Forcella di Pala Barzana e val Cellina: il tour
Questo tour è l'unico (finora) ad essere andato in
modo diverso da come previsto. L'errore (indubbiamente di chi scrive!) è
stato quello di considerare una giornata di fine novembre in montagna più
lunga (come luce) di quanto non sia. In origine (verrà ripresentato certamente
la prossima primavera nella sua versione integrale) l'intenzione era quella
di partire da Aviano, raggiungere Maniago, di qui superare forcella Pala Barzana
e scendere ad Andreis (e fin qui tutto bene), raggiungere Barcis, salire a Piancavallo
(1270 m) e scendere poi nuovamente ad Aviano. Una volta a pochi km da Barcis,
le strade colme di gallerie hanno fatto perdere un sacco di tempo nel tentativo
di cercare una via alternativa e la paura di rimanere al buio lungo la discesa
di Piancavallo ci ha indotto a rinunciare e a fare marcia indietro. Ma andiamo
con ordine.
Il tour si svolge in provincia di Pordenone, ai piedi delle prealpi carniche
e risale la val Colvera, supera la forcella di Pala Barzana per raggiungere
la val Cellina, la cui origine è dalle parti della diga del Vajont (a
dire il vero il torrente Cellina nasce dalle dolomiti friulane vicino a Claut).
Il punto più basso è Barcis, con il suo lago. Tutta la zona è
di interesse "energetico", ricca di lavori per dighe, centrali idroelettriche
e quant'altro ... vedremo che questo ci interessa anche come ciclisti.
Parcheggiamo ad Aviano, di fianco al piccolo stadio
(via S. Pietro), con uno splendido panorama sulle montagne appena sporcate di
neve. Quando siamo pronti prendiamo la strada in salita e, al primo bivio, giriamo
a destra in direzione Maniago. Si sale e si scende, con lunghi rettilinei a
"cucchiaio". Percorriamo una strada secondaria che porterebbe in circa
13 km a Maniago, ma lo studio recente fatto sulla strage di stato del Vajont,
con tutti gli annessi e connessi, ci fa fare una deviazione verso il paese di
Vajont a 2 km da Maniago. Qui la popolazione di
Erto sopravvissuta fu costretta ad emigrare. Dopo poco la maggior parte degli
ertani fece ritorno al proprio paese anche se era tutto da ricostruire e i risarcimenti
dei "danni" subiti sarebbero arrivati molti anni dopo. Non avevo mai
capito del tutto questo rifiuto di rimanere in un "ridente paesino"
come Vajont. Adesso sì. Il pese è decisamente squallido, messo
di fianco all'enorme letto asciutto del Cellina, sembra ancora oggi una baraccopoli
da sfollati (questa è l'immagine che offre scendendo da Maniago). La
sola vista Nord con i monti sovrastati dalla mole del Raut (2026 msm) non può
bastare, anzi probabilmente non ha fatto che acuire negli ertani la nostalgia
delle loro montagne.
Subito dopo raggiungiamo Maniago.
Bel paese, popoloso e vivace, con persone decisamente simpatiche, che ci spiegano
tutte le possibili strade per raggiungere la meta. Un ragazzo, ciclista vero
di mtb, si offre come guida fino a dove non è proprio più possibile
sbagliare: grazie e a presto.
La salita (quella vera) comincia al km 22. Le indicazioni sono per Frisanco
e Poffabro (ogni tanto compare anche Pala Barzana). Dopo un primo strappo piuttosto
duro (quasi al 12%) ma breve ci si presenta davanti una galleria illuminata,
ma lunga più di 1 km. Sulla destra, tuttavia, c'è ancora la vecchia
provinciale che, nonostante qualche passaggio piuttosto "strettino",
è percorribile agevolmente senza mai scendere di sella. Si attraversa
un orrido solcato in fondo da un torrentello con un'acqua color acqua (non trovo
altra descrizione tanto è trasparente). Una giornata limpida, piena di
sole fa sembrare magico il percorso. Si sale senza fatica fino a rientrare nella
strada appena uscita dalla galleria. Pochi metri e ne comincia un'altra. Al
di là dell'asfalto uno stretto pertugio tra i pezzi di guard-rail ci
permette di accedere di nuovo alla vecchia provinciale che, questa volta, aggira
da sinistra la galleria con caratteristiche molto simili alle precedenti. Certo
non si può pretendere un asfalto pulitissimo, qua e là qualche
leggera frana ha invaso di sassi la carreggiata, ma lo scopo è di tornare
sulla provinciale nuova oltre la seconda galleria e questo accade.
Ora abbiamo qualche km tranquillo con pendenze davvero modeste fino ad arrivare
in vista del paese di Poffabro: si raggiunge "uno
dei borghi più belli del mondo" (così recita un cartello
all'ingresso del comune) inerpicandosi per 600 m lungo una serie di tornanti
con pendenze che sfiorano il 9% (e si sente). Poffabro è davvero bello,
con le sue vecchie case di sassi e il campanile a dominare la scena. La vista
verso la val Colvera è rilassante perfino in autunno; chissà come
sarà in primavera e in estate? Ancora una leggera salita e si raggiunge
Pian delle Merie (è un paese!) dove la strada addirittura scende. Ci
sono alcune deviazioni lungo il tracciato appena descritto: tenere la sinistra
è la regola.
