Vi ho raccontato la storia di Salvatore Giuliano, il bandito di Montelepre e dei suoi intrecci con la politica dell’epoca, nella Sicilia dell’immediato dopoguerra. L’esercito statunitense, l’indipendentismo, la politica e la mafia.
Vorrei completare quell’articolo, aggiungendo un altro pezzo della storia, così come emerge da alcuni articoli pubblicati in rete.
In particolare faccio riferimento al blog di Giuseppe Casarrubea, che ha scritto un articolo moto interessante sull’argomento, datato 2010.
Come ho avuto modo di dire, tutte le affermazioni sulle vicende che riguardano Salvatore Giuliano devono essere prese con le molle, perché si tratta di racconti a volte contraddittori, se fatti da personaggi diversi.
Tuttavia fa riflettere che, proprio su questo episodio, esista una ricca documentazione di fotografie, scattate dal capitano e appartenente al controspionaggio militare americano, Mike Stern e da pubblicazioni ufficiali di partiti politici, come il PCI. Insomma potete, se volete, prendere questo racconto come una delle storie che siamo soliti ascoltare, ma i documenti sono documenti e non vanno mai sottovalutati.
Ricorderete che il primo maggio 1947, avviene l’eccidio di Portella della Ginestra. Un gruppo di fuoco di una quarantina di unità, spara sui 2000 contadini e lavoratori che si sono radunati per la festa dei lavoratori in comune di Piana degli Albanesi a pochissimi chilometri da Palermo. Ci sono undici morti e 30 feriti, di cui 27 gravi.É presente anche la banda di Giuliano, sulla cui reale partecipazione al massacro ci sono moltissimi dubbi. Le ipotesi più credibili sono quelle che indicano che a sparare per uccidere siano stati uomini della mafia, ingaggiati dal potere politico di destra. Una sorta di risposta al successo elettorale, nelle elezioni regionali di poche settimane prima, del gruppo che riunisce socialisti e comunisti.
Ma, se Giuliano è rimasto scioccato dai morti di Portella, come mai successivamente ha attaccato diverse sedi del partito comunista italiano? É per rispondere a questa domanda, o per tentare di farlo, che serve la storia che sto per raccontarvi.
Tutto comincia una settimana dopo la strage, l’8 maggio 1947.
Siamo a Partinico, paese non lontano da Montelepre e quindi da Palermo, in una giornata non felice per la popolazione fatta di contadini, lavoratori, mezzadri. Hanno visto famiglie distrutte dagli spari a Portella della Ginestra. Ma non finisce qui.
Quel giorno di maggio un sindacalista della CGIL, Michelangelo Salvia, viene trovato crivellato dai colpi di lupara. Si tratta di un avversario duro, senza peli sulla lingua, della mafia, quella mafia che a Partinico è guidata da Santo Fleres. Lo avevamo conosciuto per aver stabilito un accordo con Salvatore Giuliano. Il bandito non c’entra nulla con l’assassinio di Salvia, ma questo dimostra il clima nei confronti delle persone legate alle forze di sinistra.
Sempre l’8 maggio arriva a Palermo, all’aeroporto Boccadifalco, un capitano statunitense, Mike Stern. Lui fa anche parte del CIC, il Counter Intelligence Corp, cioè il controspionaggio militare USA, ha 36 anni ed è anche giornalista. Il suo primo incontro è con Ettore Messana, ispettore generale di pubblica sicurezza. Costui si preoccupa di consegnargli un voluminoso fascicolo, che riporta la carriera criminale di Salvatore Giuliano. Con Stern c’è anche un altro militare, Wilson Morris, che funge da fotografo e che immortala in una lunga serie di scatti la permanenza e gli incontri di Stern in Sicilia. Le foto le potete vedere in fondo a questo articolo.
E c’è anche una misteriosa donna spagnola, di cui si sa poco o nulla. La sera alloggiano all’Hotel delle Palme, dove è sistemato, guarda caso, protetto dai carabinieri nientemeno che il superboss della mafia siculo-statunitense Lucky Luciano.
Intanto Messana fa le sue mosse e, senza chiedere spiegazioni, indica agli americani come entrare in contatto con Giuliano. Fissa un appuntamento a Montelepre, dove Stern, Morris e la donna arrivano il giorno dopo con una jeep. Si fermano in piazza e aspettano. Dopo un po’, ecco il loro contatto. Si tratta di Salvatore Giuliano, ma non il bandito, bensì suo padre, chiamato “Turi l’americano” per la sua permanenza a Brooklin durata quasi vent’anni. Dopo poco sono a casa Giuliano, si sistemano a tavola sulla terrazza per il pranzo, come una comitiva affiatata e allegra. Le donne, la mamma del bandito, Maria Lombardo e le sue sorelle, Mariannina e Giuseppina, si danno da fare in cucina.
