno, per ogni giorno dell’anno, da un centro operativo nazionale, il COAU, il cui personale è composto da uomini dell’aeronautica e della forestale. D’estate si aggiungono esperti dei Vigili del Fuoco.
Oggi noi vediamo film in cui da una saletta si riesce a vedere ogni cosa nel mondo. Anche le forze dell’ordine usano telecamere (ad esempio quelle del traffico per individuare automobili sospette nel bosco) e droni. Ma la partita è davvero complicata e gli arresti sono molto pochi rispetto ai reati commessi. I delinquenti che appiccano fuoco sono ormai dei professionisti e usano ogni mezzo per innescare gli incendi senza farsi scoprire.
Quello dei mezzi disponibili è uno dei grandi problemi nella lotta contro gli incendi boschivi.
Attualmente l’Italia possiede 19 Canadair; l’estate scorsa (2022) sono stati utilizzati 34 velivoli (15 Canadair, 9 elicotteri dei Vigili del Fuoco, 8 delle Forze armate e 2 dei Carabinieri). É tanto? É poco? Teniamo presente che in quell’estate ci sono state più di 1'100 richieste di intervento aereo.
C’è anche una flotta europea, anche questa però ritenuta insufficiente. La richiesta di aumentarla, passa attraverso la costruzione di nuovi aerei. Le previsioni sono deludenti, si parla di consegne per il 2029, se proprio le cose andranno benissimo per il 2028. Intanto occorre fare con quello che si ha e i risultati, a giudicare dalla storia recente, non sono certo esaltanti.
C’è stata una polemica recente sul fatto che i velivoli utilizzati in Europa per spegnere gli incendi siano tutti della stessa azienda. Il ministro per la protezione civile, Nello Musumeci, si è chiesto perché mai si debba avere un monopolio del genere e non si allarghi invece la flotta con altri partner.
La flotta italiana di velivoli, pur essendo di proprietà statale, è gestita da una società privata, la Babcock Mission Critical Services Italia, che fornisce l’assistenza e i piloti. Il contratto con lo stato è stato rinnovato fino a tutto il 2024.
Se mettiamo assieme tutto quanto (volo, riparazioni, hangar, personale, carburante, eccetera) un’ora di volo di un Canadair costa circa 15 mila euro. Per avere un’idea del costo totale, ricordiamo che il contratto prevede 3600 ore l’anno, che significa una spesa di 54 milioni di euro. É ovvio che non tutti gli anni sono uguali. Ad esempio, nel 2017 le ore necessarie sono state più di 10 mila, ma l’anno prima solo 1600. Quindi quando si risparmia tempo, può essere recuperato negli anni disgraziati in cui ne serve molto di più.
Ovviamente gli aerei vanno acquistati. Il prezzo stimato è attorno ai 25 milioni di euro. Poi ci sono anche gli elicotteri, ci sono le strutture di terra, ci sono gli uomini, i professionisti. Occorre valutare l’estensione della distruzione, i danni provocati all’ambiente, alle case e alle persone. E poi ci sono i costi di bonifica e di eventuale ricostruzione. Insomma, fare una stima di quanto costi economicamente spegnere un incendio è molto complicato. Ci sono dei dati interessanti. Il sito della WFCA (Western Fire Chief Association) parla di decine di miliardi di dollari l’anno negli Stati Uniti, con un picco di 22 miliardi nel 2012 e 16 nel 2020.
Da noi le cifre sono più modeste, ma non insignificanti. Una sola giornata di fuoco può aver bruciato oltre agli alberi, almeno 100 mila euro. Indovinate chi paga? Già, proprio così …
Ma, in mezzo alle fiamme ci vanno gli uomini: i vigili del fuoco, le guardie forestali, i carabinieri. E non possiamo dimenticare i moltissimi volontari che accorrono quando ce n’è bisogno. In quali condizioni lavorano? Lo apprendiamo da un video, realizzato dalla RAI. Nell’estate del 2022, mentre il fuoco divampa, una giornalista del TG3 intervista i vigili del fuoco romani, che stanno cercando di domare l’incendio. Sono quasi rassegnati, non lasciano trasparire una grande speranza e la giustificano spiegando che a Roma ci sono 1300 pompieri divisi in quattro turni, quindi sono 325 per ogni possibile intervento. Per fare un confronto, Parigi ne ha 22 mila, pur con più o meno lo stesso numero di abitanti, ma con una superficie cento volte inferiore. Nel luglio 2022, in un solo giorno, sono stati chiamati, non solo per incendi, nei dintorni di Roma più di 400 volte … come si fa? E per di più con sole due autoscale … il terzo deve dunque aspettare.
La storia degli incendi boschivi è una storia infinita. Quello che non cambia è il fuoco che divampa regolarmente, anno dopo anno. Possiamo dire che le spese per combattere questa guerra sono, alla fine, poca cosa, di fronte alla distruzione di un ambiente che dovremmo, come società, avere molta più cura di proteggere.
Prima però vorrei sottolineare un concetto che penso debba essere chiarito.