Siamo alla resa dei conti: gli ultimi 4 km sono di salita con pendenze tra il
5,5% e l'8,2%. Alla fine raggiungiamo la sommità della forcella. Non
c'è nulla, se non un monumento agli alpini caduti. Siamo appena a 840
m, ma fa piuttosto freddo e, adesso, dovremo affrontare la discesa lungo la
parete Nord. Il contachilometri segna 36.
Vestiti di tutto punto cominciamo a scendere: la strada, coperta di rami, aghi
e pigne, per il vento molto forte della notte precedente, corre in mezzo alla
neve, che imbianca parte del bosco e persiste tenace sui bordi della via. Questo
lato del monte è decisamente più ripido (anche se lungo circa
la metà) e si percorrono tratti anche all'11% ed oltre. La vista della
val Cellina con le montagne bianche a circondarla è notevole. Dopo circa
6 km raggiungiamo un bivio; le segnalazioni non sono il massimo: si capisce
solo che a destra si sale ad Andreis; ci muoviamo
in quella direzione (non si sa mai); dopo 600 m entriamo nel paese fondato nel
996, come ricorda un pomposo cartello all'entrata. Non è un granché,
ma soprattutto la strada finisce qui e bisogna tornare indietro. Ripassiamo
per il bivio e scendiamo (per evitare Andreis, andate sempre in discesa). Dopo
meno di due km si raggiunge la strada a percorrenza veloce che collega la valle
con Barcis ... ed è qui che crolla il palco.
A sinistra (per tornare indietro verso Aviano) una prima galleria di oltre 4
km: improponibile non solo per via delle segnalazioni (siamo attrezzati con
luci posteriori rosse e giubbetti catarifrangenti per la sosta con le auto)
ma, soprattutto, per l'aria davvero infetta che la galleria contiene. Niente
da fare. Dall'altra parte, con tutte le precauzioni attraversiamo a grande velocità
(in discesa) una galleria di 300 m, ma dopo un breve rettilineo se ne presenta
un'altra di oltre un km ... e siamo da capo!
Eppure deve esistere una strada che aggiri questo incubo. Dopo aver inutilmente
chiesto ai pochi passanti ed esplorato la zona, ci rendiamo conto che è
troppo tardi per completare il giro (Piancavallo) e quindi decidiamo di scendere
lungo la val Cellina. Prendiamo per Molassa (dove
è visitabile un orrido notevole) e seguiamo il percorso lungo il torrente.
Ben presto la strada è sbarrata da un cancello, con cartelli così
vecchi che si fa fatica a leggerli. E' una strada abbandonata, che non si può
percorrere.
Non si può ... ma se si potesse ... cosa incontreremmo?
Certo bisognerebbe infilare il passaggio piuttosto basso lasciato libero dal
cancello dell'ENEL; siamo sicuri che una bicicletta alla volta ci passa tranquillamente,
inclinandola, e anche una persona, probabilmente anche se porta lo zaino. Una
volta di là troveremmo una strada incredibile, di cemento, che corre
sotto un tetto di roccia spiovente, e accompagna, dall'altra parte del torrente,
una montagna che cade verticale, mostrando tutte le sue stratificazioni, una
ad una. Vedremmo anche il Cellina scorrere in fondo all'anfratto con un'acqua
di un colore incredibile, un verde straordinario che ci è capitato di
ammirare solo in alcuni laghetti di alta montagna. Vedremmo ogni tanto una chiusa,
una piuttosto grande a metà percorso e subito dopo una galleria con sopra
un grande cartello della S.A.D.E. (non vorrei fosse la ditta di macellai e assassini
che portò avanti senza scrupoli la diga del Vajont, anche se mi risulta
sia stata sciolta negli anni '60). Vedremmo una valle che è un budello
scavato nelle montagne, di un'asprezza infinita ma, anche per questo, bella,
anzi bellissima ... da non perdere assolutamente. Percorreremmo anche una strada
davvero disastrata in più punti, per via delle frane che hanno invaso
qua e là il tracciato. In certi momenti sarebbe necessario scendere di
sella e condurre il mezzo a mano, ma sarebbe anche l'occasione per ammirare
con più calma lo straordinario scenario. Attraverseremmo molte gallerie
buie ma brevi e con la consapevolezza che nessun altro è nei paraggi.
Ed infine, dopo circa 6 km, usciremmo sulla statale che scende a Maniago subito
dopo la lunga galleria (quella di 4 km e rotti). Potremmo evitare il cancello
(senza passaggi) scavalcando il guard-rail a sinistra, con mille precauzioni
per via di un "buco" profondo alcuni metri.
Questo sarebbe ciò che ci capiterebbe se scendessimo lungo il torrente
Cellina ... già ... ma non si può!
Da questo punto (raggiunto non si sa come) solo una galleria di 300 m (attenzione
corrono come i dannati!) ci divide dalla pianura, che raggiungiamo a Montereale
Valcellina; attraversato il paese prendiamo a destra in direzione di
Aviano (segnalazione di 12 km alla meta) e ripercorriamo,
in senso inverso, prevalentemente in discesa (con lievi ed ormai insignificanti
risalite), la strada che avevamo percorso all'inizio.
Allo stadio c'è una partita di calcio; dalle grida pare che qualcuno
abbia segnato.