Perché quei tre hanno attraversato l’oceano per parlare con Giuliano?
Sta di fatto che la mattina dopo il padre Giuliano e il braccio destro e fresco cognato di Salvatore, Giuseppe Sciortino, guidano la comitiva sui monti per incontrare Turiddu, come veniva anche chiamato il bandito. Stanno lassù un’intera settimana, sempre a contatto con Salvatore, mangiano assieme e si spostano, per la notte, da un rifugio all’altro per sicurezza.
Di cosa abbiano parlato non è chiarissimo, ma quello che succede, a detta di Sciortino, è che Turiddu si innamora del grande Paese d’oltreoceano, ne sposa completamente la filosofia anticomunista e in seguito attacca le sezioni comuniste della zona.
Salvatore è un fine stratega e vede in questo incontro l’occasione di un tornaconto personale, un “via libera” e magari l’espatrio negli Stati Uniti, una volta finito il lavoro in Sicilia. L’attacco alle sezioni comuniste è solo uno dei modi per iniziare una strategia eversiva contro il movimento democratico. Gli americani, in effetti, avevano preso molto sul serio la vittoria nelle elezioni popolari del gruppo social-comunista.
Forse in questo frangente emerge un lato di Giuliano inaspettato. Sospettoso come nessun altro, perfino con i suoi uomini ai quali non rivela l’obiettivo delle azioni fino a quando non sono arrivati sul posto, in questo caso si comporta come un ingenuo e casca nel tranello. Di quale tranello si tratta?
Gli americani realizzano un vero e proprio dossier fotografico sul bandito e la sua famiglia, materiale prezioso dal momento che nessuno ha uno schedario con immagini del bandito. L’ultima è quella famosa che lo ritrae a cavallo nella campagna di Montelepre. Ed è la foto che arriva al processo di Viterbo, in cui i suoi uomini vengono condannati all’ergastolo. É Stern a consegnarla a Messana, che a sua volta la passa al suo confidente Salvatore Ferreri, alias Fra’ Diavolo, uno degli uomini di Salvatore Giuliano, spia delle forze dell’ordine. Così la foto arriva nelle mani del colonnello dei carabinieri Giacinto Paoloantonio. E il gioco si conclude presto. Salvatore Giuliano diventa l’unico colpevole del massacro di Portella della Ginestra.
La storia però non finisce qui, anzi è qui che comincia la parte più interessante.
Cominciamo con le reazioni del PCI, il partito più coinvolto da questi avvenimenti.
In un opuscolo del 1949 intitolato “La verità sul bandito Giuliano” si legge: “Dopo qualche settimana [ai primi di giugno 1947, ndr], nelle tasche di un bandito caduto in mano della polizia, veniva trovata una lettera autentica di Giuliano diretta al suo amico Stern, a Roma, via della Mercede 53, sede dell’Associazione della stampa estera, nella quale il fuorilegge chiedeva armi pesanti e dava consigli circa la maniera di mantenere i contatti con l’ufficiale americano.”
In quelle lettere, dirette al comando dell’esercito statunitense, Salvatore conferma la sua ferma intenzione di combattere i “vili rossi”, come lui definiva i comunisti e socialisti, oltre che i sindacalisti. Ed infatti, come sappiamo, il 22 giugno alcune sedi di sinistra vengono attaccate dalla sua banda in vari comuni della provincia di Palermo.
Quello che si evidenzia è un legame tra Giuliano, l’esercito americano e le formazioni fasciste clandestine fin dal 1944. Il PCI non ha dubbi in merito e scrive: “E’ chiaro che l’iniziativa dello Stern non è frutto di una curiosità individuale, ma che la sua visita a Giuliano e i suoi rapporti con il bandito sono frutto di precise istruzioni, diramate dall’Ufficio servizi strategici degli Stati Uniti, allo scopo di agganciare il bandito alla politica americana nel Mediterraneo.”
Si scoprono poi anche le vere identità dei due compagni di viaggio di Stern. Wilson Morris non è affatto un semplice fotografo, è un uomo di fiducia del maggiore James Angleton, che dirige lo Strategic services unit (Ssu), i servizi segreti americani nell’immediato dopoguerra.