Le dichiarazioni dei potenti (lo faranno anche a Dubai non c’è dubbio) parlano da molto tempo di “ridurre” la deforestazione. In questo verbo, “ridurre”, c’è tutta la truffa della situazione. Cosa significa, infatti “ridurre”? Significa tagliare meno alberi, vale a dire che invece di eliminarne mille al giorno, ne elimineremo 750. Qual è il risultato? La deforestazione diminuisce? Per niente. Aumenta ancora, anche se ad un ritmo più lento. Altre foreste vengono distrutte, il contenuto di gas serra nell’atmosfera cresce ancora, così come la temperatura media del pianeta, con tutte le conseguenze che ben conosciamo … ma il solito idiota che si informa su Tik Tok sarà felice e contento di aver sentito che la deforestazione viene ridotta.
A chi conviene che le foreste diminuiscano, che si facciano grandi spazi liberi in Amazzonia, in Congo o nel Borneo? E perché?
E allora, cominciamo. Dividiamo in tre parti questa nostra storia sulla deforestazione perché possiamo individuare tre cause diverse per cui il numero di alberi sulla terra è drasticamente diminuito rispetto al passato. Cominceremo, dopo una introduzione sull’utilità di boschi e foreste, con la causa numericamente meno importante, anche se è forse quella più visibile e di impatto: gli incendi. Cercheremo di capire quanti sono, dove avvengono e perché.
Nella seconda parte cercheremo di indagare sul commercio di legname, molto spesso illegale che abbatte soprattutto alberi di grande pregio, come il palissandro, l’ebano, il teak, scoprendo che questo disastro non avviene solo in Africa o in Asia, ma anche in regioni a noi vicine, in Europa.
L’ultima parte, quella, per così dire più politica, riguarderà le cause legate alla produzione di beni e merci tipici della società dei consume. In altre parole ci chiederemo perché c’è tanto disboscamento in Brasile, in Costa d’Avorio, nel Myanmar e come queste attività siano responsabili anche delle sofferenze delle popolazioni locali. Questo il programma, dunque. Adesso possiamo finalmente cominciare la puntata di NSSI.
Alberi e fuoco
Immaginiamo di essere su un set cinematografico. Gli attori protagonist del nostro film sono tre.Il primo è il fuoco. Secondo la mitologia classica, questo potere era di esclusiva proprietà di Zeus, non a caso raffigurato spesso coi fulmini in mano. Agli esseri umani toccava farne senza, mangiare la carne cruda e scaldarsi semplicemente col calore umano o sperando in un clima mite. Poi entra in gioco un titano, uno dei vecchi dei presenti nella storia prima degli dei dell’Olimpo. Si chiama Prometeo ed è una sorta di protettore degli umani, oggi diremmo che è un progressista. Così, ruba le scintille a Zeus e le consegna agli uomini. Zeus non la prende per niente bene e lega Prometeo ad una roccia, facendogli mangiare il fegato da un’aquila terribile. La cattiveria del capo dell’Olimpo ci dice quanto importante fosse il fuoco, un bene oltremodo prezioso e come tale da non spartire con la feccia degli umani. A pensarci bene, qualche ragione l’aveva, perché dalla consegna del fuoco la vita sulla terra cambia di colpo. Se non altro, la carne cotta sembrava più buona di quella cruda.
La nostra società si è sviluppata proprio attorno a questo fenomeno curioso, durante il quale un combustibile, come il legno o il carbone o il gas o liquidi di vario genere, reagisce con un comburente (di solito l’ossigeno) e produce energia. L’industrializzazione, nata dalla geniale idea di Thomas Newcomen e dalla abilità pratica di James Watt, parte proprio da qui; con le macchine a vapore inizia infatti la nuova era per la produzione. Le fabbriche cominciano a diventare industrie, basate sul fatto che, bruciando combustibili, si poteva produrre energia meccanica che muoveva le macchine per fabbricare maglioni e poi tanta altra merce sempre più sofisticata e importante. Dunque il fuoco è fondamentale, utile, direi “buono”, anche se il fatto che possa produrre ustioni e bruciarti la casa, qualche fastidio lo dà. Solo più tardi gli uomini si accorgeranno che una delle conseguenze del fuoco è anche la produzione di gas che bene non fanno al pianeta, ma questa è un’altra storia.
Il secondo attore protagonista di questa nostra storia è l’albero. La domanda che cominciamo a farci è importante: a cosa serve? Anzi, a dirla tutta, dobbiamo cominciare a chiederci a cosa è servito nell’evoluzione di questo nostro pianeta e dei suoi abitanti. Credo tutti sappiano che la vita è nata nei mari e negli oceani, dove alcune alghe si sono inventate un’idea meravigliosa, quella di trasformare l’anidride carbonica presente in natura in ossigeno, grazie ad un meccanismo straordinario come la fotosintesi clorofilliana. Ma sulla terraferma le condizioni di vita non erano adatte a tutti quegli organismi che respiravano, quello che fanno tutti i mammiferi, compresi noi stessi. Noi abbiamo bisogno di ossigeno come un’automobile della benzina. Ci serve per produrre energia che mantenga vivo il nostro corpo.
Allora, molto tempo fa, non c’eraniente sulla terra che producesse ossigeno. Piani piano sono cresciuti aberi, boschi e foreste, che hanno reso possible il passaggio dall’acqua alla terraferma dei primi esseri viventi, che poi sis ono evoluti piano piano fino a noi. Dunque la respirtazione esiste perché le piante hanno prodotto ossigeno. L’effetto negativo di questa respirazione è il prodotto di scarto che buttiamo fuori: anidride carbonica. Ecco scoperto il trucco: fino a che il consumo di ossigeno da parte nostra e il consumo di anidride carbonica da parte degli alberi è in equlibrio tutto va a meraviglia. Se questo equilibrio si rompe, cominciano i problem. Come si rompe? Con troppi che respirano, con l’immissione in atmosfera di CO2 grazie ai cicli di produzione o riducendo le foreste. Queste cose sono cussesse tuttee tre contemporaneamente e in modo molto massiccio.
Ecco a servono gli alberi, i boschi, le foreste. C’è una differenza tra boschi e foreste, ma qui, nei nostri discorsi, non facciamo differenze, non adesso almeno, avremo modo di parlarne nelle prossime puntate.
Che l’albero sia un elemento decisivo per la vita sul pianeta, non è il solo pregio. I boschi sono anche elementi di mantenimento di condizioni importanti. Con la loro ombra mitigano le temperature, aiutano la precipitazione di piogge, proteggono il suolo: le radici, infatti, trattengono il terreno evitando frane e cedimenti; le loro chiome proteggono le piante più piccole, ma anche gli animali, da insolazioni e precipitazioni; inoltre trattengono l'acqua ed evitano alluvioni a valle. Nelle foreste viene preservata quella biodiversità così preziosa per il nostro vivere su questo pianeta. E poi volete mettere una passeggiata in un fresco bosco d’estate?
Dovremmo tutti amare i boschi ed essere loro eternamente riconoscenti. Ci sono casi, come a Las Gaviotas, in Colombia, dove la testardaggine di un uomo ha trasformato un deserto in un’enorme area boschiva straordinaria … e grazie al bosco ha, letteralmente, “creato” la vita.
C’è un terzo attore in questo nostro film. É colui che appicca gli incendi. Su di lui ci sono un sacco di cose da chiarire. Chi è? Come agisce? E, soprattutto, perché? E ancora: cosa comporta la sua azione per la vita delle persone e per l‘ambiente?
Quante domande. Quello che ci serve, per cominciare, è un inventario. Quante foreste ci sono nel mondo? e in Italia? Quante ne abbiamo avute in passato e quante ne restano oggi? Ancora domande. Per le risposte un po’ di pazienza.
Quante foreste ci sono e quante ne “perdiamo”?
Ci sono moltissimi documenti che ci dicono quanto estese sono le foreste nel mondo e nei singoli paesi. Mi sono affidato ad uno dei più accurati, il “Global forest resource assessment” (Valutazione delle risorse forestali globali) pubblicato dalla FAO (Food and Agriculture Organization), una delle tante emanazioni delle Nazioni Unite. La pubblicazione comprende l’analisi di ben 236 paesi e territori dal 1990 ad oggi, con previsioni fino al 2025.Per i nostri scopi non occorre una precisione maniacale e possiamo dire che circa un terzo del pianeta è coperto da foreste, più o meno 4 miliardi di ettari. Le foreste molto grandi non seguono i confini statali, basta pensare che quella amazzonica si estende in nove stati, anche se la maggior parte si trova in Brasile. Grandi foreste si trovano in Russia, Stati Uniti, Canada e Cina. Ma non tutte le foreste sono uguali. Beninteso tutte servono agli stessi scopi che sono quelli che abbiamo citato prima. Ma un conto è entrare in una foresta incontaminata, in cui l’uomo non ha mai messo mano, l’ha, insomma, lasciata a se stessa. Si tratta delle foreste primarie, che noi, nel nostro linguaggio comune, siamo abituati a chiamare vergini, nome che dà proprio l’idea del loro essere incontaminate. E poi ci sono le altre foreste, quelle in cui l’uomo è intervenuto sia in modo negativo, per tagliare alberi a rotta di collo, sia in modo positivo, per sistemare le cose, togliere gli alberi morti o secchi controllare le distanze tra i vari elementi in modo che ognuno possa vivere il meglio possibile e così via. Tra le foreste più imponenti ci sono quelle pluviali, solitamente legate ad un clima particolare, quello dei tropici, caldo e umido. La più imponente è la foresta Amazzonica, seguita dalla foresta del Congo, che si estende su sei paesi dell’Africa centrale. Altre foreste pluviali si estendono in Sud America (ad esempio quella valdiviana tra Cile e Argentina), in Asia, la grande foresta pluviale del Borneo e altre ancora.
Credo sia chiaro che in queste foreste troviamo le piante più vecchie, quelle, per seguire il nostro ragionamento iniziale, che hanno immagazzinato più anidride carbonica. L’eliminazione di questi alberi è quindi più dannosa che mai.
Dunque, di foreste nel mondo ce ne sono tante. Sembra una buona notizia, ma in realtà non lo è affatto, perché si tratta comunque di una parte di quelle che erano presenti in origine. Secondo alcuni metà delle foreste sono andate distrutte.