La donna spagnola è una famosa spia svedese, che si fa chiamare Maria Cyliacus, anche se il suo vero nome è Maria Lamby Karintelka. Lavora nei gruppi sionisti che, sotto l’ombrello del SSU, operano in attesa della nascita dello Stato di Israele. Verrà anche arrestata dall’intelligence britannica, per niente contenta della formazione dello stato ebraico. Anche lei, nel gennaio 1949, intervista Salvatore Giuliano. Lo fa per il settimanale “Oggi”, dunque alla luce del sole. Possibile, si chiedono tutti, che l’unico a non sapere niente di tutta questa faccenda sia il nostro ministro degli interni Mario Scelba? Lui, in realtà, sa tutto e copre ciò che avviene fino a che gli conviene.
Nel 1953 esce il libro “No innocence abroad” scritto da Mike Stern. C’è una versione quanto meno dubbia del bandito Giuliano, che viene descritto come una via di mezzo tra Robin Hood, Pancho Villa e Dillinger. Dillinger è stato uno dei banditi più famosi negli Stati Uniti. Stern descrive anche Turiddu come uno che nei sette anni di carriera avrebbe raccolto almeno un miliardo di lire, devolvendone una larga fetta al popolo. Cosa di cui non esiste alcuna conferma storica e, francamente, è assai dubbia questa visione romantica del delinquente di Montelepre.
Il PCI sostiene che Stern sia stato uno dei mandanti degli attacchi alle sedi di sinistra del 22 giugno. Non solo, l’Unità scrive che Sciortino sia stato mandato negli USA per tenere il collegamento tra la banda Giuliano e lo spionaggio americano. Il fatto è che Sciortino circola liberamente negli States fino al 1952, quando l’FBI lo cattura e lo manda in Italia per scontare l’ergastolo a cui il tribunale di Viterbo l’aveva condannato.
Un altro fatto curioso, una coincidenza straordinaria riguarda il super boss della mafia Lucky Luciano, arruolato dagli Stati Uniti per offrire una mano nelle operazioni di conquista della penisola. La stranezza riguarda le date. Lucky Luciano arriva a Palermo il 30 aprile, quindici ore prima della strage di Portella della Ginestra e riparte la sera del 22 giugno, dopo gli assalti alle sedi comuniste. Se ne va a Napoli, dove compra una villa e dove vive, libero come l’aria, per il resto della sua vita.
Troppe coincidenze? Credo di sì.
Vorrei completare quell’articolo, aggiungendo un altro pezzo della storia, così come emerge da alcuni articoli pubblicati in rete.
In particolare faccio riferimento al blog di Giuseppe Casarrubea, che ha scritto un articolo moto interessante sull’argomento, datato 2010.
Come ho avuto modo di dire, tutte le affermazioni sulle vicende che riguardano Salvatore Giuliano devono essere prese con le molle, perché si tratta di racconti a volte contraddittori, se fatti da personaggi diversi.
Tuttavia fa riflettere che, proprio su questo episodio, esista una ricca documentazione di fotografie, scattate dal capitano e appartenente al controspionaggio militare americano, Mike Stern e da pubblicazioni ufficiali di partiti politici, come il PCI. Insomma potete, se volete, prendere questo racconto come una delle storie che siamo soliti ascoltare, ma i documenti sono documenti e non vanno mai sottovalutati.
Ricorderete che il primo maggio 1947, avviene l’eccidio di Portella della Ginestra. Un gruppo di fuoco di una quarantina di unità, spara sui 2000 contadini e lavoratori che si sono radunati per la festa dei lavoratori in comune di Piana degli Albanesi a pochissimi chilometri da Palermo. Ci sono undici morti e 30 feriti, di cui 27 gravi.É presente anche la banda di Giuliano, sulla cui reale partecipazione al massacro ci sono moltissimi dubbi. Le ipotesi più credibili sono quelle che indicano che a sparare per uccidere siano stati uomini della mafia, ingaggiati dal potere politico di destra. Una sorta di risposta al successo elettorale, nelle elezioni regionali di poche settimane prima, del gruppo che riunisce socialisti e comunisti.
Ma, se Giuliano è rimasto scioccato dai morti di Portella, come mai successivamente ha attaccato diverse sedi del partito comunista italiano? É per rispondere a questa domanda, o per tentare di farlo, che serve la storia che sto per raccontarvi.
Tutto comincia una settimana dopo la strage, l’8 maggio 1947.