L’Italia non è messa male: ci sono 11,4 milioni di ettari di foreste, corrispondenti al 38% del territorio nazionale. Del resto la conformazione della nostra nazione con così tante montagne tra Alpi e Appennini, sembra un luogo perfetto per la presenza di vaste aree boschive.
Gli alberi crescono, grazie all’impollinazione, e muoiono per cause naturali, ad esempio per stress ambientali, per attacco di parassiti, alcuni vengono sradicati da tempeste di vento, come noi ben ricordiamo nel 2018 con la tempesta Vaia sulle Dolomiti. L’ideale sarebbe avere un pareggio tra morti e nuovi nati, cosicché l’equilibrio si mantenga inalterato. Purtroppo alle cause citate ne va aggiunta un’altra: l’azione dell’uomo, che si dimostra, in questo senso, il peggior nemico delle foreste e dei boschi.
Il documento della FAO, citato prima, fornisce molte informazioni interessanti. Ad esempio ragguaglia, decade per decade, su quanti alberi sono morti e quanti sono nati. In entrambi i casi ci sono quelli nati o morti per cause naturali e quelli nati o morti a causa dell’azione umana. Si nota, dai dati, che la deforestazione è sempre maggiore della ricrescita e che quest’ultima è dovuta molto più alla natura che all’uomo, che così non ci fa una bellissima figura.
Entreremo progressivamente nei dettagli del motivo per cui l’uomo ce l’ha tanto con gli alberi, ma, in linea di principio, possiamo dire che alla base c’è sempre un interesse economico, anche se, a volte, a muovere i distruttori sono problemi psicologici e mentali dell’individuo.
Se pensiamo all’era pre-industriale, il legno era il combustibile principale. Credo che quelli che hanno qualche anno in più ricorderanno come le case di una volta venissero riscaldate da una stufa a legna. E le attività vitali, come la cottura del cibo e, appunto, il riscaldarsi, erano legate sempre alla presenza di legno. Certo, c’erano meno individui sul pianeta e quindi il consumo era ridotto rispetto ad oggi. Basta pensare che negli ultimi 60 anni la popolazione mondiale è cresciuta di quasi quattro volte.
Poi però il mondo è cambiato arrivando, piano piano, all’attuale società basata su un consumismo sempre più sfrenato. Le aree boschive sono diventate preziose per altre ragioni. Ad esempio per soddisfare un popolo con qualche soldo in più, aumentando i pascoli per produrre più carne, o per piantare cereali con cui fare mangimi o per ottenere combustibile per le automobili, o per aprire strade o costruire città, o per sostituire una “improduttiva” foresta pluviale con rachitiche palme da olio, come gli abitanti di Malesia e Indonesia hanno potuto constatare di persona.
Oh, intendiamoci, il termine improduttiva associato alla foresta pluviale è sarcastico. Di sicuro gli oranghi del Borneo, a cui è stato sottratto l’habitat in cui risiedono da un sacco di secoli, la prenderebbero molto a male se così non fosse. Per non parlare della quantità enorme di CO2 finita in atmosfera grazie a queste diverse destinazioni.
Comunque la si pensi sui cambiamenti climatici, non c’è dubbio che questa frenetica attività di distruzione delle foreste, abbia inciso non poco sull’effetto serra, con tutto quello che ne consegue. Quanta foresta è andata perduta?
Le foreste bruciano
Dunque le foreste bruciano. Quanto bruciano?Senza tornare tanto indietro nel tempo, negli ultimi 30 anni è andata perduta un’area di foreste uguale all’Unione Europea. Certo, sotto la spinta delle associazioni ambientaliste e di alcuni politici saggi, si è provveduto a ridurre la deforestazione. Ma voi, visto che seguite NSSI, non potete cadere nel trucchetto che ho spiegato all’inizio sul verbo “ridurre”. Nonostante tutte le riduzioni del mondo, la quantità di copertura arborea continua a diminuire. Uno dice: “Povera natura!”. Ma a rimetterci non è la natura, che avrà qualche miliardo di anni per riprendersi, ma quello che si è autodefinito homo sapiens, la cui immagine è, oggi, quella di un imbecille che sta tagliando il ramo sul quale è seduto.
Tutto questo ci fa arrabbiare e avremo modo di approfondire questo discorso, ma, per adesso, ci limitiamo a vedere come incidono gli incendi sull’intera vicenda.
Già, gli incendi. Anche se adesso qui da noi è inverno, sappiamo bene cosa succede in estate. Lo abbiamo provato anche quest’anno (nel 2023) soprattutto in Italia meridionale, con città circondate da fiamme, come se fossero finite all’inferno. E quest’anno è solo uno dei tanti, perché gli incendi boschivi sono sempre presenti da molti decenni nel nostro paese e anche in tutti gli altri.
Uno può dire: “Cosa vuoi farci? Capita che il legno bruci, perché non dovrebbe succedere agli alberi delle foreste?”.
Calma! Un incendio ogni tanto può capitare, ma pensare che succeda tutto per puro caso o perché sono atterrati dei cattivissimi alieni freddolosi, può essere suggestivo, ma decisamente poco credibile.
Non ci crede nessuno, tanto meno quelli che con gli incendi hanno a che fare per lavoro o per servizio civico: i vigili del fuoco, i carabinieri delle sezioni forestali, tutti i volontari che si mettono a disposizione per tutelare boschi e foreste.
All’arrivo della bella stagione i telegiornali si riempiono, letteralmente, di fuoco e fiamme nei loro servizi. Non si salva nessuno: la Russia, il Canada, l’Europa, l’Africa, tutti coinvolti. Vediamo ormai da così tanto tempo quelle immagini drammatiche di alberi bruciati, di case distrutte, di persone costrette alla fuga, da essere diventate routine. Alziamo le spalle e al massimo diciamo “toh, un altro incendio!” La notizia non colpisce più come un cazzotto nello stomaco, come invece dovrebbe essere.
Gli incendi sono un carico da novanta, aggiunto alle attività di deforestazione per profitto.
A questo punto dobbiamo contare le perdite. La FAO ci comunica che nel periodo 1990-2020 se ne sono andati, tutto compreso, 178 milioni di ettari, area grande come la somma di Italia, Francia, Germania e Penisola iberica. Il triste record di deforestazione spetta all’Africa, seguita dal Sud America. Che il problema sia molto serio se ne è accorta anche la politica, che ha avviato programmi di monitoraggio delle foreste, anche se questo avviene soprattutto in Europa e molto meno là dove servirebbe di più, come in Sud America e in Asia.
Al macello, fatto con ruspe e dinamite, si aggiunge quello col fuoco. In che misura? E poi, come avviene? E perché?
Incendi in Sud America
Possiamo cominciare dall’America Latina. C’è un documento pubblicato nell’estate del 2022 da parte del WMO (Organizzazione meteorologica mondiale) che imputa a due fattori essenziali il fatto che quell’anno è stato il peggiore degli ultimi 60 per quanto riguarda la distruzione da fuoco delle foreste: la siccità e l’attività umana.Faccio notare che in quel documento non ci sono i dati del 2023, quindi si tratta delle ultime statistiche disponibili.
Restiamo, comunque, intesi che il clima secco, da solo non può fare nulla se non c’è un innesco di qualche genere. Potrebbe essere un fulmine, per restare in ambito meteorologico, ma ci vigliamo proprio credere che centinaia di incendi siano dovuti a fulmini che casualmente fungano da miccia? Più frequentemente … lasciate che mi sbilanci … quasi sempre, la miccia è accesa da una persona, più o meno consapevole di quello che fa.
Quando parliamo di America latina, non c’è dubbio che ci venga in mente subito la foresta amazzonica, considerata un polmone eccezionale per il pianeta, una delle rare zone del mondo in cui viene assorbita più CO2 di quanta ne venga prodotta. A questo proposito una recente indagine, pubblicata nel luglio 2022 dalla prestigiosa rivista scientifica Nature ci fa sapere che questo vantaggio potrebbe presto sparire, arrivando al punto che nemmeno quella enorme foresta sia in grado di eliminare più CO2 di quanto ossigeno produce. Pensate un po’ a cosa siamo ridotti. É come se ad una persona venisse eliminato l’apparato respiratorio … da non credere!
Ma il dato forse più preoccupante è il trend, la tendenza di questa iattura. Negli ultimi 25 anni, infatti, l’incidenza del fuoco nella distruzione delle foreste è raddoppiata a livello mondiale. Uno dice: è tutta colpa dei cambiamenti climatici!
Può darsi: in effetti tra le conseguenze delle modificazioni del clima, ci sono sicuramente elementi che favoriscono l’insorgere e il propagarsi di incendi, ma vale lo stesso discorso già fatto. Possiamo mai credere che siano la causa diretta del fuoco?
Certo, l’aumento delle temperature, i lunghi periodi senza piogge, la siccità e l’incipiente desertificazione non aiutano, ma ci sono altre cause, ben più drammatiche, per quanto riguarda gli incendi boschivi. Così il clima secco e caldo è più un aiuto che una causa diretta.
I dati: chi li raccoglie?
Degli ultimi anni, quello peggiore in quanto ad incendi boschivi è stato il 2021, un anno orribile, davvero orribile. Forse ricorderete quello che è accaduto allora in Siberia, con incredibili incendi anche oltre il circolo polare artico, con milioni di ettari di foreste distrutte. E il 2022 non è stato da meno.L’EFFIS, il Sistema europeo di informazione sugli incendi boschivi, ha calcolato che nei primi 7 mesi del 2022, sono stati bruciati 700 mila ettari di foreste nella sola UE.
Global Forest Watch è un’applicazione per monitorare in tempo quasi reale la situazione delle foreste nel mondo. Ma fa anche di più, perché riesce a distinguere tra gli alberi distrutti per cause diverse. Quelli da disboscamento per l’agricoltura o l’allevamento e quelli invece dovuti ad incendio.
Gli stessi tecnici dell’associazione sono rimasti stupiti dai dati. “È sbalorditivo”, ha detto alla Bbc, James MacCarthy, analista dell’associazione, “ed è sorprendente quanto l’azione del fuoco sia aumentata in così poco tempo”.