Siamo a Partinico, paese non lontano da Montelepre e quindi da Palermo, in una giornata non felice per la popolazione fatta di contadini, lavoratori, mezzadri. Hanno visto famiglie distrutte dagli spari a Portella della Ginestra. Ma non finisce qui.
Quel giorno di maggio un sindacalista della CGIL, Michelangelo Salvia, viene trovato crivellato dai colpi di lupara. Si tratta di un avversario duro, senza peli sulla lingua, della mafia, quella mafia che a Partinico è guidata da Santo Fleres. Lo avevamo conosciuto per aver stabilito un accordo con Salvatore Giuliano. Il bandito non c’entra nulla con l’assassinio di Salvia, ma questo dimostra il clima nei confronti delle persone legate alle forze di sinistra.
Sempre l’8 maggio arriva a Palermo, all’aeroporto Boccadifalco, un capitano statunitense, Mike Stern. Lui fa anche parte del CIC, il Counter Intelligence Corp, cioè il controspionaggio militare USA, ha 36 anni ed è anche giornalista. Il suo primo incontro è con Ettore Messana, ispettore generale di pubblica sicurezza. Costui si preoccupa di consegnargli un voluminoso fascicolo, che riporta la carriera criminale di Salvatore Giuliano. Con Stern c’è anche un altro militare, Wilson Morris, che funge da fotografo e che immortala in una lunga serie di scatti la permanenza e gli incontri di Stern in Sicilia. Le foto le potete vedere in fondo a questo articolo.
E c’è anche una misteriosa donna spagnola, di cui si sa poco o nulla. La sera alloggiano all’Hotel delle Palme, dove è sistemato, guarda caso, protetto dai carabinieri nientemeno che il superboss della mafia siculo-statunitense Lucky Luciano.
Intanto Messana fa le sue mosse e, senza chiedere spiegazioni, indica agli americani come entrare in contatto con Giuliano. Fissa un appuntamento a Montelepre, dove Stern, Morris e la donna arrivano il giorno dopo con una jeep. Si fermano in piazza e aspettano. Dopo un po’, ecco il loro contatto. Si tratta di Salvatore Giuliano, ma non il bandito, bensì suo padre, chiamato “Turi l’americano” per la sua permanenza a Brooklin durata quasi vent’anni. Dopo poco sono a casa Giuliano, si sistemano a tavola sulla terrazza per il pranzo, come una comitiva affiatata e allegra. Le donne, la mamma del bandito, Maria Lombardo e le sue sorelle, Mariannina e Giuseppina, si danno da fare in cucina.
Perché quei tre hanno attraversato l’oceano per parlare con Giuliano?
Sta di fatto che la mattina dopo il padre Giuliano e il braccio destro e fresco cognato di Salvatore, Giuseppe Sciortino, guidano la comitiva sui monti per incontrare Turiddu, come veniva anche chiamato il bandito. Stanno lassù un’intera settimana, sempre a contatto con Salvatore, mangiano assieme e si spostano, per la notte, da un rifugio all’altro per sicurezza.
Di cosa abbiano parlato non è chiarissimo, ma quello che succede, a detta di Sciortino, è che Turiddu si innamora del grande Paese d’oltreoceano, ne sposa completamente la filosofia anticomunista e in seguito attacca le sezioni comuniste della zona.
Salvatore è un fine stratega e vede in questo incontro l’occasione di un tornaconto personale, un “via libera” e magari l’espatrio negli Stati Uniti, una volta finito il lavoro in Sicilia. L’attacco alle sezioni comuniste è solo uno dei modi per iniziare una strategia eversiva contro il movimento democratico. Gli americani, in effetti, avevano preso molto sul serio la vittoria nelle elezioni popolari del gruppo social-comunista.
Forse in questo frangente emerge un lato di Giuliano inaspettato. Sospettoso come nessun altro, perfino con i suoi uomini ai quali non rivela l’obiettivo delle azioni fino a quando non sono arrivati sul posto, in questo caso si comporta come un ingenuo e casca nel tranello. Di quale tranello si tratta?
Gli americani realizzano un vero e proprio dossier fotografico sul bandito e la sua famiglia, materiale prezioso dal momento che nessuno ha uno schedario con immagini del bandito. L’ultima è quella famosa che lo ritrae a cavallo nella campagna di Montelepre. Ed è la foto che arriva al processo di Viterbo, in cui i suoi uomini vengono condannati all’ergastolo. É Stern a consegnarla a Messana, che a sua volta la passa al suo confidente Salvatore Ferreri, alias Fra’ Diavolo, uno degli uomini di Salvatore Giuliano, spia delle forze dell’ordine. Così la foto arriva nelle mani del colonnello dei carabinieri Giacinto Paoloantonio. E il gioco si conclude presto. Salvatore Giuliano diventa l’unico colpevole del massacro di Portella della Ginestra.