Questo documento è estremamente interessante, perché riporta i dati delle coperture boschive tra il 1990 e il 2021 per i singoli paesi. Tra questi c’è anche l’Italia che presenta una situazione meno drammatica di quella che potremmo pensare. Ovviamente si tratta di solo di numeri e come tali sono freddi e non coinvolgono le emozioni della gente. Altra cosa sono i drammi che possiamo seguire in televisione di gente disperata che ha perso terreni coltivati, case, a volte perfino la vita. Ma, tant’è, questo abbiamo e dunque seguiamo questi dati.
Il nostro paese, tra il 1990 e il 2021, ha perduto 220 mila ettari di foreste naturali, il 2,3% della copertura 1990. Ma, accanto a questo, c’è un dato che ci consola. Infatti, nello stesso periodo, le nostre foreste hanno avuto nuovi innesti, o perché si è provveduto ad una riforestazione, cioè si sono piantati dei nuovi alberi o semplicemente per aver lasciato in pace i boschi. Alla fine, la perdita netta negli ultimi 31 anni è limitata ad uno 0,3%. Certo, si può pensare che in fondo siamo messi benissimo. Proviamo però a ragionare con calma: se gli incendi non ci fossero non solo non avremmo perso degli alberi sul nostro suolo, ma ne avremmo guadagnati, in totale controtendenza rispetto al resto del mondo. E allora sì che potremmo gonfiare il petto ed essere orgogliosi di noi.
Il fatto è, però, che, nonostante questa buona notizia, anche da noi di incendi ce ne sono un sacco e la guerra tra chi brucia e chi cerca di spegnere è sempre più forte.
Voglio adesso fare riferimento ad uno studio che ha qualche anno, ma non moltissimi essendo della fine 2018. É stato realizzato dall’Università spagnola di Barcellona e viene descritto da un filmato Youtube. I termini sono un tantino controversi, perché si parla di un 25% di incendi di origine, diciamo così, naturale. Un quarto sarebbe di natura dolosa e il 50% è dovuto al singolo individuo e alla sua disattenzione o stupidità: il classico mozzicone di sigaretta ancora acceso buttato per terra o le sterpaglie bruciate in condizioni pessime (vicino ai boschi e col vento).
Ora, non c’è molto da fidarsi di queste percentuali, anche perché, leggendo altre documentazioni si trovano valori piuttosto distanti da questi. Quello che, tuttavia emerge piuttosto chiaramente è che la maggior parte delle responsabilità ricade, come abbiamo detto subito, sull’uomo e sui suoi comportamenti.
Del resto, come anticipato, cause naturali-naturali, cioè del tutto indipendenti da altri fattori, ne conosciamo davvero poche, se escludiamo i fulmini e forse un clima secco e caldissimo. Può però succedere. La letteratura sugli incendi boschivi è molto vasta. Personalmente mi ha colpito un tipo di incendio chiamato “zombie”. Una temperatura molto alta e la siccità può portare al punto di combustione la torba sotterranea. La “brace” … passatemi il termine non so come altro chiamarla … la brace si propaga sottoterra, fino a che non trova un pertugio, viene a contatto con l’ossigeno dell’aria e sviluppa la fiamma e da qui il gioco è fatto: il fuoco può attaccare tronchi e chiome.
Chi tutela i boschi?
Se le responsabilità sono prevalentemente individuali, le organizzazioni di tutela dovrebbero intervenire. Succede, in Italia, grazie alla protezione civile, che ha aperto un sito intitolato “Io non rischio” (LINK), nel quale vengono analizzate cause e pericoli legati a varie disgrazie possibili, tra cui anche gli incendi boschivi. Due sono i capitoli proposti. Il primo, “Cosa sapere”, elenca origini, allertamento, e conseguenze degli incendi, di modo che il cittadino sappia come individuare il pericolo e soprattutto cosa non fare di stupido durante una passeggiata nel bosco. Il secondo capitolo si intitola “Cosa fare” con una certa ridondanza dei suggerimenti come quello di non buttare sigarette per terra, non accendere fuochi nel bosco, non bruciare sterpaglie e così via. A volte l’avventura di fare una grigliata sotto i pini, può trasformarsi in una tragedia a causa del vento. Usare le aree attrezzate sembra essere la decisione più saggia. É abbastanza desolante dover puntualizzare comportamenti che sono alla base del buon senso.Tra i cattivi distruttori di alberi, restano due categorie di persone: i piromani e i delinquenti. I primi sono, a detta delle autorità, molti più di quello che si potrebbe pensare. Sono solitamente individui che agiscono in solitario, appiccano il fuoco e poi magari chiamano i vigili del fuoco e se ne stanno là a guardare il risultato del loro gesto. Su di essi c’è una vasta letteratura che ne descrive i sintomi, le ansie, le voglie. E adesso parliamo dei delinquenti.
Gli incendiari cattivi
Dunque ci siamo, siamo arrivati ai cattivi, a quelli che appiccano il fuoco in modo truffaldino e che sono, a giudicare da molti resoconti, la maggior parte. Perché lo fanno? E chi sono?A queste domande è difficile rispondere, perché raramente i delinquenti vengono presi e, d’altra parte, i motivi che spingono qualcuno a bruciare una foresta sono tantissimi. C’è, però, sempre di mezzo un qualche interesse personale, un interesse economico prevalentemente.
Questo è vero anche per quei pastori (e qualcuno è stato beccato e punito) che bruciano le piante per avere zone di pascolo maggiori. O per certi contadini che vogliono un terreno più grande per allargare l’orto. Certo non è come la multinazionale che sradica ettari interi in Amazzonia, ma il principio è lo stesso. Quegli alberi danno fastidio al mio business e quindi li elimino.
L’Università di Pisa ha fatto l’elenco delle motivazioni, alcune delle quali sono abbastanza sconcertanti. Eccole:
rinnovazione del pascolo, recuperare terreni agricoli, ottenere vantaggi economici, creare posti di lavoro, bracconaggio, criminalità organizzata, vendette-ritorsioni, gioco-divertimento, motivazioni politiche, finalità terroristiche, copertura di altri delitti, mitomania. Ce n’è insomma per tutti i gusti, compreso il fatto che a volte gli incendi derivano da chi li deve spegnere, per aumentare le possibilità di lavoro o da chi desidera entrare nei vigili del fuoco: più fuoco, più vigili. Purtroppo queste sono storie reali e documentate, non fantasie di qualche ricercatore.
Prima di proseguire occorre fare alcune precisazioni. L’incendio boschivo è un reato. Lo conferma il nostro codice penale all’art. 423bis. Ma distingue tra incendio doloso e colposo. Nel primo caso (quando si accerta la volontarietà del comportamento) la pena prevista è tra 4 e 10 an ni di carcere, che possono essere aumentati se ci sono le aggravanti di danni a edifici pubblici o privati, cantieri, imbarcazioni e così via, e, ovviamente, alle persone. Gli incendi colposi (cioè provocati dagli imbecilli che buttano mozziconi accesi sulla paglia o bruciano le sterpaglie a ridosso del bosco) sono puniti con pene da 1 a 5 anni di carcere. A questo va aggiunto il risarcimento dei danni provocati.
E ce ne sono di questi bravi personaggi che finiscono in manette? Pochi, pochissimi purtroppo. Eppure le cifre sono davvero enormi. Pensate che nel 2022 in Italia sono stati accertati 5.207 reati di cui 611 in Calabria e 544 in Sicilia. Nella sola Sicilia in cinque anni, dal 2018 al 2022, si sono registrati quasi tremila 2.938 reati con quasi 200 mila ettari di superficie boschiva andati in fumo. In Calabria si viaggia, nello stesso periodo su valori solo leggermente inferiori. Al terzo posto della triste classifica la Sardegna, che ha perduto 20 mila ettari di bosco nei cinque anni citati.
Tra i responsabili si trova di tutto: dai ragazzi giovani che vogliono provare un brivido, all’ottantenne di Enna che ha bruciato 30 ettari di uliveto e poi stava per attaccare un altro bosco e per farla franca non ha pensato di meglio che cercare di corrompere un carabiniere.
Ci sono storie allucinanti, che le telecamere sono riuscite a riprendere, come le micce legate ai gatti che vengono poi fatti scappare all’interno del bosco.
Ovviamente c’è di più. Perché avere terreno libero a disposizione per costruire qualcosa o per allevare del bestiame, o per coltivare un certo tipo di prodotto alimentare è spesso causa di interventi delinquenziali a danno degli alberi. Questo è reso molto più evidente in altre zone del pianeta, ma di questo parleremo in un’altra puntata sulla deforestazione.
In conclusione dunque, riassumendo, è terribilmente difficile che un incendio scoppi da solo. Certo, può succedere ma è un fenomeno estremamente raro. La maggior parte degli incendi sono provocati dalla mano dell’uomo. Dell’uomo imbecille che non si rende conto del suo strano modo di stare al mondo e dell’uomo delinquente che ha un qualche interesse a togliere di mezzo una parte del bosco.
Scopriremo, nella prossima puntata, che, parlando a livello mondiale, la deforestazione da incendi è solo una piccola, anzi piccolissima parte della deforestazione in generale, eppure provoca danni e preoccupazioni non indifferenti. E così l’ultima domanda alla quale dobbiamo rispondere è: “chi è chiamato a domare questi incendi? Come lo fa? Con quali strutture e armi? É un business anche lo spegnere il fuoco?
Come funziona la lotta agli incendi?
Eccoci così arrivati all’ultima questione: l’organizzazione della lotta agli incendi. Chi si occupa di tutta la filiera che va dall’individuazione allo spegnimento dei fuochi nei boschi? C’è una legge quadro del 2000 e Decreti successivi (ad esempio il n. 120 del 2021). Quest’ultimo assegna al Dipartimento della Protezione Civile il compito di supervisionare e organizzare le varie attività, avvalendosi di tutte le forze in campo, quelle “attive” come i vigili del fuoco e i carabinieri e quelle più organizzative come le Regioni e le Province autonome, oltre all’ANCI, l’associazione dei Comuni Italiani. Il compito che ha davanti il Dipartimento è quello di stilare ogni tre anni un piano nazionale che faccia il punto e controlli se sono sufficienti le risorse disponibili, sia come mezzi (denaro e strumenti) che come personale.Per primi ad affrontare le fiamme sono le squadre a terra regionali. In caso di difficoltà vengono chiamati mezzi aerei, dislocati in Italia in modo tale che l’arrivo in qualunque punto della penisola è garantito – dicono alla Protezione civile – in 60, massimo 90 minuti. Ci sono sale operative regionali, le SOUP, coordinate 24 ore al giorno, per ogni giorno dell’anno, da un centro operativo nazionale, il COAU, il cui personale è composto da uomini dell’aeronautica e della forestale. D’estate si aggiungono esperti dei Vigili del Fuoco.