La storia però non finisce qui, anzi è qui che comincia la parte più interessante.
Cominciamo con le reazioni del PCI, il partito più coinvolto da questi avvenimenti.
In un opuscolo del 1949 intitolato “La verità sul bandito Giuliano” si legge: “Dopo qualche settimana [ai primi di giugno 1947, ndr], nelle tasche di un bandito caduto in mano della polizia, veniva trovata una lettera autentica di Giuliano diretta al suo amico Stern, a Roma, via della Mercede 53, sede dell’Associazione della stampa estera, nella quale il fuorilegge chiedeva armi pesanti e dava consigli circa la maniera di mantenere i contatti con l’ufficiale americano.”
In quelle lettere, dirette al comando dell’esercito statunitense, Salvatore conferma la sua ferma intenzione di combattere i “vili rossi”, come lui definiva i comunisti e socialisti, oltre che i sindacalisti. Ed infatti, come sappiamo, il 22 giugno alcune sedi di sinistra vengono attaccate dalla sua banda in vari comuni della provincia di Palermo.
Quello che si evidenzia è un legame tra Giuliano, l’esercito americano e le formazioni fasciste clandestine fin dal 1944. Il PCI non ha dubbi in merito e scrive: “E’ chiaro che l’iniziativa dello Stern non è frutto di una curiosità individuale, ma che la sua visita a Giuliano e i suoi rapporti con il bandito sono frutto di precise istruzioni, diramate dall’Ufficio servizi strategici degli Stati Uniti, allo scopo di agganciare il bandito alla politica americana nel Mediterraneo.”
Si scoprono poi anche le vere identità dei due compagni di viaggio di Stern. Wilson Morris non è affatto un semplice fotografo, è un uomo di fiducia del maggiore James Angleton, che dirige lo Strategic services unit (Ssu), i servizi segreti americani nell’immediato dopoguerra.
La donna spagnola è una famosa spia svedese, che si fa chiamare Maria Cyliacus, anche se il suo vero nome è Maria Lamby Karintelka. Lavora nei gruppi sionisti che, sotto l’ombrello del SSU, operano in attesa della nascita dello Stato di Israele. Verrà anche arrestata dall’intelligence britannica, per niente contenta della formazione dello stato ebraico. Anche lei, nel gennaio 1949, intervista Salvatore Giuliano. Lo fa per il settimanale “Oggi”, dunque alla luce del sole. Possibile, si chiedono tutti, che l’unico a non sapere niente di tutta questa faccenda sia il nostro ministro degli interni Mario Scelba? Lui, in realtà, sa tutto e copre ciò che avviene fino a che gli conviene.
Nel 1953 esce il libro “No innocence abroad” scritto da Mike Stern. C’è una versione quanto meno dubbia del bandito Giuliano, che viene descritto come una via di mezzo tra Robin Hood, Pancho Villa e Dillinger. Dillinger è stato uno dei banditi più famosi negli Stati Uniti. Stern descrive anche Turiddu come uno che nei sette anni di carriera avrebbe raccolto almeno un miliardo di lire, devolvendone una larga fetta al popolo. Cosa di cui non esiste alcuna conferma storica e, francamente, è assai dubbia questa visione romantica del delinquente di Montelepre.
Il PCI sostiene che Stern sia stato uno dei mandanti degli attacchi alle sedi di sinistra del 22 giugno. Non solo, l’Unità scrive che Sciortino sia stato mandato negli USA per tenere il collegamento tra la banda Giuliano e lo spionaggio americano. Il fatto è che Sciortino circola liberamente negli States fino al 1952, quando l’FBI lo cattura e lo manda in Italia per scontare l’ergastolo a cui il tribunale di Viterbo l’aveva condannato.
Un altro fatto curioso, una coincidenza straordinaria riguarda il super boss della mafia Lucky Luciano, arruolato dagli Stati Uniti per offrire una mano nelle operazioni di conquista della penisola. La stranezza riguarda le date. Lucky Luciano arriva a Palermo il 30 aprile, quindici ore prima della strage di Portella della Ginestra e riparte la sera del 22 giugno, dopo gli assalti alle sedi comuniste. Se ne va a Napoli, dove compra una villa e dove vive, libero come l’aria, per il resto della sua vita.
Troppe coincidenze? Credo di sì.