Oggi noi vediamo film in cui da una saletta si riesce a vedere ogni cosa nel mondo. Anche le forze dell’ordine usano telecamere (ad esempio quelle del traffico per individuare automobili sospette nel bosco) e droni. Ma la partita è davvero complicata e gli arresti sono molto pochi rispetto ai reati commessi. I delinquenti che appiccano fuoco sono ormai dei professionisti e usano ogni mezzo per innescare gli incendi senza farsi scoprire.
Quello dei mezzi disponibili è uno dei grandi problemi nella lotta contro gli incendi boschivi.
Attualmente l’Italia possiede 19 Canadair; l’estate scorsa (2022) sono stati utilizzati 34 velivoli (15 Canadair, 9 elicotteri dei Vigili del Fuoco, 8 delle Forze armate e 2 dei Carabinieri). É tanto? É poco? Teniamo presente che in quell’estate ci sono state più di 1'100 richieste di intervento aereo.
C’è anche una flotta europea, anche questa però ritenuta insufficiente. La richiesta di aumentarla, passa attraverso la costruzione di nuovi aerei. Le previsioni sono deludenti, si parla di consegne per il 2029, se proprio le cose andranno benissimo per il 2028. Intanto occorre fare con quello che si ha e i risultati, a giudicare dalla storia recente, non sono certo esaltanti.
C’è stata una polemica recente sul fatto che i velivoli utilizzati in Europa per spegnere gli incendi siano tutti della stessa azienda. Il ministro per la protezione civile, Nello Musumeci, si è chiesto perché mai si debba avere un monopolio del genere e non si allarghi invece la flotta con altri partner.
La flotta italiana di velivoli, pur essendo di proprietà statale, è gestita da una società privata, la Babcock Mission Critical Services Italia, che fornisce l’assistenza e i piloti. Il contratto con lo stato è stato rinnovato fino a tutto il 2024.
Se mettiamo assieme tutto quanto (volo, riparazioni, hangar, personale, carburante, eccetera) un’ora di volo di un Canadair costa circa 15 mila euro. Per avere un’idea del costo totale, ricordiamo che il contratto prevede 3600 ore l’anno, che significa una spesa di 54 milioni di euro. É ovvio che non tutti gli anni sono uguali. Ad esempio, nel 2017 le ore necessarie sono state più di 10 mila, ma l’anno prima solo 1600. Quindi quando si risparmia tempo, può essere recuperato negli anni disgraziati in cui ne serve molto di più.
Ovviamente gli aerei vanno acquistati. Il prezzo stimato è attorno ai 25 milioni di euro. Poi ci sono anche gli elicotteri, ci sono le strutture di terra, ci sono gli uomini, i professionisti. Occorre valutare l’estensione della distruzione, i danni provocati all’ambiente, alle case e alle persone. E poi ci sono i costi di bonifica e di eventuale ricostruzione. Insomma, fare una stima di quanto costi economicamente spegnere un incendio è molto complicato. Ci sono dei dati interessanti. Il sito della WFCA (Western Fire Chief Association) parla di decine di miliardi di dollari l’anno negli Stati Uniti, con un picco di 22 miliardi nel 2012 e 16 nel 2020.
Da noi le cifre sono più modeste, ma non insignificanti. Una sola giornata di fuoco può aver bruciato oltre agli alberi, almeno 100 mila euro. Indovinate chi paga? Già, proprio così …
Ma, in mezzo alle fiamme ci vanno gli uomini: i vigili del fuoco, le guardie forestali, i carabinieri. E non possiamo dimenticare i moltissimi volontari che accorrono quando ce n’è bisogno. In quali condizioni lavorano? Lo apprendiamo da un video, realizzato dalla RAI. Nell’estate del 2022, mentre il fuoco divampa, una giornalista del TG3 intervista i vigili del fuoco romani, che stanno cercando di domare l’incendio. Sono quasi rassegnati, non lasciano trasparire una grande speranza e la giustificano spiegando che a Roma ci sono 1300 pompieri divisi in quattro turni, quindi sono 325 per ogni possibile intervento. Per fare un confronto, Parigi ne ha 22 mila, pur con più o meno lo stesso numero di abitanti, ma con una superficie cento volte inferiore. Nel luglio 2022, in un solo giorno, sono stati chiamati, non solo per incendi, nei dintorni di Roma più di 400 volte … come si fa? E per di più con sole due autoscale … il terzo deve dunque aspettare.
La storia degli incendi boschivi è una storia infinita. Quello che non cambia è il fuoco che divampa regolarmente, anno dopo anno. Possiamo dire che le spese per combattere questa guerra sono, alla fine, poca cosa, di fronte alla distruzione di un ambiente che dovremmo, come società, avere molta più cura di proteggere.